“L’Islam: per nulla religione di pace, ma una religione di guerra”
Riportiamo alcuni significativi passaggi della conferenza che il celebre storico tedesco Ernst Nolte ha tenuto nella due giorni di conferenze e dibattiti dal titolo “Islam e Occidente: guerra o pace?” organizzata dal Cidas (Centro Italiano Documentazione Azione Studi) presso l’Unione Industriale di Torino le mattine del 6 e del 7 novembre. Le ragioni dell’ostilità all’ingresso della Turchia nell’Unione Europea da Tempi.it del 9/11/04
L’Islam: per nulla religione di pace, ma una religione di guerra
(…) L’islam, diversamente dal cristianesimo e anche dal giudaismo rabbinico, era venuto al mondo come una religione di guerrieri: Maometto non era soltanto, come Gesù, un annunciatore del futuro “Regno di Dio”, ma era stato nell’ultimo decennio della sua vita un uomo di Stato e un condottiero. A partire da Medina aveva già portato, in buona parte con le armi, molte delle etnie della penisola arabica alla fede in Allah, il Dio unico, e quindi al superamento dei loro dissidi sotto il segno dell’islam, la fede comune. Dopo la sua morte, nel giro di pochi decenni, nel 632 d.C., i suoi successori soggiogarono grandi parti della “mezzaluna fertile”, annientarono la cultura cristiana del posto e fecero dei cristiani e degli ebrei dei “protetti”, dei “dhimmi”. Ad essi veniva concessa una tolleranza molto limitata in cambio di una tassa pro capite, mentre tutti i pagani, secondo le prescrizioni del profeta, dovevano essere uccisi. Anzi, una delle prime azioni politiche di Maometto era stata una sorta di “genocidio”, cioè a dire l’uccisone a Medina di tutti gli uomini della dinastia giudaica dei “Qurayzah” che non erano pronti alla conversione. Fra le dichiarazioni attribuite al Profeta si trovano, nel corpus della raccolta dei cosiddetti “hadith”, frasi come queste: «Il Paradiso sta all’ombra della spada» e «le spade sono la chiave del Paradiso». Sotto l’impressione delle promesse del paradiso e delle numerose minacce infernali del Corano, che la dottrina più tarda ritiene essere la rivelazione “increata” e immutabile, che è stata comunicata all’ “inviato di Allah”, questi guerrieri della fede divisero il mondo in due parti. La prima assorbirà sempre più l’altra nel “Dar-al-islam”, il Regno della pace dei fedeli nell’islam, o la spingerà nel “Dar-al-harb”, il Regno della guerra degli infedeli, nella quale venne condotta la guerra contro gli infedeli e nella quale questi infedeli si combattono tra di loro. Alla fine della storia sarebbe nato lo “Stato mondiale” islamico, che avrebbe legato tutta l’umanità secondo il modello dell’unità di Allah in un’unità al di là delle razze e dei popoli. E così l’islam nel suo rapporto con il mondo esterno è l’immagine di un nemico di carattere monumentale e di suprema vitalità. Tuttavia l’islam creò il suo impero mondiale, che già prima della fine del settimo secolo giungeva fino ai confini dell’India, nient’affatto soltanto “con il fuoco e con la spada”. Esso si appropriò di una gran parte della cultura cristiana dei paesi del Medio Oriente, sviluppò linee forti del pensiero greco, soprattutto di Aristotele e le comunicò a partire dall’ottavo secolo, non da ultimo attraverso la Spagna conquistata, all’Occidente cristiano che non potè misurarsi per lungo tempo con lo splendore e la forza della cultura islamica. Si trattava dunque, nella gigantesca regione che sta tra Gibilterra e l’India, di un impero mondiale, plasmato dalla religione, nonostante tutte le lotte di successione e i dissidi che presto cominciarono, e i suoi abitanti musulmani si gettavano per terra cento volte al giorno davanti ad Allah ed erano penetrati dal sentimento del carattere unitario della “umma”, la comunità di tutti. In effetti l’islam tra tutte le religioni universali poteva più di tutte vantare la pretesa di diventare la “religione dell’umanità”, poiché esso era nelle sue prescrizioni e nei suoi dogmi la più semplice e la più comprensibile di tutte le religioni. Esso era infatti ben lontano dalla religione misterica del cristianesimo che sfida i dubbi ed era contrapposto anche al giudaismo nel suo universalismo genuino. Vi erano dunque ragioni serie per la certezza del futuro dei musulmani, esattamente come più tardi vi furono buoni e, per molti uomini, seducenti motivi per la fede nel futuro dei marxisti e dei comunisti. Oggi, in effetti, si potrebbe rovesciare la nota tesi di Jules Monnerot secondo cui il comunismo sarebbe l’islam del XX secolo e sostituirla con l’altra, per cui l’islam sarebbe il comunismo del XXI secolo. Comunque sia, dal punto di vista della fede, della forza persuasiva e della volontà di lotta nessuna ideologia della modernità può essere così ben confrontata con l’islam come il comunismo mondiale sotto l’egida di Lenin e di Stalin. (…) Proprio l’ayatollah Khomeini, che in Iran aveva fondato per via rivoluzionaria certo non il primo, ma il più radicale Stato islamico, anche se “islamista” agli occhi dei suoi avversari, chiese, già prima della presa del potere, come un Maometto rinato, «l’annientamento pieno dell’occidentalismo» che aveva saccheggiato per un secolo il mondo islamico. Egli tuttavia, non evocò in prima linea il ricordo del comunismo, ma proprio quello di Mussolini e di Hitler che proprio ai loro inizi si erano sentiti pure altrettanto come i difensori di una forma di vita minacciata ed erano stati i propugnatori di un “attacco difensivo”. E così gli avversari di Khomeini poterono parlare con un certo diritto del “fascismo islamico”. (…)
No alla Turchia in Europa, per ragioni demografiche
Gli europei di oggi sembrano non essere capaci di prendere la decisione corrispondente ed adeguata: l’idea di un’entrata della Turchia non può essere presa nemmeno in considerazione, finché il tasso di fecondità delle donne turche non si sia almeno avvicinato a quello generalmente europeo. Non appena proprio nell’“uomo della strada” si consolida l’impressione che il suo paese stia per essere conquistato da un altro popolo per vie apparentemente pacifiche, sarà poi troppo tardi evitare a quel punto la più dura di tutte le lotte di classe, quella fra nazioni diverse e molto differenti nello stesso paese e quindi impedire lo sviluppo di condizioni analoghe alla guerra civile.