Egitto: chi vuole “interpretare” il Corano viene processato. L’esempio del professore Abù Zayad
Nasr Hâmid Abû Zayd, già professore di letteratura araba all’università del Cairo, è da tempo rifugiato in Olanda a causa delle sue critiche all’interpretazione letterale del Corano. Accusato di apostasia, si è visto annullare il proprio matrimonio e per ragioni di sicurezza ha dovuto lasciare l’Egitto. Ha recentemente scritto un libro, “Una vita con l’Islam”, edito in Italia dal Mulino, di cui ne riportiamo alcuni pezzi.
“Oggi alla base di tutte le
interpretazioni teologiche,
politiche o scientifiche
del Corano sta il concetto
di testo coranico proprio dell’ortodossia.
Metterlo in discussione
è un tabù. Il nostro moderno
discorso religioso è caratterizzato
dal predominio della teologia
ortodossa, dalla strumentalizzazione
politica del Corano,
da parole solenni e millantatorie
sull’Islam e sulla sua Rivelazione,
proferite sullo sfondo
di un mondo islamico politicamente
e culturalmente indebolito.
Mi chiedo perché il mondo
islamico non dia un contributo
maggiore alla ricerca scientifica
mondiale.
Il discorso religioso risponde
semplicisticamente che il punto
di riferimento della scienza islamica
è il Corano. Ma queste
parole sono un mero guscio retorico
per nascondere l’evidente
superiorità dell’Occidente,
…..
Chi cerca di studiare i motivi per
cui non esiste una moderna teoria
dell’interpretazione [del Corano] rischia
di ritrovarsi davanti a un tribunale,
o addirittura di essere minacciato
di morte e di essere
giustiziato.
……..
Nella mia facoltà si insegnavano
poesia, filosofia, storia,
islamistica. Molti studenti rifiutavano
ogni novità: non accettavano
la discussione, la ripudiavano.
E questo non succedeva
solo nel corso di islamistica, né
soltanto in riferimento al Corano
o agli hadîth. Lo stesso accadeva
nelle lezioni di poesia.
Abbiamo una tipologia di studenti
universitari programmata
per pensare solo in una dimensione:
quella delle cose permesse
o vietate. Se durante una
lezione accennavo a una poesia
d’amore poteva accadere che
una diciottenne si alzasse per
dire che nell’Islam le poesie
d’amore erano proibite. In che
situazione mi trovavo? Invece
di assolvere al mio compito e
quindi discutere della struttura
e del contenuto di una poesia,
dovevo trovarne il titolo di legittimità
all’interno dell’Islam.
……
Nei mesi di aprile e maggio
1993 mi trovavo in Tunisia per
una serie di conferenze. Durante
il soggiorno un amico tunisino
mi raccontò che il giornale
palestinese «al-Quds al-’Arabî» aveva diffuso la notizia di
un’istanza avanzata da alcune
persone per l’annullamento del
mio matrimonio con Ibtihâl,
motivata dal fatto che ero accusato
di apostasia. Non ci credetti
e gli risposi che non era possibile.
Non riuscivo a pensare che in
Egitto, o in qualunque altro Paese
del mondo, potesse accadere
una cosa simile: l’annullamento
di un matrimonio contro
la volontà dei due coniugi, motivato
per di più dalla presunta
rinuncia alla propria fede del
marito.
Quando in maggio ritornai in
Egitto, leggemmo nello stesso
giornale che l’udienza in cui sarebbe
stata discussa
l’istanza
di divorzio
era stata rinviata
fino a che i
due a c c u s a t i
non ne avessero
ricevuto notif
i c a .
Allora ci informammo e scoprimmo
che effettivamente era
in corso un procedimento
legale.
Era già stata
persino fissata
un’udienza i l
12 maggio; era
stata quindi rinviata
per l’assenza
dei due
imputati, ma a
noi non era arrivata
alcuna convocazione. Non
riuscivamo ancora a prendere
sul serio l’accusa. Pensavamo
che una volta in tribunale tutto
si sarebbe risolto in un nulla di
fatto. Tutti gli avvocati con cui
parlavamo erano della stessa
opinione: un divorzio coatto
era impossibile, inimmaginabile,
ridicolo.
Il 14 giugno 1995 mi hanno
divorziato da mia moglie Ibtihâl, e le settimane
successive alla sentenza
sono state molto movimentate.
Già dall’inizio del processo mi
era stata assegnata una guardia
del corpo, ma questa era una
cosa ancora sopportabile. C’era
soltanto un poliziotto seduto davanti
alla porta di casa nostra,
ma dal giorno della sentenza si
trasformò in una scorta. Uno
squadrone sorvegliava la casa,
la circondava da tutti i lati. Nessuno
poteva più entrarci senza
essere perquisito. Andò avanti
così per quaranta giorni, 24 ore
su 24, fino al momento della
nostra partenza.
In luglio dovetti tornare all’università
ancora una volta e
fu quell’esperienza a rafforzare
la mia decisione di lasciare
l’Egitto. Venni a sapere che
l’università era stata fatta sgomberare
di buon mattino; tutti gli
studenti e gli impiegati avevano
dovuto lasciare le aule. Furono fatti
sgomberare tutti gli edifici e
fatti perquisire dai cani addestrati
a scovare eventuali esplosivi.
Non eravamo ancora arrivati
quando davanti alla nostra
macchina apparve il blindato
della polizia che mi portò all’interno
dell’università. Una scorta
motorizzata ci precedeva. In
altre circostanze mi sarei forse
anche divertito a trovarmi trattato
come fossi il presidente.
Mia madre, fosse stata ancora
viva, avrebbe esclamato: «che
onore!».
Un generale della polizia mi
ricevette all’ingresso con un saluto
militare, me, figlio di gente
povera che ha sempre avuto
paura del gendarme di villaggio.
All’ingresso della facoltà
c’era uno di quei detector che
si vedono negli aeroporti. Stavo
già per passarci in mezzo
quando il generale mi disse che
era per il pubblico. Non riuscivo
ad abituarmi all’idea che tutta
questa polizia con le sue armi
e i suoi macchinari fosse lì
per proteggere proprio me.
Sulla strada di casa dissi a
mia moglie: «È finita. Dobbiamo
andare via». Lei che di solito
mi contraddice sempre, questa
volta disse soltanto: «Va
bene».
La concezione islamica
della "rivelazione", a differenza di
quanto avviene nel cristianesimo, vede il
Testo Sacro non come semplicemente
"ispirato" da Dio, ma da Lui letteralmente
"fatto scendere" sul profeta che
a sua volta lo trasmette ai credenti. Ne
deriva quindi che sottoporre a un’analisi
critica il Corano può sembrare un grave atto dissacratore. Si comprende
allora come mai il problema dell’interpretazione
del Corano sia sempre stata,
in ambito islamico, una questione delicatissima.
A causa di queste sue
posizioni, l’autore ha visto
intentare contro di sé
un processo per apostasia,
alla fine del quale è
stato giudicato colpevole
e ha quindi dovuto lasciare
il proprio Paese per
salvaguardare la sua incolumità
e l’unità della sua
stessa famiglia: alla moglie, infatti, se
fossero rimasti in Egitto e non essendo
egli più considerato musulmano, non sarebbe
stato permesso di rimanere legittimamente
sua consorte.