«Non porgiamo l’altra guancia, l’autodifesa è un dovere»
Intervista all'Arcivescovo Mons. V. De Paolis, segretario del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica
«Di fronte alla minaccia del fanatismo islamico, l’Occidente non chiuda gli occhi». «Il rischio è che i musulmani dialoghino finché in Occidente sono minoranza. Poi che ne sarà dei valori cristiani? Deve esserci reciprocità: invece è diventato un tabù porre la questione».
«Basta continuare a porgere l’altra guancia, l’autodifesa è un dovere. Di fronte alla minaccia del fanatismo islamico, l’Occidente chiude gli occhi come fece con Hitler». A lanciare il monito è il vescovo Velasio De Paolis, teologo dell’ex Sant’Ufficio al fianco di Joseph Ratzinger, oggi segretario del supremo tribunale della Segnatura Apostolica (la Cassazione vaticana), decano della facoltà di diritto canonico della Pontificia Università Urbaniana e voce autorevole della Curia. «L’Islam non ha alla base nessuna filosofia né teologia, si è diffuso con la spada e con la spada continua a far paura», mette in guardia il giurista della Santa Sede. A che punto è il dialogo con i musulmani?
«Il vero problema è che non si sa con chi parlare né quanto i nostri interlocutori ufficiali siano rappresentativi del mondo islamico. L’Islam non ha una separazione fra sfera religiosa e civile. Se si fa satira sulla Chiesa e sul Vangelo nessuno protesta. Per i musulmani, invece, la religione si identifica con il potere politico. Abbiamo a che fare con teocrazie, un po’ come per altri versi ci accade con Isreale. E resta il dubbio se leader “laici” come Gheddafi si siano piegati all’Islam per non perdere il trono e ora debbano guardarsi dall’Islam che vuole defenestrarli». In questo quadro, la Chiesa che fa, porge l’altra guancia?
«Attenti all’equivoco. Guai se porgere l’altra guancia significa rinunciare a essere se stessi. Quando lo schiaffeggiano davanti al sinedrio, Gesù non dice di colpirlo sull’altra guancia, ma ne chiede conto. “Se ho parlato male, dimostramelo, se ho parlato bene perché mi percuoti?”. L’autodifesa è doverosa.Il primo dovere che abbiamo come cristiani è testimoniare la verità, siamo venuti al mondo per questo. Certo che la verità non si impone con la forza, né con l’offesa dell’altro. Ma se rispettare l’altro significa rinunciare a se stessi, non ha più senso dialogare». Perché?
«Innanzi tutto perché a dialogare bisogna essere in due. Il dialogo, per non essere vuota retorica, deve smettere di essere un’iniziativa unilaterale. Due persone si pongono distinte l’una di fronte all’altra, riconoscendosi diverse e con una propria dignità Chi dialoga prima di tutto è chiamato a presentare se stesso: io sono cristiano, tu sei musulmano. L’errore è mettere tra parentesi ciò in cui si crede in base al pretesto di rispettare l’interlocutore. Finora si è parlato solo dei punti che ci uniscono ma tacere le differenze ha un effetto rovinoso. Per la Chiesa e per la società. Il rischio è che i musulmani dialoghino finché in Occidente sono minoranza. Poi che ne sarà dei valori cristiani? Deve esserci reciprocità: invece è diventato un tabù porre la questione. L’Europa non crede più a niente e l’assenza di valori è mascherata dalla retorica della tolleranza e del dialogo a tutti i costi». Si riferisce al caso Calderoli?
«L’ex ministro non sarà uno stinco di santo, però in questa bufera si è persa la testa scivolando negli insulti. Tutto è diventato subito una questione politica e non si è stati capaci di focalizzare il problema reale. Anzi, a parlare di queste cose si rischia la galera e l’anomalia sta proprio qui. La Chiesa, che è sempre depositaria della verità, non ha paura del dialogo: più si approfondisce, più diminuiscono le distanze e meglio è per noi. Chi teme la verità non dialoga e si impone con la forza. In ogni modo, dove sta scritto che in nome della libertà di satira si può infanagare ciò che milioni di persone hanno di più intimo?». Deluso dal dialogo?
«È più di mezzo secolo che l’Occidente ha relazioni con i Paesi arabi, soprattutto per il petrolio, e non è stato capace di ottenere la minima concessione sui diritti umani. Il limite dell’Occidente sta proprio qui. Parla sempre di valori, ma poi ha bisogno del commercio con la Cina e del petrolio islamico, perciò chiude gli occhi sulle sistematiche violazioni, come già fece con Hitler. Non è che per la Chiesa il dialogo interreligioso non abbia fatto passi avanti. L’intoppo è che l’Islam è chiuso al punto da non ammettere reciprocità. La scorsa Pasqua, in visita nella “moderata” Tunisia, ho dovuto dire Messa in casa senza poter esporre segni cristiani all’esterno. In terra d’Islam appena la Chiesa presenta se stessa nella sua autenticità scatta subito l’accusa di proselitismo. Io discuto con rispetto, ma il mio obiettivo è convincere l’altro che la mia dottrina è vera. Se non si può fare neppure questo, ognuno rimane chiuso nella sua fede e ci trastulliamo con una parvenza di dialogo». Quali sono gli ostacoli?
«La Chiesa ha i suoi organi che parlano in modo ufficiale, l’Islam no e ognuno si sente legittimato a dirsi rappresentativo dell’intera comunità islamica. E mentre mancano autentici referenti, se un musulmano si converte deve diventare rifugiato politico e nascondersi per sfuggire alla morte. Che razza di dialogo è se si evita di affrontare questi macigni che ci dividono e si enfatizzano solo i punti che abbiamo in comune?».
«Di fronte alla minaccia del fanatismo islamico, l’Occidente chiude gli occhi come fece con Hitler. Il dialogo, per non essere vuota retorica, deve smettere di essere un’iniziativa unilaterale»