Pubblichiamo un articolo di qualche tempo, dove la nota antropologa e scrittrice Ida Magli analizza e spiega con semplicità le profonde differenze tra Bibbia e Corano, e quindi tra cristianesimo e islam.
da IlGiornale.it del 10/09/2009, di Ida Magli (antropologa, giornalista e scrittrice)
Ad Aceh, provincia nord-occidentale dell’Indonesia, diventerà legge nei prossimi giorni la condanna a morte tramite lapidazione per il reato di adulterio e la fustigazione in pubblico per le relazioni pre-matrimoniali, in applicazione delle norme penali della sharia, la legge coranica. Secondo quanto ha dichiarato il vicepresidente del Parlamento autonomo locale, la normativa gode di un vasto consenso sociale e politico, malgrado vi sia chi vi si oppone in nome del rispetto dei diritti umani e della moderna Costituzione. L’Indonesia rappresenta il limite estremo, ad oriente, dell’islamismo, e con il suo 90 per cento di fedeli sugli oltre 230 milioni di abitanti, il Paese più musulmano in assoluto, con il residuo 10% frammentato fra cristiani, buddisti, induisti e animisti. Il Paese viene di solito considerato un fiancheggiatore politico dell’Occidente. Ma negli ultimi anni almeno 16 delle 33 province indonesiane hanno approvato leggi stabilite dal codice coranico, leggi che ovviamente sono lontanissime dalla sensibilità etica e giuridica del mondo occidentale odierno visto che risalgono non al 500 dopo Cristo, ma a circa il 5000 avanti Cristo, ossia alla parte più antica dell’Antico Testamento. Maometto, infatti, ha basato il Corano sui primi cinque libri della Bibbia, i quali sono appunto quelli che stabiliscono la Legge, le norme di comportamento e le relative punizioni. È difficile per noi oggi comprendere che cosa sia obbedire ad una legge che si ritiene «rivelata», stabilita da Dio, e che è pertanto l’unica valida. Noi continuiamo a pensare che possano coesistere le leggi del codice «laico» con quelle del codice religioso perché siamo figli di colui che per primo si è ribellato alla vista di un’adultera condotta alla lapidazione. Duemila anni di Vangelo non sono passati invano sul mondo, anche su quello non cristiano, anche su quello laico e non credente. Ma non dobbiamo dimenticarci che Maometto ha voluto, con il Corano, ripristinare l’Antico Testamento proprio contro ciò che aveva affermato Gesù e che gli appariva - come di fatto è - un venir meno alla legge di Abramo. Noi, semmai, dovremmo chiederci perché la Chiesa continua a fingere di tener fermo il legame con l’Antico Testamento quando è evidente l’incompatibilità della legge «occhio per occhio» con la legge «amate i vostri nemici», così come sono incompatibili le moderne conoscenze scientifiche con il sapere più o meno magico dei pastori nomadi di 5000 anni fa. D’altra parte le sanguinose battaglie che ci sono state lungo il passare dei secoli fra cristiani e musulmani testimoniano di questa incompatibilità. La tendenza attuale a dare quasi esclusivamente motivazioni politiche a ciò che è accaduto e ancora accade nel mondo, rispecchia le «nostre» motivazioni, motivazioni di comodo in quanto si spera sempre che siano più razionali e di conseguenza più facilmente risolvibili; ma non sono quelle vere, o almeno non sono mai quelle determinanti. La forza dei musulmani è la loro obbedienza religiosa. Ed è tanto maggiore questa forza perché si esplica in un universo che ne è privo. I politici si illudono di attrarre nell’orbita occidentale i Paesi musulmani esaltando la democrazia, i diritti umani; oltre, ovviamente, a far brillare davanti ai loro occhi il benessere economico di cui godiamo. Ma si tratta, appunto, di una illusione. Possono conquistarci - e lo sanno - senza rinunciare alla protezione di Allah, che li guarda e li protegge in ogni minuto della loro vita; senza rinunciare al dominio sulle donne e sui figli; soprattutto senza rinunciare a quel tipo di «santificazione» di se stessi e del proprio corpo che viene loro assicurato dall'esatta obbedienza ai gesti, ai rituali di purità, di digiuno, di preghiera; e, quando è necessario anche alla lapidazione. La «pietra» è sacra; dunque anche questo tipo di morte è consacrato a Dio. Insomma, bisogna ripeterlo: appartengono all’Antico Testamento e di conseguenza ad una cultura che li affida all’obbedienza; che li mantiene «relativi» a Dio. Gesù Cristo, al contrario, ha creduto nell’Uomo con tutta la debolezza, la fragilità che questo comporta. Toccherebbe ai cristiani, oggi, dimostrare che non ha sbagliato; ma, siccome non si vede quasi nessuno sforzo in questa direzione, dobbiamo convincerci che ci aspetta un futuro durissimo.