“Scontro fra civiltà? Siamo solo agli inizi”

11/7/2004

pubblichiamo una parte dell'intervista a Mons. Mazzolari, vescovo in Sudan, pubblicata su L'Espresso, che denuncia quanto sia grave la situazione in Sudan per i non musulmani e quanto sia pericoloso sottovalutare il pericolo Islam.

Intervista col Vescovo Cesare Mazzolari, di Stefano Lorenzetto

Mentre parla, il vescovo Cesare Mazzolari tiene gli occhi fissi sulla carta geografica del Sudan, la sua amatissima e tribolatissima patria adottiva. Una sola volta li alza, pieni di lacrime, per guardarmi. Ed è quando mi annuncia che morirà di morte violenta: "Si sta avvicinando il momento del martirio. Spero che il Signore ci dia la grazia di affrontare questo spargimento di sangue. C’è bisogno di purificazione. Molti cristiani saranno uccisi per la loro fede. Ma dal sangue dei martiri nascerà una nuova cristianità".

Monsignor Mazzolari, 67 anni, missionario comboniano originario di Brescia, vive tra i musulmani dal 1981. Li conosce bene.
Ha visto quello che hanno fatto a un anziano confratello dopo che avevano trovato una bottiglia di whisky mezza vuota dimenticata da un trasportatore in fondo a un container: "Cinquanta nerbate. A metà flagellazione, un fratello più giovane li ha supplicati: ‘Basta, i colpi rimanenti dateli a me’. Ma è stato inutile: hanno continuato sino alla fine".

Ha visto quello che hanno fatto a Joseph Santino Garang, un ragazzo cristiano ridotto in schiavitù, crocifisso perché una domenica s’era fermato a pregare e aveva perso un cammello: "Il padrone gli ha piantato i chiodi nelle mani, nei piedi e nelle ginocchia, versando acido sopra le ferite. Adesso è un povero gobbetto, sembra un poliomielitico. L’ho incontrato in un campo di ex deportati. Per farli tornare dal nord li hanno costretti a spingere i vagoni del treno".

Nel sud del Sudan s’è combattuta una guerra civile che, tra scontri e malattie, in vent’anni ha fatto dai due ai tre milioni di morti (per la stragrande maggioranza cristiani). Monsignor Mazzolari può ancora predicare il Vangelo perché opera in un territorio controllato dal Sudan People’s Liberation Army, SPLA, comandato da John Garang, un ribelle di religione protestante che lotta contro il governo islamico di Khartoum. La sua diocesi è lunga quanto l’Italia. I suoi 30 preti devono curare 350mila anime ciascuno. La sua cattedrale è una capponaia del diametro di 20 metri col tetto di zinco: "Così non possono bruciarmelo".

Il vescovo dorme in capanne coperte di frasche: "Me ne preparano una in ogni villaggio". È il buon pastore di un gregge nomade che vaga in cerca di acqua e di sorgo: "Uno sfollato su sei, nel mondo, è sudanese. C’è una drammatica disparità tra profughi e sfollati. Lo sfollato non ha nemmeno una pentola e deve continuamente spostarsi per sfuggire alla guerra, alle carestie, alle epidemie". Lui mangia due volte al giorno. I suoi fedeli due volte la settimana. "Con la differenza che io potrei mangiare carne mezzogiorno e sera", si vergogna. Invece tira avanti a fagioli, pane, tonno in scatola, pesce secco. Agli affamati la polenta deve prepararla sua eccellenza: "Sono talmente prostati dalla fame che non hanno neppure la forza di cucinare". Due volte al mese arrivano dal Kenya le verze, ma non sopravvivono più di un giorno ai 40-50 gradi di temperatura. Da adesso a ottobre dovrebbe essere stagione di piogge: "Speriamo che si riesca a coltivare qualcosa". Per il momento la sferza del sole promette solo siccità. Come l’anno scorso, e l’anno prima, e l’anno prima ancora.

Un gruppo di benefattori bresciani gli ha donato un telefono satellitare Thuraya per chiamare in Italia lo 030.2180654, il numero dell’associazione Cesar, che ha sede a Concesio, paese natale di Paolo VI. Si sorprende molto quando gli spiego che la Thuraya è una compagnia degli Emirati Arabi Uniti. Lui credeva che fosse svizzera. Temo che da oggi lo userà malvolentieri.

D. – Converte molti musulmani?

R. – "Assolutamente no. Avvicinare un islamico significherebbe condannarlo a morte. Chi si converte spontaneamente è poi costretto a fuggire. Ma viene raggiunto e punito anche a mille chilometri di distanza".

D. – E di cattolici che abbracciano l’islam ce ne sono?

R. – "Sì, purtroppo. Almeno tre milioni si sono trasferiti al nord spinti dalla fame e hanno dovuto pronunciare la shahada, la professione pubblica di fede, per avere un lavoro. I convertiti vengono marchiati a fuoco. Li timbrano su un fianco, come le mucche, per distinguerli dagli infedeli".

D. – Ha rapporti con le autorità islamiche di Khartoum?

R. – "Prima avevo il visto d’ingresso. Ora, se atterrassi nella capitale, finirei in galera. Direbbero che ho fomentato la rivolta, nonostante gli indipendentisti armati mi abbiano preso in ostaggio e poi espulso per sei mesi perché avevo dichiarato che rubavano il 60 per cento degli aiuti internazionali destinati agli affamati. Se voglio tornare in Italia devo raggiungere via terra il Kenya e imbarcarmi da Nairobi".

D. – Il Dio dei cristiani è l’Allah dei musulmani?

R. – "Nooo! E il concetto di Trinità dove lo mettiamo? Il più grande dei loro profeti non è certo Cristo".

D. – Un musulmano che si comporta bene finirà nello stesso paradiso dove andrà lei ?

R. – "Sì, sono molto sicuro di questo. Dio non giudica come noi, che siamo di manica stretta. Ci sarà una moltitudine di creature, in paradiso, perché ciascuno vive secondo quello che il Signore mette nel suo cuore".

D. – Ha visto il video della decapitazione dell’ebreo americano Nick Berg?

R. – "No, ma l’ho sentito descrivere con una tale ricchezza di particolari che è come se l’avessi visto. Abbiamo superato il limite dell’umanità. Siamo tornati barbari".

D. – È ipotizzabile che un giorno si possa vedere un filmato in cui alcuni cristiani mozzano la testa a un uomo inneggiando a Gesù?

R. – "Dovrebbero essere matti che per caso un tempo erano cristiani".

D. – Anche la Chiesa, nei secoli bui, ha mandato al rogo dei poveri innocenti recitando giaculatorie.

R. – "Ha sbagliato. Giovanni Paolo II ha chiesto scusa per questo. Il libro della storia contiene nella pagina di sinistra i peccati degli uomini e in quella di destra il perdono di Dio".

D. – Esagera chi sta parlando di scontro fra civiltà a proposito di occidente e islam?

R. – "No. Siamo solo agli inizi. La Chiesa ha abbattuto il comunismo, ma sta appena percependo la sfida dell’islamismo, che è ben peggiore.
Il Santo Padre non ha potuto raccogliere questa sfida per motivi di età. Ma il prossimo papa si troverà ad affrontarla. E la via d’uscita non è che noi abbiamo ragione e loro torto. Ci vantiamo di una tradizione cristiana che non viviamo nei fatti. Il musulmano ha una costanza di pratica, di proselitismo superiore alla nostra. Già quando ti insegna a dire ‘sukran’, grazie, per lui è missionarietà, perché l’arabo è la lingua del Corano".

D. – Eppure suoi confratelli vescovi in Italia hanno concesso cappelle da adibire a moschee.

R. – "Saranno i musulmani a convertire noi, non il contrario. Ovunque s’insediano, prima o poi diventano una forza politica egemone. Gli italiani intendono l’accoglienza da bonaccioni. Presto si accorgeranno che i musulmani hanno abusato di questa bontà, facendo arrivare un numero di persone dieci volte più alto di quello che gli era stato concesso. Sono molto più furbi di noi. A me buttano giù le scuole e voi gli spalancate le porte delle chiese. Se uno è ladro, non gli dai una stanza dentro il tuo appartamento, perché presto o tardi non troverai più i mobili".

D. – Da una recente statistica risulta che solo il 20 per cento dei musulmani presenti in Italia rispetta i precetti del Corano, così come solo il 20 per cento dei cattolici va a messa tutte le domeniche. Insomma, sono musulmani per modo di dire.

R. – "Ma la cultura islamica rimane. La religione è solo una parte della loro civiltà. L’appartenenza alla umma, la comunità dei credenti musulmani, nessuno la cancella".

D. – Ha senso esportare la nostra democrazia in società agropastorali che non fanno alcuna distinzione fra politica e religione?

R. – "No. È da ignoranti. Gli islamici basano le loro decisioni solo ed esclusivamente sulla umma. I diritti dell’individuo non sanno neppure che cosa siano. È assurdo pretendere di inculcargli il primo emendamento della costituzione americana, nel quale è previsto che il congresso non potrà fare alcuna legge per proibire il libero culto, o per limitare la libertà di parola o di stampa. Non lo capiscono proprio".

D. – In Sudan vige la sharia integrale?

R. – "Il governo fondamentalista sostiene che la applicherà solo agli islamici. Che cosa capiterà a un imputato cristiano non si sa, visto che non esiste il diritto alla difesa legale".

D. – Roberto Hamza Piccardo, segretario dell’UCOII, Unione delle Comunità Islamiche in Italia, mi ha detto che in Sudan le flagellazioni sono simboliche, perché "il fustigatore tiene il Corano sotto il braccio, per alleggerire i colpi dello scudiscio".

R. – "Ho conosciuto questo signore. Se lei lo sta ad ascoltare, gliene racconta altre mille di menzogne analoghe".

D. – Però anche san Benedetto prevedeva la fustigazione per "i malvagi, gli ostinati, i superbi e i disobbedienti".

R. – "Non è diventato santo per questo, ma nonostante questo. Sono le piccolezze dei grandi uomini".

D. – Mi ha detto Piccardo che alcuni pezzi di sharia applicati in Sudan, come il taglio della mano, rappresentano "rarissime malvagità di boss locali che vessano la povera gente".

R. – "Non è vero. È lo stato che più applica la legge coranica, che taglia mani e piedi pure ai non musulmani, e che arresta senza prove".

D. – Piccardo mi ha anche detto che il leader islamista sudanese Hassan Al Turabi, "giurista insigne", è contrario all’applicazione della pena capitale agli apostati, cioè ai musulmani che passano con gli infedeli, come invece prescriverebbe il Corano.

R. – "Al Turabi è la persona più scaltra di questo mondo. È intelligentissimo, è avvocato, parla l’inglese meglio degli inglesi e il francese meglio dei francesi. Ha una lingua biforcuta. Ci metterà sempre nel sacco. Le faccio un esempio concreto. Nella versione in lingua inglese della costituzione sudanese si afferma che la religione di stato è l’islam e che gli altri culti sono tollerati. Nella versione in lingua araba però non v’è traccia di questa garanzia".

D. – Però nel novembre scorso Al Turabi è andato a complimentarsi con Gabriel Zubeir Wako, arcivescovo di Khartoum, primo cardinale sudanese, fresco di porpora. Anche lei sta da 23 anni in Sudan e nessuno le ha mai torto un capello.

R. – "Dovrebbe osservare anche i capelli che sono diventati bianchi. La punizione più grande che l’arabo sa infliggere è l’oppressione, il senso di falsità. Se può ingannarti, lo fa con tutto il cuore. Si vanta della sua capacità di imbrogliarti, dargli del bugiardo è fargli un complimento. Uno come Bush, Al Turabi lo mena per il naso dove e quando vuole, per non dire di peggio. Io, piuttosto che essere deriso e fatto fesso, preferisco prendere uno schiaffo. I musulmani ti incutono paura, ti tengono in uno stato permanente di insicurezza. È un’afflizione psichica continua, peggio di una tortura".

D. – Esiste lo schiavismo in Sudan?

R. – "Loro giurano di no. Sono andati a dirlo anche a Ginevra, all’Onu. Eppure le mie missioni sono piene di ex schiavi. Nel ’90 ne ho riscattati personalmente 150, pagandoli meno di un cane di razza: 50 dollari le femmine, 100 i maschi. Poi non l’ho più fatto, perché mi sono accorto che poteva diventare un circolo vizioso. Li usano come pastori oppure li mandano a servizio dalle famiglie arabe benestanti di Khartoum. Li obbligano a frequentare le scuole coraniche".

D. – Perché s’è fatto missionario?

R. – "Forse perché vedevo mio padre, un ortolano, portare la minestra ai carcerati. Non ho mai pensato di fare altro. A 8 anni ero chierichetto nel santuario del Sacro Cuore a Brescia, retto dai padri comboniani. A 9 sono andato a visitare il loro seminario di Crema. A 10 ci sono entrato".

D. – Ha paura?

R. – "Non farei il mestiere che faccio se ne avessi. Con la paura non si sopravvive. Quando mi accorgo che un mio sacerdote ha paura, lo tolgo dalla missione. È una malattia contagiosa. Il giorno che diventassi pauroso, prego Dio di prendermi".

D. – Tornerà mai in Italia?

R. – "La mia patria è il Sudan. Ho promesso ai miei fedeli che non li abbandonerò neanche da morto. Loro sanno già dove mi devono seppellire".

D. – Crede che cristiani e musulmani potranno mai vivere in pace fra loro?

R. – "Il rispetto verrà dopo che ci saremo conosciuti. Per il momento condividiamo solo la terra che calpestiamo".

D. – C’è qualcosa che i miei lettori e io possiamo fare per lei, padre?

R. – "Pregate tanto".

D. – Solo questo?

R. – "Non dimenticateci".

D. – Non la dimenticherò.

R. – "Lo farà. I poveri si dimenticano in fretta".
tratto dall’Espresso  

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