MORFINA                          

 

La morfina è un alcaloide che si trova maggiormente nei pericarpi immaturi di Papaver somniferum. Viene isolato dall'oppio (il succo gommoso uscente dal pericarpio immaturo dopo un'incisione). Tramite reticulina si formano poi gli alcaloidi morfinanici dei quali fa parte la morfina.

Per le sue proprietà narcotico-stupefacenti e perché provoca grave dipendenza è sottoposta alle leggi sugli stupefacenti: la dipendenza fisiologica si instaura dopo un periodo che va da una a due settimane di uso, ma per alcuni soggetti possono bastare poche dosi per creare dipendenza psicologica.

Questa sostenza viente spesso somministrata ai malati terminali di cancro in quanto è un potente antidolorifico e seppur nociva all'organismo riesce a mitigare la morte dei pazienti affetti da quella terribile malattia.

Storia

Fu scoperto (isolato la prima volta) dal farmacista Friedrich Sertürner nei primi anni del XIX secolo. Oggi viene anche sintetizzato da fenilalanina e 4-idrossifenilacetaldeide; la Norcolaurina è un'importante prodotto intermedio.

Meccanismo d'azione

È stato dimostrato negli anni '60 che l'azione della morfina e degli oppiacei in generale è dovuta alla loro capacità di superare la barriera emato-encefalica e legarsi ai recettori oppiodi delle cellule cerebrali, specialmente nel talamo e nel sistema limbico, inibendo la trasmissione nocicettiva periferica al sistema nervoso centrale e influenzando l'emotività e il comportamento: in assenza di morfina tali recettori sono bersaglio naturale dalle endorfine e dalle encefaline, due classi di sostanze sintetizzate dall'organismo per attenuare il dolore. L'effetto è una potentissima azione analgesica unita alla depressione del centro cerebrale preposto al controllo della respirazione.

Due farmaci, il naloxone e il naltrexone, sono in grado di spostare le molecole di morfina e analoghi dai recettori cerebrali, interrompendone l'azione: in particolare l'azione del naloxone è estremamente rapida, cosa che lo rende un farmaco salvavita in caso di intossicazione acuta da oppiacei (overdose). Il naltrexone invece si lega in modo più duraturo a tali recettori e inibisce l'azione di oppio e derivati per un periodo prolungato nel tempo, e si usa nella disintossicazione per impedire l'effetto eccitatorio della droga.

Effetti indotti

Le prime sperimentazioni di morfina e della più potente eroina sono spesso prive di effetti definiti "piacevoli", e a volte anzi provocano uno stato ansioso accompagnato da malessere, nausea, vomito. Se l'aspettativa è alta, la prima assunzione di morfina costituisce spesso una delusione. L'effetto è comunque in parte soggettivo e in parte dipeso dalla modalità di assunzione, dalla situazione psicologica e dall'autosuggestione. Superate le prime assunzioni la morfina può produrre una sensazione di euforia e benessere fisico generalizzato; vi è uno stato di abbassata reattività psico-fisica associata a brevi momenti di confusione e ottundimento dei sensi.

Se la droga è iniettata per via endovenosa o intramuscolare si avverte il cosiddetto flash: una sensazione brevissima di intenso piacere che sale rapidamente dall'addome fino alla testa. L'esperienza del flash dipende molto da tipo di droga (morfina, eroina o simili), da come è tagliata o con cosa è associata (per esempio con atropina) e dal livello di assuefazione.

Con il tempo e il ripetersi delle assunzioni l'organismo sviluppa sia dipendenza sia assuefazione agli effetti; le sensazioni pseudo-piacevoli durano sempre meno e sono sempre meno intense, e il tossicomane deve aumentare gradualmente la dose per ottenere gli stessi effetti. All'inizio del consumo abituale di morfina è relativamente facile mantenere una vita normale, ma poco a poco oltre a quella psicologica si instaura la dipendenza fisica, per cui diventa sempre più difficile staccarsi dalla sostanza, e inizia a svilupparsi il bisogno di assumerne in continuazione, a qualsiasi costo, con effetti devastanti sulla socialità e sulla salute mentale.

Effetti collaterali

Effetti collaterali indesiderati sono:

  • miosi (pupille a spillo)

  • ipotermia con sudori freddi, convulsioni

  • diuresi ridotta

  • depressione della respirazione e dell'attività vasomotoria

  • nausea, vomito e, a lungo andare, epatomegalia

  • disturbi del sonno

  • aumento della secrezione dell'ormone adrenocorticotropo, che stimola quella di cortisone, ormone della crescita e prolattina;

  • inibizione degli ormoni sessuali ipofisari e periferici, mancanza di desiderio sessuale e di mestruazioni nelle donne e impotenza negli uomini

  • morte per avvelenamento, infarto o altro (vedi paragrafo relativo)

L'uso prolungato può provocare tolleranza inversa.

Intossicazione acuta (overdose)

Anche se l'organismo si abitua gradualmente alla morfina e derivati, può accadere che la dose assunta (incidentalmente o intenzionalmente, o ancora per nuova assunzione dopo un periodo di astinenza prolungata, in cui l'organismo ha ridotto la tolleranza) sia troppo elevata, inducendo uno stato di intossicazione acuta che è letale se non viene curato immediatamente. La sindrome da overdose è specifica e inconfondibile, diagnosticabile dalla presenza di tre sintomi: miosi, respirazione ridotta o assente e coma.

In questo caso occorre somministrare immediatamente naloxone e sottoporre il paziente a rianimazione, cercando di ripristinare la funzione respiratoria. Complicanze letali che possono sopraggiungere, specie se il soggetto è affetto da cardiopatie o tossicodipendente, sono edema polmonare, insufficienza cardiaca destra (cuore polmonare acuto), infarto, e paralisi intestinale, che vanno trattate con terapia rianimativa e sintomatica.

Intossicazione cronica

L'uso cronico induce uno stato di intossicazione la cui gravità dipende molto dal dosaggio medio assunto, dal tipo di droga, dalla sua purezza e dal modo in cui viene assunta; molto spesso, trattandosi di droghe "da strada", a questi fattori si aggiungono altre patologie dovute alla scarsa o inesistente igiene e alle sostanze mescolate alla morfina base per diluirla (in genere lattosio o mannite, ma a volte anche polvere di marmo o sostanze tossiche come stricnina, piombo o chinino), per cui può essere difficile separare gli effetti diretti dell'intossicazione da morfina da quelli secondari dello stile di vita del tossicomane.

Fisicamente, i sintomi sono pelle secca e sudorazione facile, stitichezza, alterazioni dentarie, dimagrimento progressivo, problemi epatici, cuore polmonare cronico (polmone da narcotici), una serie di malattie renali, immunitarie ed allergiche. Si possono riscontrare lesioni al cervello e al sistema nervoso centrale e periferico; compaiono alterazioni della vista (miosi estrema, nistagmo, atrofia del nervo ottico fino alla cecità) e dell'udito.

Dal punto di vista comportamentale e psichico il soggetto è ansioso, irrequieto, ha scarso appetito. L'attività sessuale è ridotta o assente. Il carattere si modifica profondamente: il consumatore abituale diventa apatico, indifferente, privo di iniziativa: è interessato principalmente alla droga. Tutti gli impegni, di qualunque genere, finiscono per essere trascurati, come anche l'affettività. Vengono colpite anche le funzioni intellettive: la memoria e l'attenzione si indeboliscono, l'ideazione è rallentata e possono comparire allucinazioni, psicosi e tendenze suicide.

Oltre a questo, devono essere menzionate le conseguenze della modalità di assunzione: l'usare siringhe non sterili e già usate da altri, il diluire le dosi con acqua non pura e a volte il praticarsi iniezioni attraverso i vestiti porta a una grande incidenza di ascessi, flemmoni, tromboflebiti; è altissima fra i tossicodipendenti l'incidenza di AIDS e di epatite B e C. Altre conseguenze gravi vengono dalla mancanza di controllo: gli incidenti automobilistici sono più frequenti e gravi, come anche i comportamenti violenti e irresponsabili.

Sindrome da astinenza

I sintomi della crisi da astinenza sono progressivi e vanno aumentando fino a raggiungere il culmine dopo circa tre giorni; oltre questo tempo regrediscono nell'arco di dieci-quindici giorni, anche se ancora per alcuni mesi il soggetto può avvertire ansia, tremori, dolori diffusi e sensazione di freddo.

Il decorso acuto si può dividere in quattro fasi:

  • I° grado: da sei a dodici ore dall'ultima assunzione cominciano a manifestarsi respiro accelerato, sudorazione, rinorrea, sbadigli; il sonno è profondo ma agitato; il soggetto è irrequieto.

  • II° grado: dopo 24 ore i sintomi si accentuano, e gli sbadigli possono essere tanto forti da arrivare a lussare la mandibola; compare una forte lacrimazione e le pupille si dilatano (midriasi); compaiono tremori, dolori e scosse muscolari, e la pelle diventa fredda e sudata, mentre tutti i peli si rizzano (sindrome del "tacchino freddo") con caldane e totale scomparsa dell'appetito.

  • III° grado: tra 24 e 48 ore i sintomi si accentuano ancora e si aggiungono l'innalzamento della temperatura corporea e della pressione arteriosa, il battito cardiaco e il respiro accelerano, si ha nausea e forti contrazioni intestinali con vomito e diarrea.

  • IV° grado: tra 48 e 72 ore la crisi raggiunge il suo massimo: forti brividi squassano tutto il corpo e la sensazione di freddo è molto intensa. I piedi scalciano involontariamente e compaiono crampi muscolari e dolori forti e diffusi a carico delle ossa.

Come già detto, oltre le 72 ore tutti i sintomi regrediscono lentamente. La crisi nell'adulto non è letale, nei neonati di madre eroinomane o morfinomane invece la crisi da astinenza che si verifica subito dopo il parto è mortale se non viene trattata con somministrazione via via decrescente di morfina per alcuni giorni.

Terapia

L'intossicazione acuta è di esclusiva competenza medica e va trattata in rianimazione, come anche le complicanze eventuali; quella cronica richiede assolutamente, per avere successo, la ferma e costante volontà del tossicomane a collaborare, e inizia con lo "svezzamento", o graduale con sostitutivi (metadone e altri agonisti o antagonisti della morfina) o brusco con sedativi e benzodiazepine, clonidina, doxepina, antidolorifici e antidepressivi. A questa segue una psicoterapia della durata di almeno due anni, individuale o di gruppo, coaduivata dalla somministrazione di naltrexone che evita ricadute casuali bloccando l'effetto piacevole della droga. Sembra che tali terapie siano più efficaci se svolte in particolari comunità residenziali. Si inizia contemporaneamente a preparare il ritorno del paziente nella vita sociale e lavorativa, con corsi professionali, apprendistato o altri metodi di inserimento.

Tuttavia, come già detto, ogni sforzo è destinato a fallire se da parte del soggetto non c'è la volontà cosciente e la motivazione necessaria, entrambe durature nel tempo, per collaborare all'opera di recupero intrapresa. Non è possibile basarsi su dichiarazioni estemporanee o promesse di "voler cambiare", ma deve essere presente da parte del paziente un impegno quotidiano costante, puntuale e senza cedimenti.

 

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