Nel 1997, sulla rivista inglese CONTINUUM, apparve questa intervista alla
famosa ricercatrice Eleni
Papadopulos-Eleopulos e curata dall’altrettanto famosa
giornalista scientifica Christine
Johnson.
Si tratta di un contributo di un’estrema importanza nel campo della ricerca scientifica sull’AIDS (quella autentica che non compare nei mass media della Sanità business-spettacolo).
L’intervista è stata tradotta non solo in italiano, ma anche in varie
altre lingue e ripubblicata su numerose riviste controcorrente in diversi paesi
europei.
Un’intervista
con Eleni Papadopulos-Eleopulos di Christine Johnson
Traduzione
di Fabio Franchi, autore di “AIDS, la grande truffa”, 1996, casa editrice
SEAM, Roma
Cristine Johnson: Eleni, grazie per aver accettato questa
intervista.
Eleni Papadopulos-Eleopulos: E’ un piacere.
CJ: L’AIDS è causato
dall’HIV?
EPE: Non c’è la prova che
l’HIV causi l’AIDS.
CJ: Perché no?
EPE: Per molte ragioni, ma
principalmente perché non c’è nessuna prova che l’HIV esista.
CJ: Questa sembra
un’asserzione piuttosto azzardata ed incredibile.
EPE: Suppongo che sia così ma
ciononostante è lì che la mia ricerca mi porta.
CJ: Non furono Montagnier e
Gallo ad isolare L’HIV? Nei primi anni '80?
EPE: No. Nei lavori pubblicati
sulla rivista Science da quei due
gruppi di ricerca non vi è nessuna prova dell’isolamento di un retrovirus da
pazienti con AIDS: (1,2)
CJ: Loro sostengono di aver
isolato un virus.
EPE: La nostra interpretazione
dei dati differisce.(3-5)
CJ: Forse Lei dovrebbe spiegare
cosa La porta a questo punto di vista piuttosto radicale.
EPE: Io penso che il modo più
semplice sia quello di cominciare ponendo la domanda, “Cos’è un virus?”.
La risposta è piuttosto semplice. Un virus è una particella microscopica che
riproduce se stessa in una cellula...
CJ: Non è quello che fanno i
batteri?
EPE: Loro possono farlo, ma
c’è una differenza molto importante. I batteri non sono obbligati a
replicarsi in una cellula. I virus devono. Vede, quando i batteri prendono cibo
ed energia da una cellula o da una fonte inanimata tutto è utilizzato nella
successiva generazione di batteri nell’interno della cellula batterica stessa.
E’ così che anche le nostre stesse cellule si replicano.
Ma i virus non possono farlo. La particella del virus in realtà non è
niente di più che alcune proteine
legate intorno ad un pezzo di RNA o DNA, ma senza l’apparato necessario
per replicarsi.
CJ: Così mentre una cellula è
una fabbrica, un virus è un progetto che, per essere realizzato, deve derubare
una fabbrica?
EPE: Non potrei trovare
migliore analogia.
CJ: Come si replica un virus?
EPE: Deve entrare nella
cellula. Per fare questo l’involucro protettivo della particella virale si
fonde con la membrana della cellula e poi la particella passa all’interno. Una
volta dentro, usando l’apparato metabolico cellulare, la particella del virus
si disassembla. Poi, usando lo stesso apparato, vengono sintetizzati pezzi
separati di nuovo virus. Alla fine si mettono assieme tutti i componenti virali
e vengono fuori le nuove particelle di virus.
CJ: Fuori da dove?
EPE: Il virus o distrugge la
cellula e nel caso di retrovirus le particelle del virus hanno un’uscita più
ordinata sporgendo fuori dalla membrana della cellula. Ma questo non è quello
che accade con l’HIV. A differenza dei retrovirus, si dice che l’HIV
distrugga le cellule.
CJ: Bene, e per quanto riguarda
le particelle dell’HIV? Sta forse suggerendo che non sono virus?
EPE: Per verificare
l’esistenza di un virus bisogna fare tre cose. Primo, coltivare delle cellule
e trovare una particella che si pensa possa essere un virus. Evidentemente, come
minimo, quella particella dovrebbe assomigliare ad un virus. Secondo, si deve
concepire un metodo per ottenere quella esatta particella così si può
separarla nei suoi componenti ed analizzare precisamente quello che la
costituisce. E’ necessario poi verificare che la particella possa fare copie
fedeli di se stessa. In altre parole che possa replicarsi.
CJ: Non si può guardare
semplicemente in un microscopio e dire che c’è un virus nelle colture?
EPE: No, non si può. Questo è
il punto centrale di porre la questione del virus. Non tutte le particelle che
sembrano virus sono virus. Si deve verificare che quella particella di cui si
sta parlando può far davvero copie di se stessa. Nessuna riproduzione, nessun
virus. Spiacente ma questo è un punto estremamente importante. Nessuno,
specialmente i virologi possono permettersi di ignorarlo.
CJ: Quello che dice sembra
molto sensato. Ritengo che sarebbe difficile ammalarsi infettandosi
con una particella che non può fare delle copie di se stessa.
EPE: Precisamente.
CJ: Perciò in che cosa ha
sbagliato la ricerca sull’AIDS?
EPE: Sapere dove la ricerca ha
sbagliato non è la questione più importante. Quella principale è che cosa si
è tralasciato. Per alcuni motivi sconosciuti, non è stato seguito il metodo di
isolamento retrovirale, vecchio di decenni (6/7) e sviluppato per studiare
retrovirus animali.
CJ: E’ meglio che spieghi
meglio cosa sono i retrovirus prima di continuare.
EPE: Lo faccio. Come lei
probabilmente sa, l’HIV è considerato un retrovirus. I retrovirus sono
particelle incredibilmente piccole, quasi sferiche che...
CJ: Quanto piccole?
EPE: Cento nanometri di
diametro.
CJ : A quanto corrisponde?
EPE: A un decimillesimo di
millimetro. Milioni starebbero comodamente bene sulla capocchia di uno spillo.
CJ: Come si può vedere
realmente qualcosa di così piccolo?
EPE: E’ necessario un
microscopio elettronico. E’ così che noi conosciamo la grandezza e la forma
delle particelle retrovirali. Che sono quasi rotonde ed hanno un involucro
esterno coperto da estroflessioni ed un cuore interno consistente in alcune
proteine ed RNA.
CJ: Così, se esiste, l’HIV
è un virus a RNA?
EPE: Sì. Un altro punto
importante è che i retrovirus non usano direttamente il loro programma di RNA
per fare più virus. Quello che li distingue da quasi tutti gli altri è che,
secondo i retrovirologi, i retrovirus fanno prima una copia di DNA dal loro RNA.
Questo DNA passa poi al nucleo della cellula dove diviene parte integrale del
DNA cellulare. Questo filamento di DNA viene chiamato provirus e lì resta,
ibernato, forse per anni fino a che qualche cosa attiva la cellula.
CJ: Cosa accade poi?
EPE: Il DNA provirale viene
copiato all’indietro in RNA ed è questo RNA, non l’RNA originale, che
istruisce la produzione delle proteine necessarie a fare delle nuove particelle
del virus.
CJ: Perché vengono chiamate
retrovirus?
EPE: Perché i biologi hanno
creduto a lungo che la direzione del flusso delle informazioni nelle cellule di
tutti gli organismi viventi fosse da DNA a RNA, e pertanto alle proteine la cui
sintesi è guidata dall’RNA. Se noi diciamo che questa direzione è “in
avanti” allora quello che i retrovirus fanno per prima cosa è copiare le loro
informazioni all’ “indietro”.
CJ: Capito.
EPE: C’è un’altra cosa.
Una delle proteine all’interno di una particella retrovirale è un enzima che
catalizza questo processo. Non sorprendentemente, è chiamata Transcriptasi
inversa.
CJ: E cioè?
EPE: Bè, è per questo motivo
che vengono chiamati retrovirus.
CJ: Lei ha menzionato il metodo
di isolamento dei retrovirus - vecchio di decenni. Di quanti decenni stiamo
parlando?
EPE: Dagli anni '40 fino alla
fine degli anni '70. Vede, i retrovirus erano fra i primi virus scoperti. Il
Dott. Peyton Rous al Rockefeller Center di New York li incontrò originariamente
quando stava facendo esperimenti su tumori maligni del muscolo dei polli. (8)
Non che lui potesse vederli davvero. Questo avveniva nel 1911. Fu necessario
arrivare all’invenzione del microscopio elettronico ed alla centrifuga ad alta
velocità perché le cose cominciassero a venire fuori.
CJ: Cosa venne fuori in realtà?
EPE: Furono questi che
portarono al metodo di identificazione e di purificazione delle particelle
retrovirali.
CJ: Lo stesso come isolarli?
EPE: Sì. Per purificare delle
particelle di qualsiasi genere uno scienziato deve sviluppare un metodo per
separare le particelle che lui desidera studiare da tutto il resto.
CJ: In che modo i microscopi
elettronici e le centrifughe ad alta velocità hanno reso possibile la
purificazione dei retrovirus?
EPE: Il microscopio elettronico
ha fatto sì che particelle di queste piccole dimensioni fossero visibili.
L’altra parte l’ha fatta la centrifuga ad alta velocità e fu una cosa
estremamente importante. Si scoprì che le particelle retrovirali hanno una
proprietà fisica che le rende capaci di separarsi da altro materiale in culture
cellulari. Detta proprietà è la loro “galleggiabilità” e cioè venne
utilizzato per purificare le particelle con un processo chiamato centrifugazione
in gradiente di densità.
CJ: Sembra complicato.
EPE: La tecnologia è
complicata, ma il concetto è estremamente semplice. Si prepara una provetta che
contiene una soluzione di saccarosio, ordinario zucchero da tavola. Ma si fa in
modo che la soluzione sia più leggera sopra, ma gradualmente diventi sempre più
pesante, o più densa, verso il fondo. Nel frattempo si coltiva qualsiasi tipo
di cellula che si pensa possa contenere retrovirus e se si è fatto in modo
giusto, le particelle retrovirali si libereranno dalle cellule e passeranno nel
liquido di coltura. Quando si ritiene che tutto sia pronto, si travasa un
campione di fluido di coltura e con delicatezza se ne preleva una goccia e la si
pone nella provetta sopra la soluzione di zucchero. Poi si fa ruotare la
provetta ad altissima velocità . Ciò genera delle forze tremende e le
particelle presenti in quella goccia di fluido vengono forzate attraverso la
soluzione di zucchero finché raggiungono un punto dove la loro galleggiabilità
impedisce loro di penetrare più in giù. In altre parole, scivolano giù lungo
il gradiente di densità fino a che raggiungono un punto in cui la loro densità
è uguale a quella della soluzione di zucchero in quello stesso punto. Quando
arrivano lì si fermano, tutte insieme, o per usare il gergo virologico, è lì
che si separano in una banda. In seguito si può estrarre quella banda
selettivamente e fotografarla con un microscopio elettronico.
CJ: E le particelle retrovirali
si separano ad un livello caratteristico?
EPE: Sì. Nelle soluzioni di
saccarosio si separano in un punto dove la densità è di 1,16 g/ml.
CJ: Così, l’esame col
microscopio elettronico, le dice che pesce ha preso?
EPE: Non solo quello. E’
l’unico modo per sapere se si è preso un pesce. O non si è preso niente.
CJ: Vero. Montagnier e Gallo
non l’hanno preso?
EPE: Questo è uno dei molti
problemi. Montagnier e Gallo hanno usato il gradiente di densità, ma per
ragioni ignote non hanno pubblicato nessuna fotografia al microscopio
elettronico del materiale sedimentato a 1,16 g/ml che loro — e tutti da quel
momento in poi — chiamano “HIV puro”. Questo è proprio strano perché nel
1973 l’Istituto Pasteur ospitò una riunione frequentata da scienziati, alcuni
dei quali sono attualmente tra i più importanti esperti nel campo dell’HIV.
Durante quella riunione venne discusso in modo approfondito il metodo di
isolamento retrovirale e venne considerato assolutamente essenziale il
fotografare del materiale separato alla banda 1,16 del gradiente di densità.
CJ: Ma Montagnier e Gallo hanno
pubblicato delle fotografie di particelle del virus.
EPE: No. Montagnier e Gallo
hanno pubblicato delle micrografie elettroniche di alcune particelle che loro
dichiarano appartenere ad un retrovirus, anzi all’HIV. Ma le fotografie non
provano che delle particelle sono un virus e non si è verificata l’esistenza
dell’HIV usando il metodo presentato alla Conferenza del 1973.
CJ: E quale era questo metodo?
EPE: Tutti i passaggi che Le ho
appena menzionato. L’unico metodo scientifico che esiste. Si coltivano delle
cellule, si trova una particella, si isola la particella, la si divide nei suoi
componenti, si scopre quello che c’è dentro, si prova che quelle particelle
sono capaci di farne delle altre uguali con gli stessi costituenti quando
vengono aggiunte a colture cellulari non infette.
CJ: Così prima che l’AIDS
facesse la sua comparsa c’era un metodo ben sperimentato per provare
l’esistenza di un retrovirus, ma Montagnier e Gallo non hanno seguito questo
metodo?
EPE: Loro hanno usato alcune
delle tecniche, ma non hanno eseguito ciascun passaggio compresa la prova di
quali particelle sono presenti nella banda a 1,16 g/ml del gradiente di densità,
la densità che definisce le particelle retrovirali.
CJ: Ma cosa dire delle loro
fotografie?
EPE: Le micrografie di
Montagnier e Gallo ed ogni altra fotografia al microscopio elettronico
pubblicate fino al Marzo di
quest’anno (1997) sono di colture cellulari non purificate. Non del gradiente.
Prima del Marzo di quest’anno nessuno aveva mai pubblicato una fotografia di
un gradiente di densità.
CJ: E’ questo quello che si
deve fare per provare l’isolamento di particelle retrovirali?
EPE: Sì.
CJ: La banda a 1,16 può
contenere materiale diverso da particelle retrovirali?
EPE: Sì. Quella è un’altra
ragione per cui si ha bisogno di una fotografia. Per vedere tutto quello che sta
succedendo. Già molto tempo prima dell’era dell’AIDS era noto che le
particelle similretrovirali non sono il solo materiale che può trovare la
propria strada in questa parte del gradiente di densità. Piccoli frammenti
cellulari, alcuni riconoscibili come strutture interne della cellula, o
solamente frammenti cellulari, possono sedimentare a 1,16 g/ml. Ed una parte di
questo materiale può includere acidi nucleici e può assumere l’aspetto di
particelle retrovirali.
CJ: Cosa sono gli acidi
nucleici?
EPE: Il DNA e l’RNA.
CJ: Allora sicuramente, se le
particelle retrovirali si liberano dalle cellule senza distruggere le cellule,
deve essere possibile evitare la contaminazione cellulare?
EPE: Be’, è così e non è
così. I retrovirologi animali erano certamente consapevoli di questo problema e
raccomandarono vivamente di maneggiare le colture con delicatezza e di riempirle
fino all’orlo con sostanze nutrienti per mantenere le cellule vive. Così non
si disintegrano. Ma nel caso
dell’HIV ci sono dei problemi aggiuntivi. Abbiamo detto che l’HIV è
citopatico il che significa che distrugge le cellule. Così si potrebbe
difficilmente affermare che le particelle putative
del virus siano le sole cose verosimilmente a galleggiare attorno nei fluidi di
coltura oppure a 1,16 g/ml. L’altro fatto che confonde è che in molti
esperimenti di HIV le cellule vengono deliberatamente fatte a pezzi dallo
sperimentatore come parte dell’esperimento. Sapendo tutto ciò, è un mistero
sul perché qualsiasi ricercatore
dell’HIV potrebbe avere tralasciato il passo cruciale di prendere una
microscopia elettronica di un gradiente di densità.
CJ: E’ forse perché la
microscopia elettronica è altamente specializzata e costosa?
EPE: Avrebbe potuto esserlo i
primi giorni, ma non oltre. Negli ultimi vent’anni la microscopia elettronica
è stata usata almeno giornalmente in molti ospedali per diagnosticare qualsiasi tipo di malattia. Vi è inoltre
una grande quantità di microscopie elettroniche delle colture di HIV. E’ solo
che fino a quest’anno, per delle ragioni sconosciute, non ce ne è stata
nessuna del gradiente di densità.
CJ: Va bene. Parliamo delle
fotografie del gradiente di densità pubblicate quest’anno. Che cosa ci
vediamo?
EPE: Due gruppi, uno
franco/tedesco (9) ed uno dell’Istituto Nazionale dei Tumori statunitense
(10), hanno pubblicato delle fotografie dei gradienti di densità. Nello studio
franco/tedesco le fotografie provengono dalla banda da 1,16 g/ml. E’
impossibile dire da quale densità siano prese le fotografie nello studio
americano, ma supponiamo che sia la giusta densità per le particelle
retrovirali da 1,16. La prima cosa da dire è che gli autori di questi studi
ammettono che le loro fotografie rivelano che la maggior parte del materiale nel
gradiente di densità è cellulare. Gli autori descrivono tutto questo materiale
come “non virale”, oppure come ‘finto’ virus o ‘microvescicole’.
CJ: Che cosa sono le
microvescicole?
EPE: Frammenti cellulari
incapsulati.
CJ: Ci sono delle particelle
virali in queste fotografie?
EPE: Ci sono poche particelle
che i ricercatori affermano essere particelle retrovirali, infatti sostengono
che queste sono particelle dell’HIV, ma non forniscono la prova del perché.
CJ: Queste particelle
dell’HIV sono in grande quantità?
EPE: No. La banda dovrebbe
contenerne bilioni e quando si prende una micrografia elettronica dovrebbe
riempire l’intera fotografia.
CJ: Così il materiale in bande
contiene solo poche particelle di HIV e dal punto di vista delle particelle
dell’HIV è piuttosto impuro?
EPE: Sì.
CJ: Come commentano gli esperti
questo fatto?
EPE: Dicono che il materiale
cellulare si ‘co-purifica’ con le particelle dell’HIV.
CJ: Mi dica, le poche
particelle che loro dicono appartenere all’HIV, hanno l’aspetto di un
retrovirus?
EPE: Assomigliano solo molto
vagamente a delle particelle retrovirali: per certo assomigliano di più a delle
particelle retrovirali che a tutte le altre particelle ed al materiale ma anche
se sembrassero identiche a delle particelle retrovirali non si potrebbe dire che
sono un retrovirus. Anche Gallo ammette l’esistenza di particelle che si
separano in bande a 1,16 g/ml e che hanno l’aspetto e le proprietà
biochimiche dei retrovirus, ma che non sono retrovirus poiché sono incapaci di
riprodursi. (11)
CJ: Va bene, ma a parte questo,
quale è la differenza fra queste particelle ed una vera particella retrovirale?
EPE: Gallo e tutti gli altri
retrovirologi, come pure Hans Gelderblom che ha effettuato molti studi
dell’HIV con micrografie elettroniche, concordano che le particelle
retrovirali sono quasi sferiche nella forma, hanno un diametro di 100-120
nanometri e sono coperte da estroflessioni. (12,13) Le particelle che i due
gruppi affermano essere dell’HIV non sono sferiche, nessun diametro è
inferiore a 120 nM, infatti molte di esse hanno diametri significativi che sono
due volte più grandi di quanto sia permesso per un retrovirus. E nessuna di
esse sembra avere delle estroflessioni.
CJ: Ma la dimensione può
essere un punto critico? Molte cose in Biologia hanno una scala di misurazione.
Che cosa dire degli esseri umani? Vi è una grande quantità di esseri umani due
volte la taglia di altri esseri umani. Sono sempre degli esseri umani.
EPE: Ciò che è valido per gli
esseri umani non lo è per i retrovirus. Per cominciare, i retrovirus non devono
crescere. Sono nati adulti. Perciò il giusto paragone è fra esseri umani
adulti. Non ci sono molti esseri umani di oltre tre metri. Infatti l’uomo più
alto mai registrato è di 2,71 metri. Ma qui non si tratta solo di altezza.
CJ: Che altro c’è?
EPE: Se supponiamo che sia il
gruppo franco/tedesco che quello statunitense abbiano visto delle particelle
alla giusta densità retrovirale, allora le particelle trovate da ambedue i
gruppi hanno la stessa densità, 1,16 g/ml. Se si misurano i diametri maggiore e
minore delle particelle nelle EM, loro sostengono che sono dell’HIV e prendono
i diametri medi e per il gusto di discutere, presumono che siano tutte sferiche,
allora le particelle franco/tedesche sono più larghe di 1,14 volte delle vere
particelle retrovirali e quelle statunitensi lo sono di 1,96 volte. Ora per
tradurre ciò in volumi, dobbiamo elevare al cubo i rapporti dei diametri. Perciò
se prendiamo i 120 nM come il limite più alto per il diametro di una particella
retrovirale e facciamo le somme, le particelle franco/tedesche hanno un volume
superiore del 50% rispetto alle particelle retrovirali e le particelle
statunitensi hanno un volume superiore del 750%. E le particelle statunitensi
sono cinque volte più voluminose di quelle franco/tedesche.
CJ: E questo cosa ci dice?
EPE: Ci dice che le particelle
franco/tedesche e quelle statunitensi contengono una massa superiore del 50%
oppure del 750% rispetto alle particelle retrovirali.
CJ: Perché questo?
EPE: Perché la densità è il
rapporto fra massa ed il volume. Se il volume sale di una data quantità, per
mantenere la stessa densità, la massa deve salire della stessa quantità.
CJ: OK, ma qual è la Sua
opinione?
EPE: Il punto è che qualsiasi
vera particella retrovirale contiene una quantità stabilita di RNA e proteina.
Non di più, nè di meno. In questo caso allora dette particelle si compongono
di molto più materiale rispetto al vero retrovirus. Il che significa che se
queste particelle di dimensioni diverse sono veramente dell’HIV, allora
l’HIV non può essere un retrovirus. La sola altra spiegazione possibile è
che le micrografie elettroniche non siano prese
dalla banda da 1,16 g/ml. In questo caso allora non abbiamo altra scelta
se non quella di ridefinire i retrovirus e, cosa più importante, di non
considerare la banda da 1,16 come HIV. Ma se lo facciamo, allora non si può
usare tutta la ricerca fatta sull’HIV impiegando questa banda poiché questo
è quello che tutti usano come HIV purificato. Ciò significherebbe per esempio
che non si può usare detta banda
per ottenere proteine e RNA da usare come agenti diagnostici per provare
l’infezione da HIV.
CJ: Lei ha accennato al fatto
che le particelle hanno perso le estroflessioni. Quanto può essere seria questa
credenza?
EPE: Tutti gli esperti in AIDS
concordano sul fatto che le estroflessioni sono assolutamente necessarie perché
la particella dell’HIV si agganci ad una cellula. Come primo passo
nell’infettare quella cellula. Perciò, nessun aggancio nessuna infezione.
Tutti gli esperti sostengono che le estroflessioni contengono una proteina
chiamata gp 120 che è il gancio nelle estroflessioni, che tenta di far presa
sulla superficie della cellula che sta per infettare (14). Se le particelle
dell’HIV non hanno delle estroflessioni, l’HIV come può replicarsi?
CJ: Lei vuol dire che non può
impadronirsi della cellula per penetrarvi?
EPE: Precisamente. E se non può
replicarsi, l’ HIV non è una particella infettiva.
CJ: Ho l’impressione che
questo sia un problema serio. Come replicano gli esperti?
EPE: Lo evitano. Ed
il problema delle estroflessioni non è cosa nuova. Il gruppo tedesco vi
pose attenzione nei lontani anni '80 ed ancora nel 1992 (15, 16). Appena una
particella dell’HIV si libera da una cellula tutte le estroflessioni
scompaiono. Questo singolo fatto ha numerose ramificazioni. Per esempio, tre
quarti di tutti gli emofiliaci testati risultano positivi agli anticorpi
dell’HIV. E si afferma che gli emofiliaci hanno acquisito detti anticorpi come
risultato dell’essersi infettati con l’HIV da infusioni di fattore VIII
contaminato di cui hanno bisogno per curare la loro mancanza di coagulazione. Il
problema è che il fattore VIII è prodotto da plasma. Cioè il sangue con tutte
le cellule viene rimosso il che vuol dire che se vi sono delle particelle di HIV
presenti nel fattore VIII le stesse devono galleggiare libere nella soluzione.
Ma se l’HIV libero da cellule non ha delle estroflessioni detti HIV non hanno
alcun modo di penetrare nelle cellule fresche per infettarle.
CJ: E allora come spiegano gli
anticorpi dell’HIV e l’AIDS negli emofiliaci?
EPE: I miei colleghi ed io
abbiamo pubblicato diverse relazioni che dibattono spiegazioni
alternative compresa un’analisi dettagliata dell’emofilia in uno
studio indotto nella speciale edizione di Genetica nel 1995 (17) dedicato alla
controversia HIV/AIDS.
CJ: Devo confessare che trovo
molto difficile accettare il fatto che gli emofiliaci non siano stati infettati
tramite concentrati coagulanti contaminati e scommetto che è così anche per
gli emofiliaci.
EPE: Sfortunatamente è vero,
ma forse posso persuaderla con una spiegazione semplice e veloce. Se qualche
positivo all’HIV si taglia e sanguina per quanto tempo il sangue rimane
infetto? Fuori dal corpo?
CJ: Secondo quanto ho letto,
solo per poche ore al massimo.
EPE: E perché succede questo?
CJ: Perché l’HIV si secca
completamente e muore. Questo è certamente quello che dice il CDC. (18)
EPE: OK. Le faccio una domanda.
Come si produce il fattore VIII?
CJ: Da sangue donato.
EPE: Giusto. Ha mai visto una
fiala di fattore VIII?
CJ: No.
EPE: Bene. Glielo dico io.
Diventa una polvere secca, squamata, giallastra e nel tempo viene usata dopo
almeno un paio di mesi. Riesce a vedere il problema?
CJ: Lo vedo. Se è vecchia e
secca qualsiasi HIV in essa dovrebbe essere morto da molto tempo.
EPE: Esattamente. Perciò come
fa il fattore VIII a causare l’infezione da HIV e l’AIDS negli emofiliaci?
CJ: Non lo so ma penso di
cominciare a capire come mai il Suo gruppo non è il più festeggiato della città.
Forse faremmo meglio a non lasciarsi sviare in una discussione sull’emofilia.
Perché ritiene che fino ad ora la maggior parte degli esperti in HIV si siano
accontentati di considerare il materiale alla densità di 1,16 come HIV puro?
EPE: Penso che sia prematuro
affermare che queste fotografie abbiano cambiato le idee di qualcuno riguardo
alla porzione da 1,16 g/ml del gradiente di densità nell’essere qualsiasi
cosa tranne HIV puro.
CJ: Bene, come risponde il Suo
gruppo a queste fotografie?
EPE: Sulla prova fornita da
queste fotografie non vi è alcuna ragione di affermare che questo materiale è
puro o che contiene particelle simil-retrovirali tantomeno un retrovirus o, cosa
più importante, un retrovirus specifico, l’HIV. E questo rivendica la
posizione che abbiamo sempre mantenuto sin dall’inizio. Ed una posizione che
tempo fa abbiamo pubblicato, cioè che non esiste alcuna prova che dimostri
l’isolamento di un retrovirus da pazienti AIDS o da quelli a rischio di AIDS.
CJ: OK. Lasciamo da parte le
fotografie di Marzo e parliamo di che cosa potremmo dedurre da ciò che era
conosciuto in precedenza. Quanto è solida la prova precedente a Marzo che L'HIV
esiste?
EPE: Riferendoci alle
particelle tutte le prove provengono dalle micrografie elettroniche di colture
cellulari complete. NON dei gradienti di densità. Da tale prova si può dire
che le colture cellulari contengono una grande varietà di particelle alcune
delle quali si afferma che assomigliano a delle particelle retrovirali. Questo
è tutto. Non sono stati presi ulteriori dati delle particelle. Nessuna
purificazione, nessuna analisi e nessuna prova di riproduzione. In tali colture
molti gruppi di ricerca, compreso Hans Gelderblom e soci dell’istituto Koch di
Berlino, che è specializzato in questo campo, hanno riportato non solo un tipo
di particella, ma un assortimento sbalorditivo di particelle. (13, 19, 20) La
qual cosa solleva molti interrogativi. Se una di queste particelle è veramente
un retrovirus che gli esperti chiamano HIV, che cosa sono tutte le altre? Quale
di queste particelle si separa in bande a 1,16 g/ml? Se le particelle dell’HIV
causano l’AIDS perché una o molte delle altre particelle non causano anche
l’AIDS? Perché non tutte le particelle causano l’AIDS? Oppure perché
l’AIDS o le colture non provocano la comparsa delle particelle? E per quanto
riguarda l’HIV, gli esperti di HIV non possono nemmeno essere d’accordo su
che cos’è la particella dell’HIV. Vi sono tre sottofamiglie come pure tre
specie diverse.
CJ: Dove ci porta questo?
EPE: Noi non sappiamo ancora
che cosa siano alcune particelle. Non abbiamo una particella definita che si sia
dimostrato essere un retrovirus dal quale estrarre le proteine e l’RNA da
usare nei test per l’infezione nella popolazione, oppure fare esperimenti per
cercare di capire che cosa succede se vi è veramente un virus che causa
l’AIDS.
CJ: Va bene. Supponiamo di
avere davvero una fotografia di un gradiente di densità e che non contenga
nient’altro se non migliaia di particelle della giusta forma e dimensione, e
con estroflessioni, in modo che si possano chiamare particelle retrovirali.
Procediamo su che cosa si dovrebbe fare in seguito.
EPE: I passi successivi sono
quelli di frammentare le particelle, trovare quali proteine e RNA sono contenuti
in esse, provare che una delle proteine è un enzima che trasforma l’RNA in
DNA ed alla fine, prendere la maggior parte del gradiente di densità e
dimostrare che quando le particelle PURE vengono immesse in una coltura
cellulare vergine appaiono esattamente le stesse particelle composte dei
medesimi costituenti.
CJ: Ed è stato fatto questo?
EPE: No, ma forse parlare di
quello che è stato fatto può spiegare le cose più chiaramente. Alcuni degli
sperimenti di Gallo dal 1984.
CJ: Il 1984 non è un po’
lontano?
EPE: No, perché è la data in
cui si è fatta la migliore ricerca sull’HIV. Questi esperimenti sono di
vitale importanza poiché tutto quello che si è creduto e si è detto
sull’HIV è fondato su quanto è accaduto prima di allora.
CJ: Tutto?
EPE: Sì, ogni singola cosa. Se
è stata isolata una particella dell’HIV e pertanto se alcuni affermano che
essa esiste. Le proteine dell’HIV impiegate nei test sugli anticorpi. L’RNA
usato specialmente per diagnosticare bambini infettati con l’HIV ed ora usati
per misurare la cosiddetta carica
vitale. E di più. Ma la domanda è se sono abbastanza buoni.
CJ: Abbastanza buoni?
EPE: Abbastanza buoni per
affermare l’esistenza di un unico retrovirus chiamato HIV e che questo causa
l’AIDS.
CJ: Ci parli degli esperimenti
di Gallo. Perché era in qualche modo interessato all’AIDS?
EPE: Nel 1984 Gallo aveva già
passato più di una decina d’anni nella ricerca dei retrovirus e del cancro.
Era uno dei molti virologi coinvolti nel decennio della guerra contro il cancro
del Presidente Nixon. Verso la metà degli anni ‘70 Gallo affermò di aver
scoperto il primo retrovirus umano in pazienti affetti da leucemia. Affermava
che i suoi dati provavano l’esistenza di un retrovirus che egli chiamò HL23V.
(11, 21) 0ra, proprio come avrebbe
fatto più tardi per l’HIV, Gallo usò le reazioni agli anticorpi per
“provare” quali proteine nelle colture erano proteine virali. E non molto
tempo dopo altri proclamarono di aver trovato gli stessi anticorpi in molte
persone che non avevano la leucemia. Comunque, pochi anni dopo si dimostrò che
questi anticorpi capitavano in modo naturale ed erano diretti contro molte
sostanze che non avevano niente a che fare con i retrovirus. (22, 30) Allora ci
si rese conto che l’HL23V era un grosso errore. Non vi era alcun retrovirus
dell’HL23V. Così i dati di Gallo diventarono motivo di imbarazzo ed ora
l’HL23V è scomparso. Quello che ci sembra interessante è sapere che la
dimostrazione usata per affermare l’esistenza dell’HL23V è lo stesso tipo
di dimostrazione data per provare l’esistenza dell’HIV. In effetti la prova
dell’HL23V era migliore di quella dell’HIV.
CJ: Migliore in che modo?
EPE: Bene, a differenza
dell’HIV, Gallo trovò Transcriptasi inversa in tessuto fresco. Senza dover
fare delle colture. Ed ha pubblicato una micrografia elettronica del materiale
del gradiente di densità presente a 1,16 g/ml.
CJ: Ma si è dimostrato ancora
un falso allarme?
EPE: Gallo non parla più
dell’HL23V. Ma nel 1980 disse di aver scoperto un altro retrovirus. Era ancor
più dello stesso tipo di dati provenienti da pazienti affetti da leucemia e
questa volta lo chiamò HTLV-1 ed affermò che causava una particolare forma
rara che Gallo ora chiama leucemia adulta di cellule T4, ATL. Infatti vi sono
alcuni paralleli e paradossi molto interessanti tra l’HIV e l’HTLV-1.
CJ: Quali sono?
EPE: Si dice che infettino le
stesse cellule e si propaghino nello stesso modo. Invece a differenza dell’HIV,
l’HTLV-1 non è andato al di là del luogo in cui è stato scoperto.
La prevalenza di HTLV-1 si è riportata in Africa e nel Giappone del Sud
ed è là che è rimasta. E’ più a lungo di quanto lo sia stato per l’AIDS
e non dimenticate che sebbene si dica che questo virus causi la leucemia, meno
dell’ 1% delle persone risultate positive al test hanno mai sviluppato la
leucemia. Anche dopo quarant’anni. Ma sto andando fuori tema. Quello che stavo
dicendo era che molti dei primi pazienti AIDS avevano un cancro conosciuto come
sarcoma di Kaposi, come pure un basso numero delle stesse cellule T4 che sono
presenti in quantità eccessiva nell’ATL. Si venne a conoscenza di questo
fatto in quanto la nuova tecnologia per contare le diverse classi di linfociti
sopraggiunse circa nello stesso periodo in cui apparve l’AIDS.
CJ: Si ipotizzò che l’HIV
potesse uccidere le cellule T4?
EPE: Bè, era troppo presto per
l’HIV, ma si ipotizzò che qualcosa stesse distruggendole. Più tardi ci fu
effettivamente uno stadio in cui Gallo pensò che l’HTLV-1 potesse essere il
colpevole, ma quella teoria fu un problema poiché l’HTLV-1 presumibilmente
causa la leucemia. Inoltre, malgrado l’alta prevalenza di anticorpi
all’HTLV-1 nel Giappone del Sud, non vi erano casi di AIDS. Comunque, poiché
gli omosessuali avevano una così alta incidenza del cancro chiamato sarcoma
Kaposi e dal momento che sembrava che qualcosa colpisse i loro linfociti T4,
Gallo andò avanti nel cercare di trovare un retrovirus per spiegare il tutto.
CJ: Che cosa accadde in
seguito?
EPE: Gallo ed i suoi colleghi
fecero una grande quantità di esperimenti che culminarono in quattro relazioni
consecutive pubblicate su Science nel
Maggio del 1984. Il che avvenne un anno dopo che anche i francesi avevano
pubblicato il loro saggio su Science.
Il gruppo di Gallo cominciò a mettere in coltura linfociti da pazienti AIDS, ma
apparentemente nessuna delle colture produceva abbastanza Transcriptasi inversa
da convincere Gallo che un retrovirus era presente. In quel periodo Gallo aveva
un ricercatore cecoslovacco chiamato Mikulas Popovic che lavorava per lui e così
Popovic e Gallo furono d’accordo nel mescolare fluidi di coltura provenienti
da 10 pazienti AIDS e di aggiungere questo ad una coltura di cellule leucemiche.
Le cellule leucemiche che usarono in questa coltura erano state ottenute anni
addietro da un paziente con ATL. Fatto questo, si produsse abbastanza
Transcriptasi inversa da convincere Gallo e Popovic che ora avevano proprio un
retrovirus.
CJ: Lei vuole dire che un
retrovirus non si svilupperebbe in colture individuali provenienti da pazienti
AIDS, ma lo farebbe nel caso in cui i campioni fossero mescolati e messi a
coltura?
EPE: Sì.
CJ: Non è un po' strano? Come
può un embrione fare così? Sicuramente se è presente in uno dei campioni,
finché le colture vengono fatte nello stesso modo, dovrebbe svilupparsi
comunque?
EPE: Si penserebbe che è così.
CJ: E se si mescolano tutti i
campioni, come si potrebbe sapere chi aveva il virus in primo luogo? Sarebbe
potuto provenire solo da un paziente. Gallo si è mai posto questa domanda?
EPE: Lo ha fatto
e in un documentario televisivo del 1993 disse che non gli importava se
il virus proveniva da un singolo paziente o se proveniva da un gruppo di
pazienti.
CJ: Non ha detto che le cellule
leucemiche usate nelle colture erano originariamente ottenute da un paziente con
leucemia cellulare T4 adulta?
EPE: Sì.
CJ: Allora le colture devono
aver certamente contenuto diverse cellule T4?
EPE: Questo è vero.
CJ: Se dette colture venivano
composte da cellule T4 e se l’HIV distrugge tali cellule come poteva una
cellula una cellula uccidere il virus che si aspettava proliferasse?
EPE: Quello è un altro
problema sorto con la teoria HIV dell’AIDS. Anche se si dice che l’HIV
uccide le cellule T4 e rende le persone immunodeficienti, cioè quello a cui si
riferisce realmente l’ “AID” nell’AIDS, sia la linea cellulare leucemica
come pure il clone H9 che Popovic ha eventualmente prodotto, sono entrambi
immortali anche quando infettati dall’HIV. Ciò significa che piuttosto che
essere distrutte dall’HIV le cellule permettono a quello che viene considerato
HIV di crescere indefinitamente. Il clone H9 viene largamente impiegato sia
nella ricerca che commercialmente per produrre quelle che vengono considerate le
proteine dell’HIV da usare nei kit dei test anticorpali.
CJ: OK. Che cos’ha fatto
Gallo effettivamente per provare di aver isolato un nuovo retrovirus proveniente
da pazienti AIDS?
EPE: Se Lei legge il primo
studio, quello che veniva considerato isolamento consisteva in fotografie al
microscopio elettronico di poche particelle nelle colture, non nel gradiente, in
cui si trovava la Transcriptasi inversa e si osservava che alcuni anticorpi
presenti nei pazienti affetti da emofilia come pure nei conigli reagivano
con alcune delle proteine nelle cellule delle colture.
CJ: Quello fu riportato come
isolamento di un virus?
EPE: Sì.
CJ: Si tratta veramente di
isolamento?
EPE: Per isolamento si intende
la separazione da tutt’altra cosa. Non soltanto la scoperta di alcuni
fenomeni. Il solo modo per provare l’esistenza di un agente infetto è di
isolarlo. Questo è il punto su cui si fonda tutta la discussione.
CJ: Sì, ma isolato o meno,
come replica all’affermazione di Gallo che le sue colture producevano un
retrovirus?
EPE: Me lo faccia ripetere, non
è una questione di isolamento: Gallo non ha isolato un virus. Non ci sono state
delle fotografie al microscopio elettronico di un campione separato in bande che
si ritenesse mostrassero nient’altro che particelle retrovirali. Come potevano
essercene? Non vi fu assolutamente nessuna micrografia elettronica di un
campione separato in bande. Solamente fotografie di cellule con una dozzina o giù
di lì di particelle che si trovavano nelle vicinanze, ma nessuna estrazione ed
analisi e prova che queste particelle potessero replicarsi all’interno di
particelle identiche. Ma quello che dobbiamo chiedere è se Gallo aveva la prova
per dire che aveva scoperto anche un retrovirus. Secondo il nostro punto di
vista non l’ha fatto. Ed è di vitale importanza a questo punto stabilire che
trovare delle particelle e la Transcriptasi inversa non è la prova della
presenza di un retrovirus.
CJ: Lei ha detto che le
particelle dei retrovirus contengono Transcriptasi inversa.
EPE: E’ così, infatti si
scoprì la Transcriptasi inversa nei retrovirus, ma vi è un tranello. Il
tranello consiste in due cose. Il modo in cui si prova la presenza dell’RT ed
il fatto che l’RT non è caratteristico dei retrovirus.
CJ: L’RT?
EPE: La Transcriptasi inversa.
L’esistenza dell’RT viene provata indirettamente. Mettendo un po' di RNA
all’interno di una coltura ed osservare se appare il DNA che porta la sequenza
corrispondente.
CJ: Lei vuole dire che la
presenza dell’RT è soggetta all’abilità della coltura di fare questo
particolare trucco.
EPE: Sì, si misura dimostrando
il processo di Transcriptasi inversa. Come molti test enzimatici, il test per la
Transcriptasi inversa valuta che cosa fa l’enzima, non il vero enzima stesso.
Così nel caso di RT, misura la produzione di DNA copiato da un pezzo sintetico
di RNA introdotto all’interno delle colture. Il problema è che l’RT non è
la sola cosa in grado di fare questo trucco, come lo chiama Lei. Anche altri
enzimi, dei normali enzimi cellulari possono fare questo trucco. In effetti lo
fanno molto bene con lo stesso RNA sintetico che tutti i ricercatori HIV
introducono nelle loro colture da copiare nel DNA (24) e per affermare che le
loro colture contengono l’RT dell’HIV, ossia l’HIV. E per di più quando
si legge la letteratura dell’AIDS, diventa chiaro il fatto che alcuni
ricercatori che pubblicano la dichiarazione di aver isolato l’HIV non hanno
fatto niente di più che scoprire l’RT.
CJ: E’ completamente
sconcertante.
EPE: E c’è di più per
quanto riguarda l’RT. Per esempio, secondo Harold Varmus, Premio Nobel e Capo
dell’Istituto Nazionale della Sanità, le RT stesse sono presenti nelle
cellule normali. Ed i batteri hanno le RT. Ed è risaputo che alcuni dei
prodotti chimici che sono un componente obbligatorio di queste colture fanno sì
che i normali linfociti
abbiano una trascrizione inversa. Ed anche le cellule leucemiche possono
eseguire lo stesso trucco senza aiuto quando non sono messe a coltura con tali
prodotti chimici o cellule provenienti da pazienti AIDS.
CJ: Allora vi sono molte
ragioni possibili per l’RT?
EPE: Sì e ve ne è ancora
un’altra. Si ricordi che Gallo e Popovic hanno usato le cellule H9 per
dimostrare l’esistenza di ciò che loro affermavano fosse un nuovo retrovirus.
Ma come ho detto prima, se si traccia l’origine della linea cellulare H9, la
stessa proviene dalla linea cellulare HUT78, una linea cellulare che ebbe vita
da un paziente che Gallo dice che avesse una forma maligna causata dall’HTLV-1.
Se questa malignità fosse causata dall’HTLV-1, allora l’HTLV-1 e la sua RT
dovrebbero essere proprio nelle cellule che Gallo ha usato per provare la
presenza di HIV.
CJ: Ma sicuramente nessuno
cercherebbe un nuovo retrovirus usando delle cellule che contenevano già un
altro retrovirus?
EPE: Si sarebbe potuto pensare
di no specialmente un anno prima che Gallo pubblicasse uno studio in Nature
riportando le sequenze genetiche dell’HTLV-1 nella linea cellulare dalla quale
alla fine avevano origine le cellule H9. (25)
CJ: Così la prova in cui si
usa l’RT non sembra buona?
EPE Il problema dell’RT è il
problema di tutte le prove. E’ proprio come le particelle che Gallo ha
fotografato. Potrebbero essere le cellule di un retrovirus, la trascrizione
inversa potrebbe essere causata dall’RT di un retrovirus, ma il “potrebbe”
non è una prova scientifica. Non si costruiscono teorie scientifiche dalle
quali “si potrebbe” andare avanti.
CJ: Ma anche se così fosse,
Eleni, come può tralasciare le particelle? Sono così convincenti. Come può
sottrarsi al fatto che non ha importanza in che modo Gallo e qualunque altro si
sono allontanati dal metodo tradizionale di isolare un retrovirus, vi sono delle
particelle in queste colture e parecchie persone importanti hanno guardato ad
esse come a particelle di un retrovirus.
EPE: Apprezzo il suo punto di
vista, ma penso che le particelle debbano essere guardate da una prospettiva
molto ampia. Le particelle simil-retrovirali sono praticamente onnipresenti.
Negli anni '70 vennero frequentemente osservate tali particelle in tessuti
leucemici umani, nelle colture dei tessuti embrionali e nella maggior parte
delle placente animali ed umane.
Questo fatto è significativo
dato che la linea cellulare H9 viene mescolata con cellule leucemiche ed anche
poiché Montagnier ha ottenuto le sue micrografie elettroniche da colture fatte
con linfociti del sangue del cordone ombelicale. Vi è inoltre un grande gruppo
di particelle retrovirali classificate come particelle
di tipo-C che si trovano in pesci, serpenti, vermi, fagiano, quaglia,
pernice, tacchino, topi da albero, tenie, in insetti come pure in mammiferi. E
tra i molti suoi aspetti ufficiali l’HIV è stato descritto come una particella
di tipo-C, sia da Montagnier che da Gallo. (26) Vi è inoltre uno studio
sulle microscopie elettroniche riportato nel 1988 da O’Hara e colleghi di
Harvard (27). Hanno esaminato i linfonodi ingranditi sia di pazienti AIDS che
non, ed hanno riscontrato particelle dell’“HIV” nel 90% di AMBEDUE i
gruppi. Hanno dovuto ammettere che le particelle da sole non provano
l’infezione da HIV.
CJ: Va bene: Lasciamo da parte
le particelle. Che cosa mi dice degli anticorpi che reagivano con le cellule
nelle colture? Questo deve sicuramente significare qualcosa che ordinariamente
non è presente? Ciò ha a che fare con un agente retrovirale infetto?
EPE: Potrebbe averne a che fare, ma c’è ancora quella parola. Non è
semplicemente possibile provare che le proteine appartengono ad un retrovirus o
che gli anticorpi siano provocati da un retrovirus, od affermare la prova
dell’isolamento di un retrovirus solo perché alcune cose reagiscono insieme
in una provetta da test.
CJ: Per favore, potrebbe darmi
qualche altra spiegazione?
EPE: Cerchiamo di non prendere
altri dati al di là di quanto la buona scienza ci permette. Gli esperimenti
riportati nel primo saggio di Gallo ci dicono che alcuni anticorpi presenti in
un paziente con emofilia, come pure nei conigli, reagivano con alcune proteine
nelle cellule H9 messe a coltura con linfociti provenienti da pazienti AIDS. (1)
CJ: Che genere di dati?
EPE: Cioè i dati sui quali
dobbiamo lavorare. Quello che importa è come interpretiamo i dati. Ora, per
quanto concerne ciò che lui chiamò isolamento dell’HIV, Gallo considerava
gli anticorpi come una prova cruciale. Come possiamo saperlo? Per due ragioni.
Primo, per quanto abbiamo già detto, Gallo sapeva che ci sono delle particelle
che assomigliano esattamente ai retrovirus, che si separano in bande a 1,16 g/ml
e che contengono l’RT, ma che non si riproducono. Perciò di qualunque cosa si
tratti, non ha importanza come essi insorgano, non possono essere dei virus.
Secondo, sappiamo perché in uno degli scritti di Gallo, lui parla
effettivamente della necessità di avere degli agenti
specifici per identificare una particella come un virus. E con questo
intende degli anticorpi specifici o delle proteine. L’ipotesi di Gallo è che
esiste un virus che causa l’AIDS, è estraneo perciò quando infetta un
paziente e il paziente sviluppa anticorpi al virus.
CJ: Si muove perciò sia in
avanti che all’indietro? Il virus produce gli anticorpi e gli anticorpi
possono essere usati per indicare il virus?
EPE: No, è questo il problema.
Gli anticorpi non si muovono all’indietro. Le dirò il perché tra un minuto.
Qui la cosa importante è non dimenticare a quale domanda stiamo cercando di
dare una risposta. Stiamo cercando di definire quali proteine sono costituenti
caratteristici di una particella retrovirale. Per me vi è solo un modo per
farlo. Ed è semplice. Definiamo le proteine esattamente nello stesso modo in
cui definiamo le nostre braccia e gambe. Oppure i nostri reni.
CJ: Che cosa significa?
EPE: Le mie cianfrusaglie
anatomiche sono mie perché sono parte di me. Sia dentro che fuori. Se uno dei
miei reni è malato e deve essere rimosso la prima cosa che deve fare un
chirurgo prima di mettermi sul tavolo operatorio è di accertarsi che si tratti
di me. Non è diverso con i virus. Le proteine virali sono le proteine che
provengono da particelle di cui si ha si ha la prova che sono un virus. E’
semplice. Se si vuole definire le proteine di una particella retrovirale prima
di tutto si deve provare di AVERE una particella retrovirale.
CJ: Gli anticorpi sono troppo
imprecisi?
EPE: Gli anticorpi sono
imprecisi, ma non è questo il punto. Gli anticorpi sono irrilevanti. Si prova
che le proteine provengono da una particella del virus isolando la particella e
facendo quindi un dissezionamento. Non si prova che le proteine sono costituenti
di una particella virale provocando reazioni chimiche su ciò che è
essenzialmente una minestra di colture. Non ha niente a che fare con questo. E
se perciò alcune proteine ed alcuni anticorpi reagiscono? Vi sono innumerevoli
ragioni per cui potrebbero avvenire queste reazioni.
CJ: Quali?
EPE: Vi sono molti anticorpi e
gli anticorpi ad una data cosa possono reagire o reagiscono con altre cose. (28,
29)
Gli immunologi le chiamano
cross-reazioni. Questo è un fatto della Natura e causa problemi poiché un
anticorpo che reagisce con una proteina in una coltura potrebbe essere proprio
un anticorpo prodotto verso qualcosa di totalmente non collegato. Ed è anche
molto probabile che non sia nemmeno qualcosa nella coltura. Per dirla in parole
povere, gli anticorpi adottano degli altri partner. Il mio collega Val Turner ha
adottato il termine “promiscuo” per spiegare questo comportamento. Il solo
modo per provare una reazione che si vede che è causata da un’unica proteina,
è di vedere come le reazioni si confrontano con ciò che si pensa possano
significare. Quello che dobbiamo fare è mettere in correlazione le reazioni
contro l’HIV stesso. Gli anticorpi sono specifici dell’HIV se, e solo se,
sono presenti solo quando l’HIV è presente.
CJ: Non se l’HIV è assente?
EPE: Un cento per cento
specifico significa che nessun anticorpo reagisce in assenza dell’HIV. Ora,
per come la vediamo i miei colleghi ed io, usare degli anticorpi per provare
l’esistenza di un retrovirus è il punto cruciale del problema. Questa è una
parte molto importante della controversia perciò spero di riuscire a
trasmettere il seguente messaggio che è molto importante.
CJ: Sono tutt'orecchi.
EPE: Pensi a quello che è
successo fino ad ora. C’è un metodo vecchio, logico, attendibile, sensato per
provare l’esistenza di un retrovirus. Si basa su niente di più se non la
definizione di un retrovirus come una particella avente una particolare
dimensione, forma, aspetto e costituenti e la capacità di riprodursi. Ma per
qualche ragione sconosciuta questo metodo è stato abbandonato nell’era
dell’HIV. Non mi chieda il perché. Al suo posto abbiamo una collezione
disparata di dati comprese particelle non fotografate in gradienti di densità e
qualche prova della trascrizione inversa sia nella coltura che nel materiale che
si separa in bande a 1,16 g/ml. Nessuna di queste è la prova che esista un
retrovirus nelle colture. Gallo stesso lo dice.
CJ: La sto seguendo. Prosegua.
EPE: Ed ecco che arriva
l’idea degli anticorpi. Se vi è effettivamente un virus che è quindi
estraneo, questo dovrebbe provocare anticorpi nella persona che infetta. Forse
questi anticorpi sono davvero specifici, il che significa che si producono
unicamente in risposta all’HIV e reagiscono con le proteine virali e
nient’altro. Supponiamo che questa improbabile specificità sia un fatto e
facciamo un’ipotesi ancor meno probabile.
CJ: Sì?
EPE: Diciamo che ciò che si
considera vero dei cosiddetti anticorpi dell’HIV sia vero per tutti gli
anticorpi. Qualsiasi singolo anticorpo mai prodotto reagisce solo con ciò che
ha stimolato la sua produzione e con nient’altro. Gli anticorpi al batterio
della tubercolosi reagiscono solo al batterio della tubercolosi. Gli anticorpi
al virus dell’epatite reagiscono con il virus dell’epatite e così via. OK.
Abbiamo delle colture di tessuti derivati da pazienti AIDS che reagiscono con
anticorpi nei sieri di pazienti AIDS. Che cosa c’è dopo? Sappiamo che i
pazienti AIDS vengono infettati da molti agenti diversi. Perciò se tali agenti,
o parti di essi, sono presenti nei pazienti AIDS, devono esserci anche
probabilmente nelle loro colture cellulari. Non è proprio per questo che il
personale dei laboratorio viene considerato a rischio nel maneggiare questi
campioni? E sappiamo anche che malgrado siano codificati come immuno-deficienti,
tutti sono d’accordo che i pazienti AIDS hanno miriadi di anticorpi a cose di
ogni genere. Compresi gli anticorpi alle cellule umane T, le cellule che
compongono le colture. Se si aggiungono alcuni anticorpi a tali colture
provenienti dallo stesso tipo di pazienti, anche se ogni anticorpo reagisce solo
con il suo compagno, non si dovrebbe aspettare di vedere un grande numero di
reazioni tra un grande numero di cose diverse?
CJ: Capisco il suo punto di
vista. Poiché tutto quello che si vede sono delle reazioni, non si può dire
cosa stia reagendo con che cosa.
EPE: Esattamente. Gli anticorpi
reagiscono e delle cose e si illuminano, ma chi ha messo il dito
sull’interruttore? E per quanto riguarda questa discussione siamo giunti
all’accordo che ogni anticorpo si dirige contro un agente e reagisce solo con
quell’agente. E se allora restituiamo la vera vita in cui gli anticorpi
cross-reagiscono?
CJ: Suppongo che sia un gran
pasticcio. E’ difficile dire da dove provengono alcune proteine od anticorpi.
EPE: E’ assolutamente esatto.
E non si devono confondere le origini con la composizione. Per certo non si può
provare l’origine di una proteina attraverso una reazione degli anticorpi. In
che modo una reazione potrebbe dirci che una proteina proviene da una particella
piuttosto che venire da Marte? Ma non si può provarne nemmeno l’identità.
Questo perché gli anticorpi non lavorano all’indietro.
CJ: Vi sono dei germi nei
pazienti AIDS che potrebbero effettivamente reagire come Lei ha detto?
EPE: Sì, Il virus
dell’epatite B ne è un buon esempio. Molti, e nel caso degli emofiliaci,
virtualmente tutti i pazienti AIDS vengono infettati dal virus dell’epatite B.
E l’HBV non infetta solo le cellule del fegato. Infetta anche i
linfociti-T. E per quanto possa sembrare strano, l’epatite B ha un enzima
della Transcriptasi inversa. E la gente produce anticorpi a tale virus...
CJ: Ho colto il senso.
EPE: Ma c’è di più per
quanto riguarda gli esperimenti di Gallo. Tanto per cominciare, il siero che
Gallo ha usato in questo esperimento proveniva da un paziente con le iniziali
‘E.T.’ Ma E.T. non aveva in effetti l’AIDS. Aveva una condizione
conosciuta come pre-AIDS. Cioè un
ingrandimento dei linfonodi in molte parti del corpo. Ma il pre-AIDS è causato
da molti agenti infettivi che sono presenti per esempio in molti omosessuali, in
coloro che fanno uso di droghe intravenose e negli emofiliaci anche quando non
è presente niente di ciò che viene chiamato HIV.
CJ: Perciò E.T. potrebbe non
aver avuto gli anticorpi all’HIV?
EPE: Esattamente e l’altro
fatto strano riguarda i conigli.
CJ: Stavo per chiederglielo.
EPE: Gallo afferma di aver
avuto un siero proveniente dai conigli che conteneva anticorpi specifici
dell’HIV. Immagini solo per un momento la scena nel laboratorio di Gallo.
Hanno messo a coltura le cellule H9 con linfociti provenienti da pazienti AIDS e
quando giungono a determinare quali proteine nelle loro colture hanno origine da
un presunto virus raggiungono lo scaffale ed ecco che tirano giù una bottiglia
etichettata “anticorpi specifici dell’HIV”. Come sono riusciti ad ottenere
tali anticorpi? Questo è stato il primo saggio che hanno scritto, ma avevano già
una bottiglia contenente gli anticorpi dei conigli specifici di un virus che
stavano allora cercando di isolare proprio per la prima volta.
CJ: Allora come l’hanno
fatto?
EPE: Dicono di aver preparato
gli anticorpi dei conigli infettando ripetutamente dei conigli con l’HIV. Ma
se stavano preparando degli anticorpi all’HIV non potevano iniettare ai
conigli l’HIV puro (30), il che significa ancora che dovevano aver già
isolato quello che stavano cercando di fare per la prima volta. Ciò non ha
senso.
CJ: Bene, se non hanno
iniettato l’HIV puro nei conigli che cosa hanno iniettato?
EPE: Nel miglior dei casi, se
hanno usato dei campioni separati in bande che loro e qualunque altro
considerano come HIV puro, si ha la prova che quello che hanno iniettato doveva
essere qualcosa di simile a ciò che vediamo nelle fotografie degli Istituti
Nazionali dei Tumori franco-tedeschi e statunitensi. Ora qualsiasi libro di
immunologia dirà che le proteine sono le sostanze più potenti a disposizione
come induttori di anticorpi. Ancor più se vengono introdotte direttamente nel
flusso del sangue. Perciò, iniettando il loro materiale da coltura nei conigli,
anche se avevano usato un campione separato in bande, Gallo e Popovic avrebbero
esposto i loro conigli ad una moltitudine di proteine cellulari. I conigli
avrebbero quindi prodotto anticorpi a tutte quelle proteine e dopo aver aggiunto
detti anticorpi al materiale che avevano iniettato, naturalmente ci sarebbero
state reazioni. E’ esattamente quello che ci si aspetta che faccia, ma che non
fa, il materiale che si infetta col virus. Ed ancora meno con un unico
retrovirus.
CJ: OK. Capisco quello che sta
dicendo. La sua obiezione è che, prima che ci fosse un virus, Gallo non avrebbe
potuto sapere in alcun modo che c’erano degli anticorpi nel paziente E.T. o
nei pazienti AIDS o nei conigli che avrebbero riconosciuto in modo specifico le
proteine dell’HIV.
EPE: Sì. Prima che lui avesse
un virus non c’era modo di sapere che esistevano gli anticorpi all’HIV da
qualche parte. Per iniziare ancora a parlare di anticorpi specifici delle
proteine dell’HIV prima si deve provare che le proteine sono costituenti di
una particella simil-retrovirale che sia in grado di replicarsi. Ed il solo modo
per farlo è di isolare le particelle e fare quant’altro ho descritto. Si ha
bisogno del virus PRIMA di andare a cercare le proteine e gli anticorpi.
CJ: Allora, cosa diavolo sono
questi anticorpi nei pazienti AIDS che tutti chiamano anticorpi dell’HIV?
EPE: Quello che i miei colleghi
ed io abbiamo messo in discussione in tutti questi anni è che non vi è alcuna
prova che siano anticorpi dell’HIV. Il solo modo per trovare se sono anticorpi
dell’HIV è di fare l’esperimento confrontando gli anticorpi con
l’isolamento del virus. Questo è ciò che significa avere un gold standard.
Usando l’isolamento del virus come un mezzo
totalmente indipendente per determinare se vi siano effettivamente anticorpi
specifici dell’HIV. Si può pensare all’HIV come ad un giudice. Se gli
anticorpi specifici di un retrovirus chiamato HIV esistono, essi si riveleranno
reagendo solo quando un retrovirus chiamato HIV è presente. Non c’è niente
di più semplice. Ora, sebbene Lei non possa rendersene conto, c’è un altro
problema. Ci potrebbero essere degli anticorpi specifici dell’HIV, ma se ci
fossero anche degli anticorpi non-specifici dell’HIV?
CJ: Posso immaginare che la
gente sia confusa. La pregherei di elaborare il concetto.
EPE: Va bene. Il problema
nell’usare gli anticorpi è che ci potrebbero essere due tipi di anticorpi. Un
tipo è specifico il che significa che si tratta di anticorpi causati dall’HIV
e nient’altro e che reagiscono con l’HIV e nient’altro. L’altro tipo è
non specifico, il che significa che sono anticorpi causati da altri agenti o
stimoli e reagiscono di sicuro con quegli agenti, ma reagiscono anche con
l’HIV. Se si aggiunge il siero di una persona ad alcune proteine dell’HIV in
una coltura o in un Kit da test e si vede una reazione, come si piò dire quale
tipo di anticorpi sta producendo la reazione? Vi sono infatti tre possibilità.
Tutti gli anticorpi potrebbero essere di tipo specifico o nessuno di essi
potrebbe esserlo. Oppure ci potrebbe essere un miscuglio. Tutto quello che si
vede è una reazione. Qualcosa cambia colore. E’ tutto. Perciò cosa si può
dire? Semplice. Si fanno dei test per gli anticorpi in tutti i tipi di pazienti,
qualcuno con l’AIDS, qualcuno che è malato ma che non ha l’AIDS ed anche
alcune persone sane. Ma negli stessi esperimenti, allo stesso tempo, si usa
l’HIV come giudice, Per giudicare di quale tipo di anticorpi si tratta. E se
gli anticorpi compaiono quando non vi è nessun HIV, allora devono esistere
degli anticorpi non specifici.
CJ: Che cosa pensa
dell’esperimento per vagliare gli anticorpi?
EPE: L’esperimento, che si
sarebbe dovuto fare da tempo prima che il test degli anticorpi dell’HIV
venisse introdotto nella medicina clinica, non è mai stato fatto. Ed infatti
non si sarebbe potuto fare poiché fino ad oggi nessuno ha isolato l’HIV. Ma
vi è una grande quantità di prove che dimostrano che le persone che tutti gli
esperti accettano come NON infettate dall’HIV hanno degli anticorpi che
reagiscono con quelle che alcuni affermano trattarsi delle proteine dell’HIV.
Perciò vi sono anticorpi non-specifici dell’HIV e se alcuni sono
non-specifici come si può sapere
quanti lo sono? Perché non tutti? Anche se ce n’è solo qualcuno, come si può
parlarne separatamente? La risposta è che non si può e ciò significa che non
una singola persona può essere diagnosticata usando un test degli anticorpi.
Significa anche che gli scienziati devono mettere in dubbio l’esistenza
dell’HIV esattamente per le stesse ragioni per cui gli scienziati dello Sloan
Kettering and National Cancer Institute hanno messo in dubbio l’esistenza
dell’HL23V.
CJ: Perciò la vostra
discussione si riduce essenzialmente agli anticorpi dell’ “HIV” che non
insorgono a causa dell’HIV o che non sono diretti contro l’HIV malgrado il
fatto che tutti li chiamano anticorpi dell’HIV?
EPE: Esattamente.
CJ: Che cosa ci dice a
proposito della prova che l’HIV causa l’AIDS? Gallo l’ha dimostrato nel
1984?
EPE: Per essere onesti, nei
suoi scritti in Science del 1984 Gallo
non ha fatto tale asserzione diretta. Disse che l’HIV era la probabile causa
dell’AIDS. Ma anche questa conclusione è discutibile. Anche se la
dimostrazione di Gallo era la prova inconfutabile che aveva isolato un
retrovirus, egli riuscì ad isolarlo solo
da 26 su 72 pazienti AIDS. E’ solo il 36 percento. E solo l’88% di 49
pazienti AIDS aveva gli anticorpi. E questo avvenne per lo più usando
l’ELISA, il test degli anticorpi considerato il meno specifico. Nessuno
diagnostica l’infezione da HIV su un singolo ELISA. E se il virus era presente
in solo il 36% dei pazienti perché l’88% aveva gli anticorpi? Intendo dire
che c’erano più pazienti con gli anticorpi senza il virus di quelli con il
virus. E non c’era nemmeno uno straccio di prova che l’HIV stesse uccidendo
le cellule T4 o che avendo una scarsa quantità di cellule T4 esso potesse
causare tutte le malattie diagnosticate come AIDS.
CJ: La prova del 1984 era
insignificante?
EPE: Non vi era alcuna prova. Ma due anni dopo, quando Gallo stava
difendendosi dall’accusa di aver usato il virus francese per scoprire la sua
versione dell’HIV, fu molto più determinato riguardo ai suoi studi del 1984.
Disse che forniva la prova “chiara” che l’HIV è la causa dell’AIDS. E
la sua opinione non era diversa nel 1993. Mi permetta di leggerle proprio le
parole di Gallo dal documento televisivo del 1993, ‘The Plague’ (La piaga,
il flagello):
«La
prova inconfutabile che ha convinto la comunità scientifica che questa specie
di virus è la causa dell’AIDS è venuta da noi. La giusta crescita di questo
virus proviene da questo laboratorio principalmente tramite Mika Popovic. Lo
sviluppo di un esame del sangue realizzabile, preciso. Non penso che ci sia
qualcosa da discutere. Penso che la storia parli da sè».
CJ: I problemi che Lei
riscontra nelle pubblicazioni di Gallo riguardano anche i test usati per
diagnosticare i pazienti infetti dall’HIV quando non vengono fatte le colture?
EPE: Si riferisce al test
anticorpale?
CJ: Sì.
EPE: E’ lo stesso test.
Riesce a capire che cosa è successo? I ricercatori sull’HIV hanno usato
alcuni anticorpi nel sangue dei pazienti per convincersi che alcune proteine
nelle loro colture sono costituenti caratteristici di una particella che loro
dicono essere un retrovirus e lo chiamano HIV. Questa è la prima cosa. Ma dopo
aver fatto questo si sono espressi diversamente e hanno detto: «OK, se queste proteine provengono dall’HIV allora gli anticorpi devono
essere anticorpi dell’HIV».
Hanno quindi usato la sola e medesima reazione chimica per provare qual
è il reagente quando non vi è in effetti alcun modo per cui uno degli
anticorpi ci dica anche che cos’è un reagente, anche se si conosce l’altro
con cui iniziare. Ecco perché è necessario uno
standard aureo quale giudice indipendente. Per quanto riguarda
effettivamente l’esecuzione dell’esame
la differenza delle colture è che il sangue del paziente viene mischiato con
delle proteine estratte dall’H9, oppure altre colture cellulari, e messo tutto
quanto insieme in una provetta da test o separatamente in posti distinti lungo
una sottile striscia di carta. Il primo viene chiamato l’ELISA
ed il secondo il Western Blot. Se dette proteine reagiscono con il sangue
e nel Western Blot il numero ed il tipo delle proteine reagenti richieste per
produrre un test positivo variano in tutto il mondo, e questo è un altro
problema enorme, allora si dice che il paziente è positivo all’HIV.
CJ: Allora il test anticorpale
dell’HIV è effettivamente la stessa procedura che venne usata per provare
l’esistenza dell’HIV nelle colture provenienti da pazienti AIDS nel 1984?
EPE: Sì. Ed anche dai francesi
nel 1983. E da Gallo ed i suoi colleghi per provare l’esistenza dell’HL23V
verso la metà degli anni settanta. Il nostro gruppo considera interessante il
fatto che qualsiasi scienziato possa considerare degli anticorpi che reagiscono
con delle proteine come prova di isolamento virale. Un anticorpo unito ad una
proteina è un virus? Che cosa si aspetta di vedere al microscopio elettronico?
Una particella con un core e delle estroflessioni?
CJ: Allora è giusto dire che i
test anticorpali dell’HIV sono inutili?
EPE: No, non sono inutili. Non
vi è alcun dubbio che l’essere in un gruppo a rischio ed avere anticorpi non
sia una bella cosa.
CJ: Come può essere?
EPE: Poiché empiricamente è
molto più probabile che tali persone sviluppino la malattia che classifichiamo
come AIDS. (31) Infatti, nel Lancet è
pubblicata la prova che un test positivo preannuncia mortalità crescente
da malattie che non sono classificate come AIDS. Ma quello che non fanno
i test, o almeno non vi è alcuna dimostrazione che lo facciano, è provare
l’infezione da HIV. Oppure ancor meno provare che l’infezione da HIV è la
ragione per cui la gente sviluppa l’AIDS. Lei può non rendersi conto che la
sola prova che l’HIV causa l’AIDS siano questi test. Se i test non sono
validi per provare l’infezione da HIV, allora non vi è alcuna prova che
l’HIV causi l’AIDS. (3-5, 26, 32, 34)
CJ: Che cosa può dirci di un
test positivo in persone che sono apparentemente sane ed in nessun gruppo a
rischio? Dovrebbero essere preoccupate?
EPE: Non ci sono dati per
rispondere a questa domanda e ritengo che sia impossibile ottenere mai questi
dati. Ci dovrebbe essere un esperimento che paragona i gruppi selezionati di
persone sane con e senza questi anticorpi. In altre parole, seguire le persone
con un test positivo per un periodo di diversi anni e vedere chi ha sviluppato
l’AIDS e chi no. La difficoltà sta nel fatto che sarebbe molto difficile per
molte persone che sanno di essere positivi all’HIV, come pure per i loro
medici, non credere che presto o tardi diventeranno molto malati e moriranno
eventualmente di AIDS. E la mente può condizionare molto i risultati di tale
esperimento. Da entrambe le parti.
CJ: Che cosa intende per da
entrambi le parti?
EPE: Voglio dire che la salute
dei pazienti sarebbe influenzata sapendo che sono positivi all’HIV ed i loro
medici si vedrebbero costretti ad offrire dei trattamenti con medicine date
nella convinzione che siano necessarie per uccidere un virus che i pazienti non
hanno.
CJ: Anche le medicine
potrebbero essere nocive?
EPE: Bè, l’AZT, la medicina
originale e maggiormente impiegata è certamente ben nota per i suoi effetti
tossici ed infatti alcuni di questi effetti imitano l’AIDS.
CJ: Che cosa succederebbe se si
facesse questo esperimento, alla cieca, e si trovasse che i positivi all’HIV
sono più predisposti a contrarre l’AIDS dei negativi all’HIV? Che cosa ci
direbbe di questo?
EPE: Secondo i nostri dati
attuali ciò significherebbe la stessa cosa che significa nei gruppi a rischio
di AIDS. Gallo ed i suoi colleghi con probabilità hanno scoperto un test che
per certe ragioni preannuncia una tendenza ad ammalarsi di certe malattie che
vengono considerate alla stessa stregua dell’AIDS. Ma ciò non prova che il
collegamento di tutte queste malattie sia un retrovirus. Questo non potrà mai
essere dimostrato a meno che non si provi l’esistenza dell’HIV isolandolo
prima e dopo che sia stato usato per confermare gli anticorpi come anticorpi
dell’HIV. Anche dopo, non si potrà dire che l’HIV causa l’AIDS solo perché
è presente nei pazienti AIDS. L’associazione non prova il rapporto tra causa
ed effetto. Infatti, secondo la definizione dell’AIDS del CDC, non è
necessario essere infettati dall’HIV per essere diagnosticati come AIDS.
CJ: Sembra veramente pazzesco.
EPE: E’ scritto nella
letteratura. In certe circostanze la definizione dell’AIDS del CDC richiede
che un paziente sia diagnosticato come un caso di AIDS anche se i test degli
anticorpi del paziente sono negativi. (35)
CJ: Che cosa si dice sui test
dell’RNA. Il PCR e la carica virale e simili?
EPE: Questa è un’altra
materia immensa, ma posso dire solo una cosa. Tutti questi test si basano sul
confrontare un frammento dell’RNA o DNA del paziente con un frammento da test
dell’RNA o DNA che si ritiene abbia origine da una particella chiamata HIV. Si
può considerare questo caso come quello degli anticorpi dei conigli. Vi è
un’altra bottiglia sullo scaffale e sull’etichetta si legge
“RNA dell’HIV”. Ma se non si è isolato e purificato una particella
retrovirale e dimostrato che sia un virus, come si può sapere da dove viene
questo frammento di RNA? Gli stessi esperti in HIV dicono che ci sono circa
cento milioni di RNA dell’HIV in ogni paziente AIDS. (36) Con questa grande
variazione si potrebbe pensare che un virus sia l’origine più probabile per
detto RNA. Voglio dire, come può un virus avere una variazione così grande ed
essere anche lo stesso agente? Fare anche le stesse proteine e indurre la
formazione di anticorpi? Utilizzare ancora gli stessi identici meccanismi?
CJ: Mi dica Eleni, se non vi è
alcun virus da dove provengono tutte le cose che Montagnier e Gallo
hanno trovato? Presumo che Lei creda che abbiano trovato qualcosa nelle
colture?
EPE: Naturalmente hanno trovato
qualcosa. Hanno trovato molte cose. Tutte le cose che abbiamo discusso. E la Sua
domanda è giusta. Secondo il nostro punto di vista è possibile che l’RT e le
sue particelle siano una qualche reazione prodotta quando le cellule vengono
messe a coltura da persone malate. Oppure quando viene introdotto nelle colture
il risultato dei prodotti chimici. Sappiamo che sia i processi normali che
patologici possono essere associati alla comparsa delle particelle simil-virali.
Non c’è assolutamente alcun dubbio al riguardo. Che cosa sono esattamente
queste particelle? Be’, alcune possono essere solo frammenti delle cellule che
si disintegrano. Delle altre sembrano certamente più uniformi e potrebbero
essere concepibilmente simil-virali o anche simil-retrovirali, ma nel contesto
dell’HIV ciò che importa veramente è la prova che almeno una di queste
varietà di particelle sia veramente una particella retrovirale. Anche se
avessimo questa prova, l’RT e le
particelle e le proteine potrebbero provenire tutte da un retrovirus endogeno.
CJ: Che cos’è un retrovirus
endogeno?
EPE: A differenza di tutti gli
altri agenti infettivi, il DNA umano normale contiene informazioni retrovirali
che non sono arrivate lì seguendo un’infezione retrovirale. La cellula è
nata con esso. Perciò tra tutti i nostri DNA ci sono segmenti composti di
alcune informazioni retrovirali e che possono stare là forse per tutta la vita
finché non succede qualcosa. Il DNA comincia a produrre RNA e quindi proteine e
questo può andare anche più lontano e portare all’assemblaggio di particelle
retrovirali endogene. Sono chiamati endogeni perché non sono qualcosa che è
venuto dall’esterno. Come si suppone che lo sia l’HIV. Viene chiamato
esogeno qualcosa che è entrato dall’esterno. Molto tempo prima dell’era
dell’AIDS tutti sapevano che nelle cellule animali la produzione di retrovirus
endogeni poteva avvenire spontaneamente. Si fa una coltura cellulare e
nient’altro. Basta lasciarla sullo scaffale per pochi giorni o forse poche
settimane e quindi un giorno comincia a produrre particelle simil-retrovirali.
Apparentemente non provengono da nessuna parte ed il processo si può accelerare
in modo significativo e la produzione di particelle aumentare, alcune volte di
milioni di volte, da condizioni che provocano l’attivazione cellulare, le
stesse condizioni che sono obbligatorie per ottenere dalle colture cellulari
quello che viene chiamato HIV. E’ interessante sapere che, fino al 1993, né
Gallo né Fauci che è un altro ricercatore HIV molto conosciuto (37) hanno
accettato il fatto che gli individui contenessero il DNA per produrre retrovirus
endogeni, ma ora si accetta il fatto che
il DNA retrovirale endogeno forma circa l’1% del DNA umano. Per la
cronaca, è circa 3.000 volte più grande di quella che gli esperti affermano
sia la dimensione del genoma dell’HIV. E per di più, possono insorgere dei
nuovi genomi retrovirali per il riordinamento e la ricombinazione dei genomi
retrovirali esistenti.
CJ: Perciò l’HIV potrebbe
essere un retrovirus endogeno?
EPE: Vi sono molte spiegazioni
per i fenomeni di laboratorio presenti come prova dell’esistenza dell’HIV.
Li abbiamo esaminati tutti in un articolo molto lungo che abbiamo scritto per la
rivista Continuum lo scorso Ottobre. (38)
CJ: Si può parlare di endogeno
ed esogeno separatamente?
EPE: No. I retrovirus prodotti
in modo endogeno sono morfologicamente e biochimicamente indistinguibili dai
retrovirus esogeni.
CJ: Se l’HIV fosse un virus
endogeno, come potrebbero i pazienti AIDS produrre tali virus quando noi non lo
facciamo?
EPE: Perché i pazienti sono
malati. Infatti loro sono malati prima di aver mai sviluppato l’AIDS. Perciò
le loro cellule sono malate e le loro cellule malate si trovano nella giusta
condizione nelle colture per attivarsi. Questo è ciò di cui si ha bisogno per
produrre un virus endogeno e che si è saputo per decine di anni. O gli
agenti ai quali vengono esposti i pazienti provocano le giuste condizioni,
oppure le condizioni di coltura recitano una parte. Forse una parte importante.
Io non so quale sia il contributo maggiore, ma ciò si sarebbe potuto valutare
molto tempo fa se i primi ricercatori HIV avessero incluso pochi esperimenti di
controllo.
CJ: Quali sono?
EPE: Quando si fa una coltura
di linfociti provenienti da un paziente AIDS con alcune cellule H9 e tutti i
prodotti chimici che si aggiugono per fare la coltura producono l’ “HIV”,
non si sa se ciò che si trova è effettivamente la differenza che pone i
pazienti AIDS separatamente da tutti gli altri. Che cosa accadrebbe se si
cercasse esattamente la stessa cosa in pazienti similari che non hanno l’AIDS?
Perciò, per convincersi che quello che si trova e si chiama HIV è presente
solo nei pazienti AIDS e che perciò potrebbe avere qualcosa a che fare con
l’AIDS, si devono usare dei controlli. Sono degli esperimenti svolti
parallelamente ai principali esperimenti condotti esattamente nello stesso modo
usando esattamente gli stessi materiali. La sola differenza è l’unica
variabile che si sta inseguendo.
CJ: Potrebbe dare ulteriori
informazioni?
EPE: Un controllo sarebbe una
coltura di cellule provenienti da alcuni pazienti della stessa età e sesso e
condizioni ambientali che hanno malattie come l’AIDS, ma non l’AIDS. Ancora
meglio se le cellule provenissero da pazienti che hanno un basso numero di
cellule T4 e che sono ossidati. (3,32) I pazienti AIDS hanno entrambe queste
anomalie, ma non sono i soli pazienti ad averle. E non ci si deve nemmeno
dimenticare di aggiungere gli stessi prodotti chimici a tutte le colture.
Sappiamo già che uno di questi agenti chimici provoca la trascrizione inversa
nei linfociti normali. Ora, se si facesse tutto questo si potrebbe allora
trovare che i linfociti provenienti da uomini di New York che fossero malati di
AIDS svilupperebbero anch’essi particelle ed RT e reazioni da anticorpi quando
messi a coltura. Ciò vorrebbe significare che si dovrebbe essere molto cauti
nell’interpretare quei dati come se fossero qualcosa di speciale per l’AIDS.
CJ: Non ci fu nessun controllo?
EPE: Questo è ancora un altro
problema di tanta ricerca sull’AIDS. Difficilmente si usano dei controlli e
quando lo si fa sono spesso del tipo sbagliato.
CJ: E’ possibile che così
facendo abbiamo completamente “ribaltato” l’AIDS? Lei prima accennava a
questo. I pazienti o le colture
potrebbero essere responsabili di quello che viene chiamato HIV e non viceversa?
EPE: Giusto. Avere l’AIDS può
essere proprio una prescrizione per sviluppare quelle anomalie. Gli stessi
retrovirologi hanno discusso il fatto che i retrovirus possano insorgere come
risultato di una malattia e non viceversa. Mettere causa ed effetto al contrario
non è cosa nuova per la Medicina. Anche il Premio Nobel è stato concesso in
tali circostanze.
CJ: E’ quasi arrivato il
momento di concludere. Ho altre tre domande. La prima, per quanto tempo Lei ed i
Suoi colleghi hanno portato avanti la tesi che l’HIV non esiste?
EPE: Sin dalla prima
pubblicazione sull’HIV. Nel 1983.
CJ: Perciò non è una cosa a
cui siete giunti recentemente?
EPE: No.
CJ: Avete pubblicato queste
particolari polemiche? Voglio dire su un giornale scientifico?
EPE: Sì. Nel mio primo studio
sull’AIDS del 1988. Ho portato avanti una teoria non virale dell’AIDS ed ho
anche incluso qualcosa di ciò di cui abbiamo parlato oggi.
CJ: Dov’è stato pubblicato?
EPE: In Medical
Hypotheses. (3)
CJ: Un giornale non molto
conosciuto?
EPE: E’ un giornale ben noto
per le idee. Lì la discussione sull’HIV non è franca come quella che abbiamo
avuto oggi ma tornando indietro nel tempo, era virtualmente impossibile
discutere l’esistenza dell’HIV. Era importante essere abbastanza abili da
ottenere la pubblicazione. Nonostante ciò, ci sono voluti alcuni anni per
ottenere la pubblicazione di quello studio. Inizialmente l’ho sottoposto ad un
giornale molto più importante, ma è stato rifiutato. Due volte in effetti.
CJ: Di che giornale si
trattava?
EPE: Non ha importanza. Quindi
nel 1988 Val Turner ed io abbiamo scritto un saggio che spiegava nei dettagli
tutti i problemi di cui abbiamo discusso oggi. Abbiamo indirizzato quel saggio
ai clinici e l’abbiamo offerto ad un giornale letto da dottori praticanti in
Australia.
CJ: Non avete avuto fortuna?
EPE: Per niente.
CJ: Perciò solo la gente che
ha letto Medical Hypotheses avrebbe
potuto sapere quello che pensavate dieci anni fa?
EPE: Sì.
CJ: Lei ha accennato alla Sua
teoria non virale dell’AIDS. Mi dica qualcosa.
EPE: Eravamo tra le prime
persone al mondo a mandare avanti l’idea che fattori non infettivi spiegano
l’AIDS negli omosessuali ed i primi a proporre una teoria non infettiva per
tutti i gruppi a rischio come pure un meccanismo unificante. Per di più, la
nostra teoria anticipa il fatto che i fattori che causano lo svilupparsi delle
malattie da AIDS sono anche responsabili dei fenomeni che tutti gli altri
desumono come l’isolamento di un retrovirus proveniente da pazienti AIDS.
CJ: Che reazione si è avuta
alla vostra teoria?
EPE: Sfortunatamente molto
limitata, ma alcuni gruppi di ricerca hanno confermato alcune delle nostre
teorie compresa la teoria che gli antiossidanti possano essere utili per
trattare gli individui che sono a rischio di
sviluppare l’AIDS.
CJ: E’ riuscita a vincere
l’inerzia verso le loro idee?
EPE: Non abbiamo avuto molta
fortuna con la stampa scientifica, ma alcuni omosessuali ed associazioni di
omosessuali hanno cominciato ad essere nostri grandi alleati. Se non fosse per
loro, penso che il nostro compito sarebbe quasi impossibile.
CJ: Se lei dovesse citare un
solo ostacolo che impedisce la risoluzione dei problemi scientifici con
l’AIDS, quale sarebbe?
EPE: Secondo il nostro parere
l’unico ostacolo principale per capire e risolvere l’AIDS è l’HIV.
CJ: Questo potrebbe spiegare
perché il vostro gruppo ha scritto così tanti saggi contro l’HIV?
EPE: E’ del tutto esatto.
Infatti abbiamo scritto molti più saggi di quanti ne abbiamo pubblicati.
Sfortunatamente siamo riusciti portare in stampa solo una dozzina di saggi o
poco più nei giornali scientifici. Uno dei più importanti era un saggio
pubblicato in Bio/Technology (5) che
adesso si chiama Nature/Biotechnology.
Lì dicevamo senza mezzi termini che non vi è alcuna prova dell’isolamento
dell’HIV. Quello studio è stato certamente notato, ma ancora una volta
nessuno ha risposto ai nostri punti di vista.
CJ: Così siete rimasti una
minoranza?
EPE: Non siamo solo una
minoranza. Siamo ancora i soli ad aver mai pubblicato dei dati nei giornali
scientifici che discutono l’esistenza dell’HIV e che cercano di dimostrare
che i test degli anticorpi dell’HIV non sono la prova dell’infezione da HIV.
CJ: Eleni, perché
virtualmente, malgrado tutto ciò che ha spiegato oggi, tutti i fisici e gli
scienziati del mondo sembrano estremamente a loro agio proprio con la prova che
Lei trova così difficile da accettare?
EPE: Il problema non è quello
di accettare la prova. E’ come la prova viene interpretata. Questo è il mio
modo di vedere. Molti degli scienziati e dei medici che credono nell’HIV e che
l’HIV causi l’AIDS lo fanno perché accettano l’interpretazione di una
minoranza relativa di esperti. Non è assolutamente realistico aspettarsi che la
gente che lavora nell’AIDS analizzi i dati al punto in cui siamo. Per quanto
gli stessi esperti in HIV siano implicati, non so perché interpretino la prova
come fanno. Posso solo fare delle supposizioni. Forse è perché le fotografie
sono così povere. Vi sono fotografie che contengono particelle che sembrano un
virus e c’è la Transcriptasi inversa nelle stesse
colture come nelle particelle. E’ possibile collegare mentalmente le
particelle, la trascrizione inversa e le proteine e gli anticorpi che reagiscono
con le proteine e portare ciò come la prova dell’esistenza di un retrovirus.
Specialmente per un retrovirologo. Suppongo che qui risieda l’intero problema.
Non dobbiamo dimenticare che tutti noi siamo soggetti e guardiamo i problemi
dalla nostra prospettiva.
CJ: Ma la stessa cosa non
riguarda l’interpretazione della letteratura da parte del suo gruppo?
EPE: Lo fa certamente, ma non
perde di vista un aspetto molto importante di tutto ciò che non è soggettivo.
CJ: Che cos’è?
EPE: La definizione di un virus
ed il metodo che si segue per provare l’esistenza di un virus. Lo stesso
metodo che fu approvato dall’Istituto Pasteur nel 1973. non si può negare che
sia un metodo che costituisce la prova assoluta dell’esistenza di un
retrovirus. E ciò che non si può nemmeno negare è che l’HIV non sia mai
diventato una realtà secondo questo metodo. In altre parole, nonostante
l’AIDS venga considerato come una delle condizioni più gravi che abbia mai
afflitto la razza umana, nessuno ha ritenuto necessario usare un metodo sicuro
per stabilire l’esistenza della causa putativa di questa terribile malattia.
Al contrario tutti hanno optato per una serie di criteri non specifici e
sembrano pensare che se si mettono tutti questi insieme debbano in qualche modo
trasformarsi nella risposta giusta.
CJ: Questo non ha alcun merito?
Se sono tutti indizi di un retrovirus, certamente più se ne hanno e più ci si
avvicina.
EPE: Sicuramente no. Che cosa
accade se la vera causa è qualcosa di inaspettato? Oppure qualcosa di cui non
si è a conoscenza o non è nemmeno possibile immaginare? In quel caso più
indizi si hanno su ciò che ci si sta aspettando, o si vuole che sia, più è
probabile venir tratti in inganno. Tutto si riduce a se ci si vuole occupare
delle probabilità piuttosto che dei fatti. E’ quello che intendo per essere
soggettivi. E’ come un medico che vede un paziente con la febbre, diarrea,
vomito e shock e che dichiari che la causa è il colera. Potrebbe essere
sicuramente il colera, ma cosa dire delle dozzine di altri batteri che causano
una simile patologia? Che cosa accadrebbe se la sua vita dipendesse da questo?
CJ: Capisco il suo punto di
vista. Ritiene che ora che si è visto che cosa c’è effettivamente nel
gradiente di densità, la corrente insorgerà contro l’HIV?
EPE: Mi aspetterei che i dati
segnino un punto di svolta. Specialmente che la maggior parte delle persone se
ne renda conto e ne venga a conoscenza. A conferma di ciò che il nostro gruppo
è andato dicendo per moltissimo tempo. Nell’introduzione al saggio
franco/tedesco, gli autori affermano chiaramente che prima delle loro fotografie
il gradiente di densità a 1,16 g/ml era “considerato contenere una
popolazione di particelle virali relativamente pure”. Quello è il nostro
punto di vista. L’HIV non è mai stato isolato e tuttavia per gli ultimi
quattordici anni gli scienziati e le compagnie biomediche hanno contribuito ad
usare questo materiale per ottenere le proteine e l’RNA come se fosse HIV
puro. Le fotografie sono potenti e questa è un’arma a doppio taglio.
CJ: Che cosa pensa possa
accadere ora alla ricerca sull’AIDS?
EPE: Penso che il metodo
tradizionale dell’isolamento dei virus dovrebbe essere applicato il più
urgentemente possibile usando colture con cellule provenienti da pazienti AIDS,
come pure controlli adatti. Come ho detto, dobbiamo scoprire una volta per tutte
se esiste quello che viene chiamato HIV. Ci sono voluti quattordici anni per
ottenere una pura manciata di fotografie al microscopio elettronico di un
gradiente di densità ed anche se queste non avessero mostrato niente di più
del giusto tipo apparente di cellula, stiamo ancora tralasciando tutti gli altri
passi che sono necessari per giungere ad un retrovirus.
CJ: Quali sono i passi più
importanti?
EPE: Tutti i passi sono
importanti. Stabilendo la presenza di particelle simil-retrovirali nelle
colture, la purificazione e l’analisi di dette particelle prova che le
particelle possono riprodursi e prova che gli anticorpi nel sangue dei pazienti
che reagiscono con le proteine prese dalle particelle sono specifici.
CJ: Se non è così?
EPE: Se questi fenomeni vengono
osservati anche nelle colture dei controlli, oppure se le particelle che si
separano in bande a 1,16 g/ml sono della morfologia sbagliata o non sono
infette, oppure se gli anticorpi presenti nei pazienti AIDS non sono specifici
di tali particelle, allora non si può dire che i pazienti AIDS sono infettati
da un unico virus, HIV.
CJ: Che cosa significa che
l’HIV potrebbe fare una fine simile a quella dell’HL23V?
EPE: E’ molto probabile. Le
proteine che si diceva appartenessero all’HL23V vennero definite allo stesso
modo delle proteine dell’HIV. Per reazioni di anticorpi. Perciò quando si
dimostrò che gli anticorpi erano non-specifici, l’HL23V scomparve. Nel caso
dell’HL23V fu relativamente facile poiché gli anticorpi erano presenti in
cosi tante persone che non avrebbero mai avuto la leucemia da essere legati ad
essere qualcosa di non collegato e cioè quello che si era infine testato presso
il Sloan Kettering e l’Istituto Nazionale dei Tumori. Il mio gruppo pensa che
gli scienziati alla fine accetteranno il fatto che è come per gli anticorpi
dell’HIV. Lei può notare che i pazienti AIDS sono inondati di anticorpi a così
tante cose diverse che una piccola quantità di queste potrebbe facilmente
reagire con due o tre delle dieci proteine presenti nel test dell’ “HIV”.
Questo è tutto ciò che si richiede per essere positivi all’HIV.
Infatti ora vi è ampia dimostrazione che gli anticorpi prodotti come risultato
di infezione con i due germi che infettano il novanta per cento dei pazienti
AIDS reagiscono con tutte le proteine dell’HIV. Intendo germi noti come
micobatteri e lieviti che tra di loro causano due delle più comuni malattie che
definiscono l’AIDS. Abbiamo uno studio su questo argomento in stampa sul
giornale britannico Current Medical Research and Opinion (39). In questo caso
come si può dire che questi anticorpi provano l’infezione da HIV o che queste
malattie sono causate dall’HIV?
CJ: Eleni Papadopulos-Eleopulos,
La ringrazio molto per avermi dedicato un po’ del Suo tempo oggi.
EPE: E’ stato un piacere.