“In gioventù mi è stato insegnato ad amare la morte”

In un articolo sulla rivista on-line Aafaq (www.aafaqmagazine.com ), lo scrittore riformista Mansour Al-Hadj, uno dei giornalisti della rivista, ha descritto l’educazione islamista che ha ricevuto in Arabia Saudita, basata sulla cultura della morte e sulla glorificazione dei martiri. Gli stessi messaggi, ha detto, venivano diffusi anche dalla propaganda islamista alla quale era stato esposto come studente universitario in Sudan.

Qui di seguito vengono presentati alcuni estratti del suo articolo:

tratto da Memri.org del 19/11/2009

"Dopo gli attacchi suicidi in due hotel della capitale indonesiana di Giakarta, un mio amico mi ha detto: ‘Credo che ci sia qualcosa di sbagliato nel mondo. Perché una persona dovrebbe farsi saltare in aria quando l’amore per la vita è un istinto umano naturale?’ Gli ho risposto: ‘L’amore per la vita è un istinto naturale, ma l’amore per la morte per amore di Allah è una credenza islamica attraverso la quale il credente si porta più vicino al Creatore della Vita.

"Nel crescere in Arabia saudita, non ho imparato ad amare la vita. Al contrario, ho imparato ad amare la morte come martire per amore di Allah. Mi è stato insegnato che amare la vita è caratteristico degli ipocriti [i.e. dei mussulmani non sinceri] e che coloro che proteggono le loro vite più fortemente sono gli infedeli, come dice il Corano. Ho anche imparato che chi non partecipa al jihad o non si prepara al jihad, muore da ipocrita, come viene detto negli hadith.

"Ho imparato che, se Allah avesse pensato che questo mondo vale quanto l’ala di una zanzara, non avrebbe permesso agli infedeli di bere neanche un sorso d’acqua, come è detto negli hadith. E mi è stato insegnato che questo mondo, che un giorno cesserà di esistere, è una prigione per il musulmano, che vuole uscirne, ed un paradiso per l’infedele, che vuole godere di ogni cosa che vi si trova dentro.

“Ho imparato dell’alto rango che Allah concede al martire, un rango così alto che il suo corpo non viene lavato dopo la morte e non si recitano preghiere per lui - per la ragione che il lavaggio significa la purificazione del cadavere, e la morte del martire in battaglia è di per se stesso un atto di purificazione.

"Sheikh Saleh bin Fawzan Al-Fawzan, membro della commissione saudita per la fatwa e del supremo consiglio giuridico, ha detto: ‘Uno shahid che muore in battaglia contro gli infedeli per diffondere la parola di Allah, non dovrebbe essere lavato, o avvolto con un sudario che non siano gli abiti con i quali sia stato ucciso, perché il sangue che lo ricopre è un segno di martirio e dovrebbe rimanere sul suo corpo e non essere tolto con il lavaggio. Quando si leverà in piedi nel Giorno della resurrezione, il sangue che cola dal suo corpo avrà la fragranza del muschio. Questo sangue è il risultato della sua obbedienza ad Allah e dovrebbe restare sul suo corpo perché è un segno della grazia di Allah. Per questa ragione non si deve recitare per lui la preghiera [per i morti], perché Allah lo ha onorato con il martirio e questo, immediatamente, lo pone ad un altissimo livello, poiché Allah ha detto che i martiri non sono morti “ma sono vivi e provvisti del sostegno del loro Signore [Corano, 3:169].""

"[In Arabia saudita], ci insegnavano anche che ogni martire ha sei privilegi. Primo, dopo il primissimo colpo, è assolto dai suoi peccati e può vedere il suo posto in Paradiso. Secondo, gli sono risparmiati i tormenti della tomba. Terzo, gli viene risparmiata la grande paura [del Giorno del Giudizio]. Quarto, gli viene messa sulla testa una corona d’onore ed ognuna delle pietre preziose vale quanto il mondo intero. Quinto, sposa 72 mogli appartenenti alle Vergini del Paradiso. Sesto, può intercedere per 70 dei suoi parenti, assicurando così loro il Paradiso dopo la morte.

"Quando ero giovane, mi piaceva ascoltare gli inni islamici, come il resto della mia generazione, perché a scuola e nella scuola coranica ci insegnavano che ascoltare canzoni non religiose era proibito e che coloro che le ascoltano e non si pentono saranno puniti da Allah con del piombo fuso dentro le orecchie. Questa minaccia veniva accompagnata da ogni sorta di storie raccontate dagli insegnanti e dai chierici.

“Per esempio ci spaventavano con la storia di un giovane che ascoltava musica non religiosa alla radio mentre stava guidando la macchina a velocità eccessiva. La macchina si è capovolta e lui stava morendo ed i paramedici sono arrivati e gli hanno chiesto di dire la shahada, ma, invece recitare la shahada, ha ripetuto le parole della canzone che stava ascoltando. Questa, imparavamo, era la prova della miserevole fine che aspetta chi commette il peccato di amare la musica.”

“La maggior parte degli inni parlano del jihad per amore di Allah, delle sofferenze dei mussulmani nel mondo, e dell’alto rango che Allah attribuisce al martire. Questi inni sono pieni di zelo militante, che suscitano emozioni e fervore nella gioventù e fanno sorgere il desiderio di unirsi ai ranghi del jihad per difendere l’Islam e portarne i vessilli… alcuni inni sono diretti alle madri e chiedono loro di accettare la morte dei loro figli ed essere orgogliosi della loro morte come martiri per amore di Allah.

"Questo è il testo di uno degli inni: ‘Non piangere e non avere rimpianti, oh madre dello shahid. Oggi i tuoi figli si sono uniti alla generazione della vittoria anticipata. Dillo a tutti: mio figlio ha dato la sua vita per il Signore. Mio figlio era un uomo orgoglioso e per lui la morte è vita. …

"Sono cresciuto odiando la vita. Più vicino mi sentivo ad Allah, più il mio amore per Allah cresceva, e più odiavo la vita e disprezzavo i peccatori - coloro che combattono contro Allah ed il suo Profeta con atti di disobbedienza, e coloro che non adorano Allah nella maniera giusta, che, naturalmente, credevo fosse la maniera sunnita.

“Mi è stato insegnato ad odiare i sufi per amore di Allah, perché sono persone che seguono delle ‘innovazioni proibite.’ Mi è stato insegnato che il credo degli sciiti è corrotto perché mostrano troppa riverenza per il quarto califfo, l’Imam Ali Ibn Abu Talib, e disprezzano i compagni del Profeta.

“Per quanto riguarda odiare gli infedeli ed I non-mussulmani, mi è stato detto che questo è fondamentale per la fede perché l’amore per Allah e l’amore per i suoi nemici non possono convivere nel cuore di un mussulmano.”

"In gioventù, ammiravo due gruppi di combattenti jihadisti: i combattenti arabi ed afgani che combattevano i russi [in Afghanistan] ed i combattenti sudanesi. Questi ultimi stavano combattendo contro i loro confratelli in Sudan e tuttavia chiamavano [quella guerra] ‘jihad’ ed i loro caduti ‘martiri.’ Come chiunque altro in Arabia Saudita, leggevo storie sul coraggio dei combattenti jihadisti in Afghanistan e sui miracoli che facevano - come gli angeli combattevano accanto a loro e come i loro corpi [quando venivano uccisi] non si decomponevano, ma emanavano un odore di muschio.

“Le autorità saudite aiutavano questi combattenti jihadisti ed [i chierici sauditi emanavano] delle fatwa in loro appoggio. Queste storie ci colpivano molto. La maggior parte dei libretti della [mia] scuola coranica parlavano di jihad e di combattenti del jihad e dei miracoli che facevano. Mi ricordo ancora come, alla fine della preghiera, gli imam della moschea chiedevano [ai fedeli] di dare sostegno ai combattenti del jihad in Afghanistan.”

"Verso la fine del 1998, ho iniziato i miei studi universitari in Sudan. [A quel tempo] ero molto colpito da un documentario [sudanese] chiamato ‘I campi del sacrificio,’ che veniva mandato in onda ogni Venerdì sera. Tutti gli studenti che venivano da diverse parti del mondo per studiare l’arabo e l’Islam, seguivano attentamente questo programma, che mostrava la vita di tutti i giorni dei combattenti del jihad prima, durante e dopo la battaglia. Lo show includeva anche discorsi entusiastici da parte dei loro comandanti e gli inni e le poesie recitate dai combattenti.

“Mi ricordo le scene che descrivevano le vite dei caduti - uomini nel pieno della loro giovinezza che venivano uccisi in guerra. Mi ricordo chiaramente la voce del narratore che descriveva le virtù di questi martiri, le loro parole e le loro gesta e mi ricordo che avrei voluto essere al loro posto. Questo programma aveva un grosso impatto sugli studenti. Era una dose di propaganda jihadista alla fine di ogni settimana. Non so cosa sia successo [al programma] ed a quelli che lo avevano diretto dopo il 2005, quando gli islamisti in Sudan hanno firmato un patto con quelli che chiamavano ‘i nemici di Allah’ ma che adesso sono diventati loro partner nel governo sudanese. “Il regime islamico in Sudan celebrava delle ‘feste di matrimonio’ per i martiri uccisi nella guerra, nelle quali si festeggiava il matrimonio dei martiri con le loro spose celesti.

"La parte migliore della gioventù sudanese è morta vittima della propaganda jihadista sudanese. “

HOME