C’era una volta l’Algeria repubblica democratica e popolare, avanguardia del movimento dei paesi non allineati e baluardo di laicità. Ma poi venne il golpe militare del 1991, la guerra civile con gli estremisti islamici e il compromesso con gli islamisti che non avevano scelto la lotta armata. E oggi l’Algeria è un paese dove un prete cattolico che ha pregato con un gruppo di clandestini camerunesi «fuori da un luogo di culto autorizzato» viene condannato a un anno di prigione con la condizionale; dove viene decretata l’espulsione di un pastore protestante americano di 74 anni che ne ha vissuti 45 nel paese perché sospettato di coordinare «una campagna di evangelizzazione dell’Algeria»; dove dieci luoghi di culto evangelici vengono chiusi dalle autorità in pochi mesi e il ministro degli Affari religiosi Abdallah Ghoulamullah dichiara: «Stanno cercando di creare una minoranza che potrebbe dare alle potenze straniere un pretesto per intervenire negli affari interni algerini»; dove un direttore didattico e un maestro, algerini di nascita e cristiani per religione, che hanno saputo portare all’esame di licenza il 100 per cento dei loro studenti, vengono radiati dall’Educazione nazionale accusati di «proselitismo».
A suggellare questa metamorfosi negativa è stata la legge sui culti non musulmani entrata in vigore nell’aprile 2006, concepita, come spiegò il portavoce del ministero della Comunicazione, per ottenere «l’interdizione del proselitismo e delle campagne clandestine di evangelizzazione». Oggi qualche intellettuale musulmano algerino solidarizza coi cristiani vittime dell’intolleranza di Stato, ma purtroppo la maggioranza dei ministri, degli imam e dei giornali appoggia in pieno la normativa repressiva. E lo stesso presidente Bouteflika, forse anche perché alla ricerca di alleanze per modificare la Costituzione e poter lucrare un terzo mandato, non fa mancare il suo sostegno. La legge in questione proibisce gli atti di culto «al di fuori degli edifici destinati a tale scopo» e «subordina la destinazione di edifici per l’esercizio del culto all’ottenimento di una previa autorizzazione».
Questo significa che preghiere collettive e celebrazioni eucaristiche nelle case private sono fuori legge, così come i battesimi e i matrimoni all’aperto tipici degli evangelici, perché ogni «raduno» religioso all’esterno di luoghi di culto è vietato. Ogni riunione di natura religiosa in un luogo di culto che non sia una Messa o un’ordinaria liturgia protestante richiede l’autorizzazione del prefetto, che va richiesta con cinque giorni di anticipo e può essere negata se costui ritiene che il raduno costituisca un «pericolo per la salvaguardia dell’ordine pubblico». Le attività tipiche dei movimenti ecclesiali, dunque, in Algeria hanno bisogno di continue autorizzazioni da parte dei prefetti. La legge inoltre prevede pene dai due ai cinque anni di prigione e ammende fra i 5 mila e i 10 mila euro per chiunque «inciti, costringa o utilizzi mezzi di seduzione tendenti a convertire un musulmano a un’altra religione».
Sono previste pesanti sanzioni anche contro chi «fabbrica, detiene o distribuisce materiale stampato o audiovisuale o qualunque altro suporto o mezzo che miri a distruggere la fede musulmana». La legge inoltre istituisce una commissione incaricata di «vegliare al rispetto del libero esercizio dei culti», ma la maggioranza dei suoi membri è costituita da rappresentanti dei ministeri della Difesa e degli Interni, a evidenziare la natura poliziesca della struttura.
Intellettuali a disagio
Uomini di buona volontà che reagiscono a questa situazione ce ne sono: attorno alla metà di marzo è apparso un appello «per la tolleranza» e «il rispetto delle libertà» di intellettuali algerini che denunciano la persecuzione dei cristiani a causa del «delitto di preghiera», esprimono la loro «solidarietà con la comunità cristiana d’Algeria, bersaglio di misure tanto brutali quanto ingiustificate» e dichiarano il loro sostegno «alla libertà di coscienza, al diritto di ciascuno di praticare la religione di propria scelta o di non praticarla». L’appello porta le firme di personalità di prestigio come lo scrittore Boualem Sansal, lo storico Mohammed Harbi, l’accademico Salem Chaker, il presidente della Lega dei diritti umani Abdennour Ali Yahia e il vignettista Ali Dilem.
Dall’altra parte, purtroppo, non si retrocede di un millimetro, anzi si rincara la dose. Il quotidiano El Khabar dà notizia che in un rapporto ufficiale sulle attività dei protestanti rimesso al ministero degli Interni si denuncia la loro «campagna feroce» che ha per oggetto «la società algerina nella sua unità e nella sua religione» e si invitano le autorità a sostenere e valorizzare le moschee e le madrasse, soprattutto in vista della reislamizzazione della Cabilia, la regione abitata da berberi dove l’islam è sempre stato annacquato e la curiosità per altre religioni diffusa. Il rapporto raccomanda di rafforzare i controlli sugli esponenti cristiani che visitano l’Algeria nell’ambito di «programmi all’apparenza culturali» e individua nel 74enne pastore Hugh Johnson, oggi sotto decreto di espulsione, la guida della campagna di proselitismo. Durante i lavori della nona settimana del Corano ad Algeri molti imam hanno preso la parola per appoggiare il rapporto, in particolare i passaggi dove è scritto che le moschee sono state emarginate dalla lotta contro l’evangelizzazione e che è necessario rifinanziare i capitoli di bilancio a loro destinati. Nella stessa occasione il capo dello Stato ha preso la parola per rievocare la vicenda delle vignette danesi contro Maometto e dichiarare che gli occidentali che conducono campagne contro il Profeta soffrono disturbi psichiatrici, e perciò dovrebbero fare ricorso al Corano, prima della fine del XXI secolo, per risolvere i propri problemi.
Le rimostranze di Teissier
Persino la gerarchia cattolica dell’Algeria, che aveva preso le distanze dall’intervento di Benedetto XVI a Ratisbona e da sempre è filogovernativa, ha indirizzato una lettera di protesta al ministro degli Affari religiosi per le molestie subite. Per tutta risposta il presidente dell’Alto consiglio islamico, massima istituzione musulmana algerina, ha sminuito la protesta dicendo che «le contestazioni sollevate dall’arcivescovo di Algeri monsignor Henri Teissier obbediscono agli orientamenti del Vaticano» e che non è possibile alcun dialogo interreligioso quando «guerre senza pietà sono condotte dall’Occidente contro palestinesi, iracheni e afghani».