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Lineamenti di storia vicino-orientale fra le due eruzioni del Thera del 1533 e 1330

MGCorsini, 30 Marzo 2008. Tutti i diritti riservati.

 

La storia del Vecchio Continente nel -II millennio, dalle steppe dell’Asia centrale fino all’Atlantico, è scritta per lo più dagli indeuropei. Da questo momento resteranno gli indiscussi leaders della storia mondiale. Eppure non appaiono ovunque palesemente come indeuropei, bisogna scoprirli dietro alle apparenze camitiche e semitiche, semitiche soprattutto, perché sono le scritture e lingue semitiche a dominare la scena dal millennio precedente, e gli indeuropei le adottano, adottano tutte le culture e lingue e scritture dove si trovano a dominare. Sono duttili e adattabili a qualsiasi cultura, specie quelle superiori alla loro, e nessuno può mettere in dubbio la superiorità culturale dell’Egitto, della Siria e della Mesopotamia. Gli indeuropei hanno la loro forza nella capacità organizzativa e militare. Hanno una grande capacità di apprendere dalle altre culture e poi razionalizzare e perfezionare. Sono dei perfezionisti. La loro prima grande civiltà è probabilissimamente quella della Valle dell’Indo di cui sapremmo di più se potessi disporre del corpus della relativa scrittura e decifrarla. E’ una civiltà estremamente razionale. Purtroppo come accade in ogni famiglia che si rispetti c’è anche la pecora nera e in questo caso la pecora nera sono gli indeuropei yahweisti, che sono il perfetto opposto, esclusivamente votati alla distruzione e alla rapina dovunque vadano. Sono rimasti sempre ai margini della civiltà e non hanno mai avuto il tempo né l’occasione né il piacere di provare cosa sia vivere in pace e lavorare, figuriamoci col cervello. Per loro l’eroe tutto muscoli e furbizia è il massimo e non chiedono altro. Per loro la cultura non è un bene prezioso ma un nemico pericoloso da distruggere ad ogni costo, un inutile fardello. Quando questi indeuropei yahweisti scendono dai valichi del Pamir per distruggere i fiorenti centri della Valle dell’Indo che dopo il loro passaggio non si riprenderà più, gli altri indeuropei, quelli del ramo principale, più antico e sano della famiglia, portano in salvo la popolazione vallinda in occidente e compaiono come Hyksos signori dei secondi palazzi a Creta, nel Peloponneso, nelle Cicladi, un po’ dappertutto nel Mediterraneo orientale, e in Siria, dove sono apparsi dapprima. Costoro linguisticamente appaiono come pelasgi-filistei, portatori di una forma più antica di greco e come religione sono elohisti, veneratori di Tifone, Seth, Dagon, Allah. Con la prima eruzione del Thera l’anno 11 del regno di Ahmose (1533 ca.) affonda come Atlantide la civiltà dei Giganti  Hyksos di cui la tradizione dei yahweisti superstiti e che si ritrovano soli a dominare dirà peste e corna. La nostra  civiltà occidentale, bene o male, si fonda su due tradizioni fondamentali, quella greca e quella giudaica, entrambe yahweiste. Sono tradizioni nate come ho detto da popoli anch’essi di lingua greca, danai e achei, che non avevano interesse a fare storia ma solo bottino. Semmai la storia fu già per loro la longa manus della politica e della guerra. La storia non serve a nulla, per loro, ma se proprio si deve farla che serva a qualcosa, a far propaganda, a mostrare la superiorità degli indeuropei che hanno sempre vinto su tutti, sono antichissimi, ci sono solo loro e gli altri non valgono un fico secco. Non avendo serie motivazioni culturali come invece il ramo principale e ormai disperso, le tradizioni  dei yahweisti sono favolette da bambini oltretutto pervenuteci attraverso il gap culturale della fine del mondo antico da essi causato e dunque la perdita da parte loro per lungo tempo della scrittura cui  come ogni cosa culturale davano poca o nulla importanza delegando alla tradizione orale la trasmissione dei pochi sufficienti per loro brandelli di tradizione, oltretutto manipolata a fini politici, come longa manus della guerra, l’unica vera loro ragione di vita. E tuttavia basta considerare che l’Apoteosi (tardo prodotto della civiltà hyksos-filistea) conferma la concretezza storica di una Megara o di un Radamanto per comprendere che la realtà e non la fantasia è davanti a noi che la vediamo attraverso le lenti deformanti di una tradizione che non possiamo valutare bene fin dove ugualmente attendibile in mancanza di ulteriori  prove documentali, che certo prima o poi salteranno fuori da qualche parte, ma che comunque il raffronto con la storia egizia prima di tutto ci consente di illuminare grandemente. Con la fine di Atlantide, dell’impero Hyksos, i centri del potere   stanno in Egitto e Mitanni (la Naharina egizia, il Paese Superiore di Sargon, l’Harran di Genesi, l’’Hyperasia di Omero, l’Alta Siria). Qui dei sovrani divini o semidivini facevano girare gli ingranaggi della Storia, mentre alla periferia se ne subivano le conseguenze come la pioggia o i fulmini mandatati da Zeus. Gli dèi risiedevano in Oriente, e inviavano  i loro governatori in queste terre sottoposte al loro dominio. E questo mondo antico degli eroi si chiuderà con una nuova eruzione del Thera verso la fine del regno di Amenofi IV nel 1330 ca. Le generazioni successive non furono più in grado di distinguere l’una catastrofe dall’altra e combinazione vuole fossero come il calco esatto l’una dell’altra.  Prendiamo il punto di vista degli Ebrei. Un Giuseppe Flavio sacerdote del II Tempio riteneva che l’Esodo degli Ebrei coincidesse con la cacciata degli Hyksos, e tuttavia come sottovalutare le almeno apparenti coincidenze di un Aton e di un Adonai monoteista ebreo? Tutto sommato la tradizione biblica adottata nel II Tempio finiva per far ruotare l’Esodo intorno alla fuga/scomparsa  del faraone eretico. Se guardiamo bene, tra il 1447 (XV secolo) dell’Esodo calcolato in 480 anni prima della costruzione del fantomatico tempio di Salomone e l’Esodo di Mosè con gli Ebrei oppressi a costruire le città di Pi-Aton  e Pi-Ramses al tempo di Ramesses II (XIII secolo) abbiamo nel mezzo il culto di Aton intorno al 1344-30 (XIV secolo). Le affinità fra religione ebraica e culto atoniano di Amenofi IV non vanno sottovalutate perché è evidente che il yahweismo ebraico non è assolutamente confrontabile col yahweismo cristiano che lo precede. Il yahweismo cristiano è la peggiore delle pesti possibili, mentre biosogna riconoscere che quello ebraico sa più di atonismo di Amenofi IV, cioè di elohismo. Ritengo dunque che fra ebrei e islamici tutto sommato ci siano più punti di contatto che non fra costoro e i cristiani, che, parlando di atonismo, risentono di quello yahweista di Amenofi III, come vedremo più avanti. Quando poi finalmente le periferie raggiunsero l’indipendenza perché il regno degli dèi lontani declinò e decadde (a causa degli stessi yahweisti popoli del mare che ho scoperto celati dietro la tradizione del cosiddetto “Ritorno degli Eraclidi”), i relativi “storici” per motivi nazionalistici e politici reinterpretarono la storia, già conosciuta in modo periferico e confuso, a modo loro, incentrando tutto su Grecia e Israele, come se fossero state queste la culla della civiltà e tutti gli eventi storici avessero da sempre ruotato intorno ad esse. Prendiamo il punto di vista dei Greci. Questi ribaltando totalmente (e anche confusamente) la storia reale di una provenienza dall’Oriente, considerano Io come vivente in Argolide e figlia di Inaco (Iannas/Khayan/Abraham proto-mitannico) re di Argolide, madre di Epafo/Apopis re di Egitto, un cui discendente Agenore (posteriore a Danao) sarebbe emigrato in Fenicia, dopodiché un discendente del fratello di questo, Danao (anteriore ad Agenore) sarebbe tornato in Argolide.

Grazie alla rianalisi di documenti noti e all’acquisizione di altri  (per i quali ringrazio  tutti coloro che su internet pubblicano i documenti in loro possesso, come del resto faccio io stesso, perché i documenti sono tutto e la cultura è patrimonio inalienabile di tutti) ho fatto un grande balzo in avanti nella conoscenza del quadro storico che va dalla dominazione degli Hyksos all’invasione dei popoli del mare.

Il primo gruppo di scoperte si incentra sul periodo finale della dominazione hyksos, intorno al 1550. Qui si colloca l’eruzione del Thera nell’anno 11 del regno di Ahmose (ca. 1533) in coincidenza con l’assalto di questo faraone  alle città hyksos  che porterà poi alla presa di Avaris e nell’anno 16 alla definitiva cacciata degli Hyksos con la presa di Sharuhen. La distruzione dell’impero Hyksos è anche la distruzione di Atlantide, governata dalla “tracotante” stirpe dei Giganti di cui ci parlano l’Antico Testamento yahweista e l’Odissea del laziale Omero di cultura greca e pertanto yahweista, oltre che Platone. Quanto all’Esodo degli Hyksos (proto-ebrei secondo Flavio Giuseppe sacerdote del II Tempio) ho scoperto che la tradizione di Esodo, appunto, è inventata di sana pianta, ma prende spunto alla vera tradizione greca dell’Esodo di Danao in Argolide (come si evince anche da un passo di Odissea che palesemente sembra riecheggiare la “separazione delle acque del Mar Rosso”). Parallelamente all’arrivo di Danao in Argolide alcuni seguaci dell’ultimo faraone hyksos, Apopis, evidentemente morto in Egitto, giungono a Creta e instaurano nell’antro dell’Ida/Labirinto il culto  di Epafo/Apopis dio Figlio-Toro-Sole e di sua madre Madre-Vacca-Luna celeste. Altri seguaci di Apopis si diffonderanno  in Edom e Nord-Arabia (come ho già stabilito su Taifeng), l’unico Esodo di cui si possa parlare seriamente (nel senso che segue lo schema di quello biblico), ma riguarda i futuri islamici. Anche la tradizione di Eracle e della sua servitù per dodici anni sotto Euristeo si inquadra in questa cornice.

Passiamo dunque ad esaminare i documenti di questa parte del lavoro e ciò che se ne può ricavare di storico. L’ordine in cui li presento e li esamino non è lo stesso che il mio ragionamento mi ha portato ad esaminare, bensì solo quello cronologico.

 

La Stele della Tempesta.

 

 

La Stele della Tempesta, lato frontale. Questo è un disegno scarsamente utilizzabile per un riscontro serio ma è l’unico che sono riuscito a trovare su internet, l’ho ingrandito e sottoposto a messa a fuoco. Fortuna vuole che da un’altra parte ho trovato l’intero testo della Stele tradotto in inglese.

 

La Stele della Tempesta (la Tempesta  io la dato  all’anno 11 di Ahmose, 1533 ca., mentre la Stele sarà di qualche anno posteriore) fu  trovata in frammenti nelle fondamenta del terzo pilone del tempio di Karnak a Tebe, fra gli anni ’40 e ’50 dalla Missione Francese. Il restauro della Stele, il disegno del testo geroglifico, la trascrizione e traduzione furono pubblicati in francese (1967-68) da Claude Vandersleyen. Il testo è frammentario ma  riprodotto ugualmente sia sul recto che sul verso della stele.

 

Una versione in inglese del Testo della Stele della Tempesta (di C. Vandersleyen)

 

(7)      ... the gods expressed

(8)      their discontent ... The gods (made?) the sky come with a tempest of (rain?); it caused darkness in the Western region; the sky was

(9)      unleashed, without ... ... more than the roar of the crowd; ... was powerful... on the mountains more than the turbulence of the

(10)      cataract which is at Elephantine. Each house, ... each shelter (or each covered place) that they reached... 

(11)      ... were floating in the water like the barks of papyrus (on the outside?) of the royal residence for ... day(s),

(12)      with no one able to light the torch anywhere. Then His Majesty said 'How these (events) surpass the power of the great god and the wills of the divinities!' And His Majesty descended

(13)      in his boat, his council following him. The (people were?) at the east and the west, silent, for they had no more clothes (?) on them

(14)      after the power of the god was manifested. Then His Majesty arrived in Thebes ... this statue; it received what it had desired.

(15)      His Majesty set about to strengthen the two lands, to cause the water to evacuate without (the aid of) his (men?), to provide them with silver,

(16)      with gold, with copper, with oil, with clothing, with all the products they desired; after which His Majesty rested in the palace - life, health, strength.

(17)      It was then that His Majesty was informed that the funerary concessions had been invaded (by the water), that the sepulchral chambers had been damaged, that the structures of funerary enclosures had been undermined, that the pyramids had collapsed?

(18)      all that existed had been annihilated. His Majesty then ordered the repair of the chapels which had fallen in ruins in all the country, restoration of the

(19)      monuments of the gods, the re-erection of their precincts, the replacement of the sacred objects in the room of appearances, the re-closing of the secret place, the re-introduction

(20)      into their naoi of the statues which were lying on the ground, the re-erection of the fire altars, the replacement of the offering tables back on their feet, to assure them the provision of offerings,

(21)      the augmentation of the revenues of the personnel, the restoration of the country to its former state. They carried out everything, as the king had ordered it.

 

Il testo inizia coi titoli faraonici di Ahmose e le cerimonie religiose a ricordo delle quali è stata eretta la stele. Poi dalla linea 7 fino alla linea  14 abbiamo la  descrizione della Tempesta sia nel suo svolgersi (attraverso il ricordo di Ahmose e di coloro che vi hanno assistito e che glie ne hanno riferito) che nei suoi effetti perduranti che  cadono sotto gli occhi di Ahmose recatosi sollecitamente in battello a visitare  l’area devastata, e verisimilmente in parte (non bisogna mai credere del tutto ai potenti) perdurano anche al momento dell’erezione della stele qualche anno dopo.

La Tempesta è descritta come inviata dagli dei (7-8) e lo stesso Ahmose, subito dopo la catastrofe, e prima di partire per Tebe (dunque ha fatto prima una visita per constatare i danni nell’area settentrionale, di cui qui non deve dare conto; presumibilmente egli si trovava presso Avaris al momento del cataclisma; notare che la datazione all’anno 11 di Ahmose la ricavo dal Papiro Rhind di cui parlerò in seguito; qui infatti l’anno della Stele è nascosto dietro una lacuna), afferma in sostanza: “Come, questi eventi, oltrepassano le intenzioni punitive di Amon e delle divinità!” (12). Alla linea 14 Ahmose dice di essere giunto a Tebe (e ha fatto qualcosa – c’è una lacuna – connesso con la statua di Amon, dio principale di Tebe) e così di aver adempiuto il volere del grande dio (cioè in sostanza il dio Amon avrebbe mandato questa “Tempesta” per indurre Ahmose a scendere a Tebe). Dal che si evince ognuno ha gli dèi che si merita. Questo incipit mi richiama alla mente il concilio degli dèi presieduto da Zeus che decide la fine di Atlantide (alla fine di Crizia). La Tempesta viene da occidente  e i cieli occidentali si oscurano (8). E’ caratterizzata da un cielo scatenato,  una serie di boati, il cui fragore è messo a paragone con una folla oceanica o la cascata di Elefantina, ed è più potente (9-10). Si noti che la pioggia viene supposta (tra parentesi) da Vandersleyen perché noi occidentali non possiamo logicamente immaginare una Tempesta senza pioggia. (Ma in Egitto l’acqua non viene dal cielo ed è per questo che l’Egitto ha il Nilo e gli altri popoli il Nilo del cielo.) Ma dal testo conservato e tradotto di Vandersleyen (il disegno della stele non lo prendo nemmeno in considerazione non consentendo una seria lettura) non si evince in alcun modo che ci sia stato un diluvio piovuto dal cielo (la pioggia andrà presa in considerazione solo  se c’è davvero  anche nell’annotazione sul retro del Papiro Matematico Rhind),  bensì uno Tsunami (nel delta, ovviamente, che causò anche l’innalzamento di livello del Nilo, anche al sud e dunque l’allagamento dell’intero Egitto) che si è manifestato anche al sud come Vento potentissimo che ha spazzato vie la case, le capanne, che galleggiano sul Nilo (10-11 e ovviamente le piantagioni, uccidendo certamente parte della popolazione e del bestiame; ciò non lo intuisco dietro alle lacune, ma perché deve essere stato logica conseguenza, senonché il faraone non ritiene probabilmente sia il caso di rigirare il coltello nella piaga). La folla che si è riversata  sull’una e l’altra sponda del Nilo a vedere il faraone giunto in battello per verificare lo stato del disastro  è in silenzio (un silenzio che grida) e nuda,  ha perso tutto quel poco che aveva (13). L’allagamento dovuto all’innalzamento di livello del Nilo è durato più giorni, perfino più settimane, e certo continua al momento della visita di Ahmose (e forse perfino  al momento delle cerimonie della Stele; se i politici egizi erano come quelli italiani, che, davanti alle telecamere, consegnano le chiavi, mentre i lavori sono tuttora in corso, e magari non finiscono mai) alla zona colpita. Qui si tratta di Tebe, ma la tragedia ha colpito tutto l’Egitto perché alle righe 15-16 Ahmose parla del suo intervento per ridare forza alle due terre e evacuare l’acqua che le aveva allagate, provvedendo le popolazioni  di argento, oro, rame, olio, vestiti, ogni cosa chiedessero, dunque in sostanza mettendo in moto la macchina amministrativa locale, che pensi a tutto lei prima di tutto pagando gli operai. E sempre per più giorni sono durate le tenebre su tutto l’Egitto senza che si potessero accendere le torce, verisimilmente perché al buio è difficile raccapezzarcisi, e poi anche perché era andato tutto distrutto, affondato nell’acqua, e le torce hanno bisogno di asciutto per prendere fuoco. Per quanto riguarda le tenebre (causate non vedo da cos’altro se non da cenere vulcanica) e i boati non vedo altra soluzione che far scendere in campo l’eruzione del Thera che corrisponderebbe dunque all’Atlantide di Platone (sempre fatto salvo che l’opera di Platone è e rimane un trattato di geopolitica). (Questa eruzione attirò l’interesse dell’Egitto verso Creta e le Cicladi e ne agevolò la colonizzazione – ho già parlato in altri lavori delle armi cretesi di Ahmose e di sua madre Ahhotep che porta il titolo di principessa delle Cicladi, Haw Nebw – per cui sarà l’eruzione successiva,  sotto Amenofi IV, che  distruggerà  per sempre questa civiltà conservandocene i resti più recenti, quelli di Akrotiri.) Ma qui il discorso si allarga all’epoca in cui avvenne questo disastro e cioè prima della presa di Avaris da parte di Ahmose e della cacciata degli Hyksos (vedi annotazione sul retro del Papiro Rhind). La vera Atlantide è dunque l’impero hyksos che l’Antico Testamento e Odissea dicono spazzato via insieme ai suoi abitanti, i “tracotanti” Giganti che vivevano in Israele (Genesi, Baruc) e in Hyperasia, Alta Siria (Odissea). Sono indicazioni parziali (e faziose) ma colgono comunque il fatto che gli Hyksos erano stanziati in Siria, fino al delta orientale. I sacerdoti del II Tempio vogliono prendere le distanze dagli Hyksos/Filistei (che secondo loro sono il solo  oggetto dell’ira di Yahweh che li avrebbe distrutti col Diluvio, anche se poi continuano a dare noia ai proto-ebrei fino a Golia e oltre) e  fanno bene, perché gli Hyksos non sono omogenei e all’interno di essi (che sono per lo più elohisti e filistei, per ciò che riguarda l’élite indeuropea) v’è un ramo più recente che non regna ma è negli strati inferiori, yahweista dell’élite indo-aria di signori della guerra carristi di origine mitannica, che possiamo chiamare proto-ebreo yahweista e anche danao-achea.  Gli Hyksos/Filistei io li definisco i proto-Greci del “miracolo greco”  per eccellenza, amanti della cultura e grandi intellettuali, anche se come il grande  Carlo Magno probabilmente non sapevano nemmeno apporre la propria firma e all’uopo si servivano di sigilli. Apopis sguinzaglia i suoi scriba a copiare e così salvare i testi egizi, come il Papiro Chirurgico Edwin Smith, il Papiro Westcar, il Papiro Matematico Rhind. Rispettano le divinità e la cultura locali. Tutto il contrario dei yahweisti che dove vanno, da quando sono nati fino alle crociate di Luigi il Santo e a quelle di Bush, che un giorno lo santificheranno anche lui, distruggono, massacrano, danno fuoco ai libri, soprattutto ai libri perché rendono l’uomo libero. Sì, i yahweisti   sono la perfetta antitesi degli Hyksos. Dunque poiché i proto-ebrei sapevano bene di essere confusi fra gli Hyksos e di averne condiviso l’esodo, e Flavio Giuseppe, sacerdote  ebreo ne è convinto, dovevano essere consapevoli che semmai Yahweh aveva voluto colpire proprio loro o anche loro e non l’Egitto di faraone che non voleva lasciarli partire. Oppure, delle due l’una, che gli dèi d’Egitto erano più potenti del loro Yahweh. I sacerdoti del II Tempio mentirono, dunque. Non accetto che nessuno, nemmeno un dio, si accanisca così contro un popolo. Nessuno deve  mai più mettere le mani sugli Ebrei, neppure Yahweh. Come va di moda dire oggi, nessuno tocchi Caino! Le ultime righe della stele ricordano le misure prese da Ahmose per rimettere allo stato originario  l’area funeraria e templare completamente allagati e annientati (17-21).

Strettamente connesso con la Stele della Tempesta è il Papiro Matematico Rhind (o di Ahmes che ne è l’autore). Lo scriba Ahmes afferma che sta copiando il papiro da una versione più antica per il faraone Apopis, nell’anno 33 del suo regno (Apopis secondo Manetone regnò per 61 anni e così anche Flavio Giuseppe che però lo colloca fuori posto; deve trattarsi di Apopis I contemporaneo di Seqenenra Tao II: fra i due ci fu la curiosa  “disputa tra Apopis e Seqenenra”). Pare che il papiro che Ahmes sta copiando, e ha finito di copiare, sia dell’epoca di Amenemhat III della XII dinastia, un testo egizio, dunque. Pertanto Ahmes, uno scriba hyksos, lavora a Tebe e copia per Apopis I questo testo. Ciò rientrerebbe nel fair play  fra sovrani nemici, anche quando a parte se le suonano  di santa ragione. La cultura è poi sempre una zona franca (almeno per gli Egizi, che infatti ospitano Ahmes). Ma non è nemmeno da escludere che Ahmes sia  ospite  di qualche nobile colto che risiede a Tebe e magari hyksos pure lui.  Ahmes aveva appena finito di copiare il papiro, che ancora non era stato consegnato ad Apopis, quando Ahmose scatenò la guerra contro Avaris e proprio nell’11 anno di regno avvenne la catastrofe metereologica. E’ evidente che il papiro restò dov’era e lo stesso Ahmes o più facilmente un suo conterraneo hyksos (per ipotesi mia l’aristocratico che lo ospitava e che pur provando pena per i suoi compatrioti era pur sempre integrato in Egitto, un Egizio),  sul retro del papiro,  in uno spazio vuoto dopo il problema n° 84, con una mano diversa, con una scrittura più spessa, dall’alto in basso, scrisse degli appunti dell’ultima ora (inutile dire che non posseggo il disegno di questa parte del papiro, non posseggo nulla del papiro, e che mi piacerebbe averla),  che si riferivano evidentemente agli eventi militari e alla catastrofe della tempesta che  portarono successivamente  alla presa di Avaris da parte di Ahmose:

 

“L’anno di regno 11, il secondo mese di shomu: fu penetrata Eliopoli. Il primo mese di akhet, giorno 23: il Toro del Sud si è aperto la strada fino a Tjaru. Giorno 25: s’è udito dire che Tjaru era stata penetrata. Anno di regno 11, primo mese di akhet, il compleanno di Seth: un ruggito è stato emesso dalla Maestà di questo dio. Il compleanno di Iside: il cielo ha versato pioggia.”

 

A giudicare dall’accenno  alla Maestà di Seth, e dal ruggito emesso da questo dio, nonché dalle lacrime versate da Iside dopo la presa delle città Hyksos direi che questo annotatore  sembrerebbe  anche lui un hyksos, e tuttavia è difficile che operasse nel delta. Prima di tutto se fosse stato nel delta, a corte del faraone hyksos, che deve essere ancora Apopis I,  avrebbe avuto notizie dirette e non per sentito dire. E che senso avrebbe una datazione all’anno 11 se ancora regna Apopis I? L’unica datazione all’anno 11 può essere quella di Ahmose che infatti a questa data combatte ad  Avaris. E il nostro risiede a Tebe, e dunque utilizza la datazione vigente a Tebe, quella che fa riferimento agli anni di regno di Ahmose. Inoltre l’accenno al ruggito (terremoto/eruzione del Thera) e alla pioggia (quella supposta nella Stele della Tempesta) conferma quanto si è potuto verificare e osservare nella zona di Tebe. Infine Rhind trovò il papiro proprio a Tebe,  dove dunque è sempre rimasto.

 

Mi domando poi  che caspita avrebbe a che fare questa annotazione meteorologica  con la matematica? E’ evidente che sia una scritta successiva e con nessun legame col testo del papiro. Dunque la catastrofe intervenne durante l’accerchiamento di Avaris  e verisimilmente, spazzando e allagando il Delta, diede un duro colpo agli Hyksos agevolando grandemente l’opera di Ahmose. L’eruzione del Thera può essere apparsa agli egizi come segno della divina ira di Seth contro il suo stesso popolo eletto. E dunque che il dio li abbandonava prima della caduta di Avaris, che avvenne, come apprendiamo dalle iscrizioni della tomba di Ahmose figlio di Ebana,    al quarto attacco. Ahmose cacciò gli Hyksos completamente assediando Sharuhen i per tre anni e conquistandola il 16 anno del suo regno (1528 ca.).

La  mia opinione è che  la tradizione delle dieci piaghe d’Egitto sia stata costruita su questo avvenimento eccezionale. Non ha importanza che qui non si parli di ranocchie o di acqua tramutata in sangue o della morte dei primogeniti. La storia delle dieci piaghe potrebbe realisticamente essere stata gonfiata col tempo allontanandosi dal suo prototipo. Quello che conta è che un fatto del genere, in concomitanza con le manovre per prendere  Avaris, può essere stato interperetato dai proto-ebrei come  punizione da parte di  Yahweh di coloro  che li avevano  cacciati dall’Egitto e conseguentemente, poi, aver suggerito la storiella di un dio che a forza di piaghe induce finalmente Faraone a lasciar partire gli Ebrei. Ai sacerdoti del II Tempio serviva dare a Israele una storia edificante, una nascita eroica, una spiegazione del perché gli Ebrei vivevano in Israele, e l’Esodo non è che l’applicazione antica della legge di Kossinna. Sfido chiunque a trovare una testimonianza simile in qualsiasi altro periodo storico in cui calzerebbe altrettanto bene dell’Esodo degli Hyksos, fra cui i proto-ebrei. Non bisogna essere certo delle aquile per capire che questi due documenti sono di importanza eccezionale e che dunque meritano uno studio approfondito. Che io al momento non posso fare non avendo il testo originale e adeguatamente leggibile.

 

L’immigrazione di Danao in Argolide (pseudo Esodo di Mosè) al tempo di Ahmose. Le dodici fatiche di Eracle oppresso per dodici anni da Euristeo e il Ritorno degli Eraclidi.

In Taifeng ero giunto alla conclusione che Manetone e Flavio Giuseppe fossero nel giusto a considerare un solo Esodo (dei proto-ebrei), quello degli Hyksos. Questo modello interpretativo tiene. Perché adesso, mettendo ancora più a fuoco la materia, aggiungendo l’analisi della tradizione greca, posso dimostrare che anche Danao appartiene alla tradizione dell’Esodo degli Hyksos, e finalmente anche  Mosè, a lui strettamente collegato, non dico assume un nome e un volto, perché Mosè è l’ombra di un altro, ma appunto è ricondotto alla fonte da cui è stato inventato. Anche Danao, fratello di Egitto, Faraone biblico,  viene costretto in pratica all’esilio (i due sarebbero venuti a conflitto per ragioni di potere e Danao, il più debole avrebbe avuto paura dell’altro andandosene in esilio) prendendo il mare e così essendo il primo a costruire una nave e, diretto a Occidente, Sekhet Yaru, i “Campi di Giunchi”, i Campi Elisi, sbarcando in Argolide, nel Peloponneso, dove la tradizione greca (ovviamente originata da immigrati levantini danai yahweisti) diceva regnasse Inaco, alias Iannas/Khayan/Abraham (Apollodoro, Biblioteca II, 1). Egitto poi ci ripensò e inviò i suoi 50 figli all’inseguimento di Danao, le cui 50 figlie li uccisero tranne uno, Linceo. Analogamente Faraone ci ripensò e inviò dietro a Mosè  le navi(?), certamente, nella tradizione originaria. In quella rimaneggiata ad uso e consumo della casta del Secondo Tempio  le navi si trasformano in carri affondati nei pantani dei Laghi Amari (poi ribattezzati Mar Rosso dalla bibbia cristiana) da Yahweh che prima avrebbe fatto ritirare le acque e poi le avrebbe fatte richiudere sugli sventurati. In realtà Mosè attraversò il “Mare di Giunchi” Yam Suph. C’è un passo in Odissea che ho già messo in relazione al prodigio del Mar Rosso e che adesso getta luce sulla tradizione originaria. Come ho già tante volte evidenziato Omero conosce la stessa identica tradizione giudaica e proto-ebrea come i Giudei conoscono esattamente la stessa tradizione omerica e preomerica, solo che poi entrambi la rielaborano a loro modo per i loro fini.  Durante il ritorno in Grecia dopo la guerra di Troia, narra Nestore di Pilo, « il lungo viaggio meditavamo, se navigare sopra Chio rocciosa, verso l’isola Psirìa, avendola a sinistra, o sotto Chio, doppiando il Mìmante ventoso. Chiedevamo che il dio ci mostrasse un prodigio: e ce lo mostrò, ci spinse a fendere il mare nel mezzo, verso l’Eubèa, perché più presto sfuggissimo ai mali. » (3, 169ss) Questa è tradizione che deriva  dai Danai giunti in Grecia e, come Omero ne ha fatto una rielaborazione poetica, più (certo più) o meno aderente all’originale,  così Mosè o meglio chi per lui l’ha rielaborata ai fini della  fuga (mai avvenuta come ho sempre detto, se eccettuiamo quella degli Hyksos) dei proro-ebrei dall’Egitto verso la Palestina. Ne deriva che se Mosè è mai esistito si identifica con Danao. Non può mai essere esistito al tempo di Tuthmosis III e tanto meno posteriormente. Egli fu un  mitannico yahweista in fuga, e verso Occidente, Yam Suph ebraico, o non fu mai. I sacerdoti del II Tempio erano eredi dei yahweisti popoli del mare ritornati dalla Grecia e in quanto Greci di origine ricordavano la tradizione di Danao. Diodoro Siculo  mette insieme Danao, Cadmo e Mosè accennando ad esodi connessi con una pestilenza e con manifestazioni di xenofobia da parte degli Egizi. La stessa catastrofe naturale  avrebbe agevolato la cacciata degli Hyksos e contemporaneamente  l’imporsi dei Danai yahweisti nel Peloponneso e la discesa degli Achei yahweisti dal nord. Dunque fra la cacciata storica degli Hyksos intorno al 1550 e l’invasione dei popoli del mare che con punta nel XII secolo assalirono la Palestina dalla valle di Israel esisteva uno iato di ben 300 anni almeno che doveva essere coperto, cosicché il clero gerosolimitano del II Tempio vide bene di elaborare la tradizione di un esodo nel 1447 (sotto Tuthmosis III, 480 anni prima dell’inizio della costruzione del tempio di Salomone) ma con un’ambiguità voluta (città di Pi-Aton e Pi-Ramses) che coprisse anche il tempo fino a Ramesses II. In realtà la punta dell’invasione dei popoli del mare riguardante la Palestina è sotto Ramesses III. Intorno al 1447  i Danai si imposero sui Filistei a Cnosso. I  Tanaja fanno la loro comparsa sul teatro della storia mediterranea nel XV secolo, hanno l’apogeo nel XIV, declinano nel XIII, sono già scomparsi nel XII. 

La mia indagine mi ha portato anche a focalizzare la figura di Eracle oppresso per dodici anni da Euristeo, l’Esodo degli Eraclidi per sfuggire ad Euristeo dopo la morte di Eracle, e il loro Ritorno  che già mi era parso collegato col movimento dei popoli del mare yahweisti che ritornavano in Palestina dopo esservi stati cacciati. In effetti Eracle, come ci dice Erodoto, nasconde dietro di se differenti personaggi e divinità. Io credo che l’Eracle connesso col ritorno degli Eraclidi sia rappresentativo degli Hyksos (quelli di Seth, elohisti, anche qualora dietro Eracle si veda Amenofi IV che era elohista pure lui) cacciati dal delta orientale ed immigrati in Yahwan/Grecia. Il ritorno degli Eraclidi va inteso in senso ampio come discendenti di Eracle che dalla Grecia (dalla Tracia, dall’Anatolia settentrionale) giungono in Egitto e pongono fine alla XVIII dinastia (un impero che andava dalla Grecia alla Palestina e dunque le dominava come un Euristeo), e tornano nella stessa Grecia  come Dori. Se ci facciamo caso infatti, a partire da Sethi I (secondo faraone della XIX dinastia) torna in auge il teoforico del dio degli Hyksos Seth/Suthek, cosa inspiegabile come nome portato da faraoni egizi discendenti idealmente da quelli che gli Hyksos li avevano cacciati e che detestavano ovviamente il dio Seth. Spiegabile invece  se questi stessi faraoni col teoforico Seth erano discendenti degli Hyksos (e veneravano davvero Seth), cioè  Eraclidi che tornavano a regnare e a regnare adesso non più come fratelli minori degli Egizi dal  Delta orientale a Mitanni, bensì come faraoni egizi e sull’Egitto. Lo stesso Ramesses I, fondatore della dinastia, era figlio di un Sety “capitano di truppe”,  proveniva dalla zona nord-orientale del Delta, apparteneva alla casta militare ed era stato visir di Horemhab, il quale a sua volta aveva scelto il clero traendolo dall’esercito. Quest’ultima informazione c’entra con quanto dirò poi sul problema che Amenofi IV si trovò ad affrontare a causa della rivoluzione di Aton di suo padre Amenofi III.  

Amo aprire le strade per primo, dove mai nessuno è passato prima. Sono nato dopo tanti altri ma di strade ne ho percorse già tante per primo  e ce ne sono ancora tante altre da percorrere. L’ignoranza degli accademici (tanto più ignoranti quanto più osannati dal regime, che ha distrutto questo Paese, e perché non avrebbe dovuto distruggerne  la cultura, che è alla base di un popolo consapevole della sua sovranità e che potrebbe, dotato dell’arma più potente di tutte, la cultura, costringerlo a sloggiare?) mi consente di fare tutto ciò, con calma, tanto non mi corre dietro nessuno.  Hanno istituti e scaffali pieni di libri che accumulano la polvere, ma la testa vuota, e per questo sono pagati, per leggere il giornale dello sport. Ora,  nonnetti, scusateci ma abbiamo da fare.

 

L’Origine del culto dell’Ida/Labirinto intorno al 1550, incentrato su Apopis/dio oro-Sole e sua madre (Io) Madre Vacca Celeste, figlia di Khayan.

Pochi mesi al centenario della scoperta del Disco di Festo il 3 Luglio 2008 ho rivisitato la mia decifrazione, che  tiene alla grande, e raggiunto un’interpretazione più accurata. La   decifrazione del Disco di Festo sarà ricordata come una delle più importanti pietre miliari se non la più importante, della storia del recupero della civiltà cosiddetta Minoico-Micenea. E l’interpretazione laziale-centrica dei poemi dell’italico Omero un’altra.  Sull’Apoteosi di Radamanto ho scritto tanto e tutto reperibile sui miei siti internet, per cui mi limito qui a darne solo la traduzione e per di più sintetica, evitando il più possibile i ritorni e le ripetizioni sovrabbondanti del testo:

 

« Beata signora del Labirinto, beata Iasonia, che sei signora dei  beati e protettrice del Labirinto, la Creontide Megara, presso il temenos del Labirinto, ti consacra il defunto, o Furiosa Giovenca. L’esperto degli ordinamenti (theimôn wídris) sia consuetudinari che delle case regnanti è stato dato in allevamento ad Europa e perciò congiunto (dió mikstheís) alla forte  Delia-Nida, il glorificato (tímenos) Radamanto, a Delia  forza della gioventù, divina capra del re su Thera, il figlio di Eidomene (Melampode/Minosse), alla celeste nutrice, Delia-Nida,   che risiede nella Luna, a Eidomene. Mentre (Megara) asperge alla duplice grande dea  la grande quercia siria sorretta dalle doppie corna, il sacerdote del santuario Ideo  vi ti uccide dunque il  toro Min. Canta poi una rapsodia alla nave del mattino “Ra è signore”, quella sulla signora delle doppie corna Tarania. Infine Phaniavris imprime la pietra d’ingresso  (all’antro Ideo) coi potenti  simboli di questa. » Versione breve, MGCorsini, tutti i diritti riservati.

A livello interpretativo ci sono  novità rilevanti. Dal testo si evince innanzitutto che il culto all’Antro Ideo/Labirinto nasce tra la cacciata degli Hyksos  e l’inizio della XVIII dinastia, intorno al 1550, essendo  chiaramente incentrato sulla divinizzazione di Io/Agar e Epafo/Ismaele/Apopis ultimo faraone hyksos, cacciati dal delta da Ahmose fondatore della XVIII dinastia. Infatti  la Signora del Labirinto/Antro dell’Ida, la dea Madre Vacca Celeste è detta Furiosa Giovenca, a causa certamente del tafano inviato da Era a tormentare Io tramutata da Zeus in vacca, e anche ᾽Ιησόνια, Iasonia, perché secondo la tradizione ellenocentrica Io viene ormai presentata (siamo alla metà del XIV secolo) come figlia di Iaso, figlio di Argo e Ismene. La tradizione greco-giudaica (che ha le medesime origini indeuropee  arie e yahweiste dell’éilite dei Mitanni e dei Danai/Achei  popoli del mare)  attribuirà  invece la fuga/cacciata a Crono che si mangiava tutti i figli avuti da Rhea o ad  Abraham/Khayan/Inaco, che però non fu marito di Agar né padre di Ismaele,  come ricostruisco nel frattempo. Questa variante della tradizione deve avere una ragione e dunque va esaminata, alla luce di quanto abbiamo detto circa l’impressione che gli antichi ebbero certamente della distruzione di Atlantide/Impero degli Hyksos e della decimazione della popolazione come effetto dell’ira di Seth o Yahweh:  “Yahweh vide che la malvagità degli uomini (leggi: dei Giganti) era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male” Gen 6,5; “(Israele) Là nacquero i famosi giganti dei tempi antichi… ma [Yahweh] non scelse costoro e non  diede loro la via della sapienza: perirono perché non ebbero saggezza, perirono per la loro insipienza.” Baruc 3,26-28; “ (Il) grande Eurimedonte, che regnava sui Giganti superbi. Ma il pazzo suo popolo egli distrusse, e lui stesso perì. Odissea 7,58-60.   Il che era facile perché queste due divinità erano collegate al mare e potevano vedersi come Posidone scuotitore della terra e signore del mare e anche come Velkhanos.

Ora, se una grande morìa di persone (per annegamento, epidemie, mancanza di viveri, ecc.) ci fu, anche ovviamente fra i proto-Ebrei, la cosa potrebbe aver suscitato l’idea di un dio (Crono) che divorava i suoi figli o anche aver indotto qualche yahweista (qui siamo dopo Abraham il primo yahweista) a praticare sacrifici umani (a Crono/Saturno si praticavano sacrifici umani) per scongiurare la fine della tempesta (Yahweh era dio della tempesta cattiva e anche Yam, dio del mare, succeduto a Tifone/Allah/Dagon che la mandava come mezzo di fecondazione della terra).

Abraham (come faranno poi Agenore/Artatama I con Europa/Mutemuya, e Minosse/Yuya con Ariadne/Tiye) diede Io/Agar sua figlia in moglie a Malkizedek, penultimo faraone eliopolitano, cioè hyksos, di El 'Elyôn, “dio Altissimo”, Allah/Eloah, successivamente venerato come Oro Ta'ala, “l’Altissimo”  (come ho scoperto ora: era un mio cruccio che Eloah/Allah potesse anche solo per sbaglio  confondersi con Dioniso/Yahweh) dagli arabi eredi degli edomiti eredi degli hyksos/filistei elohisti cacciati dal Delta e guidati dai discendenti di Apopis, di cui avevo già scritto su Taifeng. Erodoto lo chiama Orotalt e lo confonde erroneamente con Dioniso/Yahweh il dio indo ario dei maryannu carristi di Mitanni, di Tebe beota e degli Achei scesi dalla Tracia con Cadmo al tempo di Tuthmosis IV, dei Danai hyksos mitannici yahweisti  giunti in Grecia dall’Egitto  fin dal tempo di Ahmose, e ancora di quelli rimasti nel Delta e in Siria-Palestina e particolarmente di Sehir/Edom/Madian cui fra l’altro fa riferimento verisimilmente il nome completo del maryannu carrista Yuya/Minosse/Giosuè. La tradizione di Dioniso/Yahweh venerato sulla montagna di Nysa, fra Egitto, nei pressi del Nilo, e Fenicia, dunque nel Sinai, appartiene a nomadi o operai al servizio dei faraoni analoghi e ha avuto la sua importanza per poter avallare un Esodo via Sinai. Ma è più probabilmente che qui la tradizione greca non faccia altro che riferirsi alla già esistente  tradizione proto-ebrea dell’Esodo. Gli Ebrei, infatti, entrarono a Gerusalemme solo portatici dagli eserciti achemenidi nell’età di Pericle.

Agar e Malkizedek generarono Ismaele/Apopis, l’ultimo faraone hyksos. Abraham, proto-yahweista e proto-mitannico,   è un maryannu indo-ario i cui antenati (rielaborando criticamente quanto attesta Genesi),  dagli altopiani del Pamir,  sono penetrati nella  Valle dell’Indo dove hanno distrutto col fuoco (apparentemente, e sto solo alla descrizione testuale, con armi terribili considerate provenire dagli angeli del loro dio stragista) Mohenjo-Daro (nel Sind) e poi proseguendo  costa costa o via mare sono entrati in Sumer dove evidentemente da essi sorge la civiltà kassita, affine a quella mitannica,  per poi risalire fino ad Harran/Mitanni (sono veneratori della Luna, oltre che del Sole alato da cui verrà fuori Aton) dove Abraham risiede forse già nella capitale Washukanni con sua moglie e sposa reale Sarah e suo figlio Isacco. La sua influenza si estende da Creta a Baghdad, al tempo sotto controllo kassita. Dunque il racconto di Genesi qui tiene sostanzialmente. Abramo o meglio i già suoi antenati proto-mitanni prima di lui sono  in relazione  con Labano/Labarna ittito e sono subordinati a lui (o tutt’uno con lui) e ai suoi discendenti andando a sposare le loro figlie.

Saranno contenti gli Ebrei e potranno verificare così che io cerco solo la verità e sono pronto a correggermi quando la scopro. La via per la verità è lastricata di errori e solo chi lavora può fare errori, non certo chi se ne sta seduto in poltrona a leggersi il giornale dello sport. Dunque, semmai, Abraham, su istigazione di Sarah,  avrà  voluto uccidere/cacciare Ismaele e non Isacco; ma questa, ripeto, è una tradizione che risale ai sacrifici umani tesi a scongiurare le calamità successive alla prima eruzione del Thera e semmai indica piena sottomissione di Abraham a Yahweh e  inferiorità di Ismaele rispetto a Isacco dal punto di vista della dinastia mitannica. Rimane dunque che Ismaele (e addirittura lo stesso Malkizedek, e perfino i precedenti faraoni Hyksos prima di lui) è il capostipite degli islamici (Eloah/Allah risiede in Occidente ben prima dell’arrivo di Yahweh), mentre adesso mi appare logico che Abraham sia via Isacco il capostipite dei yahweisti. La culla più recente degli indo-ari élite dei Mitanni era  individuata nel Caucaso, dove troviamo inchiodato Prometeo figlio di Giapeto/Japhet e Isacco/Frisso collegato al culto di Ares/Yahweh zebaoth del giardino della Colchide secondo Apollodoro.

 

La dea madre  è venerata all’Ida/Labirinto come Vacca  Celeste Nut/Rhea, il figlio come Vitello/Toro d’Oro (il Vitello d’Oro degli pseudo israeliti al seguito dello pseudo Mosè), il Sole/Faraone divinizzato che ogni mattina nasce come vitello da oriente, entra dalla bocca della madre, cresce durante il giorno divenendo toro,  ingravida sua madre, esce dalla vagina e cala nell’Oceano (Toro marino) morendo per  rinascere il giorno seguente come vitello partorito dalla Vacca Celeste.

 

1) Nut la dea  del cielo stellato (composto d’acqua; il Nilo del cielo distinto da quello in terra) e perciò rappresentata col corpo coperto di stelle voleva congiungersi (e alla fine ci riuscì)  con il dio della terra Geb, tenuti separati da Shu, l’aria, padre di Nut.

 

2) Nut era soprattutto chiamata la Vacca d’Oro celeste che ogni mattino partoriva e allattava sotto l’aspetto di sicomoro (Dea del Sicomoro) il Vitello d’Oro/Sole che così sorgeva da Oriente. Da un acquarello di R. Hay, 1824 ca., di un affresco murale nella tomba di Seti I.

 

La concezione di base è dunque egizia e risale al culto eliopolitano dell’Antico Regno. La Madre è anche nutrice perché poco prima che il Figlio rinasca come Sole uscendo dalla porta orientale del cielo, la dea, rappresentata dai due sicomori, lo allatta.

 

3) Adorazione del Sole/Vitello (d’Oro) nascente fra due sicomori, secondo la tradizione di Eliopoli. Deir el-Medina, tomba di Irynfer, n° 250, età ramesside.

 

4) Il defunto Tuthmosis III viene allattato dal sicomoro di Iside, anch’essa una dea del sicomoro.

 

5) Poiché il Sole veniva trasportato dalla barca solare veniva anche raffigurato su questa, e alla guida della barca solare era raffigurato, come vitello e stella polare (che non tramonta mai) il faraone defunto e resuscitato da sua madre, che così poteva sempre accompagnare il Sole nel suo viaggio eterno (ma il faraone finì coll’identificarsi col Sole). Nel disegno sottostante è rappresentata la barca solare con Horo seduto (e poiché il faraone era l’incarnazione di Horo il faraone vi si identifica rappresentato sotto forma di vitello-sole nascente). Hathor era chiamata la dea d’Oro e così Horo era chiamato il dio d’Oro e Horo d’Oro (Horo d’Oro era uno dei cinque nomi del faraone, probabilmente dunque quello da dio-Sole resuscitato). La barca solare passa attraverso  i due sicomori manifestazione della dea vacca Hathor, alla porta orientale del cielo da cui il Sole sorge ogni giorno. Nei Testi delle Piramidi la dea vacca è identificata con Nekhbet venerata a el-Kab e dai Greci identificata con Selene Eilithyia (De Rachewiltz), che non a caso era la dea nave che conduceva ai Campi Elisi.  Si immaginava che la barca solare entrasse dalla bocca della dea al mattino (vedi disegno 1) e ne uscisse dalla vagina al tramonto per iniziare un nuovo viaggio al mattino seguente.

 

Le immagini egizie di questa parte del mio  lavoro tranne la prima sono tratte dall’ottimo sito di Walter Reinhold Warttig Mattfeld y de la Torre, M.A. Ed. cui mi sono ispirato anche per elaborare la concezione egizia della Madre Vacca Celeste e del Vitello suo figlio e sposo fino allo Yahweh e alla sua Ashera di Kuntillet Ajrud (con relative immagini).

 

Nei Testi delle Piramidi la dea vacca è identificata con Nekhbet venerata a el-Kab e dai Greci identificata con Selene Eilithyia (De Rachewiltz), che non a caso era la dea nave che conduceva ai Campi Elisi. Ma ciò perché nella visione egizia Madre e Nutrice coincidono, mentre nella  visione  filisteo-pelasgica (cioè greco-minoica) dell’Apoteosi  la nave Selene Eilityia o Tarania (nome indo-ario) è la Capra Amalthea Nutrice e non la Madre Vacca Celeste Signora del Labirinto. Ora la Capra Amalthea non la leggo più direttamente nel testo dell’Apoteosi. Leggo ancora però “divina capra”. Vi leggo invece il nome Delia (da ind. e. Dhe(i)l, connesso con seno e allattare), Artemide, da assimilare a Itilia/Eleityia, dea delle partorienti, cui nelle caverne di Amniso e di Einato si offrivano scodelle di latte e miele. Leto/Latona (altro nome dunque di Io), anch’essa cacciata da Era a causa dell’amore nutrito per lei da Zeus,  si rifugia a Delo, partorisce Artemide, e questa  le fa da levatrice per partorire il Sole/Apollo. La dea nutrice è dunque Artemide.

La “mammella” ha una complessità di lettura notevole e la sua trascrizione fonetica varia fra dheil e theil e volta a volta non è usata pari pari (perché come ho scoperto da tempo  i segni terminano normalmente in r o l  (altro indizio indo-ario) – ciò che serve ad identificarne immediatamente il significato corrispondente al disegno –  ma queste si leggono solo raramente), prevalendo ora dhei ora thei. Se il testo complessivamente è rimasto invariato nella traslitterazione,  ci sono notevoli variazioni circa la presenza dei nomi legati a questo segno.  Delia è una dea lunare che “risiede nella Luna” e le viene associata, in quanto nutrice, Eἰdeménē (madre come so da tempo di Melampode/Minosse, nell’Apoteosi detto figlio di Eἰdeménē, Eἰdemenējo. Il nome della tradizione greca è Eἰdoménē) così come le viene associata Europa madre di Radamanto.

 

6) Affresco del Toro-Sole-Faraone Figlio e Sposo e del sicomoro della dea Madre-Sposa Celeste, da un loggione sul lato nord del Palazzo di Cnosso.

 

Nel Palazzo di Cnosso il Faraone-Toro-Sole-Faraone, Figlio e Sposo della Madre-Sposa Celeste rappresentata dal sicomoro è raffigurato frequentemente.

La conferma che Apopis fu divinizzato come dio toro solare ci viene dal fatto che da Foroneo figlio di Inaco  e dalla ninfa Teledice (altro nome con cui è certo indicata, in altra tradizione, Io) nacquero Apis e Niobe. Apis fu ucciso da Telesione e Telchino e venerato da morto come dio, col nome di Serapide  (Apollodoro, Biblioteca,  2,1).

Io/Agar è così la madre divinizzata di Apopis/Ismaele venerato come dio sotto forma di toro Mnevis di Eliopoli (venerato anche ad Amarna di Amenofi IV  che avrebbe dovuto sostituire Eliopoli come centro di culto)  Min di Copto e Akhmîm, detto “toro di sua madre” e “protettore della luna”.

 

7) Ramsete II fa offerte al sacro toro Mnevis.

 

Yuya era profeta di Min a Akhmîm e sovrintendente al bestiame del dio (Gardiner). Dunque uno stretto legame fra Yuya/Minosse e il Minotauro, il Toro celeste veicolo del Sole. Sotto il suo nome (Toro Apis da Apopis) prende inizio tra la fine della XVII e l’inizio della XVIII dinastia il culto  del dio Toro-Sole (poi chiamato dai Danai/Achei Zeus/Dioniso) partorito da Rhea nell’Antro dell’Ida/Labirinto dopo essere fuggita da suo marito Crono che si divorava tutti i figli avuti da lei.

Probabilmente, in quanto  moglie del visir Yuya,  Tuya si sarà recata una o due volte a Creta e vi avrà mimato uno hieros gamos (in sostanza legato al ciclo solare) vestita di  una pelle di vacca per essere fecondata (solo simulatamente) dal sacerdote del Labirinto vestito  da Toro marino (il Sole nella sua fase morente) generando (sempre per finzione) il Minotauro (il Sole nella sua fase nascente sul Toro sua cavalcatura), propiziatorio della prosperità agricolo-pastorale dell’isola. Non credo che sotto dominazione hyksos/filistea o egizia anteriore alla venuta al potere di un visir yahweista come Yuya si sia mai sacrificato un uomo al posto di un toro, e dubito perfino che sia stato sacrificato il toro o qualsiasi animale. Cercando conferme su un sito ho trovato che i libri di Enoch, il manoscritto di Malchizedek  e molti scritti biblici profetici parlano del "ribrezzo" che Eloah/Allah prova per i sacrifici cruenti di animali a lui offerti sugli altari. Avrò modo di verificare col tempo. Comunque il sacrificio cruento con l’escamotage di togliergli prima il sangue è pratica yahweista (e anche degli islamici che dunque non hanno una perfetta tradizione del culto originario di Eloah/Allah; Maometto, come me e con acume più grande del mio, non vivendo in un’età capace di critica testuale, ha fatto lavoro di storico). Nei riti funerari di deificazione invece il Minotauro dell’età di Minosse è un uomo in carne ed ossa rivestito di pelle taurina (com’è visibile sul Sarcofago di Radamanto/Haghia Triada), sacrificato per fare da cavalcatura al deificato assimilato al Sole. In assenza del faraone in situ, sia da vivo che da morto (perché viene sepolto ovviamente a Tebe d’Egitto), il Minotauro finirà per essere identificato col Sole stesso e col faraone. Minotauro non è l’uomo-toro e nemmeno il toro di Minosse. E’ il toro Min di cui ho detto. Finalmente il Minotauro è saltato fuori chiaramente dove lo attendevo: il sacerdote (Phaniaϝris) del santuario dell’Ida  vi (presso l’altare all’aperto)  uccide 20   a Te dunque il toro Min 20 m(i)n-me(n)-TAFROS-s(o)y; 20 Mīn mén tάϝron soì.  Dunque il “corno” sta qui logograficamente per “toro”. Il segno 40 della lista di Pernier diventa ora semplicemente mn, vocalizzato tre volte m(o)n, due volte m(i)n e una volta m(e)n. Poi  Phaniaϝris canta  una rapsodia Hymēn ōidéi  quella sulla signora delle doppie corna Tarania.

Anche Ariadne/Tiye (moglie di Amenofi III), figlia di Pasifae/Tuya  avrà mimato in veste di dea madre Signora del Labirinto, ma il suo ricordo è rimasto  legato a cerimonie più recenti, quando a Creta dominavano ormai i Danai/Achei yahweisti e il Sole era divenuto Zeus/Dioniso.

La Madre del Cielo e il Figlio-Toro-Sole sono dunque le due sole divinità dell’Antro Ideo/Labirinto. I faraoni successivamente defunti (e ovviamente sepolti a Tebe Ovest in Egitto: la tomba di Amenofi III è la WV 22 a Tebe ovest, nella Valle delle Scimmie) i cui sarcofagi vuoti erano probabilmente deposti nell’Antro Ideo (così dunque accadde al sarcofago di Amenofi III, ritrovato in una seconda deposizione ad  Haghia Triada), sono deificati insieme alle loro madri che incarnano la dea Delia/Artemide/Capra Amalthea, cosicché mentre la dea Madre Signora del Labirinto è sempre Io la dea Vacca Celeste (anche Nutrice  del solo Apopis, il Toro-Sole per eccellenza), i faraoni successivi si reincarnano nel Sole ma la loro nutrice è la sorella del Sole (la dea figlia della Madre celeste)  nella quale sono incarnate le rispettive madri naturali. Radamanto [sph]rakhtheίs Eurōpē tithēnὶaphi « è stato affidato ad Europa in allevamento (o anche semplicemente: è stato affidato alla madre Europa). »

A questo punto dopo aver parlato della fase finale dell’età hyksos e sempre continuando l’analisi dell’Apoteosi di Radamanto, documento principe, devo parlare delle origini del yahweismo e della penetrazione in Grecia degli indo-ari. Questa penetrazione avviene prima da sud con Danao (al tempo di Ahmose distruttore di Avaris; e ne ho già detto) e poi da nord con gli Achei al seguito di Cadmo fondatore di Tebe beota.

 

Il secondo gruppo di scoperte è incentrato sui proto-yahweisti Mitanni di Naharina e cioè la “Fenicia” di Agenore padre di Europa e Cadmo. Il yahweismo parte dall’élite indeuropea mitannica e attraverso Cadmo giunge a Tebe beota mitannica, mentre tramite Europa/Mutemuya arriva alla corte di Tuthmosis IV di Tebe egizia. Questo gruppo di scoperte è incentrato anche sulla risposta ad una domanda. Datosi che l’Apoteosi nega che Minosse e Radamanto fossero fratelli e figli della stessa madre Europa, visto che Eidomenejo (Melampode/Minosse/Yuya) è appunto figlio di Eidomene, e tuttavia la tradizione e la stessa Apoteosi li unisce strettamente sia da vivi che da morti (e l’Apoteosi è ancor più significativa perché essendo di fonte regale denuncia una esplicita volontà di unirli pure da morti, volontà che non può risiedere solo nel fatto che l’uno era capace visir dell’altro o che entrambi fossero celebri come persone giuste tanto da divenire giudici dell’aldilà) quale legame parentelare li univa? C’era fra gli altri l’indizio che  a celebrare all’antro dell’Ida viene inviata Nefertiti/Megara figlia di Creonte di Tebe beota e contemporaneamente moglie del faraone da poco in carica Amenofi IV figlio di Amenofi III/Radamanto, figlio di Mutemuya mitannica. Poiché Tebe era stata fondata da Cadmo mitannico fratello di Mutemuya era intuibile che Minosse, yahweista maryannu carrista, discendesse dal ramo di Cadmo, fosse figlio  di Cadmo, come Radamanto lo era di Europa, erano dunque probabilmente cugini. Dunque il secondo gruppo di scoperte è incentrato molto su Minosse/Yuya di cui sono riuscito forse a scoprire il nome esteso da cui deriva quello ordinario, Yuduya, comunemente semplificato (e c’è un perché) in Yuya. In questo gruppo di scoperte ho esaminato anche l’iscrizione su una base di statua di Amenofi II nel tempio funerario di Amenofi III a Kom el-Hetan (quello dei Colossi di Memnone), che ci mostra lo stato dell’espansione dei Danai prima della guerra dei Sette contro Tebe e della fine del potere egizio-mitannico su Creta, la Grecia,  l’Egeo, la costa siriana.

 

L’immigrazione di Cadmo con gli Achei in Beozia al tempo di Tuthmosis IV e il suo discendente Yuduya/Minosse.

Il yahweismo mitannico raggiunse la Grecia dal nord con Cadmo mitannico e gli Achei al seguito. Quando si parla di Achei bisogna probabilmente distinguere da una parte le attestazioni del territorio (Achea, Acaia) da loro occupato (se Genesi ci dà Ya(h)wan per Grecia, verisimilmente Akhkhiyawā ittito potrà essere qualcosa come la Grande Grecia, tutto il territorio occupato dagli Achei anche oltre la Grecia, teoforico di Yahweh, -Ya(h)wā, attestando che il culto di Dioniso/Zeus vi è già predominante), dall’altra il nome come “popolo”. In questo secondo caso, soprattutto se posteriori alla presa di Tebe beota, e dunque al tempo del pieno dominio sulla Grecia, attestazioni come Aquaiwasha egizio potrebbero derivare  dall’egizio Eqew-waset,  “i principi di Tebe (beota)” e indicare che a questo punto Tebe beota è diventato il centro principale degli Achei.

Secondo la tradizione Cadmo giunge coi Fenici, ma anche Europa doveva essere fenicia ed invece è indeuropea mitannica. E le lettere “fenicie” introdotte da Cadmo presso i Pelasgi non sono fenicie e non sono alfabeto, sono il cuneiforme mitannico (e poi, per facile trasposizione via aramaico lingua e scrittura internazionale, il fenicio). L’ipotesi più ragionevole è dunque che Cadmo, pur essendo indo-ario/greco si esprime amministrativamente col cuneiforme e le lingue orientali perché domina su costoro e perché queste sono le lingue dominanti, tant’è vero che Amenofi III e IV si esprimono in aramaico come lingua internazionale di tutti. Cadmo giunse a Tebe beota (dove uccise da buon yahweista il solito, ormai lo sappiamo bene, drago Tifone-Allah; ne abbatté le statue e i luoghi di culto, ammazzandone certamente il clero e dando al rogo i sacri scritti; è la comune prassi dei yahweisti da che sono al mondo)   passando per la Tracia. Sua figlia Semele fu madre di Dioniso, che ha la stessa radice indeuropea di Yahweh/Giove/Zeus/Dyeus.  Dioniso è l’altra faccia di Apollo, dio della morte della guerra e della pestilenza. Dioniso non va in India ma viene dopo aver  attraversato la Valle dell’Indo alla testa degli ari che ne hanno distrutto i centri abitati ponendo fine alla relativa civiltà. Melampode/Minosse/Yuya introdusse il culto di Dioniso in Grecia (non è del tutto vero perché certamente questo culto fu introdotto già da Danao, ma è significativa la notizia per consentirci di identificare Yuya/Minosse con Melampode). Che Yuya sia yahweista ce lo dice la seconda parte del suo nome Yu-Ya (che si sarà letto magari Ya-yu). Ce lo dice anche il fatto che il dio (Yahweh zebaoth) della morte della guerra, dell’olocausto e della pestilenza, è il dio dei maryannu signori della guerra carristi ariani. Ce lo dice il fatto insolito che la sua mummia è composta in modo che egli preghi il suo dio con le mani giunte come un cristiano, a riprova che il cristianesimo è in nuce nel yahweismo prima ancora della nascita dell’ebraismo a partire dal Secondo Tempio di Gerusalemme. Bacco è il dio del vino, essenziale nell’Eucarestia. Nasce dalla vergine Semele fecondata da dio, Zeus. I sacrifici umani  tentati o perpetrati, da quello di Isacco/Frisso a quello del Minotauro che deve fare da cavalcatura celeste al re divenuto Sole, di Ifigenia, dei dodici giovani nobili troiani sgozzati da  Achille sulla tomba di Patroclo, della figlia di Iefte/Idomeneo II, ecc. ecc., si concludono con quello simbolico del falso profeta egiziano che da lupo famelico, via progetto di culto sincretistico e filoimperiale del sacerdote del tempio Saul/Paolo 007 al servizio di Nerone, scippatogli dai cristiani, s’è mascherato da Buon Pastore Gesù Cristo/Romolo (ma la coda a ben vedere spunta sempre fuori) “sacrificato” (a me non risulta) sulla croce per la redenzione dei peccati di un’umanità che, non contenta di vivere l’inferno e il purgatorio in vita  vuole il bis pure da morta.

 

Se Cadmo (Yey?) fu padre  di Yuya/Minosse (la cui madre secondo Apoteosi e la tradizione rivisitata criticamente fu Eidomene) allora questo fu cugino di Amenofi III/Radamanto figlio di Mutemuya/Europa.

Mentre nel labirinto dell’Ida si celebra la divinizzazione di Amenofi III figlio di Mutemuya si ricorda il premorto Minosse/Yuya,  a conferma che i due, pur essendo figli di madri diverse,  furono strettamente legati da vivi come da morti, tanto da essere considerati fratelli. Qui Minosse è chiamato  Eidemenijo cioè alla fine Idomeneo (che  identifico con Melampode, che corrisponde all’ebraico Giuseppe – entrambi possiedono doti profetiche – ed è colui che ha introdotto Dioniso/Yahweh in Grecia). Naturalmente suppongo che questo nome si sia trasformato nel greco più tardo Eidomene da cui Idomeneo, nome col quale, secondo Apoteosi, colui che io identifico con Minosse è noto a Thera nelle Cicladi. Restiamo a Idomeneo. Si tratta di Idomeneo I, perché c’è poi un Idomeneo II re di Creta che partecipa alla guerra di Troia. La tradizione lo fa figlio di Deucalione (che io identifico con Ay) figlio di Minosse (che io identifico con Yuya). Non è vero che Idomeneo II sia figlio di Deucalione per il semplice motivo che si tratta di un yahweista Danao/Acheo che regna quando ormai l’Egitto ha perso il dominio su Creta e il Peloponneso (e infatti lo identifico con Iefte pseudo-giudice biblico e invece capo militare della marmaglia yahweista dei popoli del mare acheo/danai che… vanno alla guerra di “Troia”) e tuttavia il collegamento con Minosse è significativo per farci sostenere che come visir Minosse è stato conosciuto a Thera col nome di Idomeneo I. Dunque i conti tornano. L’Apoteosi cita Minosse come “figlio di Eidomene”. Ora, stando all’Apoteosi, Minosse e Radamanto non furono fratelli,   e tuttavia sono venerati insieme nella stessa cerimonia. Dunque ci deve essere qualcosa di vero nella tradizione che li unisce strettamente da vivi (come fratelli figli di Europa) e da morti (entrambi giudici nell’Aldilà). Anche Yuya e Amenofi III sono strettamente legati fra loro, il visir e il faraone, e infatti sono  imparentati fra loro in quanto il Amenofi III sposò la figlia di Yuya, la grande sposa reale Tiye. Inoltre Yuya fu ammesso con sua moglie Tuya a riposare in eterno nella stessa Valle dei Re in cui riposa Amenofi III.

Sarcofago di Minosse

 

 

Biban el Muluk. Localizzazione della tomba di Yuya e di sua moglie Tuya, KV 46

 

Ancora, nella tomba di Yuya e Tuya furono rinvenuti giocattoli appartenenti ad Amenofi III dal che si è dedotto che costui era stato allevato da loro. Cosa unisce Yuya/Minosse ad Amenofi III/Radamanto? E’ semplice. Torniamo ad Europa/Mutemuya mitannica figlia di Artatama I re di Mitanni. E’ mitannica, appunto. E Yuya è un maryannu carrista dai tratti somatici caucasici.

 

Mummia di Minosse, il  maryannu comandante dei carristi, nella cui tomba è stato rinvenuto un modellino di carro.

 

 

Un mitannico? Certamente. Cadmo era fratello di Europa, dunque mitannico anche lui, e fondò la Cadmea, la rocca di Tebe beota, dove sono stati rinvenuti almeno 42 sigilli orientali fra cui almeno uno mitannico (gli imbecilli di accademici, sotto il cappello niente, hanno pensato si trattasse di un regalo fatto al re di Tebe da parte di un re orientale!). Vorrei leggermeli i testi di questi sigilli, ma non ne posseggo nemmeno uno. Magari qualcuno che mi legge e ne possiede  le foto o i disegni  leggibili dei testi potrebbe inviarmene una copia, chissa! Purtroppo questi baroni incompetenti si tengono tutto per sé come fosse loro proprietà privata. Almeno mettessero a disposizione di tutti i documenti in modo che qualcuno, che sa come, li faccia fruttare. Devo a coloro – privati, certo non accademici – che sempre più frequentemente pubblicano delle iscrizioni in loro possesso su internet se ancora posso stare qui a fare qualcosa di costruttivo. Grazie! Ne deduco che a Tebe beota risiedeva  un’amministrazione mitannica con accreditati ambasciatori di diversi paesi orientali che coi loro sigilli firmavano le loro missive dirette ai rispettivi paesi di provenienza e cose del genere.  Nell’Apoteosi abbiamo poi la conferma che Megara (che identifico con Nefertiti figlia di Ay figlio di Yuya e moglie di Amenofi IV figlio di Amenofi III) è figlia di Creonte re di Tebe, che dunque è lo stesso visir Ay, noto come Creonte quando tratta con Tebe mitannica e come Deucalione quando tratta con Creta (in ogni caso i Beoti l’hanno ricordato come Creonte e i Cretesi come Deucalione). Ma poiché Creonte (sscr. Kreyan) vuol dire solo Signore, Potente, questo appellativo si addice ad un visir, e poiché anche Minosse (così lo chiamano in genere a Creta e nel Peloponneso) è stato un visir, anche lui sarà stato ricordato a Tebe mitannica come Creonte, e dopo Ay un altro visir è stato certamente ricordato a Tebe mitannica come Creonte. Creonte lo ritroviamo infatti dopo la seconda catastrofica eruzione del Thera (1330 ca., durante il regno su Creta e l’Egeo del visir Ay/Deucalione) al tempo dei Sette contro Tebe (1320 ca.). Sappiamo che non solo Yuya portò il titolo di Maestro dell’arma dei Carristi, ma anche suo padre o nonno Yey e il padre di Yey, Yii. Dunque una dinastia di maryannu carristi mitannici. Minosse era dunque certamente mitannico per via paterna ed è facile che suo padre fosse lo stesso Cadmo tebano fratello di Mutemuya. Vorrei sapere con certezza chi era il padre di Yuya. Non avendo un istituto di ricerca tutto mio   attendo che qualcuno sulle rete mi sappia dire con prove documentali se abbiamo il nome del padre di Yuya  oppure no.  Non è possibile che si tratti di Yey? Come si fa a dire che  Yey è antenato di Yuya senza dare il nome di chi sta fra Yuya e Yey e comunque senza spiegare in base a cosa si sostiene che sia suo antenato? Veramente, devo dire che per questi sotto il cappello niente la logica è un optional. Comunque vi sono indizi sostanziali per lavorare sull’ipotesi che Minosse e Radamanto erano cugini attraverso i loro genitori mitannici fratello e sorella, Cadmo ed Europa (il che è tanto più vero in  quanto Yuya è più anziano di Amenofi III). Il che non esclude che anche Eidomene possa essere stata mitannica. La tradizione greca  ricollega Eidomene agli Eolidi, segno certo di provenienza levantina. E Omero ricollega Melampode/Yuya a Hyperasia/Naharina/Mitanni.

Nella Valle dell’Indo e  nelle pianure caucasiche  fu allevato per la prima volta il cavallo e addestrato alla guerra trainando il carro montato da auriga e arciere.  L’indiano Kikkuli al servizio di Suppiluliumas ittito intorno al 1350 scrive un trattato in quattro tavolette e un migliaio di righe in scrittura cuneiforme sull’addestramento dei cavalli da guerra che darà al re ittita la supremazia sui popoli confinanti. Questo trattato è scritto come cosa assodata da tempo così dimostrando che gli antefatti stanno nella Valle dell’Indo, dove i maryannu, la nobiltà carrista, hanno distrutto la relativa civiltà per poi arrivare fino  nel Levante  con Labano/Labarna e  Abramo/Khayan signore della guerra e la sua discendenza mitannica. Costoro conoscevano il carro da guerra e Kamose e Ahmose, probabilmente proprio perché anch’essi di origine indo-aria (Ah-mose, la Luna è sorta), e legati da vincoli parentelari agli Hyksos contro cui combattevano, riuscirono a cacciare gli Hyksos da Avaris usando la stessa arma. Il più antico carro da guerra di cui abbiamo testimonianza concreta risale all’inizio della XVIII dinastia ed è conservato al Museo Archeolgico di Firenze.

Da frammenti delle mura del tempio funerario di Ahmose ad Abydos abbiamo scene di guerra contro gli Hyksos assediati ad Avaris e infine sconfitti e cacciati dall’Egitto. Nella battaglia di Megiddo Tuthmosis III impiegò più di mille carri trasportanti arcieri, mentre in quella di Kadesh Ramesses II dovette affrontare più di 2500 carri ittiti.

 

A Tebe beota di carristi c’era bisogno più che mai ora che i Danai e Achei yahweisti (da cui Yahwan, la Grecia di Genesi)  feroci guerrieri animati dai loro sacerdoti/profeti/aruspici alla guerra santa di sterminio per conquistare la Terra Promessa loro dal dio indeuropeo della guerra e dell’olocausto, non solo occupavano Creta settentrionale e gran parte del Peloponneso ma anche iniziavano seriamente a minacciare gli ultimi avamposti in Occidente dell’impero mitannico ed egizio (primo fra tutti Tebe beota), così come ce n’era bisogno nel Levante per tenere a bada la minaccia ittita. Da qui i matrimoni tra faraoni egiziani e principesse mitanniche per rinsaldare l’alleanza politico-militare. Non solo Yuya dunque era un nobile mitannico, ma anche l’egizia Tuya era nobile, detentrice addirittura del potere di creare i faraoni se è vero come sostiene  Cyril  Aldred (e non c’è motivo di dubitarne perché la cosa è quanto meno verisimile; mi esprimo così perché non so in base a cosa lo affermi e perché non possiedo il testo originale in cui lo afferma, ma per altra via anch’io lo sospetto)  che discendeva da Ahmose Nefertari (la moglie di Ahmose fondatore della XVIII dinastia). Ne deriva magari una  lontana origine indo-aria anche per Tuya. Da antenati ari sposati a regine egizie può discendere ogni tanto un figlio con i tratti egizi. Cosicché non a caso  proprio  sua figlia Tiye sarebbe diventata la grande sposa reale di Amenofi III. Altro che famiglia di  borghesi del profondo sud egizio! 

 

 

Un alone di superiorità (rispetto a Radamanto) circondò Minosse a Creta e nel Peloponneso, ed è logico, perché in quanto visir fu lui quello più presente in quest’area che non il lontano faraone visto dai Greci/Indo-ari come una controfigura dello stesso Zeus.

 

Secondo l’Apoteosi, alla deificazione di Amenofi III intervengono solo Megara/Nefertiti figlia di Creonte/Ay ovviamente in rappresentanza sia della casa mitannica che domina su Tebe beota che di quella d’Egitto nella cui sfera d’influenza rientrano Creta e il Peloponneso. Nessun altro celebra, all’infuori del sommo sacerdote dell’Ida/Labirinto Phaniawris che inizia ad agire quando uccide il toro Min. Sul sarcofago di Amenofi III rinvenuto ad Aghia Triada una hierodula viene sostituita a Nefertiti nell’azione di innaffiare la quercia siria (la versione locale del sicomoro della dea madre egizia) ma ciò si spiega col fatto che Nefertiti non poteva essere rappresentata ovunque, manco fosse una dea. Una sola volta sul lato frontale e una sola volta sul retro del sarcofago, non di più.

 

 

La celebrante  Megara/Nefertiti è la grande sposa reale del faraone Amenofi IV che magari  l’ha accompagnata a Creta. Costui è il  figlio e successore, da pochissimo, del faraone divinizzato come Sole, Amenofi III, che si fa chiamare “l’Aton splendente” (“Nebmaetra l’Aton splendente”), che appunto si identificò in vita, come vedremo, col Sole Aton figlio della vergine Mutemuya prima che appunto suo figlio Akhenaton lo venerasse come tale. E appunto il Disco di Festo, di argilla cotta in modo da assumere una doratura, riporta le cerimonie della sua deificazione come Disco Solare. I Greci  identficarono Amenofi III con Memnone figlio di  Eos l’Aurora i cui Colossi stanno ancora in piedi nel suo tempio funerario di Kom el-Hetan, e infatti ai lati dei piedi dei Colossi stanno raffigurate, in piedi, la madre Mutemuya e la moglie Tiye. Poiché qui si tratta della sua divinizzazione come Sole, era appunto associato alla madre nutrice che all’Aurora in quanto Aurora/Eos, lo allattava dai due sicomori prima che lui sorgesse. Però è facile che anche  Tiye sia stata identificata con Thia – che si dovrebbe identificare con  Aurora figlia di Eos – così divenendo madre del Sole Akhenaton.  Sorge spontanea la domanda perché non sia  Amenofi IV a celebrare la divinizzazione di suo padre. La risposta è che egli non si trova nelle condizioni ideali per farlo. Prima di tutto qualcuno (forse lo stesso Amenofi III per testamento, forse la casa rele dominata dalle donne mitanniche) ha deciso di commemorare nella stessa cerimonia anche il defunto cugino visir scomparso nel 31° anno di regno di Amenofi III e cioè circa nel 1356. E Amenofi IV non ha alcun titolo per rappresentare il ramo mitannico della famiglia, mentre Nefertiti è figlia di Ay (fratello di Tiye, moglie di Amenofi III) e nipote di Yuya/Minosse e contemporaneamente moglie di Amenofi IV e nuora di Amenofi III nonché nipote di Tiye. Da Tuthmosi IV che sposò Mutemuya figlia (con Cadmo) di Artatama I re di Mitanni, fino alla fine della XVIII dinastia sono le donne indo-arie di origine mitannica a dominare incontrastate sulla casa faraonica. Su queste case regnanti domina un’aristocrazia indo-aria. Radamanto re di Festo è nipote di Cadmo re di Tebe mitannica, e nell’Apoteosi di Radamanto realizzata nello scriptorium del palazzo di Festo emergono nomi di origine indo-aria: ϝídris (veda) e Tarágna, la dea Nave dei Campi Elisi. Inoltre entra in gioco il cerimoniale matriarcale che richiede l’ufficio di una  somma sacerdotessa impersonante la Madre Vacca Celeste.

 

Vari titoli di Minosse/Yuya ricavati da documenti ignorati dai più.

Ho detto che alla periferia dell’impero Yuya viene ricordato come più potente di Amenofi III suo “fratello” e aggiungo che la quantità e qualità dei titoli di Yuya (e, non dimentichiamolo, di sua moglie Tuya) gli danno un peso quasi superiore a quello nominale di Amenofi III perfino in Egitto. Tuttavia non è ammissibile che celebrando l’apoteosi del faraone, e pur mettendo in conto l’affetto che lo legava al suo cugino visir, ci si sia potuti riferire a Minosse come a colui che a suo tempo è stato “re di un vasto impero”, sia pure come visir (e usando bagós anziché wάnax). Dunque devo abbandonare questa interpretazione e ritornare su un’altra già sostenuta un tempo. Minosse figlio di Eidomene è ricordato    dunque come Thērάkros bagòs “re su Thera” o “grande re di Thera”. La  casa faraonica  ha dominato sull’isola attraverso un governatore alle dipendenze di Yuya prima e ora di Ay suo figlio che ne ha ereditato la carica di visir e alcuni dei titoli. Naturalmente, se ho ragione, come avevo già compreso, Akrotiri  sta ancora bella piazzata al centro del suo impero mercantile delle Cicladi. La distruzione verrà tra breve entro il regno di Akhenaton ex Amenofi IV (il faraone considerato col senno di poi uno jettatore) che per ora (se non s’è gia messo di lena a trovare una soluzione al guaio che gli ha creato suo padre col culto yahweista di Aton) si trova a Creta con la  sua bellissima moglie Nefertiti,  Megara dell’Apoteosi e del Sarcofago.

In area palestinese ai confini col Delta si diffonde al tempo degli Hyksos elohisti una civiltà che ha caratteristiche minoico-siriane omogenee. Gli Hyksos non vennero mai cacciati del tutto e il  filone hurrito-mitannico che si cela sotto di loro finì col prevalere con la XVIII dinastia. In una lunga iscrizione da lei fatta collocare sulla facciata di un tempietto chiamato dai Greci “Speos Artemidos”, nel Sinai, Hatsheposowe scrive: « Gli Asiatici erano ad Avari nel Paese Settentrionale, e le loro orde vagavano in mezzo ad essi distruggendo ciò ch’era stato fatto, ed essi regnavano senza dio; ed egli [il loro capo] agì senza comando divino fino al tempo della Mia Maestà. » Per Gardiner si tratta di un vanto esagerato che rende scarsa giustizia ai meriti dei predecessori (p. 172). Le spedizioni militari in Siria di Tuthmosis III sono la conferma che gli Hyksos o meglio i signori della guerra yahweisti mitannici non erano stati cacciati del tutto. Alcuni  rimasero in zona al servizio dei faraoni della XVIII dinastia per mantenere l’ordine sulle popolazioni locali straniere a guida indo-aria, ormai, sempre più spesso parlanti greco, lo stesso greco filisteo-pelasgico che si parlava a Hebron, a Avaris, a Festo, a Tebe beota. E fra questi principi era  il nostro Yuya/Minosse, il maryannu carrista di origini indo-arie mitanniche e consequenzialmente yahweista, che i Greci consideravano greco.

Dal tempio funerario di Amenofi III a Soleb in Nubia sappiamo che «la terra dei nomadi di Yahwa», dalla parte di Edom, era considerata come sottomessa all’impero egizio fin dall’inizio del XIV secolo (Faure, La vita quotidiana a Creta ai tempi di Minosse (1500 a. C.), p. 130). Per come la vedo io adesso questi non sono degli anticipatori del movimento dei popoli del mare fra cui i yahweisti Danai/Achei, bensì dei nomadi in qualche modo da ricollegare al mitannico Yu-Ya e al suo dio a capo delle tribù di beduini di Edom/Seir/Midian. Dei nomadi yahweisti che rimasero ai confini dell’Egitto e  non emigrarono come Danao o vi si stabilirono in seguito. Analogamente va inteso il riferimento biblico ai Madianiti yahweisti di Ietro suocero di Mosè stabiliti in Sehir/Edom  (Giud 5,4; il fatto che l’Esodo dall’Egitto passa per il Sinai comporta la localizzazione dei Madianiti nel Sinai, ovviamente, ma poiché l’Esodo di Mosè dall’Egitto alla Palestina non c’è stato, si tratta di nomadi stanziati presso Edom, e tutti costoro ovviamente seguivano il culto yahweistico per via mitannica, il movimento dei popoli del mare verso la Palestina essendo successivo, dalla Grecia e dalla Tracia nel XIII-XII secolo.

Da tempo desideravo esaminare qualche iscrizione che riportasse il nome di Yuya e finalmente cercando per l’ennesima volta su internet ci sono riuscito. Esaminiamo prima di tutto l’iscrizione  (normalizzata da sinistra a destra in  geroglifici tipografici moderni) che appare su una piccola ceramica, all’interno dei raggi triangolari di un sole [il sole mitannico, evidentemente].  H.R. Hall la  legge “La moglie del re Tuyu, il principe del re Yuia, principe di Zahi” (H.R. Hall, `Yuia, the Syrian' su PSBA, Jan/Dec 1913, p. 63-65).  Stando alla mia fonte su internet, da cui ho tratto l’iscrizione e le informazioni relative, questo titolo di Yuya non compare da nessun’altra parte.

Non so dove sia stata reperita questa iscrizione (se in ambito egizio o di un territorio di confine orientale, cosa che ritengo più probabile) e soprattutto se sia stata trascritta correttamente. Certamente non è di fonte faraonica perché equivoca (come vedremo)  fra Tiye, che è la moglie del faraone Amenofi III, e Tuya, che invece è la moglie di Yuya, e dunque fa passare per moglie del faraone Tuya. Hall ha tradotto correttamente un’iscrizione scorretta che avrebbe potuto scrivere un non parlante egizio che però sapeva grosso modo solo individuare (ovviamente sugli scarabei del “matrimonio”) il testo che si riferiva a Yuya e sua moglie. Non condivido invece la traduzione dell’ultima parte dell’iscrizione: “principe di Zahi”, che traduce gli ultimi quattro segni. Non la condivido, e ho le mie ragioni, ma non avendo i dizionari in più volumi che gli accademici lasciano ad impolverarsi sugli scaffali non sono in grado di spendere la mia autorevolezza come invece faccio sempre. Poiché non ho trovato nessun riscontro (tra grammatica di Gardiner e dizionario di Faulkner) non ritengo di aggiungere altro. Ma è evidente che sia la figurina del principe siriano col bastone pastorale sia quel che viene dopo, che mi indurrebbe perfino a vedervi una trascrizione estremamente minimalista di Naharina/Mitanni (se non fosse per il segno   Aa 21 della lista dei segni di Gardiner, usato  nel Medio Regno da solo o accompagnato dalla figurina del dio per indicare Seth/Suthek; che però non appare nelle attestazioni di Naharina), e  il segno che indica paese collinare straniero, gridano anche solo genericamente: `Yuia, the Syrian'!

Magari qualcuno che possiede  vocabolari adeguati saprà ritrovare attestata questa località e farci sapere.

E’ lecito  ignorare una simile iscrizione senza darne conto? No!  Il che vuol dire che se non se ne stanno in poltrona a leggere il giornale dello sport sono però attenti ad insabbiare lavori (questo di H.R. Hall è del 1913!) che evochino un legame anche solo teorico fra Yuduya e l’Antico Testamento. Saranno mica antisemiti?  O antisemiti o ignoranti. Opto per ignoranti. Oppure hanno cose ben più importanti da fare come studiare il classico stuzzicadenti trovato nella mascella di un cranio di Cro-Magnon.

Leggo da un sito autorevole su internet che Tuya aveva vaste proprietà nel Delta.

 

Il vero nome, esteso, di Minosse,  Yuduya  cn n۱   (?), quello  usuale Yuduya e quello censurato: Yuya.

Analizziamo ora gli altri documenti di cui  (ricercando su internet) sono venuto in possesso e che riportano il nome del cosiddetto da tutti Yuya. Si tratta degli scarabei cosiddetti del “matrimonio” che presentano i nomi dei genitori di Tiye  sposa  di Amenofi III.

 

A fianco di questa riproduzione del testo di uno scarabeo  “del matrimonio” (ne sono stati trovati diversi esemplari a quanto risulta non graficamente uniformi ma comunque con lo stesso testo) c’è la trascrizione fonetica egizia, che aiuta a bene identificare i segni e la loro lettura. Lasciando da parte il solito titolario del faraone, dal 5° registro a partire dall’alto fino alla fine leggiamo: “(5°) La grande sposa reale Tiye… Il nome di suo padre è (6°) Yuya (seguito da una figurina che lo riproduce come nobile con nella destra un flagello, A52 della lista dei segni di Gardiner), il nome di sua madre è Tju(7°)ya. Essa è la moglie di un re vittorioso (8°) il cui confine meridionale è a Karoy (9°) [due segni che non si devono leggere e che appartengono a Karoy] e il settentrionale a Naharina (cioè Mitanni).

 

Citare Naharina come confine settentrionale dell’Egitto di Amenofi III potrebbe significare appunto il suo legame con Yuya mitannico di stirpe regale mitannica attraverso cui (fra l’altro) può vantare l’amicizia di questo stato. Altrimenti si tratterebbe di un vanto privo di consistenza.

Si noti che “Essa è la moglie di un re vittorioso… ” si riferisce ovviamente a Tiye. Se non che uno che legga distrattamente (o che sia straniero e copiasse l’iscrizione così com’è senza capirci che molto vagamente) potrebbe intendere che è Tjuya, cioè Tuya, la moglie del faraone. Ciò che è capitato all’autore dell’iscrizione riportata sopra e che sarà verisimilmente un proto-ebreo, un siriano, che ha interesse a presentare Yuya come un grande personaggio legato ai principi che stazionano fra Delta orientale e bassa Siria.

Scarabeo con lo stesso testo e stessa figurina di dignitario alla fine del nome Yuya (6° registro).

Scarabeo con lo stesso testo e stessa figurina di dignitario alla fine del nome Yuya. Si può osservare che la figurina è  più stilizzata (6° registro).

 

Scarabeo con lo stesso testo  e stessa figurina di dignitario alla fine del nome Yuya. Si può osservare che la figurina è estremamente stilizzata, tanto da non apparire quasi più come l’originale bensì quasi trasformata in un gruppo di quattro segni distinti (6° registro).

 

Questo scarabeo ha un contenuto in più perché è stato emesso per commemorare la realizzazione di un grande lago artificiale per lo svago della regina Tiye. Dalla fine del 6° registro si legge: “Sua maestà ordinò la realizzazione di un lago per la grande sposa reale Tiye… nella sua città Djarukha (*). La sua lunghezza è 3700 (cubiti) e la sua larghezza è 700 (cubiti). (Sua maestà) celebrò la manifestazione dell’inaugurazione del lago nel terzo mese dell’inondazione, giorno 16. Sua maestà fu trasportato nella barca reale Aten-nefru su di esso. ” (*) Presso Akhmim.

Per quel che ci interessa qui noteremo che la figurina di dignitario dopo il nome Yuduya è veramente divenuta un gruppo di 4 segni distinti (ognuno dei quali è riconducibile ad un distinto segno della lista dei segni di Gardiner ed esattamente: gambette che camminano all’indietro, due n sovrapposte e  bastone pastorale ad angolo, che indica popolo straniero). E inoltre la resa fonetica del nome non è più  Yuya, ma Yuduya.

Quella che dovrebbe essere una seconda y è in realtà, stando a quel che vedo, il segno wḏ (V 24 della lista dei segni di Gardiner; all’epoca di cui ci occupiamo si legge wd e così lo trascriverò d’ora in poi). Questo scarabeo io l’ho visto per la prima volta pochi giorni fa. E’ stato il primo oggetto col nome di “Yuya” in cui mi sono imbattuto e dunque vi potete immaginare il mio imbarazzo quando ho cercato e non sono riuscito a trovare il nome “Yuya”. Quando mi ci sono raccapezzato ho letto (ipoteticamente, perché io i dizionari ricchi di attestazioni non li ho): Y-wd-w-y-a  cn n۱    dove l’ultimo segno vuole rappresentare il bastone piegato ad angolo che indica in genere i popoli stranieri. Sulla base di questa trascrizione egizia (non mia) del nome di Yuya ho fatto le mie ricerche giungendo all’ipotesi, e sottolineo ipotesi, che si tratti di un nome completo del tipo: “Ya(hweh) è la guida delle tribù beduine”, nome poi abbreviato in: “Yahweh è la guida”, Yuduya, e infine reso irriconoscibile in Yuya (dove però si deve intendere Yu-Ya). Solo successivamente, cercando di approfondire, ho acquisito gli altri scarabei che mi hanno fatto riconoscere la “possibilità” di una successiva corruzione del nome. Però, datosi che qui per la prima volta troviamo non solo una resa del dignitario totalmente diversa, con quattro segni distinguibili come segni autonomi della lista di Gardiner,  ma anche Yuya reso chiaramente con cinque segni di cui il secondo non è y bensì ud, mi chiedo  come sia possibile che una classe  scribale nell’arco del regno di Amenofi III potesse stilizzare a piacere fino a dar luogo a qualcosa di completamente diverso, tanto da apparire  Y-wd-w-y-a  cn n۱  o sim.   invece di Yuya seguito dall’ideogramma del dignitario (che non si legge). E poiché evidentemente la risposta è no, non è possibile, faccio l’ipotesi inversa e suppongo che  un nome straniero, teoforico di una divinità come Yahweh, poco accetta in quanto appartenente a popoli  nomadi e creatori di disordini e disturbo per l’Egitto, non era l’ideale per fare pubblicità al matrimonio del secolo.  Dunque per ordine del faraone gli scribi avrebbero ritoccato il nome beduino  proto-ebraico e yahweista dell’indo-ario mitannico Minosse riducendolo ai minimi termini vocalici ormai non più riconducibili all’etimologia originaria (sostituendo ud con una y) e trasformando/eliminando il gruppo finale di 4 segni,  mascherandolo dietro alla figurina di dignitario col flagello (che abbiamo visto è perfettamente compatibile). La mia ipotesi (che faccio in base alla mia documentazione attuale) è che a matrimonio fatto e Yuduya (nonostante  il suo credo yahweista  e soprattutto nonostante il suo nome fra terrorista ed anarchico) essendo noto e più che bene accetto per il suo operato dalla popolazione, qua e là ci si sia lasciati andare a restituire il suo nome completo ed originario (magari in aree di confine abitate da nomadi proto-ebrei), che sarebbe appunto  Y-wd-w-y-a  cn n۱     o qualcosa del genere, perché non avendo a disposizione i dizionari voluminosi di cui dispongono università e istituti di ricerca  non posso essere più preciso. Diciamo che la mia è un’ipotesi che faccio più a naso che altro. Non potendo esprimere un giudizio autorevole per mancanza di strumenti a disposizione lascio dunque la cosa nel vago e non mi dilungo nella dimostrazione del come e perché giungo alle mie conclusioni, proprio perché potrebbero essere fallaci. Di una cosa comunque sono abbastanza certo, che il nome abbreviato sia Yudu-Ya (“Yahweh è (la) guida”, più letteralmente il giudice, con implicazione non tanto di giudice che regola la conflittualità fra privati – il che potrebbe comunque essere stato all’origine della collocazione di Minosse nell’ldilà come giudice dei morti –  quanto di magistrato civile-militare insito nell’originario vocabolo ebraico  shophêt, il  suffeta fenicio-punico, il pretore romano), Yuduya.

Yuduya, se davvero di “Yahweh è la guida (delle tribù del deserto o sim.)” si tratta, mi suggerisce la corrispondenza anche con  Yehoshuah/Giosuè. Yeho starebbe a Ya come shuah starebbe a yudu. Si noti che shuah significa, in ebraico biblico: grido, invocazione (e non ci azzecca, perché Yahweh non invoca nessuno), mentre shoah (che varia solo per il puntino diacritico sopra invece che a fianco della w) significa gentiluomo (Is 32,5; associato a nadib, nobile, su cui vedi anche Gb 12,21), ricco (Gb 34,19; associato a sarim: capi, notabili, funzionari, ministri, potenti). Suggerisco dunque che  Yeho-shoah sia calco semantico ebraico dell’egizio Yudu-Ya  “Yahweh suffeta (su/i… )” Come Yuduya, per gli egizi Yuya (per i greci Minosse), anche Yehoshuah/Giosuè fu un signore della guerra maryannu e possibile visir sotto Amenofi III. Ma se appena appena tentiamo di utilizzare l’Antico Testamento come appoggio alla ricostruzione storica rimaniamo come al solito delusi. Yuduya non morì infatti in Palestina (almeno non ci risulta che la sua mummia riporti ferite mortali che avrebbe potuto ricevere in combattimento), e comunque fu sepolto nella Valle dei Re. Del resto sappiamo bene che sotto Amenofi III (Yuduya suo visir gli premorì) non si registrano guerre, salvo un intervento in Nubia per sedare una rivolta (Gardiner).

L’Antico Testamento  attribuisce a Yehoshuah guerre in Siria certo avvenute sotto i Tuthmosi e gli  Amenofi. Ma furono guerre di conquista egiziane (si badi bene, logicamente avvenute per via interna, mentre è evidente che il movimento del popoli del mare, il vero… Esodo di “Mosé” venuto da Grecia e Tracia, colpisce la costa a nord, dalla piana di Israel nel XIII-XII secolo, come ho detto su Taifeng) e non un’immigrazione dall’Egitto dei proto-ebrei. Mosè non è  mai esistito e non guidò mai l’Esodo dall’Egitto dei proto-ebrei, e nemmeno Giosuè (personaggio storico) lo sostituì nell’impresa di conquistare la Terra Promessa, perché pur essendo in qualche modo definibile come proto-giudeo egli è ancora perfettamente inserito nella società egiziana,  onorato e sepolto insieme ai faraoni d’Egitto. Ahmed Osman ha identificato Yuya con Giuseppe.  Giuseppe  vive almeno apparentemente in un contesto più antico, di età Hyksos, fra Abraham/Khayan e Giosuè/Yuduya e inoltre non appare come signore della guerra, bensì come oculato amministratore, che salva l’Egitto dalla carestia ed accumula al Tesoro della doppia Corona un vasto patrimonio immobiliare. Diciamo subito che non c’è traccia di carestie per l’Egitto in questo periodo. Gli unici popoli che soffrivano regolarmente di carestie erano i nomadi di Edom che appunto venivano ospitati caritatevolmente dal faraone in Gosen. Giuseppe, in quanto proto-ebreo, ebbe dunque  l’incarico di foraggiare questi nomadi e il loro bestiame ed appunto il nome egizio che ricevette  non era un nome personale ma un titolo di funzionario:  Zaphnat-Pahneakh. A cercare nel vocabolario egizio verrebbe fuori qualcosa come “gli afflitti dalla vita” che comunque ci mette sulla strada giusta nel senso che questi nomadi si affacciavano in Egitto tutte le volte che c’era una carestia ed a sollevare la loro situazione serviva appunto uno come Giuseppe. Supponendo una storpiatura ebraica del titolo si potrebbe proporre qualcosa come Shophêt-pw n-ankh, “provveditore  per gli la vita (dunque il sostentamento, gli alimenti)” (a favore dei beduini Shosu di Edom che vengono ospitati agli stagni di Pi-Tum che sono nel Tjeku onde mantenerli in vita insieme al loro bestiame, come apprendiamo da un episodio registrato l’anno 3 di Merenptah). Ora,  è probabile che Giuseppe (Yoseph nome pronunciato; magari scritto sarebbe stato Seph-Ya, come Yudu-Ya) avesse un nome proprio affine a quello di Giosuè “Yahweh (è) suffeta, procuratore, pretore, provveditore, e sim.”,  per cui non è detto che non si tratti della medesima persona di Giosuè/Yuduya, che non si curò certo di ricordare fra i suoi altisonanti titoli quello veramente piccolo piccolo di cui invece si fa grande Giuseppe. A mediare fra i due, Giosuè/Minosse e Giuseppe/Melampode  ci sarebbe la corrispondenza  da me da tempo individuata fra Melampode e Giuseppe (entrambi possiedono capacità profetiche) da una parte e Biante/Giacobbe dall’altra. E Melampode è anche Minosse. Dunque l’avere da parte mia identificato Yuduya anche con Giosuè non esclude che questo personaggio sia servito a costruire anche il personaggio di Giuseppe sdoppiandolo dal primo e collocandolo in epoca anteriore, come del resto Biante e Giacobbe sono stati  sdoppiati verisimilmente da Amenofi III. Insomma Giuseppe sarebbe un falso storico mentre Giosuè no.

Il culto monoteistico di Yahweh è solo un fatto gerosolimitano del Secondo Tempio creazione manu militari degli Achemenidi. Come hanno fatto propri Saul e David signori della guerra che però ad un certo punto, sconfitti i popoli del mare, cercarono di e riuscirono a crearsi dei propri feudi combattendo contro i Filistei, ma non adottando mai il culto di Yahweh, nemmeno come divinità minore, così i  sacerdoti del Secondo Tempio  videro in Abraham/Kahyan, in Giosuè/Yuduya, e in tanti altri, con un pizzico di verosimiglianza ora più ora meno, degli anticipatori sia dello stato  ebraico, sia del culto di Yahweh. Non è che siano stati necessariamente degli imbroglioni, e se lo sono stati lo sono stati come tutti gli storici nazionalisti di ogni tempo e paese. Anche la storiografia italiana ha degli esempi analoghi. Pertanto è chiaro che non si può pretendere seriamente di ricostruire la Storia con le storie manipolate  dalla Bibbia yahweista, bensì, al contrario, si deve ricostruire la Storia coi fatti reali e concreti, archelogici ed epigrafici soprattutto, e poi cercare di vedere, e lo si può fare come ho dimostrato, quali fatti storici si nascondano dietro ai racconti biblici, perché non si può inventare dal nulla, ma  solo travisando la realtà. E’ compito dello storico con la S maiuscola fare questo lavoro, che non è poi tanto difficile se lo si sa fare. E’ solo questione di tempo e sarà fatta tutta la luce possibile sugli antefatti, che sono ariani, dello stato e del popolo di Israele, e ciò a dispetto dei depistaggi e degli insabbiamenti degli sciocchi e incompetenti di tutti i tempi e nazionalità.

Se Yuduya fu Minosse, come credo, ebbe invece le sue gatte da pelare nell’Egeo, dove una coalizione di Danai/Achei aveva certo già occupato gran parte della Grecia e Creta settentrionale e minacciava la rocca di Tebe beota in mano mitannica. Dunque i matrimoni mitannico-egizi servivano a saldare l’alleanza militare per fronteggiare i Greci a ovest e gli Ittiti a est.

 

Il fronte danao-acheo e quello egizio-mitannico alla vigilia dei Sette contro Tebe (1320 ca.).*

Dalle iscrizioni del tempio funerario tebano di Kom el-Hetan (quello dei Colossi di Memnone)  di questo faraone risulta che, ancora sotto il suo regno, Kissamos, Cnosso, il suo porto di Amniso,  e Lyktos erano tributari dell’Egitto. Poiché questi centri palatini sono tutti sul versante nord dell’isola ne deduco che i Danai/Achei  dominavano il nord dell’isola. Se dunque Amenofi II (sic!) non menziona le località centrali e meridionali di Creta è perché queste ovviamente erano sotto il suo diretto controllo, tramite i Filistei, e non c’era bisogno di sottolinearlo. E’ evidente che al tempo dei funerali di Amenofi III/Radamanto Phaistos (Radamanto secondo la tradizione greca è re di Phaistos) è sotto il diretto controllo degli Egizi, come anche il Labirinto/Antro dell’Ida al centro dell’isola, dove avviene l’Apoteosi del defunto re. E anche Tebe beota a questa data era sotto controllo mitannico (regnandovi il successore mitannico di Cadmo zio di Radamanto, e cioè un Creonte che sarà stato prima il visir Minosse e ora suo figlio Deucalione/Ay), motivo per cui mi sento di escludere che Tebe beota sia menzionata nella detta lista contrariamente a quanto qualcuno suggerisce  così leggendo il nome e) Tegai/Tegea (vedi sotto nella didascalia alla foto dell’iscrizione risalente ad Amenofi II), che si  trova fra Micene e Messene, e risulterebbe invece fuori strada se si trattasse di Tebe. Amenofi II  aveva come tributari esterni al suo impero i Danai/Achei del nord di Creta (Kissamos, Cnossos, Amnissos e Lyktos) e della Grecia (Micene, Tegai, Messene, Nauplio e Cithera) e ancora delle località siriane di cui la prima potrebbe incorporare il nome Ammon, seguita da Bet Shea’n e infine Kitium di Cipro. L’itinerario partirebbe dunque dalla Siria per passare al Peloponneso e infine alla costa settentrionale di Creta.

                                          

      

Mappa di Tebe. Da Luxor, in basso a destra (a Tebe est, la città dei vivi),  attraversando il Nilo, si arriva al tempio funerario di Amenofi III a Kom el Hetan (Tebe ovest, la città dei morti), e non ci si può sbagliare ad identificarlo perché è preannunciato dai due Colossi di Memnone (vedi foto aerea).

 

A sinistra la pianta parziale del tempio di Amenofi III a Kom el-Hetan. La croce rossa indica la corte solare intorno alla quale fra le colonne e le basi di statua di Amenofi III in forma di Osiride va ricercata una delle cinque basi di statua, la  EN, foto a destra,  contenente il gruppo di iscrizioni che ci interessano e cioè una lista di luoghi dell’Egeo che in qualche modo erano considerati tributari di Amenofi II, e ancora, evidentemente, sotto quello di Amenofi III). L’unica descrizione di questo documento degna di uno studioso l’ho trovata in un lavoro di Shelley Wachsmann su internet.  La foto l’avevo tratta da altro lavoro sempre su internet. Non posseggo la foto adeguatamente leggibile né i disegni dei nomi nei cartigli (eccetto per quanto riguarda Cnossos, Amnissos e Lyktos, di cui posso certificare la corretta identificazione). Tuttavia vi sono due nomi la cui identificazione fornita dalla Wachsmann, o dalla sua fonte, non mi convince (perché Phaistos è sulla costa sud di Creta, mentre è di tutta evidenza che la località Bjs.j(?) è collocata fra Amnissos e Cidonia che sono sul versante nord; e perché Ilio/Troia o, secondo altri lavori, Elide, sono il primo troppo, la seconda meno ma comunque fuori rotta nell’itinerario fra l’isola di Cithera e Cnosso, dovendo dunque collocarsi sempre sulla costa nord-ovest di Creta) e per essi ricorro alla trascrizione che trovo sul lavoro citato di P. Faure, che non fornisce l’elenco di tutte le località né una descrizione dettagliata del documento. Il lato frontale della base – vedi foto sopra –  riporta il nome di Amenofi II (Akheprura Amenhotep), pertanto l’iscrizione e la statua data al tempo di e appartiene a questo faraone. Certo, Amenofi III, appropriandosi di questa statua conferma in qualche modo che al suo tempo la situazione era sostanzialmente la stessa. Sotto i cartigli di Amenofi II sono raffigurati due siro-cananeni prigionieri. Alla destra di costoro sono registrati i nomi di Keftiu/Creta e Tinay/Danai in corrispondenza di due pèrsonaggi ben visibili che ne rappresentano le etnie. Alla sinistra, leggendo appunto all’egiziana da destra a sinistra, e continuando lungo l’angolo superiore e giù per il lato sinistro della base, sono registrati nell’ordine dieci differenti località: a) Amnissos, b) Bjs.j(?), c) Cidonia, d) Micene, e) Tegai, f) Messene, g) Nauplia, h) Cithera, i) Wirj (= Welaia = Capo Trakhilas, Kissamos), j) Knossos, di nuovo k) Amnissos, e l) Lyktos.  Ho però il sospetto che anche così la lettura delle località non sia stata corretta. Suggestionati dall’identificazione improbabile per non dire impossibile di Bjs.j(?) con Phaistos, anche la prima menzione di Amnissos è sospetta e del resto appare dubbio che sia stata ripetuta due volte la stessa località di Amnissos. La lista secondo me potrebbe iniziare con le località del Peloponneso (e ad esempio al posto del primo Amnissos ci potrebbe essere Amykle, che pare sia stata suggerita un tempo, ma poi occorre una lettura diversa da Cidonia, che si trova a Creta, mentre qui siamo ancora nel Peloponneso, poiché segue Micene), o, meglio, potrebbe iniziare dalla Siria con una prima località da identificare (probabilmente a sud-est, magari composta col teoforico Ammon), seguita da Bet Shea’n/Bejshatija (confusa con Phaistos), Citium/Kutunaja, cioè Cipro (e non Cidonia), da cui si passa al Peloponneso (da Micene a Cithera), per finire con le quattro località a nord di Creta. E questa mi parrebbe la soluzione migliore che però non posso confermare non avendo a disposizione i dati di prima mano. Ricapitoliamo dunque la mia ipotesi: a) ? (comunque in Siria), b) Bet Shea’n, c) Citium, d) Micene, e) Tegai, f) Messene, g) Nauplia, h) Cithera, i) Wirj (= Welaia = Capo Trakhilas, Kissamos), j) Knossos,  k) Amnissos, e l) Lyktos.  Ovviamente a Bet Shea’n dovrebbe esservi una comunità di Danai momentaneamente (?) sostituitisi ai Filistei.

 

Sospetto che Dedalo vada identificato con l’omonimo di Amenofi III, Amenhotep figlio di Hapu, nato nel Delta nel 1430 ca., il più riverito dei funzionari di Amenofi III, deificato dopo la sua morte e onorato dal faraone con un grandioso tempio funerario immediatamente a occidente del suo. Il più grande architetto del faraone più grande costruttore.

 

Dedalo/Amenofi figlio di Hapu, architetto del Labirinto/tempio funerario a Kom el-Hetan di Radamanto/Amenofi III il cui visir era Minosse/Yuduya. Come ho potuto ricostruire grazie alla decifrazione del Disco di Festo il vero Labirinto cretese è l’Antro dell’Ida. Successivamente, durante il dominio dei Danai/Achei su Cnosso la tradizione diede questo nome  al tempio funerario di Amenofi III e creò la figura di Dedalo sulla base di Amenofi figlio di Hapu. Successivamente ancora diede il nome di Labirinto al palazzo di Cnosso attribuendone la costruzione a Dedalo (facendone un ateniese), ed è in questo Labirinto che la tradizione successiva collocò generalmente l’uccisione del Minotauro da parte di Teseo.

 

Fu lui, il capo degli  architetti reali, a progettare ed erigere il tempio funerario di Amenofi III a Kom el-Hetan a Tebe Ovest. Si tratta del più grande tempio in  tutto l’Egitto (700 x 500 metri) ma andò disfacendosi rapidamente entro il regno di Merenptah che lo usò come cava di pietra per il suo tempio, mentre alcune  statue colossali sarebbero state  portate nel  Ramesseum. La ragione è che fu concepito in modo che le piene del Nilo ne inondassero i cortili esterni, i corridoi, i vestiboli, lasciando all’asciutto il santuario all’interno costruito su un’area di terreno rialzato. Quando le acque si ritiravano il tempio simboleggiava così l’emergere del mondo dalle acque primeve della creazione. Il guaio è che quel “genio” di Dedalo/Amenofi figlio di Hapu non realizzò il tempio su solide fondazioni ma per lo più sulla piana fluviale,  ciò che non si conciliava né col peso eccessivo dei piloni di granito e colonne, né col fatto che la maggior parte del tempio era costruito in mattoni di fango. Su una stele rimessa in  piedi al limite occidentale del tempio Amenofi III descrive il complesso templare costruito nei suoi ultimi dieci anni di regno e dedicato a suo padre Amon e con le pareti di granito bianco decorate in oro, i pavimenti in argento, gli ingressi in elettro.

 

La rivoluzione atoniana/yahweista l’ha iniziata Amenofi III, il dio Sole divinizzato da vivo e da morto come Disco solare (anche a Creta come Disco dorato di Festo su cui si riporta la sua divinizzazione). Amenofi IV/Akhenaton l’ha  ereditata e, volendo rispettare il legato paterno, ha tuttavia cercato di ammorbidirla ricorrendo al monoteismo islamico di Eloah/Allah eliopolitano.

Megara la conosciamo come moglie di Eracle. Solo  Amenofi III fu  Eracle (ma  poiché Amenofi IV è lo stesso nome del primo, avrebbe potuto essere confuso con Eracle anche lui). Solo ad  Eracle e ad Amenofi III  la tradizione e il Disco di Festo attribuiscono l’apoteosi. Megara/Nefertiti fu moglie della variante meno erculea possibile di Eracle. Nel grande tempio « costruito da Amenophis a Luxor… sono rappresentate in rilievo le scene che attribuiscono una nascita divina al monarca… la madre di Amenophis, Matemuia, vi è raffigurata quale consorte del dio Amun che, si dice, « assunse l’aspetto del marito di lei, il re Menkheprure », prenome, questo, di Tuthmosis IV. » (Gardiner, p. 187) e noi sappiamo che analogamente Zeus, assunto l’aspetto di Amfitrione, ingravidò Alcmena tebana che generò Eracle. L’apoteosi di Amenofi III è affermata lui vivo. E’ Amenofi III il rivoluzionario creatore dell’Atonismo. Akhenaton non fu che l’eroico esecutore testamentario del legato paterno. Allora devo qui rispondere a diversi interrogativi che mi hanno affollato la mente e che mi sono costati un bel po’ di ragionamento. Il ragionamento è tutto. Innanzitutto era evidente che dietro l’Atonismo che si affaccia appunto sotto Amenofi III ci dovesse essere in qualche modo Yuduya il potente visir. E tuttavia nulla potrebbe contrapporsi di pù che il yahweismo guerriero di Yuduya e l’elohismo pacifista di Amenofi IV/Akhenaton. Dunque non era possibile che l’introduzione del culto di Dioniso in Grecia da parte di Melampode, pur essendo palesemente contemporanea all’introduzione in Egitto del culto di Aton, fossero la medesima rivoluzione. Eppure tutto sembrava portare in questa direzione. Prima di tutto il Sole dei Mitanni (che sono anche yahweisti fin da Abraham/Khayan) che campeggia sul sigillo reale di Shaushtatar di Mitanni (1440-1410)

e riecheggia sulla ceramica (di cui abbiamo detto) riportante il nome del mitannico Yuduya e sua moglie Tuya/Pasifae, la figlia del Sole di Colchide. Questi ultimi avevano allevato Amenofi III e dunque era facile che costui, tramite sua moglie mitannica Mutemuya e i suoceri mitannici fosse stato indottrinato al culto di Aton poi ereditato dal figlio. Tutto portava a dover ammettere l’inammissibile, la coincidenza fra Atonismo di Akhenaton e Dioniso/Yahweh. Che del resto è la buca in cui sono caduti tutti, inesorabilmente. La verità è celata altrove. Qui non si tratta prima di tutto necessariamente di fede assoluta in un dio che viene messo sopra a tutti e con esclusione di tutti gli altri.  Occorre capire che un grande impero come quello creato da Tuthmosis III o da Ciro II il Grande o su cui siede Augusto, ha bisogno di un sovrano che per mandare avanti il carrozzone deve avere il controllo assoluto di tutto, perfino e soprattutto di quella sfera religiosa che ieri come oggi è un potere nel potere e si rivela sempre come un antipotere, un serpente in seno, un pugnale che ti trafigge alle spalle. Un caso chiaro per tutti? Oggi siamo in democrazia e chiunque voglia dettare legge deve prima candidarsi e, se viene democraticamente eletto, poi fa ciò che vuole nei limiti della legge. Cosa capita invece? Che ora il Papa, ora i Vescovi riuniti (riportato ciò che dicono – è questa la cosa più schifosa – dai media che dovrebbero essere democratici e dunque fa ancora più schifo che a farlo sia prima di tutto la televisione di Stato) ci dicono cosa si deve fare o non fare, e lo dicono anche ai parlamentari. Volete, Papa e Vescovi, fare politica? Benssimo, liberissimi, ma prima candidatevi, poi siate eletti, e solo allora fate ciò che volete, nei limiti della legge! No. Loro non hanno bisogno di essere democraticamente eletti per fare ciò che fanno. Sarebbe perdere il potere che hanno o credono di avere o che fanno di tutto per avere con questa tattica omertosa e che per loro si basa sul fatto che dio sta sopra a tutti, e poiché loro sono il partito di dio stanno sopra a tutti, perfino al popolo sovrano. Da sempre ci marciano su questa strada (faccio i nomi di  Samuele, Agostino, Innocenzo III, ma questo virus si annida proprio nella stessa religione assolutistica yahweista, cioè risale ad  Abraham) con la speranza prima o poi di riuscire come in effetti sono riusciti nel tempo a farcela (con quali bei risultati la storia ce lo dice). Loro ritengono che esista un solo dio e un solo popolo e un solo governo, quello dei sacerdoti di dio. Punto e basta! E’ l’antistato dichiarato nella stessa religione, e noi facciamo finta di nulla. E facciamo bene, perché con la repressione non si farebbe altro che aprirgli le porte del successo. I martiri col loro sangue fanno crescere l’impero della Chiesa, e questo ormai lo sappiamo per esperienza e nel tranello non ci caschiamo più. Però, per via democratica, occorrerebbe essere tutti uniti e farglielo capire chiaramente che loro questo potere non ce l’hanno di immischiarsi nella politica senza essere legittimati dal popolo sovrano. Ci sono i furbi partiti confessionali e opportunisti che invece mandano avanti questo ricatto, questa spada di Damocle che impedisce ad una nazione che si dice moderna di lavorare con le mani libere e invece lavora con le mani legate. Quale progresso si può fare dietro continuo ricatto di un antistato illegittimo come la mafia, come le lobbies di vario genere, ma molto più potente e pericoloso? Tanto più pericoloso in quanto dietro la faccia da Agnello si nasconde il Lupo?

Amenofi III s’è reso conto dello strapotere del clero di Amon, uno Stato dentro lo Stato, tanto che alla fine il clero di Amon darà vita ad un regno indipendente del Sud. E s’è reso conto dei nemici esterni all’impero, gli Ittiti, e ha sognato di farsi dio lui stesso (questo è il punto centrale) eliminando (non subito, ma più avanti, con graduali interventi nel tempo) il clero (il suo potere e i suoi introiti) per dare alla doppia casa fraonica una forza sicura contro i nemici interni ed esterni.

Ora, con tutto il rispetto che ho per Gardiner, non la racconta giusta. Egli non evidenzia che Amenofi III si presenta nel tempio costruito  a Luxor come figlio della vergine Mutemuya e di Aton (o Khneph/Khnufis e Hathor come si legge in Massey; non certo di Amon), ciò che è necessariamente obbligatorio dal fatto che il piccolo Amenofi III vi è rappresentato come Aton. Io, lo ripeto fino alla nausea, ma è necessario, non ho un istituto e dunque non possiedo i documenti, le foto o i disegni delle iscrizioni, che sono tutto per chi voglia fare storia. Girando su internet mi sono imbattuto in un sito che mi ha indirizzato a questo lavoro  da cui riporto ciò che qui interessa e che pur con qualche evidente (Amenofi III non è ovviamente della XVII dinastia, bensì della XVIII; questo è uno studioso antico e i suoi lavori da quanto capisco risalgono alla fine degli anni 1880) imprecisione mi pare fededegno:

Da Gerald Massey's Lectures  

The mythical Messiah was always born of a Virgin Mother—a factor unknown in natural phenomena, and one that cannot be historical, one that can only be explained by means of the Mythos, and those conditions of primitive sociology which are mirrored in mythology and preserved in theology. The virgin mother has been represented in Egypt by the maiden Queen, Mut-em-ua, the future mother of Amenhept III, some 16 centuries B.C., who impersonated the eternal virgin that produced the eternal child. Four consecutive scenes reproduced in my book are found portrayed upon the innermost walls of the Holy of Holies in the Temple of Luxor, which was built by Amenhept III, a Pharaoh of the 17th dynasty. The first scene on the left hand shows the God Taht, the Lunar Mercury, the Annunciator of the Gods, in the act of hailing the Virgin Queen, and announcing to her that she is to give birth to the coming Son. In the next scene the God Kneph (in conjunction with Hathor) gives the new life. This is the Holy Ghost or Spirit that causes the Immaculate Conception, Kneph being the spirit by name in Egyptian. The natural effects are made apparent in the virgin’s swelling form. Next the mother is seated on the mid-wife’s stool, and the new-born child is supported in the hands of one of the nurses. The fourth scene is that of the Adoration. Here the child is enthroned, receiving homage from the Gods and gifts from men. Behind the deity Kneph, on the right, three spirits—the Three Magi, or Kings of the Legend, are kneeling and offering presents with their right hand, and life with their left. The child thus announced, incarnated, born, and worshipped, was the Pharaonic representative of the Aten Sun in Egypt, the God Adon of Syria, and Hebrew Adonai; the child-Christ of the Aten Cult; the miraculous conception of the ever-virgin mother, personated by Mut-em-ua, as mother of the “only one,” and representative of the divine mother of the youthful Sun-God.

 

Amenofi III si presenta nel detto tempio di Luxor come dio, come Sole Aton, figlio della vergine Mutemuya, la yahweista mitannica moglie di Tuthmosi IV. Il Gesù Cristo dei cristiani è esattamente costruito su questo modello, sedici secoli dopo. Sulle mura più interne del Santo dei Santi nel tempio di Luxor sono raffigurate le scene dell’Annunciazione (di Thot/Hermes che saluta la Vergine Madre e le annuncia che darà vita al Sole), dell’Immacolata Concezione da parte dello Spirito Santo (Kheph/Khnufis in congiunzione con Hathor) che produce l’ingrossamento della pancia di Mutemuya, la nascita del Figlio, l’Adorazione al Figlio che riceve omaggio da parte degli dèi e doni dagli uomini, fra cui i Re Magi (tre spiriti che si inchinano e offrono regali con la destra e la vita con la sinistra). Il Figlio si presenta dunque come il Sole Aton. Dov’è andato a finire Amon? Evidentemente Gardiner ha in mente rilievi in una stanza sul lato orientale del tempio di Luxor, dedicata a Amon, come leggo da un autorevole sito sull’Egitto:

 

Amenhotep III's birth is splendidly depicted in a series of reliefs inside a room on the east side of the temple of Luxor. Built by Amenhotep III, the room was dedicated to Amun. However, it portrays the creator god, Khnum of Elephantine (at modern Aswan) with his ram head, fashioning the child and his ka on a potter's wheel under the supervision of the goddess Isis. The god Amun is then led to Amenhotep III's mother by Thoth, god of wisdom, after which Amun is shown in the presence of the goddesses Hathor and Mut while they nurse the future king.

 

Insomma, tre versioni differenti (a naso Khnufis mi pare diventato qui Khnum, che forma il piccolo Amenofi e il suo ka sulla ruota da vasaio sotto la supervisione di  Iside) per parlare della medesima serie di rilievi, oppure c’è forse un interesse a nascondere all’attenzione del pubblico una realtà di cui a parlarne si rischierebbe di infastidire la Chiesa Cattolica, cosa di cui (evidentemente da studioso autentico)  Massey non si cura anzi ci va a nozze? 

Le scene di cui parla Gerald Massey dicono tutt’altro (e quel che dice lo accompagna da foto delle scene stesse; purtroppo non allegate al file dal curatore della riedizione).

Gerald Massey si presenta ed è presentato come qualcuno che sa leggere l’egizio, e come egittologo. Ma perfino un imbecille digiuno di geroglifici sa descrivere grosso modo  delle scene a rilievo, e mi pare che se Gardiner e il sito autorevole su interned sorvolano sul reale significato dei rilievi è perché nel grattempo s’è fatta sentire la censura della Chiesa Cattolica in un modo o nell’altro. Forse è per lo stesso motivo che il rieditore dei lavori di Massey non pubblica anche le foto dei rilievi?

 

Se il tempio di Luxor è dedicato ad Amon, qui però Amon non c’entra nulla. Se crea, ed è impossibile,  Aton, crea un’altra divinità incompatibile ed avversaria sua e del clero di Amon. Dunque, il vero rivoluzionario è Amenofi III che adotta il yahweismo mitannico  perché ci crede davvero, perché comunque il monoteismo è nell’aria nel vasto impero o, questo preferisco pensare, perché una religione monoteistica e assoluta, ma di Stato, serve alla doppia casa reale ora, contro lo strapotere del clero di Amon che paralizza gli ingranaggi dell’impero. Ma Amenofi III ha solo gettato furbamente, ingannando lo stesso clero di Amon, le basi della sua rivoluzione. E Yuduya il suo visir questa rivoluzione l’ha già esportata in Grecia, dove invece è possibile operare. E’ infatti Melampode. Ma l’atonismo di Akhenaton (che è quello passato alla storia) non può assolutamente essere confuso col dionisismo/yahweismo/atonismo di Amenofi III. Amenofi III ha commesso un colossale errore affidandosi al monoteismo yahweista ferocemente aggressivo e guerrafondaio che in pratica mette tutto nelle mani della casta sacerdotale e guerriera facendone davvero un composto esplosivo. Il figlio s’è trovato sulle spalle questo fardello e ha dovuto cercare di porre rimedio all’errore paterno. Esaminiamo i nodi centrali. Primo, Akhenaton, come figlio del deificato fin dalla nascita Sole Aton/Amenofi III doveva portarne avanti il culto (e fin qui tutto va bene perché di religione di Stato si tratta), cosa relativamente facile datosi che questo era stato “accettato” dal clero di Amon preso per il naso. Secondo, però, lo svantaggio di avere un monoteismo guerrafondaio era superiore al vantaggio di avere un monoteismo prono (e che oltretutto non sarebbe mai stato prono) alla doppia corona faraonica. Certamente il pacifista Akhenaton non poteva tollerare che l’impero si reggesse sul dio massacratore di popoli soggetti e non dei maryannu carristi mitannici, della casta militare, che comunque avrebbe preso il posto del clero di Amon come Stato nello Stato (non a caso fu il generale Horemhab a riprendere in mano la situazione dopo lo sfascio). Inoltre tutti i sovrani illuminati, come certo fu Akhenaton, rifuggono dalla violenza posta a principio di vita, politica o religiosa che sia.   Akhenaton s’è messo subito  a riflettere su come risolvere il problema mentre Nefertiti sbrigava tutte le incombenze pubbliche. E ha scoperto che c’era stato un altro monoteismo prima di quello yahweista, il monoteismo eliopolitano di Eloah/Allah, però pacifista, e dunque illuminato. Akhenaton dunque rimase nominalmente legato al culto di Aton del padre aderendo all’esigenza di creare una religione di Stato in cui il dio fosse lo stesso faraone, ma trasformò questo culto da originariamente ispirato al yahweismo in elohista/islamico ante litteram, il dio pacifista che prova ribrezzo ai sacrifici animali, figuriamoci quelli umani dei yahweisti, che pur di raggiungere i propri scopi terreni terreni non ci pensano due volte a far scorrere il sangue dei loro “martiri”, volgare carne da macello per far salire il Papa sul trono. Akhenaton  reagì al culto ariano nazifascista ante litteram adottando il dio più antico ed opposto, pacifico e non della guerra,  ideando un Aton privo di caratteristiche concrete, astratto come lo è Allah degli islamici. Niente associazioni a dèi figurati umanamente o in forma animale, niente iscrizioni che lo caratterizzassero in qualche modo se non come pura astrazione. Ed è evidente che Akhenaton s’è ispirato a Eliopoli per la sua religione. Scrive Gardiner: « Quanto la nuova dottrina dipendesse, agli inizi, dall’antico culto di Eliopoli è chiaro… anche dalla citazione del suo «grande obelisco di Karnak»; infatti, l’imponente monolito noto sotto il nome di benben (obelisco)… era una caratteristica di Eliopoli analoga a quella che più tardi fu la pietra nera, detta Ka’ba, alla Mecca. » (p. 200) Il suo errore forse è stato  quello di isolarsi in una nuova città santa a mezza via fra tutte, illudendosi così di poter come pacifista non nuocere a nessuno e di non essere danneggiato da nessuno. Magari, se guerra di religione doveva comunque esserci, valeva la pena di appoggiare il clero di Eliopoli e spostare qui la residenza reale. Lontano dai centri di potere, inviso a tutti, finì per trovarsi solo col suo culto paterno da continuare come gli era stato lasciato in legato testamentario. Ci si mise di mezzo anche l’eruzione del Thera, perse la testa e finì come finì. La rivoluzione atoniana/yahweista è di Amenofi III, Amenofi IV ne è solo la illustre vittima, il capro espiatorio. Immagino che Akhenaton sia stato verisimilmente assassinato, la sua mummia acconciata come fosse una donna in segno di spregio,  con un braccio di fianco,  la sua tomba violata il suo corpo ormai insensibile fatto oggetto di tutti gli oltraggi immaginabili e non, massacrato  a colpi di randello. L’aldilà non si nega a nessuno, specie se si crede che andrà all’Inferno, meglio se sfigurato.   

Qualcuno ha pensato che Amenofi IV fosse una donna (e/o affetto da sindrome di Marfan, addirittura per via di Mutemuya, le figlie per via di Nefertiti, quale sciocchezza; anch’io l’ho scritto un tempo) mentre io ora credo che l’iconografia che così lo rappresenta, in modo evidente, coi seni e i fianchi e cosce larghi, cosa tanto più significativa in quanto l’arte amarniana è verista, arrivando a farsi riprodurre perfino nudo e asessuato,

derivi consequenzialmente dal suo dio pacifista di cui è figlio ed unico interlocutore, che è madre dell’umanità al contrario di Yahweh che è l’unico a possedere il fallo mentre il suo popolo è reso femmina (attraverso la circoncisione) e sua sposa. La battaglia di Akhenaton è stata contro le società costruite sul fallo, maschiliste e stragiste, contro l’Aton yahweista di suo padre pur continuandone il culto ma sotto altra specie. L’Aton di Akhenaton voleva essere il dio madre a tutto campo.

Ma è proprio vero che Amenofi IV era brutto e con la faccia bovina o cavallina? Anche questa sua raffigurazione (nel verismo amarniano) fa il paio con quella femminile. E’ una convenzione religiosa. Partiamo dal culto di Yahweh come attestato in Samaria.

 

 

A Kuntillet Ajrud (Samaria), VIII sec., sui frammenti di un pithos evidentemente funerario, Yahweh è abbracciato alla sua Ashera con fallo, guerriera. L’iscrizione sopra le figure lo conferma. Le teste dei due sono vagamente quelle di bovini  e non a caso di fianco la dea Ashera è rappresentata in forma di Vacca cornuta (dunque ancora sottolineando la sua natura androgina) mentre allatta Yahweh. E’ dunque lo stesso concetto di origine egizia del Sole figlio e sposo della Signora del Cielo, ma con le caratteristiche prevalenti di dio della guerra, della morte e della pestilenza.

 

a)

 

Per comprendere il significato dell’iscrizione e raffigurazione del Yahweh di Samaria e della sua Ashera occorre considerare anche le altre raffigurazioni sullo stesso pithos. Balza agli occhi l’albero della Signora degli Animali con i due capri affrontati sopra il Leone di Qadash.

 

b)

 

Qadash, qui raffigurata su una stele d’età tarda al Museo Egizio di Torino, è una delle manifestazioni della Signora del Cielo Astarte-Ashera associata a Reshef (alla sua sinistra), dio della morte, della guerra e della pestilenza, cioè Yahweh, e a Min (alla sua destra), “toro di sua madre” e “protettore della luna” di cui  Yuduya era profeta e sovrintendente al bestiame ad Akhmîm. L’iscrizione dice: “Qadash, signora del cielo, contiene tutto l’universo; il suo occhio e ureo non hanno paura di Set/Resheph, il dio buono [pure le Furie erano chiamate per scaramanzia Eumenidi, commento mio] del cielo, signore della necropoli per l’eternità. E’ una stele funeraria che equipara Resheph a Min. Resheph è il Sole dei morti e la sua madre e sposa è raffigurata come Luna, divinità dei morti. Più in alto nella figura a) è raffigurato un cinghiale fra due animali affrontati che rappresenta  Resheph/Yahweh. Agli islamici è fatto divieto di mangiare carne di porco forse  non perché poco igienico ai climi arabici, bensì perché rappresenta Yahweh, il nemico giurato di Allah/Eloah. Nell’Odissea Odisseo (che  muore nel ritorno a Itaca e resuscita a Scheria da cui miracolosamente approda a Itaca reincarnandosi momentaneamente solo per liberare i suoi cari dai pretendenti che li tengono sequestrati in casa; Odisseo subito dopo la strage dei pretendenti se ne partirà  per l’al di là da cui mai nessun essere umano è tornato) rappresenta Apollo (l’altra faccia di Dioniso) arciere (e infatti vince la prova dell’arco nel giorno della  festa del dio), dio della guerra, della pestilenza e della morte. Da piccolo sul Parnaso è stato ferito da un cinghiale poi ucciso, e ciò manifesta l’identità di Odisseo/Apollo/Yahweh/porco, l’animale impuro degli islamici.

 

Dunque ad Akhenaton non sfuggiva l’iconografia del Minotauro Yahweh e della dea-Toro sua paredra. Elaborò di conseguenza un eterno dio-Vacca e dio Vitello in cui fosse abolito il fallo come strumento creativo di società violente, che si reggono sul terrore e sui delitti più infami (di cui l’Antico Testamento è l’apologia) per creare una società illuminata dalla ragione che generasse un popolo migliore e non invece lo umiliasse e distruggesse materialmente e soprattutto spiritualmente. Come si fece riprodurre in aspetto femminile Akhenaton si fece rioprodurre in aspetto di dio-Vacca o dio-Vitello. Il Sole Aton pacifista.

Egli, Waenra, unico intermediario del dio Aton-Ra, incarnazione asessuata dello stesso dio, intendeva incarnare l’eterno dio Vitello-Sole, androgino e cioè al contempo maschio e femmina, ma fondalmente più femmina in quanto senza fallo aggressivo e dunque pacifista.

La rivoluzione dei due Amenofi di creare un dio ecumenico incarnato nel faraone fallì come fallì quella di Augusto. Fallirono entrambe perché già circolava la religione yahweista con cui in un modo o nell’altro dovettero fare i conti. Amenofi III forse non ci pensò, forse lo ritenne il male minore. Amenofi IV non ci stette. Quanto all’impero romano sappiamo come andò a finire. L’idea dell’imperatore deificato non funzionò. Inoltre a ciò si aggiunse l’errore di Nerone. Se Nerone, l’imperatore illuminato (educato da Seneca), non si fosse curato di politica religiosa e avesse lasciato fare continuando ad occuparsi di poesia, l’ebraismo sarebbe stato quel che è ora, religione del solo popolo ebreo. Disgraziatamente tentò il male che allora appariva  minore di trasformare l’ebraismo in una religione più tollerante e filoimperiale, ed è qui che, scippato il progetto già in avanzato stato di esecuzione  al suo  007 Saul/Paolo, i futuri cristiani se ne servirono come fondamento del loro successo. Nerone non va  biasimato come persecutore dei cristiani (cosa che mai assolutamente fece, perché i cristiani ancora non c’erano, e tantomeno incendiò Roma), bensì come colui che  gettò le basi della loro nascita, che li creò (volendo ammorbidire gli ebrei) e li mise sulla buona strada per trionfare. La vigliaccheria dei cristiani, che non mi stupirà mai dato che li conosco meglio di quanto loro conoscano se stessi, è che non hanno mai smesso di sputare su colui che li ha messi al mondo.

   

 

 

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