NEI PAESI MUSULMANI AUMENTANO LE PERSECUZIONI CONTRO I CRISTIANI
Dove l’avversione esplicita alla fede cristiana miete il numero maggiore di vittime è nei paesi a maggioranza musulmana, come prova anche un recente volume del libanese Camille Eid, “A morte nel nome di Allah”. L’11 settembre e le guerre in Afghanistan e Iraq hanno, in alcuni contesti, complicato ulteriormente le cose: l’estremismo religioso si è mescolato con un odio anti-occidentale che ha portato a individuare nel cristiano un nemico ipso facto.
Qualche esempio. Ai primi di giugno l’agenzia “Asia News” dava notizia di una campagna in favore di Brian Savio O’Connor, cattolico indiano rapito sei mesi fa dalla Muttawa, la polizia religiosa saudita, mentre si trovava in una strada di Riad. Condotto in una moschea, è stato torturato e picchiato, quindi incarcerato a Riad. Conosciuto come un cittadino esemplare O’Connor è stato accusato di far uso di droga, di aver venduto liquori e – soprattutto – di aver predicato Gesù Cristo. Ma pare certo che le accuse di droga siano state inventate dalla polizia e che O’Connor sia stato invece minacciato di morte se non abiurava la sua fede.
Il 24 maggio scorso un giovane cattolico, Samuel Masih, è morto all’ospedale di Lahore, per mano di un poliziotto addetto alla sorveglianza. In prigione era finito per presunto oltraggio alla religione islamica. In realtà, al momento del suo arresto nell’agosto 2003 Samuel stava svolgendo il suo lavoro: pulire un giardino. Aveva ammucchiato dell’immondizia nei pressi del muro di una moschea, pensando di prenderla in un secondo tempo e bruciarla. Ma il suo atto è stato considerato blasfemo: il muezzin di Lahore lo ha picchiato a sangue prima di consegnarlo alla polizia. L’assassinio di Samuel Masih è l’ultimo di una serie di violenze di musulmani contro cristiani: una serie di cui , in Pakistan, non si intravede la fine. Sempre nel maggio scorso un altro giovane, Javed Anjum, è morto per le torture infertigli da militanti islamici. Leader cristiani sono stati minacciati di morte a Quetta e un pastore protestante, Wilson Fazal, è stato rapito e torturato.
Se il Pakistan è oggi uno degli scenari più problematici per i cristiani, tra le situazioni critiche va segnalata l’isola di Mindanao, nelle Filippine, dove la popolazione, contrariamente al resto del paese, è in maggioranza musulmana: nel 1997 venne ucciso il vescovo di Jolo, Benjamin de Jesus, e di recente si sono state minacce di morte contro missionari cattolici.
Anche in Indonesia negli ultimi anni si sono registrate forti tensioni, specie nelle Molucche: a farne le spese sono stati in più occasioni cristiani di varie denominazioni.
In Medio Oriente, Chiese di antichissima tradizione (risalente addirittura all’epoca apostolica) vivono oggi una difficilissima condizione, sottoposte come sono a pesantissime restrizioni della libertà e non di rado a violenze.
La parola martirio è di tremenda attualità anche in Sudan, come ha recentemente denunciato il vescovo di Rumbek, Cesare Mazzolari, missionario comboniano.
Passiamo all’Egitto. La vulgata geopolitica lo considera paese “moderato”, eppure non è certo un luogo dove ai cristiani sia permesso esercitare pienamente il loro diritto alla libertà religiosa. Come ha detto a “Mondo e Missione” in un’intervista recente il patriarca copto cattolico Stephanos II Ghattas, i cristiani sono di fatto cittadini di serie B. E la conferma è che qualche mese fa sono state arrestate 22 persone semplicemente colpevoli di essersi convertite al cristianesimo.