Islam e terrorismo, il nesso che i governi non vedono
Violenza e terrorismo non sono espressione di strane nevrosi, ma di un credo, l’islam. Religione che fa delle chiamate nelle moschee un comandamento, e dell’omicidio un gesto di evangelizzazione. Uno studio austriaco mette nero su bianco proclami e tendenze. Ma i capi di governo fanno finta di non vederlo.
Lanuovabq.it del 07/03/2018
I leader occidentali hanno sempre insistito circa l’impossibilità di collegare il terrorismo islamista all’islam. Non c’è stato attentato o aggressione in nome di Allah che i vari capi di Stato non abbiano additato come qualcosa che “non ha niente a che fare con la fede musulmana”. Da Hollande a Macron, passando anche per la May, nessuno ci ha mai risparmiato “l’islam religione di pace”.
E poco male se una recluta dell’Isis, Mohamad Jamal Khweis, arrestato dagli Usa, in un’intervista a Kurdistan24 dichiarò, cercando di essere il meno equivocabile possibile, “la nostra vita quotidiana era fondamentalmente preghiera, mangiare e conoscere la religione per circa otto ore”. È d’altronde un recente studio commissionato dal Ministero degli affari esteri austriaco e reso da un teologo islamico e professore di educazione religiosa islamica all’Università di Vienna, Ednan Aslan, a dimostrare il ruolo incredibile che l’islam gioca nella radicalizzazione dei giovani musulmani in Austria. E quindi nel resto dell’Occidente. Lo studio, in 310 pagine, dimostra come i jihadisti, non sono, come vuole la vulgata, dei matti, ignoranti, sospinti da fame e disperazioni. Caratteristica peculiare del jihadista, o, più in generale di chi uccide per sterminare gl’ ‘infedeli’, è infatti la profonda conoscenza dell’islam.
Ruolo chiave, nella nostra società, quindi, è rivestito dagli ambienti che gli vengono messi a disposizione. Che siano moschee o sale improvvisate di predicazione, è là che si formano i terroristi del futuro. Gli imam vengono addestrati per bene nei paesi arabi e poi spediti a casa dei ‘non musulmani’ perché l’oratoria sia capace di colpire al cuore, istruire e fare sempre più proseliti. Gli imam sono i missionari dell’islam e indossano il numero dieci nel processo di radicalizzazione.
Nel dicembre 2017, quattro imam - nelle grandi moschee della Carolina del Nord, del New Jersey e del Texas – hanno chiesto a gran voce d'incrementare l’uccisione e l’aggressione di ebrei, rivendicando l’importanza di un hadith che recita, “l’ultima ora non verrà a meno che i musulmani non combatteranno contro gli ebrei e i musulmani li uccideranno fino a che gli ebrei non si nasconderanno dietro una pietra o un albero che diranno: musulmano o servitore di Allah, c'è un ebreo dietro di me, vieni e uccidilo”.
È il Corano che ordina la morte dei cristiani, è il Corano che predicato con una perfetta oratoria fabbrica terroristi islamici, o assassini che dir si voglia. Il che spiega in maniera piuttosto lineare il rapporto tra crescita di popolazione islamica, per esempio in Francia, e antisemitismo sempre più feroce. Ma l’odio predicato contro i ‘non-musulmani’, in Occidente, non è un fenomeno recente. Si tratta di qualcosa iniziato alcuni decenni fa e che non ha alcuna eco mediatica. Specie se paragonato alla copertura dei media circa il razzismo o l’ondata "fascista" che si starebbe abbattendo sull’Europa.
Ad ogni modo da quando nel 1988, il mentore di Osama Bin Laden, Abdullah Azzam, visitò e predicò in Oklahoma che, “la Jihad è obbligatoria su di voi dovunque voi possiate esibirla. Perché la parola Jihad significa solo combattimento, combattere con la spada”, di acqua sotto ponti n'è passata e di sangue lungo le strade n'è stato versato. Da allora, infatti, i leader politici occidentali, si sono passati il testimone senza modificare nulla di quell’atteggiamento remissivo nei confronti dell’islam, anzi spesso lasciandolo quasi in eredità (salvo pochi casi specifici), però il numero di attentati e di morti è andato solo crescendo.
Negli anni '90, lo "Sceicco cieco", Omar Abdel-Rahman, svolgeva il ruolo di imam in ben tre moschee negli Stati Uniti. E i suoi sermoni erano noti per l’imperterrita condanna all’Occidente e degli americani, “discendenti di scimmie e maiali che si sono nutriti dai tavoli da pranzo dei sionisti e dei colonialisti”. Era l’imam che invitava più di tutti i musulmani ad assalire l'Occidente, “tagliare il trasporto dei loro paesi, distruggerli, distruggere la loro economia, bruciare le loro compagnie, eliminare i loro interessi, affondare le loro navi, abbattere i loro aerei, ucciderli per mare, aria, o terra”. Ma per capire meglio chi è stato Rahman va forse detto anche che è stato arrestato per aver cospirato l’attentato al World Trade Center del 1993 e per aver pianificato la più grande e diffusa “guerra di terrorismo urbano” negli Stati Uniti.
Eppure, se gli imam che importiamo erano addestrati anche per essere invitati a parlare ad eventi pubblici, come quando ad una manifestazione a Brooklyn nel 1998, fu detto, “Allah dice che chi equipaggia un guerriero della Jihad è come quello [che] fa Jihad stesso”, oggi preferiscono starsene in ambienti più raccolti. Il resto lo fanno i media per loro. Quest’estate, però, la chiamata all’uccisione di ebrei, da parte di due imam in California, è stata così violenta e feroce da costringe uno dei due a chiedere scusa con tanto di dichiarazione alla stampa.
Eppure è in Canada e in Europa che, in tempi recenti, le richieste di assassinare gli ebrei sono diventate sempre più comuni. Se a Montreal è dal 2014 che l’imam Sayed AlGhitawi predica e prega per la distruzione di tutti i non musulmani, a Copenaghen si passa ai fatti: un musulmano dopo aver ascoltato un sermone simile a quello dei predicatori americani, uscito dalla moschea ha assassinato una guardia ebraica di fronte alla sinagoga della città. Senza bisogno di pensarci su, insomma. In Texas, invece, il giorno dell’immacolata, l’imam di turno ha pregato e chiesto la distruzione di Israele. In Ontario, si predica in arabo anche a scuola, e guai al sindaco che osa dissentire.
Non si tratta di episodi isolati, semplicemente solo di quanto la stampa riesce a raccontare. E gli spazi sono davvero pochi. Violenza e terrorismo non sono espressione di strane nevrosi, ma di un credo – l’islam. Religione che fa delle chiamate nelle moschee un comandamento, e dell’omicidio un gesto di evangelizzazione.
Del resto le lobby musulmane, come il Cair, note per la continua condanna dell’islamofobia e dei suprematisti bianchi, tacciono dinanzi all’odio predicato contro cristiani, ebrei e occidentali.