Christine
Johnson
LA
CARICA VIRALE
E
LA PCR*
Perché
non possono essere utilizzati
per testare l’HIV
Tratto
da “Continuum”, vol. 4, n. 4, nov.-dic. 1996
Traduzione
italiana di Fabrizio Guidi e Simonetta Pandolfi
Servizio speciale
“La versione biotecnologica della macchina Xerox”, come la rivista Forbes
chiama la polymerase chain reaction (PCR). Questa tecnica
rivoluzionaria permette agli sperimentatori di prendere un campione contenente
una minuscola quantità di DNA e replicare quella sequenza di DNA fino ad
averne, invece che appena una o due copie, fin ad un milione di riproduzioni
esatte.
Kary Mullis, l’ideatore della PCR, vinse nel 1993 il Premio Nobel per
la sua invenzione da un bilione di dollari, divenuta oramai indispensabile per
ogni laboratorio genetico. Una delle prime applicazioni della PCR, ironicamente,
fu rilevare l’HIV, considerando che lo stesso Mullis non credeva che la sua
invenzione ne fosse capace. Mullis afferma che il problema è che la PCR è
troppo efficiente - amplificherà qualsiasi DNA che è nel campione, senza
riguardo se quel DNA appartiene all’HIV oppure ad un contaminante. E come si
decide quale parte del materiale amplificato potrebbe essere HIV e quale di
contaminanti, se non si può rivelare l’HIV nel campione senza utilizzare la
PCR?
Uno degli argomenti principali contro l’ipotesi HIV/AIDS è che, quando
s’impiegano metodi tradizionali per rivelare il virus, l’HIV non è mai
stato implicato in quantità significativa nelle persone con AIDS. La cultura
del virus, per esempio, era adatta per trovare altri virus, ma non l’HIV.
Perché no? Quando la cultura del virus è impiegata per scoprire l’HIV, esso
non si è mai visto o trovato nelle culture. La sua presenza è misurata da
metodi molto indiretti: analisi per la scoperta dell’enzima trasciptasi
inversa o della quantità di antigene p241,
nessuno dei quali è specifico per l’HIV. Metodi indiretti non sarebbero
necessari se fosse presente una quantità significativa di HIV.
In altre parole, se fosse presente una quantità significativa di HIV, le
tecniche di laboratorio consolidate nel tempo potrebbero trovarlo. Esse non
possono. Ora non è più sufficiente la PCR, ma modificazioni e sviluppi
continui della PCR, per tentare di trovare l’HIV.
Questa è come l’idea della “carica virale” cambia, ispirata da due
ondate di pubblicazioni scientifiche che affermano che l’HIV si replica
attivamente in gran quantità: le pubblicazioni [1, 2], inizialmente, e più
recentemente i lavori di Ho e Wei [3, 4], affermano che l’HIV si nasconde nei
linfonodi. Ho e Wei tentarono di misurare la “carica virale” in un
determinato momento, dopo che ai pazienti furono somministrati farmaci
“antivirali”. Si riteneva che i farmaci erano in grado di prevenire la
riproduzione di qualsiasi nuovo HIV e di conseguenza la carica virale
decrescerebbe.
Il rimanente virus, tuttavia, entro pochi giorni muterebbe in una
struttura resistente ai farmaci e la carica virale in poche settimane tornerebbe
ai livelli precedenti il trattamento. Studiando il fenomeno con un appropriato
modello matematico2, il rapporto di
riproduzione del virus è stato presumibilmente determinato.
Perciò nacque ciò che io chiamo “la teoria del lavandino della cucina
del Dr. Ho”. Secondo lo scienziato, ogni giorno sono riprodotte bilioni di
copie dell’HIV, che infettano bilioni di cellule T4. Queste cellule T non sono
distrutte dall’HIV, ma dal sistema immunitario. Esse sono reintegrate ogni
giorno, ma negli anni il sistema immunitario perde terreno ed alla fine l’HIV
vince. Questo processo è paragonato ad un pozzo con lo scarico aperto,
l’acqua vi affluisce da un rubinetto (le nuove cellule T reintegrate) con un
rapporto leggermente più basso di quello in uscita (le cellule T infette che
sono distrutte).
È importante osservare che la carica virale è studiata facendo
completamente affidamento sulla PCR e sulle tecniche ad essa legate.
Quest’articolo screditerà la PCR come un metodo accurato per determinare
l’infezione dell’HIV e successivamente vuole instillare dubbi che qualsiasi
conclusione sull’HIV sia basata sulla tecnica PCR.
La
PCR trae profitto da indiscutibili proprietà fondamentali del DNA. Il DNA (ed
anche l’RNA) è un acido nucleico, e gli acidi nucleici sono composti di
“mattoni” nucleotidi. Il DNA esiste sotto forma di due sponde complementari
organizzate con una forma a doppia elica (due spirali intrecciate assieme).
Queste sponde sono unite da molti nucleotidi agganciati insieme per formare una
lunga catena di DNA.
Le
molecole nucleotidi presentano tre parti differenti: il fosfato e lo zucchero
(che formano una spina dorsale oppure una struttura simile ad un nastro), e la
base. Esistono quattro tipi di basi: A (adenina), T (timina), C (citosina), G (guanina).
Queste basi sono attaccate alla struttura, che è avvolta nella nota doppia
elica.
Le
basi su una catena si congiungono con le basi dell’altra catena e ciò
fornisce al DNA la sua struttura stabile a doppia elica (pensate a due sponde
che si chiudono come una cerniera). La distinta natura di un codice DNA
dell’organismo dipende dall’ordine, o dalla sequenza, della cerniera. La
distinta natura di un codice DNA dell’organismo dipende dall’ordine, o dalla
sequenza, delle basi lungo la catena del DNA.
Ci sono regole particolari su come le basi formano i legami chimici con
le altre basi: un A si legherà solamente con un T, ed il C solamente con un G.
Una base di una catena che si lega ad una base dell’altra catena è chiamata
“coppia base complementare”. Il loro ruolo è ciò che dà al DNA la sua
capacità di replicare esattamente se stesso.
Ogni
volta che una cellula si divide, deve fare una copia del suo DNA per la nuova
cellula. La doppia catena del DNA prima “apre” se stessa in due sponde
distinte. Ogni singola catena funge da sagoma, o modello, da cui fare una nuova
copia della catena complementare. (In questo modo, la catena #1 funge da modello
per fare una nuova copia della catena #2, e viceversa). La singola catena,
quindi, incorpora i nuovi mattoni nucleotidi dal mezzo che la circonda, secondo
la regola della coppia base complementare. In altre parole, un A disponibile
sulla singola catena si aggrapperà ad un nucleotide T, un C ad un G, sino a
duplicazione completa avvenuta. Le due sponde originali, alla fine del processo,
si chiudono tra loro, e le due sponde copiate fungono da DNA per una nuova
cellula.
Come
lavora la PCR
La teoria dell’HIV afferma che esso, come altri retrovirus ipotizzati,
contiene RNA ma non DNA: quando si dice che l’HIV infetta una cellula, si
pensa che l’enzima trascriptasi inversa trasformi l’RNA nel DNA
complementare, che è quindi inserito nel DNA della cellula ospite.
Di conseguenza, se la PCR è usata per analizzare il tessuto umano sulla
presenza dell’HIV, si dovrebbe cercare solamente un piccolo segmento fuori
dell’intera catena cellulare del DNA. Questo piccolo segmento rappresenta il
materiale genetico proposto per l’HIV, che in teoria è stato incorporato nel
DNA della cellula. (La carica virale studia il tentativo di cercare l’HIV
delle cellule libere. Persino in questo caso, la PCR cerca solamente una parte
dell’intero pacchetto genetico proposto dell’HIV, ovvero il genoma, non un
intero virus).
La PCR lavora nel seguente modo:
1.
Riscalda il modello: si è riscaldato un lungo tratto di DNA
contenente un piccolo frammento che deve essere copiato. Le due catene possono
essere “unite” a parte a temperatura elevata, quindi riunite insieme
lentamente per raffreddamento (“appaiamento”). Le due catene separate sono
tra loro complementari. Esse fungono da modelli per le nuove catene.
2.
Aggiunge i caratteri fondamentali: è necessario qualcosa,
denominato carattere fondamentale, per il passo successivo. Si tratta dei
nucleotidi che formano una breve sequenza di una nuova catena e sono progettati
per essere complementari ad una sequenza conosciuta, parte di una sequenza più
grande, ed in questo modo è noto dove si fisseranno (ovvero dove si
ibridizzeranno) i caratteri fondamentali.
I caratteri
fondamentali si agganceranno ad ogni estremo del segmento di DNA che deve essere
copiato (il segmento che rappresenta l’ipotizzato materiale genetico
dell’HIV). Essi servono per due scopi: il primo consiste nel marcare ogni
estremo del segmento testato in modo che solamente quel segmento sarà
amplificato, non l’intera catena; il secondo
per iniziare il processo di duplicazione.
Le nuove
catene sono costruite mattone per mattone mediante l’azione di un enzima,
denominato polimerasi. Esso costruisce una nuova catena di DNA accanto ad
una già esistente. La polimerasi non opererà se la vecchia catena (il
modello) ha su di essa alcuni nucleotidi che formano una breve sequenza di una
nuova catena (carattere fondamentale). (Se vedete un riferimento a
“modello-caratteri fondamentali”, è ciò di cui parlano).
In altre
parole, la polimerasi può solamente formare una nuova catena se la nuova
catena si è già parzialmente formata. In natura, quando il vostro stesso DNA
è duplicato, altri enzimi chiamati primasi DNA, costruiscono i caratteri
fondamentali nella vecchia catena.
Una volta
che la polimerasi inizia ad agire, procede lentamente lungo la singola
catena del DNA (il modello), aggiungendo ad essa i nucleotidi, realizzando un
mattone alla volta. I caratteri fondamentali portano a termine il loro compito
divenendo parte della catena appena costruita.
La polimerasi,
in natura, separa le catene del DNA mentre esse costruiscono la nuova catena del
DNA. In questo modo si duplicano copie di DNA, fatte in modo che le cellule come
quelle del sangue e della pelle possono dividersi in due nuove cellule, processo
essenziale per la vita.
3.
Amplifica: una volta ancora, dopo aver fuso e quindi appaiato i
caratteri fondamentali, l’enzima polimerasi copia il DNA iniziando da
tali caratteri, eseguendo una nuova copia di ogni segmento bersaglio. Questo
processo è ripetuto fino a 30-40 volte. Durante ogni ciclo, il numero di
segmenti raddoppia, così due segmenti diventano quattro, quattro diventano
otto, quindi sedici e così via. Alla fine del processo sono state eseguite
circa un milione di copie del segmento originale. Ora avete una gran quantità
di DNA, dove in origine ne avevate una molto esigua. Per questo motivo la PCR è
reputata in grado di trovare “un ago in un pagliaio”.
Ovviamente,
è necessario che i caratteri fondamentali siano specifici dell’HIV. Se la PCR
amplifica (“PCR positiva”), dipende dal fatto che i caratteri fondamentali
aggiunti si armonizzano con la parte di DNA contenuta nel provino testato.
Inoltre,
vedrete che è in dubbio la specificità dei caratteri fondamentali per l’HIV.
Persino se fossero specifici, nel caso che sequenze simili siano presenti nel
segmento bersaglio, i caratteri fondamentali, in condizioni non restrittive,
formeranno ibridi con sequenze legate (o legame) che sono un incontro
imperfetto.
Essi quindi
inietteranno la polimerasi, che inizia l’amplificazione, anche se
nessun HIV era presente, tanto per cominciare.
Uso della PCR per trovare l’HIV
Un problema per l’ipotesi HIV era
che, persino con l’uso della PCR standard, i ricercatori non poterono rilevare
molto, se non poco, sull’HIV in persone con la diagnosi di AIDS. Per risolvere
questo paradosso, gli autori delle nuove pubblicazioni sulla “carica virale”
aggiunsero due varianti della PCR, che essi vantarono essere molto più
efficienti per il rilevamento dell’HIV. Erano la QC-PCR (PCR quantitativa) ed
il test DNA derivato (bDNA). Ed improvvisamente - eureka! - furono rilevati
bilioni di copie di ciò che si credeva essere HIV. Qui la contraddizione sembra
essere sfuggita agli autori della pubblicazione: perché sarebbero necessari
nuovi test così potenti per trovare un microbo presente in grande quantità?
Sarebbero sufficienti i metodi tradizionali.
QC-PCR (PCR quantitativa)
Questo è il test utilizzato nelle pubblicazioni sopracitate da Anthony
Fauci (Pantaleo) e Ashley Haase (Embretson), i quali affermarono che l’HIV era
“nascosto nei linfonodi”. Queste pubblicazioni furono accettate, di fatto,
anche se la QC-PCR era, e rimane, una tecnica non valida.
Mark Craddock, dell’Università di Sidney (Australia), espose i
principi di, ed i problemi con, QC-PCR nel seguente modo[8]:
“La massa
della PCR produce frammenti di DNA. Partite con una piccola quantità di DNA e
dopo ogni ciclo della PCR, la quantità di DNA è compresa tra una o due volte
quella di partenza del singolo ciclo. Tale quantità, di conseguenza, cresce
esponenzialmente, quindi anche l’errore sperimentale cresce esponenzialmente;
dovete quindi prestare attenzione a cosa fate con il processo.
Molte
persone hanno deciso che sarebbe possibile stimare la quantità di DNA presente
in un campione utilizzando la PCR. Ciò è la cosiddetta “PCR quantitativa”.
L’idea è di aggiungere al campione da stimare una quantità conosciuta di
DNA, simile ma distinguibile, ed amplificarli entrambi insieme. Il presupposto
è che il rapporto tra le quantità dei due prodotti rimarrebbe inalterato, e
quindi potete determinare la quantità iniziale di campione da tale rapporto,
calcolato quando, con la PCR, si è prodotta una quantità sufficiente di
entrambi, e sapendo quanto DNA di controllo è stato aggiunto.
Ciò che è
assolutamente decisivo è che il rapporto tra le due quantità di DNA deve
rimanere perfettamente uguale. Quasi uguale non è più accettabile. La più
lieve variazione sarà amplificata esponenzialmente e può produrre un grave
errore nella vostra stima.
“Le
difficoltà nell’uso della PCR per questi esperimenti è stata evidenziata da
Luc Raeymaekers nella rivista Analytical Biochemistry nel 1993. Egli
osservò che le pubblicazioni sulla QC-PCR contengono dati, che mostrano come il
presupposto fondamentale che il rapporto tra le due quantità rimanga costante
non si verifica nella pratica. Malgrado ciò, i ricercatori che si occupano
dell’HIV continuano ad utilizzare la PCR per quantificare la carica virale.
Semplicemente non c’è un modo di sapere se una data stima è corretta oppure
è 100.000 volte più grande!”
Todd Miller
chiama la QC-PCR “l’ultima moda della scienza” e conviene che se il
rapporto tra le due quantità non è uguale, l’unico dato certo sulla stima
del modello di partenza (la quantità di HIV RNA proposto nel campione di sangue
del paziente) sarà errato.
Come
diventa la QC-PCR, con tutti i suoi difetti, un accettabile test HIV? Miller
spiega:
“Il modo
in cui questa situazione si è manifestata nella scienza moderna è il seguente:
•
molte persone tentano di utilizzare questo test per lavoro, e se sono
fortunati, scrivono pubblicazioni sulle cautele da adottare per questo
procedimento;
•
altri utilizzano il test per dare una risposta che “abbia un senso”
e pubblicano i loro dati come un significativo contributo alla ricerca;
•
a causa della nuova e misteriosa natura, rimane come un qualcosa a metà,
con pochi utenti e molti scettici.
La maggior
parte degli utenti, tuttavia, è maggiormente interessata ai propri fenomeni
prediletti piuttosto che ai meccanismi della reazione.”
bDNA
Questo è il test utilizzato nella pubblicazione di Ho. Sebbene non sia
la PCR nel vero senso della parola, si può considerare tale giacché incorpora
la tecnologia della PCR. La differenza è che il bDNA amplifica il segnale, non
il segmento bersaglio. La normale PCR, in effetti, aumenta il segmento bersaglio
che potete trovare, mentre con il bDNA è come illuminare il segmento bersaglio
con un riflettore, per vederlo meglio. La Project Inform è stata
piuttosto gentile a mandarmi le spiegazioni di come opera il bDNA [9]:
“Copie di un “DNA di misura” sono fissate alla parete di una
piccola provetta da laboratorio; quindi vi si pone il campione. (il DNA di
misura è un piccolo pezzo di DNA complementare alla sequenza del DNA del
segmento bersaglio). Tale DNA di misura si lega ad una specifica parte dell’RNA
HIV, se si trova nel campione, trattenendo l’RNA nella provetta. Quindi vi si
pone un altro DNA di prova; un estremo di esso si fissa all’altra parte
dell’RNA HIV. L’altro estremo del secondo DNA di prova ha molte diramazioni
ed ognuna termina con un “referente” chimico che, in determinate condizioni,
emetterà luce, che sarà rilevata dalle apparecchiature di laboratorio. Ogni
molecola di RNA HIV può fissarsi ad una di queste diramazioni e consente
l’emissione di sorgenti luminose, non solo una. In questo modo, possono essere
rilevate quantità molto piccole di RNA del segmento bersaglio, senza utilizzare
l’amplificazione della PCR.”
Nella sua prima pubblicazione, Ho non dette alcuna indicazione sui
protocolli per questo test o se fosse affidabile. Il lettore fu rimandato ad
altre due pubblicazioni, ancora in corso di stampa. Nessun dato, così, era in
quel momento disponibile per coloro che volevano verificare questo metodo. I
dati ottenuti dal bDNA furono confermati dalla QC-PCR, i dettagli di
quest’ultima furono esposti in un testo scritto da quattro collaboratori del
gruppo di Wei, ascoltando quelli che potreste chiamare ricercatori indipendenti
oppure oggettivi. Nella tradizione della ricerca sull’HIV, le teorie non
dimostrate e gli studi imperfetti sono accettati senza riserve ed incorporati
nella “visione ufficiale”, prima di essere correttamente convalidati. A
causa di ciò, il danno è fatto, e se in seguito si sono scoperti difetti tutto
ciò non importa molto.
I meccanismi del bDNA sono complessi: si verificano cinque differenti
reazioni di ibridizzazione. L’ibridizzazione è una tecnica standard dove un
DNA di prova è posto in un campione e si legherà ad ogni segmento
complementare che incontra. Si tratta di un altro test indiretto, che presenta
molti problemi. Secondo Bryan Ellison, biologo molecolare, “il solo momento in
cui la biologia molecolare lavora è se le cose prima sono purificate. C’è
sempre la possibilità di reazioni incrociate, specialmente quando ponete le
vostre sonde di prova in un gran minestrone di proteine” (che è esattamente
ciò che è il campione del segmento di prova di sangue).
Duesberg evidenziò le seguenti conclusioni: dopo aver effettuato gli
appropriati aggiustamenti ai suoi calcoli, lo stesso Ho riscontrò
successivamente che più di 10.000 virus erano implicati dal saggio di bDNA
usato (come riportato in Nature) il che comporterebbe una contagiosità
inferiore a quella di un solo virus; portandovi a stupirvi che si tratti proprio
di ciò che attualmente è stato rilevato su questi test [10]. Inoltre queste
pubblicazioni speculative ed invalidanti sono state accettate come verità
sacrosanta!
Nella mente di Ellison, lo studio di Ho è “Pura fantasia. Non c’è
mai stata una pubblicazione che mostra la carica virale.”
I problemi con la
PCR
L’accuratezza
della PCR non è mai stata verificata
da
un appropriato standard di riferimento*
Per scoprire se attualmente qualche test diagnostico per l’infezione
HIV è valido, è necessario verificare il test mediante uno standard di
riferimento indipendente. L’unico standard di riferimento appropriato per
questo scopo è l’HIV stesso. In altre parole, il risultato dei vostri test
sperimentali, se è la PCR o qualcun altro, deve essere comparato con il
risultato dell’isolamento del virus in ogni campione testato. Se al momento il
virus è rilevato in ogni paziente con la PCR positiva, potreste quindi
affermare che la PCR è estremamente accurata per rilevare l’HIV.
Il concetto di isolamento del virus come standard di riferimento è
particolarmente importante nel caso dell’HIV, giacché per l’HIV è stato
estremamente difficile, se non impossibile, da definire in termini genetici o
molecolari. Anche se qualcuno non ha mai portato a termine l’isolamento del
virus HIV [11], l’isolamento del virus non è mai stato usato come uno
standard di riferimento per qualche test diagnostico dell’HIV, inclusa la PCR.
Come si sostiene ora, il bDNA utilizza la QC-PCR come standard di riferimento;
la QC-PCR utilizza la normale PCR come standard di riferimento, la normale PCR
utilizza i test sugli anticorpi come standard di riferimento, ed i test sugli
anticorpi utilizzano qualcos’altro.
Ho notato, nel tempo, che gli studi sulla verifica di un test sugli
anticorpi HIV immancabilmente assumono l’affidabilità dei loro test su
campioni, che sapevano essere sieropositivi o sieronegativi. Come
sapevano ciò? Semplice: senza una regola aurea, non lo sanno.
Talvolta si è argomentato che “gli studi hanno mostrato” come tali
test giungono alla medesima conclusione, oppure confermano reciprocamente le
scoperte, e perciò i test devono essere corretti. Non si tratta di un pensiero
rigorosamente scientifico. Talvolta
i risultati di differenti test convengono reciprocamente, ma ciò non prova
nulla, niente di più che provare se cinque criminali sono tutti d’accordo
nell’avere un alibi di ferro per una rapina in banca.
Eleopulos, sull’importanza dello standard di riferimento, afferma ciò:
“L’uso dell’isolamento del virus, come un mezzo indipendente per
stabilire la presenza oppure l’assenza del virus, è tecnicamente riconosciuto
come uno standard di riferimento, ed un elemento oltremodo essenziale per
l’autentica di qualsiasi test diagnostico. Senza uno standard di riferimento,
l’investigatore è disorientato e privo di speranza, poiché non ha un
criterio autonomo che gli permette di valutare il test che ambisce a
sviluppare…solamente con questo criterio può assicurarsi che la PCR positiva
dell’HIV è una conferma della presenza dell’infezione HIV, ovvero, i test
sono molto specifici per l’infezione HIV”.
Persino il notissimo ricercatore sull’AIDS William Blattner ha ammesso
che “una difficoltà nel saggiare la specificità e la sensibilità dei saggi
sui retrovirus umani (compreso l’HIV) è l’assenza di uno standard di
riferimento conclusiva. In assenza di standard di riferimento sia per l’HTLV-1
sia per l’HIV-1, la vera specificità e sensibilità per la rilevazione degli
anticorpi virali rimane incognita [12].”
Mark Craddock specifica che la QC-PCR non è verificata, e probabilmente
non è verificabile. Egli si chiede, “se la PCR è l’unico modo con cui
il virus può essere scoperto, come stabilire la precisa carica virale
indipendentemente dalla PCR, cosicché possiate essere sicuri che le
configurazioni fornite dalla PCR siano corrette?”. Tutto ciò è stato
apparentemente perduto dai ricercatori sull’AIDS, poiché si raccomanda ogni
volta che la PCR, particolarmente la QC-PCR, sia usata come standard di
riferimento per altri test HIV [9, 13].
La specificità della PCR non è mai stata determinata
La specificità significa che spesso un test darà risultati negativi in
persone non infette. Il tasso di specificità di un test rivela il livello di
falsi risultati positivi da aspettarsi quando si usa quel test. Senza uno
standard di riferimento per l’isolamento del virus, la reale specificità non
sarà mai nota. Serve anche concordanza con i test degli anticorpi, come
standard di riferimento, non si è rilevato che la PCR sia molto specifica per
l’HIV [6].
Citando uno studio approfondito che coinvolge cinque laboratori con ampia
esperienza sulla PCR, Sloand dichiara che la specificità media era del 94,7%
[14]. La specificità era bassa, fino al 90%. I risultati degli anni ‘90
sembrano essere favorevoli, ma in realtà non è questo il caso. Il numero di
falsi sieropositivi comparato con i veri sieropositivi dipende dalla prevalenza
dell’infezione HIV in qualunque popolazione testata [15] - più bassa la
prevalenza, maggiori i falsi sieropositivi.
Sloand commenta che se i livelli di specificità raggiunti in questo
studio fossero applicati alla popolazione dei potenziali donatori di sangue”
(i donatori di sangue ora costituiscono una popolazione generalmente a bassa
prevalenza), allora “… per ogni infezione vera scoperta e tenuta
nascosta, 1.800 donatori non infetti sarebbero classificati come positivi alla
PCR e 3.500 come indeterminati alla PCR. La PCR, chiaramente, non è adatta per
una normale cernita di sangue trasfuso” e, di conseguenza, per qualsiasi
popolazione a bassa prevalenza. Con una specificità del 90%, non sarebbe adatta
per testare alcuna popolazione.
In un fax che ho ricevuto nel 1994 dal Centers for Disease Control
(CDC), che riguardava la PCR, si affermava che “Non è nota né la sua
specificità né la sua sensibilità” e che “la PCR non è raccomandata né
autorizzata per i normali scopi diagnostici [16]”.
In breve, “Non è stata determinata la specificità di qualsiasi
tipo di PCR, per il genoma HIV [5]”.
I caratteri fondamentali della PCR non sono specifici
Secondo Eleopulos, Turner e
Papadimitriou, “Il minimo requisito [supponendo che un segnale positivo
dalla PCR, oppure in generale ibridizzazione, dimostri la presenza
dell’infezione HIV] è la precedente dimostrazione che i caratteri
fondamentali della PCR e le sonde d’ibridizzazione appartengono ad un unico
retrovirus, HIV, e che la PCR e le reazioni di ibridizzazione sono specifiche
dell’HIV”. Turner mi disse: “Le argomentazioni sul genoma della PCR
richiedono in maniera assoluta l’isolamento dell’HIV. Come si conosce,
altrimenti, l’origine dell’acido nucleico?”
Eleopulos disserta sulla realtà di un genoma distinto dell’HIV.
Ammettendo la sua esistenza nell’interesse della disputa, offre la seguente
prova per dimostrare che la PCR non è specifica per l’HIV [17]:
•
non c’è nessuna sicurezza che le sonde di acido nucleico per l’HIV
ed i caratteri fondamentali della PCR siano specifici dell’HIV, poiché la
maggior parte delle sonde, se non tutte, usate per saggi di ibridizzazione,
comprese le sonde della PCR e dei caratteri fondamentali, si ottengono
dall’HIV cresciuto in colture di tessuto utilizzando cellule (denominate linee
di cellule) estratte da un paziente con leucemia con cellule T4, una malattia
che Gallo sostiene causata da un retrovirus simile all’HIV, ovvero l’HTLV-1.
E recentemente si sostiene che un retrovirus è stato isolato da una coltura di
cellule non infette da HIV utilizzando un’altra linea di cellule. Le linee di
cellule standard, perciò, utilizzate per la crescita dell’HIV hanno
evidenziato la presenza di altri retrovirus. Dal momento che persino il metodo,
consolidato nel tempo, per isolare il retrovirus (che ancora non è stato
utilizzato per l’HIV) non può distinguere un retrovirus da un altro, ovvero
non si può essere sicuri che le sonde per l’HIV di acido nucleico ed i
caratteri fondamentali della PCR siano specifici per l’HIV.
•
I geni dell’HIV presentato ibridizzano con i geni della struttura
dell’HTLV-1 e HTLV-2, due altri retrovirus umani. Ciò significa che se le
sonde rilevano materiale genetico da questi altri retrovirus, si attaccheranno
ad esso e segnaleranno, invece, di aver rilevato l’HIV. Poiché è accertato
che il 10% dei pazienti ai quali è stato diagnosticato l’AIDS sono portatori
di HTLV-1 e che il normale genoma umano contiene sequenze correlate all’HTLV-1
ed all’HTLV-2, si può anticipare questo tipo di reazione incrociata.
•
Le normali cellule umane contengono centinaia, o migliaia, di sequenze di
retrovirus, ovvero piccoli tratti di DNA che si uniscono ad una piccola parte
del genoma HIV presentato oppure di altri retrovirus. Poiché la PCR amplifica
spesso soltanto una piccola parte dell’intero genoma di qualunque cosa si stia
cercando, come si sa che ciò che si rileva non sia una normale sequenza di geni
della cellula che per caso diventano parte di ciò che è presentato come HIV?
•
Ulteriore prova che la PCR non è specifica è che la PCR positiva può
essere ottenuta da cellule senza acidi nucleici. In questo modo, se non c’è
acido nucleico, non c’è alcun DNA, oppure RNA, ovvero certamente non vi sarà
alcun HIV.
•
Le sostanze chimiche usate in laboratorio nella preparazione di colture
di tessuto (chiamate tamponi e reagenti), possono dare segnali positivi alla PCR
per l’HIV [18].
La PCR rivela solamente un piccolo frammento
di un intero virus
La PCR
rivela, nel migliore dei casi, singoli geni e più spesso solamente frammenti di
geni. Se la PCR rivela due o tre frammenti genetici su una possibile dozzina di
geni completi, ciò non conferma la presenza di tutti i geni (ovvero l’intero
genoma). Parte di un gene non equivale ad una parte di un virus completo.
Gli esperti
di HIV ammettono che la maggior parte di genomi HIV presentati sono incompleti;
non potrebbero mai effettuare la sintesi di un virus completo.
Turner
spiega: “Anche se tutti i genomi fossero completi, è come dire, pur avendo
il progetto completo, che ciò non significa costruire una casa. Si può portare
un intero genoma retrovirale nelle cellule per tutta la vita senza mai generare
una particella virale”. Questi due problemi rendono ancora più incerto il
significato di una PCR positiva.
La scoperta dell’RNA HIV sulla PCR
non significa presenza dell’HIV
Attualmente
riecheggia la frase “HIV RNA PCR”. Qual è la differenza tra ciò ed
il normale vecchio DNA PCR? La normale PCR cerca la versione del DNA di ciò che
spesso è assunto essere il genoma dell’HIV; l’RNA PCR cerca la versione RNA,
ovvero il virus libero che ancora non ha infettato la cellula.
Con il
nuovo concetto che l’HIV si replica attivamente in gran quantità, era quindi
necessario scoprire quanto virus libero potrebbe essere presente ad ogni
istante. Il virus libero conterrebbe solo RNA, così se la PCR trova molto HIV
RNA, si reputa che bilioni di copie di virus libero pullulino nei tessuti del
paziente. In altre parole, se si trova l’RNA, si è trovato anche l’HIV.
Poiché si crede che l’HIV contenga due catene di RNA, la formula suggerita è:
due molecole di RNA = una molecola di virus.
In effetti,
la situazione non è così semplice. Nel 1993, durante la fase “l’HIV si
nasconde nei linfonodi” della teoria della carica virale, Piatak ed i suoi
collaboratori, compreso Shaw, ammettevano che per determinare la quantità di
particelle dell’HIV, si deve avere la prova precedente che l’RNA appartiene
realmente ad una particella dell’HIV [5]. Tale prova non era presentata. Non
è stata stabilita finora nessuna relazione tra la quantità di RNA e la quantità
di particelle che possono, o non possono, essere presenti. Nessuno ha stabilito
se l’RNA proviene da una particella di virus o da altre parti. Senza
l’isolamento del virus, come si conosce l’origine dell’acido nucleico (RNA)?
Il virus delle cellule libere non è un virus contagioso
Anche se Ho
avesse ragione riguardo alla presenza di bilioni di cellule libere dell’HIV
nel sangue, il virus libero è, per definizione, un virus non contagioso; è
irrilevante come agente patogeno. Perché l’HIV infetti una cellula, la sua
proteina di rivestimento, gp120, deve legarsi con il recettore CD4 sulla
superficie della cellula. Tuttavia, fino al 1983, Gallo evidenziava che
“l’involucro virale necessario per il contagio è molto fragile. Esso tende
a staccarsi quando il virus si riproduce dalle cellule infette, rendendo perciò
le particelle non in grado di contagiare nuove cellule”. A causa di ciò,
affermava Gallo, “può essere necessario il contatto cellula-cellula” per
l’infezione retrovirale. Poiché il gp120 è “fondamentale per la
caratteristica dell’HIV d’infettare nuove cellule” e poiché il gp120 non
si trova nelle particelle con cellule libere, anche se nel sangue sono presenti
enormi quantità di HIV libero, esse non sarebbero contagiose [17].
La PCR non è standardizzabile o riproducibile
In una
recente pubblicazione, Teo e Shaunak commentarono sulla PCR in situ: “Nonostante
uno sforzo considerevole, la tecnica è ancora praticamente difficile e non è
ancora stata provata essere affidabile o riproducibile [19]”.
In uno
studio che comparava il risultati della PCR con i risultati dei test sugli
anticorpi, la PCR fu stimata non riproducibile e “furono osservati
risultati di falsi sieropositivi e falsi sieronegativi in tutti i laboratori (la
concordanza con i test sugli anticorpi è compresa tra il 40 ed il 100%)
[20]”.
La PCR è suscettibile di contaminazione incrociata
Piccole
quantità di acido nucleico dai precedenti provini possono contaminare
facilmente i provini attualmente in fase di test, dando risultati di falsi
sieropositivi [22]. Persino frammenti microscopici di pelle, o di capelli, dei
tecnici di laboratorio possono causare questo problema. Esistono molte sorgenti
di contaminazione incrociata e si può avere bisogno “ad ogni passo della
procedura, dal momento della raccolta dei campioni fino all’amplificazione
finale…[21]”
Teo e
Shaunak hanno raccolto altre cause di falsi sieropositivi: “abbiamo
attualmente identificato un numero di fattori che può contribuire alla semplice
amplificazione del segmento di bersaglio DNA modello e della generazione di
segnali di falsi sieropositivi. Questi fattori includono gli effetti di
fissazione, sottrazione di reagente, degradazione del DNA, fine etichettamento
del DNA e diffusione di prodotto…si suggerisce moltissima attenzione
nell’interpretare i risultati ottenuti utilizzando la PCR in situ [19]”.
Con la PCR si manifestano
frequentemente falsi sieropositivi
•
Uno studio approfondito per quantificare le prestazioni della PCR HIV
nell’individuare cellule libere del DNA ha mostrato “un elevato rapporto
disturbante di non specifica positività” usando i caratteri fondamentali
comunemente impiegati (SK 38/39, per la trovata o il gene p24). Infatti,
sono stati riscontrati rapporti simili di positività per entrambi i provini con
anticorpi sia positivi sia negativi (18% contro 26%) [23]!
•
Su 30 bambini non contagiati, 6 risultavano positivi “occasionali alla
PCR”[24].
•
La PCR eseguita su bambini al disotto dei 12 mesi di età, non
contagiati, ha fornito risultati positivi per 9 su 113, 15 su 143, 13 su 137, 7
su 87 ed 1 su 63 [25].
•
Su 117 bambini non contagiati, nati da madri affette dall’HIV, 6
risultavano falsi positivi alla PCR, su filo di sangue [26].
•
In un approfondito studio sulla PCR, il 54% dei laboratori coinvolti ha
avuto problemi con risultati di falsi sieropositivi; il 9,3% del totale dei
provini non contagiati era riportato come positivo [21].
•
1 su 69 anticorpi negativi, era positivo alla PCR [27].
•
Un individuo ad alto rischio inizialmente era positivo alla PCR ma
negativo ripetendo il test della PCR dello stesso provino in un secondo
laboratorio.
•
Il gruppo di lavoro sulla PCR del World Health Organization dimostrò gli
alti livelli di risultati di falsi sieropositivi ottenuti durante gli studi HIV
PCR eseguiti “alla cieca” [21].
•
Sheppard ed altri affermarono nei loro studi: “Questa prova dimostrò i
risultati dei falsi sieropositivi, persino con algoritmi rigorosi di test, che
si verificano con una certa frequenza tra gli individui non infetti; ciò rimane
un serio problema.
•
Su 327 infermieri esposti all’HIV per puntura d’ago di siringa, 4
avevano uno o più risultati positivi alla PCR e 7 risultati indeterminati. Con
successivi test, 11 erano negativi e nessuno sieroconvertito oppure ha
sviluppato antigeni p24, giungendo alla conclusione che “risultati falsi
sieropositivi si verificano persino nei testi più rigorosi.”
Conclusioni
Fondamentale per la teoria del Dr. Ho è l’idea che l’HIV muta così
rapidamente che entro pochi giorni oppure poche settimane è diventato
resistente a qualsiasi farmaco “antivirale” che il paziente sta assumendo.
Per prevenire ciò, si raccomanda che il paziente prenda un insieme di tre
farmaci, che teoricamente colpiscono l’HIV simultaneamente da tutte le parti,
quindi riducendo la possibilità che un ceppo resistente sopravviva. Nel
frattempo la carica virale deve essere continuamente monitorata con test che
costano 200 dollari ognuno. Si pone l’enfasi sul pronto intervento, ovvero
curare rapidamente i pazienti sieroconvertiti con più farmaci (assumendo che
ognuno volesse sapere quando questo evento si manifesta inizialmente) e li
assuma per il resto dei suoi giorni.
Anche se non risultano essere accurati, i saggi della carica virale sono
stati fortemente promossi come necessità dello stato dell’arte per il PWA, e
non è difficile capire il perché. David Brown, nel Washington Post
(06.02.1996), rivela inavvertitamente il motivo: “I trattamenti aggressivi
contro l’HIV saranno probabilmente più costosi persino che in passato. Le
misurazioni della carica virale costano circa 200 dollari ciascuna, e le nuove
generazioni di farmaci contro l’HIV alla fine saranno probabilmente costosi
come quelli che verranno sostituiti”.
U.S. News e World Report (12.02.1996) erano più
approfonditi, stimando il costo annuale di un inibitore delle proteasi in circa
6.000 dollari ed il costo della combinazione dei tre medicinali compreso tra
12.000 e 18.000 dollari. Al momento è prescritta la combinazione di tre dei
quattro farmaci, dove era sufficiente usarne uno (AZT). Come sono considerati
necessari sempre più farmaci per “trattare” le persone, molte di esse non
hanno risolto nulla con essi, ed è ovvio che ciò per le industrie
farmaceutiche è diventato come una vacca da mungere.
La teoria della carica virale ha creato una nuova preoccupazione nel
produrre uno stress intollerabile nella vita di persone disperate. Si dice ora
che una persona ha un solo colpo ai nuovi farmaci “antivirali”, soprattutto
gli inibitori delle proteasi. Se non sono assunti al momento giusto, nella
giusta combinazione e quantità, o se inavvertitamente se ne assume uno solo, o
si abbassa la dose perché quella attuale fa ammalare, il virus diventerà
resistente ed i farmaci inefficaci. Se non si assumono i farmaci o, per lo
stesso motivo, persino se ci si ammala gravemente.
Ogni articolo sull’argomento sinora ha un esperto differente che
indovina come l’intero insieme si suppone agirà: nessuno sa se ci si può
curare oppure lo stato rimarrà stazionario; nessuno può emettere prognosi a
lungo termine per coloro che assumono i tre farmaci (gli inibitori delle
proteasi hanno prodotto reazioni differenti estreme in molte persone, e non
sarebbe difficile capire il perché). Ogni persona stolta abbastanza da
impegnarsi per iscritto diventerà una cavia per coloro che non sanno cosa
stanno facendo.
Quando smetteremo di permettere di essere usati come cavie per qualsiasi
schema rompicapo venga in mente? Quando metteremo un lucchetto ai nostri
portafogli e rifiuteremo di pagare per il privilegio di essere avvelenati?
Quando lasceremo, aiutando i più degradati esseri umani esistenti, coloro che
approfittano della sofferenza degli altri?
Con molti ringraziamenti a:
∑
Paul Philpott, primo assistente ricercatore in immunologia ed attuale
editore di “reapprising AIDS”;
∑
Todd Miller, Dottore in biochimica e biologia molecolare dell’Università
di Miami.
Una versione simile di tale articolo è apparsa in precedenza nel HEAL/New York Bulletin, Ottobre 1996
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