Concentriamo l’attenzione su testimoni “storici” nella
lotta contro la mafia, sottolineando in particolare il ruolo svolto dalla
famiglia, nella gestione di potere ed il ruolo delle forze dell’ordine, in
particolare l’Arma dei Carabinieri.
Di questi ultimi presentiamo due personaggi eccellenti: il tenente Malausa,
assassinato in un attentato mafioso a Ciaculli, all’inizio degli anni ’50,
ed il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, assassinato a Palermo il 3 settembre
1982, mentre ricopriva la carica di prefetto. Dalla Chiesa aveva ricoperto
alti incarichi presso l’Arma dei Carabinieri: si era distinto nella lotta
contro la mafia, e per questo era divenuto prefetto nel particolare contesto
di Palermo.
Queste testimonianze si incentrano sui punti chiave del potere:
1. Le “reti sociali”, in cui ogni elemento, anche il più
modesto, è pericoloso fautore di quel potere contro lo Stato e parallelo
allo Stato. Sono reti che si formano per paura e per quella maledetta miseria
umana, che priva gli uomini della dignità e libertà di fare
ed avere lavoro onestamente.
2. Le forze dell’ordine, nel nostro specifico esempio l’Arma
dei carabinieri, come strumento di pericolosissime collusioni con il potere
mafioso, che tradisce lo Stato e gli stessi cittadini. Si veda testimonianza
commissione antimafia del 1969. Ma sempre le forze dell’ordine, colpite a
morte nelle stragi o nelle figure di chi combatteva questi poteri.
Dal libro "Mafia. Politica e affari"
Queste testimonianze storiche sono tratte dal libro di Nicola Trafalia, “Mafia,
politica e affari. 1943-91. Editori Laterza, settembre 1992. Riportiamo la
deposizione del colonnello Carlo Alberto Dalla Chiesa, resa il 28 marzo 1969,
alla commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia (legge 20 dicembre
1962 n.1720), V legislatura, doc. XXXIII, n. 2-septies, allegati dell’Onorevole
Cattani.
Rete sociale
Presidente: -“…chiedo se certi mafiosi a Caltanissetta ed in altre
province di sua competenza abbiano cercato di inserire familiari o loro affiliati
nella pubblica amministrazione, per poter, anche da posti di scarsa responsabilità,
avere comunque il controllo di questi centri di potere-”.
Dalla Chiesa: -“Effettivamente i famosi figli e nipoti esistono; ed esistono
in genere le nuore, i cognati, i fratelli. Vorrei puntualizzare che potrebbe
sembrare strano che su un custode, un bidello, un vigile o un messo comunale
ci si debba soffermare ……………. certi impieghi, anche quelli modesti, possono,
proprio perché la loro matrice è il “don” mafioso, od il tizio
indiziato mafioso, assumere valore. ….. Queste persone, se vengono da un
determinato ambiente, da quella famiglia, sono indubbiamente significativi
al di là del ruolo specifico, hanno un valore, hanno un peso specifico,
vorrei dire.
…..Lei comprende, onorevole Presidente, che 2 o 3 o 4 o 5 di queste persone,
influiscono in esso, non per il loro nome e cognome, ma per essere parente
di..-”.
Presidente: -“cioè in relazione alla qualifica che hanno, all’interno
di queste amministrazioni, teoricamente queste persone non potrebbero né
sentire né parlare né vedere –”.
Dalla Chiesa: -“ Già, in realtà, però, debbono
vedere, debbono parlare, debbono sentire senza nessuno sospetto. Le famose
tre scimmie, insomma, sono lì presenti; non vedono, non sentono, non
parlano, ma in effetti devono saper vedere, devono saper sentire, devono
saper parlare: a tutti, tranne che agli organi di Stato –”.
Le forze dell’Ordine
Continuando la deposizione di Dalla Chiesa alla Commissione del 28 marzo
1969, emerge, a fianco dei complimenti per i risultati, anche una deviazione
di questo fervore investigativo. In particolare si fa riferimento alla strage
di Ciaculli, in cui perse la vita il tenente Malausa, dopo che alcuni mesi
prima aveva presentato un rapporto molto interessante nella lotta contro
la mafia. Non solo il Malausa, era morto, ma lo stesso rapporto era stato
insabbiato dall’Arma stessa.
l’Antimafia riuscì ad ottenerlo solo dopo molte pressioni all’Arma.
Solo dopo la strage, per un’iniziativa esterna, furono recuperati quei rapporti,
che trovarono riscontro molto attendibile. Insomma, l’Arma aveva insabbiato
il pregevole lavoro di un loro collega. Alcuna parti riassunte, del dialogo.
Commissione : -“…(relativamente agli ottimi risultati) fatto che fa
onore all’Arma fino ad un certo punto, e poi questo impulso di onestà
è deviato e mortificato –
Il Tenente Malausa, assassinato a Ciaculli, nel 1953, 5 o 6 mesi prima della
strage, aveva presentato al suo organo superiore un rapporto dettagliato,
in cui vi erano indicati decine di indiziati di appartenere alla mafia
come dirigenti. Nel 1964 l’antimafia fa prelevare i rapporti: in primo luogo
a seconda di dove i rapporti vanno a finire, il rapporto presenta indicazioni
difformi. In secondo luogo questo rapporto non genera efficacia o interessamento,
fino alla strage. In terzo luogo genera tensione con il comandante, perché
non voleva dare l’elenco all’antimafia: fu obbligato dal colonnello Cardinale
a metterlo a disposizione dell’antimafia.
Malausa era uno scrupoloso tenete di Cuneo, arrivato a Palermo. Molti indizi
trovarono riscontro e gli indiziati processati.
I rapporti furono disseppelliti per una iniziativa esterna, solo dopo la
strage”.
A fronte del perché di un deplorevole comportamento, Dalla Chiesa
non sa cosa rispondere perché non ne è a conoscenza.
Dal libro "Mafia.
L'atto di accusa dei giudici di Palermo"
Dal libro “Mafia.
L’atto di accusa dei giudici di Palermo” a cura di Corrado Staiano.
Casa editrice Editori riuniti CDE.
Riportiamo alcuni estratti del libro sopra menzionato: i giudici di Palermo
appartengono al periodo del primo pool antimafia, di cui doveva divenire
superprocuratore il giudice Falcone (se non lo avessero ucciso il giorno dopo
la nomina.... vedi strage di Capaci).
Fortissimo è l'atto di accusa di Falcone, anche in altri documenti
ed interviste: lo Stato non era riuscito a sfruttare le informazioni e a
interpretare correttamente il fenomeno mafioso. Il primo mafioso pentito,
Leonardo Vitale, non fu creduto: parlò, fece nomi e cognomi, anche
politici, raccontò i rituali e l'atomosfera del mondo mafioso. Non
fu creduto: fu condannato per i delitti di cui si era accusato ......... e
per il rimanente fu definito come malato di seminfermità mentale: scontò
alcuni anni di galera presso un manicomio criminale, per essere assassinato
qualche mese dopo la sua scarcerazione.
Già, matto o non matto, la mafia sapeva che aveva detto la verità.
Siamo nel 1973.
Il Vitale qualche problema mentale ce l'aveva sul serio; probabilmente
molti mafiosi hanno qualche cosa di mentalmente poco sano, sia per l'efferatezza
e la crudeltà delle loro azioni, sia per dover ubbidire ad ordini
o indicazioni o logiche, come se fossero degli automi. Un pò come la
follia che aveva invaso la Germania nazista: molti normalissimi tedeschi si
erano trasformati in aguzzini, non solo degli ebrei o di popolazioni da soggiogare,
ma dei loro stessi concittadini, poichè la "pulizia" colpiva i bambini
non sani, gli anziani, la gente poco produttiva o semplicemente chi dissentiva
dalla logica di turno.
Siamo in contesti apparentemente diversi, tuttavia vi è una sorta
di follia in entrambi i casi, che non possono essere ridotti "atti di guerra
voluti da Hitler", o "volontà di fare soldi ad opera di alcuni boss".
Le dichirazioni del Vitale troveranno conferma nei riscontri dei pentiti
negli anni successivi e delle stesse indagini.
Carlo Alberto Dalla Chiesa fu assassinato a Palermo: era giunto nella
cittadina in qualità di prefetto. Nel suo diario, si confida con
Doretta, la moglie morta tempo addietro. Anche Dalla Chiesa fu trattato
alla stregua di un visionario, per aver individuato, ad esempio, la presenza
di mafia a Catania. Oggi nessuno si sconvolgerebbe più per tale affermazione.
Dalle parole di Leonardo Vitale:
“Io sono stato preso in giro dalla vita, dal male che mi è piovuto
sin da bambino. Poi è venuta la mafia, con le sue falsi leggi, con
i suoi falsi ideli: combattere i ladri, aiutare i deboli e, però,
uccidere; pazzi! I Beati Paoli, Coriolano della Foresta, la massoneria,
la Giovane Italia, la camorra napoletana e calabrese, cosa nostra mi hanno
aperto gli occhi su un mondo fatto di delitti e di tutto quanto c’è
di peggio perché si vive lontano da Dio e dalle leggi divine”(FOT
455240);
“Bisogna essere mafiosi per avere successo. Questo mi hanno insegnato
ed io ho obbedito” (FOT 455240);
“La mia colpa è di essere nato, di essere vissuto in una famiglia
di tradizioni mafiose, e di essere vissuto in una società dove tutti
sono mafiosi e per questo rispettati, mentre quelli che non lo sono vengono
disprezzati” (FOT 455241).
“(i mafiosi) sono solo dei delinquenti e della peggior specie” (FOT 455243).
“Coloro che li rispettano e li proteggono e che si lasciano corrompere
o, peggio ancora, si servono di essi, (hanno dimenticato Dio)” (FOT 455243)
“Si diventa uomini d’onore (seguendo i comandamenti di Dio) e non uccidendo
e rubando ed incutendo paura (FOT 455243).
“La mafia in sé stesa è il male; un male che non dà
scampo per colui che viene preso in questa morsa (FOT 455244).
“Il mafioso non ha via di scelta perché mafioso non si nasce ma
ci si diventa, glielo fanno diventare (FOT 452244).
“La mafia è delinquenza ed i mafiosi non vanno rispettati o ossequiati
perché sono mafiosi o perché uomini ricchi e potenti (FOT
4552245).
"Seminfermità mentale=male psichico; mafia=male sociale; mafia
e politica = male sociale; autorità corrotte = male sociale; prostituzione
= male sociale, sifilide, creste di gallo etc. = male fisico che si ripercuote
nella psiche ammalata fin da bambino; crisi religiose = male psichico derivato
da questi mali. Questi sono i mali di cui sono rimasto vittima, io, Vitale
Leonardo, risorto nella fede del vero Dio."
Dal diario del prefetto di Palermo Carlo
Alberto Dalla Chiesa
6 Aprile 1982
"6 Aprile. Dunque nella giornata di venerdì e fino ad ora tarda
si sono succedute telefonate di rallegramenti ed auguri… Insomma tantissimi.
Poi ieri anche l’on Andreotti mi ha chiesto di andare e naturalmente, date
le sue presenze elettorali in Sicilia, si è manifestato per via
indiretta interessato al problema. Sono stato molto chiaro e gli ho dato
però la certezza che non avrò riguardi per quella parte di
elettorato alla quale attingono i suoi grandi elettori. Sono convinto che
la mancata conoscenza del fenomeno, anche se mi ha voluto ricordare il suo
lontano intervento per chiarire la posizione di Messeri a Partitico, lo
ha condotto e lo conduce ad errori di valutazione di uomini e di circostanze.
Il fatto di raccontarmi che, intorno al fatto Sindona, un certo Inzerillo
morto in America, è giunto in Italia in una bara e con un biglietto
da 10 dollari in bocca, depone nel senso (trattasi di Pietro Inzerillo,
fratello di Salvatore, di cui si è già parlato. N.d.r.) Prevale
ancora il folclore e non se ne comprendono i messaggi " (Fot 100931).
30 aprile 1982
“30 Aprile. Purtroppo, tesoro mio, come spesso è accaduto, ogni
cosa è saltata, le circostanze mi hanno travolto ed il uo Carlo,
dalla pioggerellina che cadeva su Pastrengo è stato catapultato all’improvviso
dapprima a Roma presso il presidente del consiglio e quindi a Palermo per
assumervi nello stesso pomeriggio l’incarico di prefetto. Ti rendi conto,
cocca mia, cos’è accaduto in me, dentro di me e quali reazioni ne
sono scaturite in un’atmosfera surriscaldata da un evento gravissimo: l’uccisione,
in piena Palermo, del segretario regionale del P.C.I., Pio la Torre? L’Italia
è stata scossa dall’episodio specie alla vigilia del Congresso di
una D.C. che su Palermo vive con l’espressione peggiore del suo attivismo
mafioso, oltre che di potere politico. Ed io che sono certamente il depositario
più informato di tutte le vicende di un passato non lontano, mi trovo
ad essere richiesto di un compito davvero improbo, e, perché no, anche
pericoloso.
Promesse, garanzie, sostegni, sono tutte cose che lasciano e lasceranno
il tempo che trovano.
La verità è che in poche ore (5-6) sono stato catapultato
da una cerimonia a me cara, che avrebbe dovuto costituire un sigillo alla
mia lunga carriera nell’Arma, in un ambiente infido, ricco di un mistero
e di una lotta che possono anche esaltarmi, ma senza nessuno intorno, e
senza l’aiuto di una persona amica, senza il conforto di avere alle spalle
una famiglia come era già stato all’epoca della lotta al terrorismo,
quando con me era tutta l’Arma.
Mi sono trovato d’un tratto in … casa d’altri ed in un ambiente che da
un alto attende dal tuo Carlo i miracoli e dall’altro che va maledicendo
la mia destinazione ed il mio arrivo. Mi sono trovato cioè al centro
di una pubblica opinione che ad ampio raggio mi ha dato l’ossigeno della
sua stima e di uno Stato che affida la tranquillità della sua esistenza
non già alla volontà di combattere e debellare la mafia ed
una politica mafiosa, ma all’uso ed allo sfruttamento del mio nome per tacitare
l’irritazione dei partititi; che poi la mia opera possa divenire utile,
tutto è lasciato al mio entusiasmo di sempre, pronti a buttarmi al
vento non appena determinati interessi saranno o dovranno essere toccati
o compressi, pronti a lasciarmi solo nelle responsabilità che indubbiamente
deriveranno ed anche nei pericoli fisici che dovrò affrontare.
Si, tesoro mio, questa volta è una valutazione realistica e non
derivante da timori assurdi. Ricordi quando ci raggiunse in Prata la notizia
dell’uccisione del T. Col. Russo? … Oggi non sono certo colto né
da panico né da terrore, come già si sono fatti cogliere Tateo
e Panero sui quali davvero contavo, e non solo ai fini di “spalle coperte”.
Ma sono perfettamente consapevole che sarebbe suicidio il mio, qual’ora
non affrontassi il nuovo compito non tanto con scorta e staffetta ma con
l’intelligenza del caso e con un po’ … di fantasia.
Così come sono tuttavia certo che la mia Doretta mi proteggerà,
affinché possa fare ancora un po’ di bene per questa collettività
davvero e da troppi tradita. “
Dichiarazioni di Fernando, figlio di Dalla Chiesa.
"Nonostante le assicurazioni, mio padre, ad un certo punto, si accorse
che le promesse del Governo non erano state mantenute, per cui cercò
in tutti i modi di ottenere quei poteri di coordinamento necessari per
impostare una seria lotta alla mafia: cercò, all’uopo, di contattare
tutti gli esponenti politici di rilievo, ottenendo solo assicurazioni non
seguite dalla concessione dei poteri. Mio padre, in proposito, mi espresse
il suo convincimento che gli esponenti locali della DC facevano pressioni
perché non gli venissero concessi quei poteri indispensabili per
la lotta alla mafia. Mi disse, in particolare, che fieri oppositori alla
concessione di tali poteri erano gli andreottiani, i fanfaniani e parte
della sinistra dc.
Soggiunse che tale opposizione era dovuta al fatto che “vi erano dentro
fino al collo”, ma non ricordo se si riferisse a tutte le predette correnti
della DC o solo ad alcune. Fra gli esponenti politici che ad avviso di mio
padre, erano maggiormente compromessi con la mafia, egli mi fece i
nomi di Vito Ciancimino e di Salvo Lima; del resto, tale suo convincimento
egli lo aveva già espresso alla Commissione Antimafia. Mi disse che,
della sinistra dc, il più freddo nei suoi confronti era il ministro
Martora… "
Torna alla pagina iniziale