La nostra verità 
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presentazione:
La “Nostra Verità” è un documento scritto nell’estate del 2007,e che riassume le vicende fino a quel periodo. Il documento tenta di dare una chiave di lettura di quanto accaduto. Viene spedito sia alla Procura di Firenze che ai DDA di Genova. Questa è una versione ritoccata per poter essere pubblicata. Dopo si aprirono altri e sconvolgenti scenari, qui non descritti, sulla nostra storia. Ma di questo viene parlato su documenti creati successivamente: sulle pagine dell’UNICO
All'epoco della creazione di questo documento erano passati più di due anni e mezzo da quel primo esposto, fatto nell’ottobre 2004 nel quale chiedevamo una forma di tutela allo Stato italiano. Da allora di eventi ne sono accaduti proprio tanti e imprevedibili. In questa sorta di memoriale raccontiamo la nostra verità, ovvero vi forniamo una possibile chiave di lettura di tutto quello che ci è successo.

Ottobre 2004
Ad ottobre 2004 ci recammo con la nostra prima testimonianza scritta ai Carabinieri di Rovigo. Ci fu detto di presentare un esposto alle Procure di Padova e Vicenza. I Carabinieri in extremis trattennero la copia. Pensavamo che da Vicenza e Padova non avremmo mai avuto un aiuto ed allora in Novembre 2004 spedimmo l’esposto/denuncia fuori Veneto, alla Procura di Roma e al Quirinale. Pensavamo che Roma fosse fuori dai giri che descrivevamo e dunque potesse intervenire liberamente.
Intanto già da Agosto 2004 ci eravamo imbattuti nonostante le nostre vicissitudini in qualcosa di veramente inusuale e interessante. Ovvero facemmo una  scoperta storica sugli Estensi. Ci impegnammo con tutti i mezzi a nostra disposizione per far conoscere questa realtà. In quel periodo avevamo bisogno di soldi e pensavamo di raccogliere qualche euro dalla nostra scoperta. Ben presto invece ci accorgemmo che vi erano degli altri interessi sotto queste realtà. Individuammo l’origine del male in Ferrara, dove per errori storici si era collocata la nascita delle nostre figure Estensi. Ferrara vantava sugli Estensi grossi interessi economici e non aveva interesse a cedere i natali al piccolo comune di Baone. Purtroppo all’epoca, non coscienti di questi intrighi, insistendo con la nostra scoperta con varie istituzioni di tale città, ci facemmo diversi nemici.
Novembre 2004 – Marzo 2005
Da Novembre 2004 al 24 Marzo 2005 avevamo inviato numerosi esposti/denunce alla Procura di Roma e al Quirinale. Eravamo diventati più insistenti perché avevamo avuto una violazione di domicilio, minacce verbali, e un’infinità di problemi “burocratici”. Ci era stata rubata la nostra azienda, chiudendoci fuori dai nostri stessi uffici e facendo figurare il tutto come un problema di mancato pagamento degli affitti. Noi chiedemmo un intervento alla magistratura negli esposti/denunce di Dicembre ’04, febbraio ’05, Marzo ’05, ma non intervenne nessuno perché tali invii, non risultavano pervenuti e nemmeno protocollati.
Nello stesso tempo eravamo incalzati da varie persone che erano giunte a minacciarci sotto casa. Eravamo in tensione e non ci sentivamo più al sicuro nemmeno in casa. Ci sentivamo nel far west più che nel nord-est.
5  Marzo 2005
Ci rechiamo a Roma a vedere perché nessuno ci risponde. Scopriamo che di tutti gli esposti e denunce inviati ne risulta uno soltanto, il primo che era  stato assegnato al dottor Verusio e inoltrato per competenza alla Procura di Padova.  Degli altri non vi era traccia. Appena tornati da Roma rispedimmo tutto il blocco mancante, ma sparì pure questo.
25  Marzo 2005  – Il coccodrillo
Fu  mandato un maresciallo  al comando dei Carabinieri ove eravamo residenti  di proposito. Il maresciallo, proveniente dal ferrarese,  era stato istruito con il compito di dover mettere a tacere i nostri esposti e soprattutto la scoperta sugli Estensi tanto fastidiosa a Ferrara.
I nostri esposti/denunce sarebbero stati assegnati per le indagini ai carabinieri residenza (PD) e il maresciallo P.P. che chiameremo “coccodrillo”  si sarebbe occupato di chiudere ogni indagine e di “sistemarci” a dovere. Rimase  come un coccodrillo con le fauci aperte in attesa che la preda finisse tra i suoi denti e ci sarebbe finita sicuramente in qualche modo.
25 Marzo 2005 –i fatti
Il maresciallo P.P. rimase nell’ombra fino al 25 Marzo 2005. In quella data aveva sicuramente ricevuto, per le indagini, il nostro primo esposto di 13 pagine e questo si deduce indirettamente da una sua dichiarazione verbale successiva.
Il 25 Marzo ’05 approfittò dell’incidente accadutoci per attivare il suo piano.  
Utilizzando la dinamica dell’incidente di quel giorno  la “modificò” per dichiararci “paranoici”. Lo fece senza nemmeno fare una ricognizione sul luogo dell’incidente e senza nemmeno vederci di persona.  Tanto in testa sua era già stato tutto deciso dunque non serviva fare un’indagine o andare sul posto. Questa dichiarazione  serviva per invalidare le testimonianze degli esposti dal lato di uno di noi due.
Visto però che l’incidente accaduto riguardava solamente uno di noi , gli si presentò il problema di dover invalidare anche le testimonianze del coniuge: all’uopo  preparò un verbale per l’incidente nel quale testo si inseriva il nome della moglie riportandola come una donna “esaurita” che aveva fatto esaurire pure il marito con le sue richieste. L’obiettivo del coccodrillo era di  avere una nostra dichiarazione “reo-confesso”   che faceva passare l’incidente per un dramma familiare di gente con le rotelle non a posto.
Per completare l’opera di diffamazione il maresciallo influenzò la stampa facendo passare due articoletti sulla falsa riga del verbale da lui concepito.  Il maresciallo ci creò un’aria ostile nel paese, nel comune, tra i giornalisti e tra i vicini in modo da non avere aiuti. L’attività del maresciallo in un solo colpo ci aveva fatto passare per gente non a posto, aveva rovinato la nostra reputazione e con essa quando andavamo dicendo. In questa maniera la nostra “scoperta” sugli Estensi e le nostre testimonianze rilasciate negli esposti e/o denunce  erano storiella di dementi. 
Ricordiamo che alla data dell’incidente del 25 marzo ’05 a Roma era pervenuto solamente il primo esposto di circa 13 pagine girato per competenza a Padova, mentre tutti gli altri, da nostra verifica fatta in varie occasioni, risultavano non pervenuti. Dunque con quest’azione il maresciallo aveva chiuso il caso e l’esposto che gli era pervenuto. Difatti si rifiutò di acquisire la nostra denuncia di sottrazione e/o smarrimento di documentazione (art 616) avvenuta presso la procura di Roma, dicendo che era impossibile quanto da noi dichiarato. Si rifiutò pure di acquisire tale materiale dunque continuando a trattarci da persone senza rotelle ed influenzò in tal senso anche il comune che si diceva ben informato sulla nostra situazione.
A questo punto il maresciallo pensò di convincere i vicini implicati nell’incidente a querelarci per minacce. In tal senso Matteo avrebbe ricevuto accuse penali. Questo serviva al maresciallo per far passare Matteo come un delinquente, come persona con precedenti e tenerlo più facilmente sotto controllo ed influenzare l’opinione della gente, magistrati,….
Infine vi era un altro aspetto da valutare. In genere chi è “senza rotelle” ha un aiuto dallo Stato o una pensione. Invece noi non dovevamo avere nulla.
Fu lasciato intendere che eravamo dei ladri, che avevamo rubato attraverso la nostra azienda, e poi avevamo lasciato tutto non pagando i fornitori… Queste tesi poi le propagò in tutti i luoghi ove avevamo tentato di rifarci una vita. Infine per farci paura, a seguito dell’incidente il coccodrillo ci mandò delle pattuglie ben addestrate a farci paura a suon di minacce. A Giovanna sbraitavano a cinque centimetri dal viso di dover portare rispetto alla loro divisa, solo perché aveva il cellulare rotto e non poteva telefonare al loro comandante. Non credevano nemmeno che il telefonino fosse rotto. Ci tenevano sotto pressione e tutto questo perché ci eravamo dimenticati il telefonino spento e non eravamo raggiungibili. Intervennero appena dopo un’ora a casa dicendo che sia l’ultima volta che non siamo raggiungibili. Naturalmente noi siamo cittadini liberi e senza nessun obbligo.
Allontanamento dal Veneto
A causa delle minacce ricevute dai carabinieri di residenza, non trovandoci nemmeno tutelati dalle istituzioni che ci dovevano difendere, ci allontanammo “forzatamente” chiedendo un intervento urgente, sollecitando la Procura di Milano (per i giri di amici dei nostri parenti legati alla questione Parmalat )  e La Procura di Roma da fuori veneto. 
Finalmente il nostro esposto/denuncia spedito il 5/5/5 pervenne a Roma e fu assegnato ad un PM. Il PM e il GIP si accordarono per chiudere subito il caso senza prendere in considerazione i nostri esposti e/o denunce precedenti che risultavano pure al PM sottratti e/o smarriti. Probabilmente Roma era stata influenzata a chiudere il caso per evitare che emergessero alcune nostre testimonianze relative alle amicizie tra i nostri parenti, ambiente Parma Calcio, Parmalat e calcio nazionale. Non perché le nostre testimonianze fossero importanti ma solamente perché potevano rappresentare la punta dell’iceberg di una situazione molto più complessa e articolata che riguardava alcuni giri di soldi sulle Banche venete e sulle aziende vicentine. Al PM di Roma a questo punto restava il problema di chiudere il procedimento proveniente dalla Procura Militare che era stato inizialmente assegnato al dottor Poli, e questo fu fatto trasferendo e nascondendo il secondo fascicolo arrivato dalla Procura Militare dentro il primo e  fu così possibile chiudere tutti e due i procedimenti il 3.1.06 in un sol colpo. Ci fu naturalmente lesione del nostro diritto fondamentale della difesa perché non si istruì nessun dibattimento e processo, oltre a dire che una situazione del genere è grave di per se stessa per lo Stato italiano. Ma questo era una cosuccia perché noi dovevamo morire di un incidente nelle rive del lago d’Iseo.
Brescia: dalla padella alla brace
Ad un certo punto, vedendo che nessuno interveniva nella nostra situazione, abbiamo tentato di rifarci una vita in provincia di Brescia. Arrivammo sul lago d’Iseo verso  fine ottobre 2005. Chiedevamo aiuto ed interessamento a vari  comuni della zona.
Proprio in uno di questi ci siamo trovati l’ostilità  di un sacerdote e del maresciallo dei carabinieri locale e dopo circa due mesi dall’incontro con tale figlio del coccodrillo abbiamo trovato  in servizio tra i carabinieri del paesetto di circa 3000 abitanti un carabiniere del comando di residenza. Probabilmente il maresciallo locale fu influenzato dal coccodrillo.  A tal proposito ricordiamo che per bocca propria alcuni sindaci ci avevano detto di aver ricevuto delle informazioni sul nostro conto dai carabinieri che non erano proprio rassicuranti. Tra l’altro i sindaci avevano avuto l’ordine di non aiutarci in modo che fossimo ritornati in Veneto. Così il coccodrillo ci avrebbe conciato per le feste. In provincia di Brescia vivevamo in una tenda sulle rive del lago e nessuno ci aiutava, quando poi le suore spinte dalla carità ci offrirono un ripostiglio, il maresciallo R. diede ordine alle suore di buttarci in strada. Furono proprio i carabinieri a farci terreno bruciato sul lago d’Iseo mettendoci in cattiva luce con i relativi sindaci, assistenti sociali, associazioni caritative, parroci. Non trovando lavoro ed aiuto, saremmo tornati in Veneto e avremmo finito le “ferie”, come le chiamavano loro. Anche a Brescia i carabinieri si rifiutarono di fare il loro lavoro sostenendo che non era loro competenza. Furono sempre i carabinieri a dare l’ordine al comune veneto di residenza di non aiutarci. Il comune ci disse di essere ben informato sulla nostra situazione e le loro informazioni provenivano proprio dai carabinieri di residenza. A Brescia ci furono altri scempi commessi sempre dai CC, il dettaglio delle cose accadute in tale provincia si trova nel documento consegnato all’autorità “fattibrescia2006.pdf”
Da settembre 2005 tentammo di interessare l'opinione pubblica attraverso alcuni spazi web gratuiti che fornivano automaticamente l'inserimento delle proprie pagine nei motori di ricerca. Notammo che le nostre pagine erano censurate da tali motori e il motivo lo scoprimmo solamente molto più tardi. Ci era stata applicata una sorte di “BlackList”. Riuscimmo a risolvere il problema solo dopo aver contattato alcune autorità militari. Le pagine della ricerca relativa agli Estensi, tanto odiata dal coccodrillo, uscirono da questo  “oblio” solamente dopo l'interessamento di un attore celebre americano che incontrammo ad Assisi a fine 2006  e che  si prodigò per risolvere il problema  contattando  la società americana Google
 2006 Richiesta di aiuto alla Polizia di Stato
Cominciammo a pensare che il coccodrillo sarebbe intervenuto su tutte le stazioni dei carabinieri ove saremmo andati, senza possibilità per noi di uscire da questo incubo.Tentammo allora di interessare la Polizia di Stato di Brescia, e loro , ci suggerirono di fare, una nuova denuncia-querela il prima possibile, che presentammo presso la Questura di Brescia. Uno dei pezzi alti della Questura aveva capito il grande casino che vi era sotto, tanto da non volerne sapere direttamente. La collega bionda , ispettore di polizia superiore  acquisì lo stesso la denuncia  e sicuramente fece delle indagini, ma si bloccò davanti a qualche grosso ostacolo.  Secondo noi la Polizia Giudiziaria  non fece tutto quello che doveva fare e questo ci mise ulteriormente in pericolo, forse si mise in contatto con il coccodrillo e questo riuscì a bloccare tutto. Nel frattempo ci eravamo rifugiati ad Assisi e speravamo in delle novità da Brescia.
Marzo – Agosto 2006 ad Assisi
Ad Agosto 2006 le cose precipitarono anche ad Assisi (PG), fummo costretti a rifugiarsi a Bastia Umbra. Era chiaro ormai che le cose a Brescia si erano bloccate. Chiedemmo allora l’intervento della Procura della Repubblica di Napoli. A Napoli acquisirono tutto d’urgenza assegnandoci un PM dell’antimafia  entro poche ore. Sembrava che la cosa si risolvesse, ma la regola della competenza vide il nostro procedimento trasferito inevitabilmente a Perugia. E qui cominciarono ad accadere le stesse cose di Roma.
Ottobre 2006 Perugia
A Perugia non ci fu mai permesso di parlare con il magistrato  e nemmeno entrare in Procura negli uffici della segreteria. Il PM di Perugia fu sicuramente influenzato dal PM di Roma e Perugia non era Procura in grado di risolvere un problema così grave, visto anche l’immenso potere della Massoneria  a Perugia.
Il magistrato delegò l’attività alla Polizia Giudiziaria  di Perugia di via Angeloni, in particolare la nostra richiesta di tutela, e questa subdelegò l’attività ai carabinieri di residenza (PD), ovvero al nostro coccodrillo. Si compiva così  una grave incongruenza visto che vari elementi di residenza con relativo comandante risultavano da noi denunciati per vari reati. Ma il coccodrillo ce l’aveva già detto nel 2005: “inviate pure i vostri esposti, tanto saremo noi poi a fare le indagini”.
La Polizia Giudiziaria di Perugia non si comportò correttamente perché fu influenzata dalla Polizia Giudiziaria di Brescia, e quest’ultima non aveva compiuto un buon lavoro e non aveva interesse che questo emergesse in nuove indagini. Così le cose ci precipitarono ancora addosso.
Anche le suore di Bastia Unbra (PG) ricevettero il comando di sbatterci in strada. A Bastia ci fu un signore che abitava in Veneto dalle nostre parti che era molto interessato a darci un lavoro e che ci bersagliava di domande per capire se conoscevamo alcune storie di pedofilia e di incidenti, storie che fatalmente noi conoscevamo bene, visto che l’incidente di cui parlava era capitato proprio alla famiglia di Giovanna. Giovanna all’epoca aveva quattro anni, non si trattava quindi di informazioni recenti, ma di ricordi di circa 30 fa, che difficilmente si conoscono per caso o per sbaglio.
In dicembre alcuni operatori della Caritas di Gubbio ci dissero di uscire dall’Umbria perché non avremmo trovato aiuto. Un sacerdote veneto ci fece letteralmente guerra e questo probabilmente era in contatto con il coccodrillo. Ci fu fatto terreno bruciato su tutta l’Umbria.
A fine dicembre su consiglio di un giornalista andammo a chiedere una mano al Capitano dei Carabinieri Antonio Morra comandante della stazione di Città di Castello (PG). Morra ci fece riscrivere tutti i fatti dall’inizio in un lungo verbale. Durante la scrittura del verbale, in giornata il capitano si era recato a Perugia, e al ritorno avevamo notato una variazione del suo comportamento nei nostri confronti: dalla procura di Perugia Morra deve aver ricevuto brutte informazioni sul nostro conto.
Non riuscimmo più a parlare con Morra, ma solamente al suo incaricato, un maresciallo del quale non avevamo piena fiducia. Infatti non eseguì completamente i comandi del suo superiore.
La nuova denuncia-querela fu affidata ad un nuovo magistrato di Perugia, ma fu un “bluff”, visto che poi tutto fu trasferito ed incluso come integrazione del primo procedimento aperto a Perugia. Dunque si continuò da parte del magistrato sulla linea già intrapresa di non volerci parlare. Nemmeno i carabinieri di Città di Castello risposerò più alle nostre lettere, fax e mail.
Inviammo lettera a Città di Castello, al comando provinciale e al comando regionale senza avere nessuna risposta.
Fine 2006
A Città di Castello presso la Caritas ove eravamo ospitati  provengono delle notizie non chiare su di noi dal centro di Assisi. Dunque il direttore della Caritas don  non si impegna ad aiutarci nei modi previsti per le famiglie. Scopriamo attraverso la Caritas di Città di Castello che Assisi non aveva fatto il possibile per noi, ad esempio per le famiglie vi erano delle possibilità residenziali mai paventateci. Veniamo spediti da un’altra parte. Anche qui il sacerdote di origine veneta ci fa guerra facendo pressioni in Caritas per essere spediti via. Anche la San Vincenzo dopo l’aiuto iniziale ci lascia da soli.
Ma  grazie alla Polizia appare un articolo su di noi sul Corriere dell’Umbria. L’obiettivo è di avere un interessamento dal comune  e forse qualche segnale da Perugia, ma il comune ignora la nostra situazione come pure la Procura di Perugia. Finiamo il 13 Marzo 2007 in diretta su RAI DUE, in trasmissione “Piazza Grande”. Ma non ci permettono di parlare di Procure, magistrati o di carte scomparse. L’apparizione in TV ci dà il solo risultato di non essere sbattuti in strada dalla Caritas, anche se continuano le pressioni della Caritas nei nostri confronti. Si ostinano misteriosamente a non voler capire la nostra situazione. Il comune  invece sembra decisamente ostile.
Marzo 2007-Maggio 2007
Chiediamo l’intervento della Procura di Firenze che è competente sulla Procura di Perugia.
Da Firenze  chiedono informazioni sul procedimento a Perugia. Perugia risponde d’urgenza mandando una sorta di notifica a mezzo mondo (Questura di xxx, carabinieri di Città di Castello, carabinieri di residenza ed altri…) facendo finta di non avere i nostri riferimenti di fax ed email. Ci scrive una cosa già risaputa ovvero che il magistrato non vuole parlarci. E’ naturalmente la risposta al nostro articolo di giornale, infatti Perugia invia le informazioni anche alla Questura  desumendo il nostro indirizzo dai media.  Invia copia dell’articolo anche ai carabinieri di residenza. Così indicano al coccodrillo, nel caso in cui non se ne fosse ancora accorto, dove siamo. E’ una mossa tattica per vedere se siamo ancora in Caritas. Qualcosa però non funziona perché la Polizia non ci trova e ci invia il materiale tramite Fax, cosa che poteva benissimo fare la Procura stessa di Perugia, e che fece poi effettivamente in giugno ’06, dopo che segnalammo la questione ad altra autorità.
Grazie comunque  a Firenze scopriamo del grave “errore” compiuto da Perugia nell’assegnare compiti ai carabinieri di Residenza (PD) sulla nostre sicurezza, quando noi stessi li avevamo accusati di vari reati (almeno quattro elementi più comandante). Così grazie a Firenze, scoprimmo che  Perugia ci aveva dato in pasto al coccodrillo, il quale sicuramente aveva  pronto un bel piano di protezione per noi e sicuramente aveva preparato un pacco di accuse nei nostri confronti. Se ci trovava ci metteva in galera e buttava via le chiavi.
Maggio -Giugno 2007
Il tempo passa e nemmeno Firenze ci convoca. Cominciamo a pensare che Firenze abbia fatto lo sbaglio di chiedere informazioni sul procedimento a Perugia prima che a noi. Da quello che abbiamo visto tutti si sono impantanati  entrando in contatto con quelle carte e nessuno si è mai preoccupato di vederci e sentirci di persona: siamo solo due veneti che continuano a chiedere una forma di tutela, un colloquio e una ragione di quello che sta succedendo. Solamente a Napoli eravamo riusciti ad avvicinare due magistrati: Borrelli e Beatrice e senza nessun appuntamento, ma ci dissero di andare a parlare fiduciosi con i magistrati di Perugia! Ma a Perugia comanda la massoneria e lo Stato è in secondo piano!
Luglio 2007
Quando ormai il fenomeno mediatico sulla nostra vicenda si è completato si è provveduto a darci il colpo finale. La Caritas ci dice che dobbiamo arrangiarci, che non ne vuole sapere dei nostri problemi. Beh naturalmente in Caritas vi sono sempre le interferenze del sacerdote veneto e le parole di costui sono legge.

Conclusioni
Per capire l’intera vicenda e arrivare al nocciolo della questione occorre introdurre alcuni aspetti del luogo ove siamo nati e dell’ambiente in cui abbiamo vissuto.
Siamo nati in provincia di Vicenza. Come tanti bambini nati in quel luogo, fummo “istruiti” ad un credo esoterico che comprendeva diverse tappe formative. Di cose esoteriche il paese ne doveva sapere parecchio, visto che sempre lì all’inizio del 1900 era nata  un’importante satanista, la  quale fu oggetto di alcuni film-documentario girati a Roma. Durante la nostra infanzia e giovinezza il paese si sviluppò grazie ad alcune aziende internazionali , una delle quali aveva la sede centrale proprio nel paesetto. Le cose erano cambiate, non si parlava più di “streghe”, ma tutto continuò a sussistere in una parvenza più moderna e invisibile.
Nel paese ormai si parlava di calcio. E i nostri parenti  conoscevano molte personalità  Con il tempo riuscimmo a capire che molte situazioni non erano accadute per caso. Noi non eravamo inseriti in quella rete e avevamo vissuto in un certo modo fuori da quel mondo. Ma ad un certo punto quello che intuimmo fu sufficiente per farci decidere di cambiare paese, tagliare radicalmente con i nostri parenti e con qualsiasi cosa provenisse da quel luogo. La nostra scelta non fu accettata, e ci fu fatta guerra su tutti i fronti. Per loro noi eravamo traditori e come si dice, in certe cose: “ci si entra con il sangue e se ne esce solamente alla stessa maniera”.
All’inizio non credevamo che la cosa fosse cosi grave, pensavamo fosse comunque circoscritta. Quando ci trovammo in una situazione impossibile cominciammo a chiedere tutela e aiuto ai carabinieri e alla magistratura. Avevamo fatto la scelta di chiedere l’intervento di autorità esterne al Veneto, perché avevamo già avuto testimonianza, in occasione di alcuni fatti, che le cose non si sarebbero  mai mosse a Padova e Vicenza. Purtroppo a Roma sparirono egualmente i nostri esposti e/o denunce.
Nel 2006 esplose il caso “calciopoli” e noi ci rendemmo conto sempre di più che il nostro problema derivava dall’aver visto qualcosa di troppo relativamente al calcio e al crack della società internazionale Parmalat e di aver scritto ingenuamente qualche nome di troppo sul primo esposto. Anche i carabinieri in tono minaccioso ci avevano detto che non si dovevano scrivere i nomi negli esposti, al limite si potevano indicare le iniziali.
Lì in quel luogo vi è probabilmente il centro di un’organizzazione criminale del tutto particolare che collega la massoneria veneziana ed inglese con la mafia del sud. Noi però non sappiamo nulla di pratico. Intuivamo il problema e cercavamo una forma di tutela. Per il resto abbiamo solo cercato di dare una spiegazione storica al fenomeno andando a cercare le origini dei culti esoterici, della mafia e massoneria  in Veneto. Siamo nati in quei luoghi e queste cose ci sono piovute addosso ma non le abbiamo accettate.
Attualmente quello che ci preoccupa maggiormente è come questa “forza” abbia un grosso potere all’interno dell’Arma dei Carabinieri e della Chiesa, tanto da renderci la vita impossibile in qualsiasi posto andiamo, come è effettivamente successo in Veneto, Lombardia,  Umbria e Lazio.




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