LE CONFRATERNITE E L'AMBIENTE MILITARE
DELLA REPUBBLICA DI GENOVA
Testo di Paolo Giacomone Piana
Immagini di Riccardo Dellepiane
Dal 1528 al 1797 Genova fu una repubblica aristocratica, un sistema istituzionale nel quale l'esercizio del potere era prerogativa di una nobiltà ereditaria e che aveva per caratteristica essenziale la collegialità e la rapida rotazione delle cariche al fine di impedire il prevalere di individui o di famiglie. Questa peculiare forma di governo, i cui principi ispiratori sono ormai quasi incomprensibili alla mentalità moderna, si rifletteva anche nelle strutture militari. L'esercito, il cui comando doveva per forza di cose essere affidato ad ufficiali di carriera estranei alla classe dominante, fu sempre considerato un potenziale pericolo per il regime oligarchico. Genova aveva però il vantaggio di non dover mantenere in tempo di pace grossi contingenti di truppa che richiedevano un numero stato maggiore e una complessa organizzazione, circostanza che permise il persistere di strutture ormai anacronistiche, ma che davano il massimo affidamento dal punto di vista della sicurezza del regime da eventuali tentativi di eversione da parte dei militari.
Lo Stato sabaudo rappresentava l'unico nemico esterno da cui Genova avesse veramente qualcosa da temere per la propria sopravvivenza come Stato sovrano, ma per far fronte a questa minaccia non era necessario un poderoso apparato militare: la Riviera di Ponente, montuosa e di difficile accesso, era facilmente difendibile, purché si mantenesse il controllo delle comunicazioni marittime; i mezzi finanziari necessari ad un rapido accrescimento dell'esercito erano assicurati dalla potenza finanziaria della Repubblica; il possesso della Corsica, infine, garantiva a Genova una fonte inesauribile di soldati.
L'ordinamento militare genovese si venne evolvendo nel corso del XVII secolo sulla base dell'esperienza della vittoriosa resistenza ai tentativi espansionistici dei duchi di Savoia (guerre del 1625 e del 1672) e del conflitto con la Francia, culminato con il bombardamento del 1684, che spinse la Repubblica ad adottare una politica di rigorosa neutralità. Alla fine del Seicento la Repubblica in tempo di pace manteneva quel minimo di forze regolari che stimava necessario per la guarnigione della capitale e delle fortezze di terraferma, per i "Presidi" di Corsica, per il servizio a bordo delle galere e per il mantenimento dell'ordine pubblico. In totale si trattava di 3000 uomini, che costituivano il "piede di pace"; da questo si poteva passare rapidamente al "piede di neutralità", fissato in 5000 uomini, e poi al "piede di guerra", stabilito in 8000. Forze non disprezzabili, quando si consideri che la popolazione della Liguria non superava allora il mezzo milione di abitanti.
Il sostanziale equilibro dell'ordinamento militare genovese fu stravolto dalla rivolta della Corsica, che fece venir meno la principale fonte di potenziali reclute e costringendo nel contempo la Repubblica a mantenere costantemente in servizio un numero di effettivi assai rilevante, con conseguente drenaggio delle risorse finanziarie dello Stato. A partire dal 1731 vi fu un continuo succedersi di ordinamenti e di riforme generali o parziali, che ebbe termine solo con l'evacuazione della Corsica sancita dal trattato
del 6 agosto 1764, preludio alla definitiva cessione dell'isola alla Francia. Nel giugno 1765 l'esercito venne infine ridotto a 2500 uomini, assumendo un assetto che rimase sostanzialmente invariato fino al 1797.
Dal punto di vista organizzativo, le truppe della Repubblica si dividevano in "truppe regolate" o "Soldatesca pagata" in servizio permanente e in milizie, dette anche "Soldatesca non pagata", chiamata
alle armi solo in caso di necessità. I "bombardieri" addetti al maneggio delle artiglierie erano degli artigiani assunti per contratto e, non essendo considerati soldati, non erano sottoposti alle leggi e alla disciplina militari.
Le "truppe regolate", a loro volta, si dividevano in diverse "nazioni", ciascuna delle quali aveva propri usi particolari, che risalivano alle tradizioni delle truppe mercenarie del XVI secolo. Si avevano così
reparti "oltramontani", formati da tedeschi e svizzeri; "corsi", costituiti da isolani; "di fortuna", composti da italiani non sudditi della Repubblica; "paeselli", reclutati in Liguria; nel 1738 queste ultime due "nazioni"
ne formarono una sola, sotto la generica denominazione di "italiani".
Gli archivi militari: una fonte per la storia delle Confraternite
Come in tutti gli stati di "ancien régime", in tempo di pace l'esercito era impiegato principalmente nel mantenimento dell'ordine pubblico, adempiendo una serie di compiti che, in epoca successiva, divennero di spettanza delle forze di polizia o dell'autorità giudiziaria. Poiché in tali compiti rientrava anche la disciplina di tutte le pubbliche manifestazioni, in primo luogo le processioni, gli archivi militari costituiscono una fonte di prim'ordine per lo studio delle Confraternite nella loro attività esterna, praticamente ancora inesplorata.
Il Magistrato di Guerra, un organismo collegiale che era anche tribunale, trattava tutte le questioni relative alle truppe permanenti ed alle milizie; i suoi membri ricoprivano a turno, alternandosi in essa ogni tre mesi, la carica di "Sargente Maggiore Generale", che svolgeva le funzioni di comandante della piazza di Genova. Per dare un'idea della ricchezza di notizie relative alle Confraternite che emerge dal fondo "Guerra e Marina" dell'Archivio di Stato di Genova, riportiamo alcuni documenti relativi al periodo 1765-1770, tratti dalla "filza" n. 493.
Troviamo in primo luogo la completa regolamentazione di una processione, quella del Carmine: 1765 a 17 luglio. L'Illustrissimo Generale dia gli ordini opportuni perché dimani sul dopo pranzo 16 corrente in occasione della processione del Carmine si ritrovino sulla piazza della SS. Nunciata cinquanta soldati co' loro corrispondenti ufficiali ad effetto non seguano inconvenienti, e che nello sfilare delle Compagnie, ossia Confraternite facciano osservare l'ordine di Giovedì Santo p.p. secondo la lista annessa.
In oltre il prefato Illustrissimo Generale dia gli ordini che siano mandati alle respetive Casaccie due di detti cinquanta soldati perchè all'ore venti ognuna di dette Casacie, ossia confraternite ritrovarsi sulla piazza della SS. Annunciata, ossia nella di lei Chiesa, quali due soldati destinati come sopra ad ogni rispetiva Casaccia debbano accompagnarle nella prosecuzione della detta Processione.
In oltre il prefato Illustrissimo Generale destini quel numero di alabardieri che stimerà per scorta di detta processione.
Gli Eccellentissimi di Palazzo assegnino, e fissino quel posto che stimeranno alla Compagnia di San Pietro della Foce, quallora intervenisse in detta Processione
Per Serenissima Collegia ad Calculos
Si tratta di un decreto dei "Serenissimi Collegi", i Governatori (Senato) e i Procuratori (Camera) cui competeva congiuntamente, come se si fosse trattato di un unico organo la funzione di governo. Gli Eccellentissimi di Palazzo erano i due Governatori che dovevano risiedere in permanenza nel Real Palazzo (oggi Palazzo Ducale) per il disbrigo degli affari correnti; gli alabardieri erano soldati tedeschi, inquadrati nelle "Guardie del Real Palazzo", che nelle occasioni solenni vestivano una livrea rossa e bianca sul tipo del costume portato ancor oggi dalle Guardie Svizzere del Papa.
Infine, poiché a quel tempo le ore venivano designate partendo dal pomeriggio del giorno precedente e non dalla mezzanotte come si fa oggi, le ore venti corrispondevano più o meno alle quattro pomeridiane.
In calce al decreto è riportata la deliberazione dei due Eccellentissimi:
a detto. Gli Eccellentissimi Carlo Pinceti, et Ansaldo De Mari hanno ordinato, che il posto della detta Confraternita della Foce quallora vi intervenga debba essere il primo, e così seguitare il Confalone, e così via .
Allegati alla pratica sono il percorso della processione e l'ordine di precedenza delle Confraternite:
Giro. Del Carmine, Strada Lomellina, Fossatello, San Siro, Quattro Canti di S. Francesco, Strada nuova, S. Cattarina, S. Domenico, S. Ambrogio, Strada Nuova, S. Lorenzo, Scureria, Campetto, Banchi, S. Siro, Fossatello, Strada Lomellina, Valle chiara, Monastero di S. Bartolomeo del Carmine, et a Casa.
L'ordine di precedenza era il seguente:
S. Zitta
S. Maria Angelorum
S. Giacomo delle focine
S. Tomaso
S. Maria della Pietà
SS. Giacomo, e Leonardo
S. Brigida
S. Consolata
S. Giovanni
SS. Pietro, e Paolo
S. Ambrogio
S. Giorgio
S. Antonino
S. Croce
S. Giacomo della Marina
S. Antonio
S. Francesco
S. Bartolomeo
S. Giovanni Battista
S. Andrea
S. Stefano
Tra le incombenze del Magistrato di Guerra rientrava anche il controllo delle porte cittadine, su cui veniva esercitata una stretta sorveglianza, soprattutto a fini fiscali. A tal proposito, nell'agosto 1765, fu emanato un decreto che proibiva in linea generale l'ingresso e l'uscita delle processioni:
1765 a 2 agosto. Si faccia intendere all'Illustrissimo Generale che dia gli ordini opportuni, ad effetto che dalle Porte della Città non sortino ne' entrino con Cappa, o senza Cappa, e si ecciti il zelo dell'Illustrissimo Diputato di Mese dell'Illustrissimo Magistrato de' Inquisitori di Stato a far eseguire il presente Decreto di lor Signorie Serenissime in ordine alle dette Processioni.
Il Magistrato degli Inquisitori di Stato, istituito nel 1628, aveva il precipuo compito di vigilare alla sicurezza dello Stato e rientrava nelle sue attribuzioni anche il controllo sulle Casacce.
Il giorno successivo, evidentemente di fronte alle rimostranze delle Confraternite, venne però approvata una deroga di carattere generale per quanto riguardava i funerali:
1765 a 3 agosto. Si faccia intendere alll'Illustrissimo Generale che le Compagnie con Cappa, che vanno per acompagnare morti alla sepoltura non cadano sotto il vocabolo di processione, e perciò rispetto alle medesime compagnie il prefato Illustrissimo Generale ne permetta nelle solite forme la sortita, e ingresso non ostante il decreto del giorno d'ieri, che riguarda le processioni.
Negli altri casi le confraternite dovevano procurarsi di volta in volta il permesso dal Magistrato di Guerra, permesso che poteva riguardare sia una singola compagnia che un numero indeterminato di esse. Eccone due esempi, sempre tratti dalla citata "filza" n. 493:
1766 a 7 febbraro. L'Illustrissimo Generale si compiaccia di dare gl'ordini, perchè la compagnia de' Confratelli dell'Annonziazione detta de Turchini possa sortire, e ritornare dalle Porte di S. Tommaso in quel giorno di Domenica prossima, o due giorni successivi, che la stessa Compagnia si suole portare alle Monache della Chiapella alla forma de' suoi Capitoli stati prima d'ora approvati dal Serenissimo Senato.
1770 a 20 giugno. Si permette alle Compagnie che interverranno alla processione che si farà domenica prossima ventiquattro del corrente della Parochia di S. Bartolomeo della Costa di Promontorio di poter uscire, ed entrare dalle Porte dell'Angeli, e se ne dia notizia all'Illustrissimo Generale.
La documentazione conservata nel fondo "Guerra e Marina" riguarda esclusivamente l'attività esterna delle casacce, l'unica che aveva rilevanza per il mantenimento dell'ordine pubblico; nondimeno, considerando che l'archivio degli Inquisitori di Stato è andato perduto e che di molte confraternite estinte restano in pratica solo gli statuti, uno spoglio accurato di queste fonti può apportare diversi elementi utili ad una migliore conoscenza del mondo delle casacce nel Seicento e nel Settecento.
Militari e Confraternite
L'esercito della Repubblica era costituito da "mercenari", vale a dire da soldati di professione per i quali l'esercizio delle armi costituiva un'attività a tempo pieno, da cui traevano il sostentamento proprio e delle loro famiglie. Tuttavia i ritmi della vita militare dei secoli XVII e XVIII erano assai diversi da quelli odierni: in tempo di pace gli obblighi di servizio si riducevano ad una breve seduta quotidiana di addestramento ed al dover montare di guardia a giorni alterni. Quelli che ne avevano la possibilità potevano anche farsi esonerare dalle guardie, pagando al loro posto un sostituto.
I militari disponevano quindi di molto tempo libero, che impiegavano dedicandosi a vari lavori con cui arrotondavano la magra paga. Per molti giovani provenienti dalla campagna la ferma, che durava tre anni, significava vitto ed alloggio assicurati in attesa di inserirsi nell'ambiente cittadino: tra gli oltramontani, in particolare, si ritrovavano molti artigiani specializzati, quali orefici ed orologiai, che cercavano di formarsi una clientela.
Questo sistema facilitava l'inserimento dei soldati nella società civile e spiega perché non esistessero confraternite esclusivamente riservate ai militari, aderendo questi solitamente alle confraternite di mestiere in base all'attività lavorativa esercitata.
Una confraternita per conto proprio avevano i "bombardieri", ma questi, come si è detto, non erano considerati soldati bensì artigiani, non indossavano l'uniforme, vivevano nelle proprie case e non erano
sottoposti alla disciplina militare. Per esercitare la professione di "bombardiere" era necessario superare un esame teorico e pratico di fronte ad una commissione del Magistrato dell'Artiglieria presieduta da un Procuratore, che rilasciava la relativa "patente".
La "Scuola, o sia Compagnia de' Bombardieri", istituita nel 1628 e posta sotto la protezione di Santa Barbara, era quindi una vera e propria confraternita di mestiere, come dimostrano i relativi "Capitoli Generali" di cui si riportano alcuni paragrafi iniziali:
Dovendosi ... erigere, et instituire sotto titolo di detta Santa invocata per servitio della prefata Serenissima Repubblica una Scuola, o sia Compagnia de Bombardieri, nella quale per il suo stabile e perpetuo mantenimento sono necessari molti, e molti ordini e provedimenti...
Il Primo Principalissimo sarà, ... l'haver pensiero delle cose di Dio, e perciò il riformare o restituire una Cappella per li Bombardieri sotto titolo della sudetta loro avvocata Santa Barbara, nella quale dovrà officiare un Cappellano a ciò deputato, e salariato ne i modi, e forme descritte ne' suoi particolari Capitoli.
... che in detta Cappella si canti ogni quarta domenica del mese una messa nella quale debba assistere ognuno della Compagnia.
Che il giorno della sudetta Santa avvocata si debba cantar messa solenne in detta Cappella a spese della Compagnia, che però non eccedano lire dodeci da repartirsi alli musici che vi interverranno, restando carico del Capellano provedere alli due Sacerdoti che apparati assisteranno a detta messa con le elemosine che le saranno fatte.
Che nella celebratione della sudetta messa, nell'elevatione del Santissimo Sacramento, si debba fare sparata d'un rubbo di polvere con mascoli da darseli dall'Illustrissima Camera...
Sempre nella tipologia delle confraternite di mestiere, ma con fini solo funerari, rientra la confraternita dei tamburini, della quale non si conoscono altri che i documenti istitutivi. Oggi i tamburini (o tamburi, secondo l'accezione più antica) fanno parte delle bande e si vedono solo in occasione di sfilate; nei tempi passati avevano un ruolo fondamentale nella vita militare, dovendo dare con il loro strumento tutti i segnali fondamentali per la vita quotidiana e il ritmo alla truppa durante la marcia. Anche se di solito si pensa ad essi come ragazzi, nel Settecento i tamburini erano spesso uomini fatti, che svolgevano anche funzioni di pubblici banditori. A tutti sopraintendeva il "tamburo maggiore" della piazza di Genova, che aveva il compito di curarne l'istruzione professionale.
Nel 1726 i tamburi delle compagnie italiane e corse decisero di costituire una confraternita, di cui il fondo "Guerra e Marina" conserva l'atto istitutivo:
1726 giorno di domenica li 17 febraro alla mattina nella sala della Casa, et abitatione del Molto Reverendo Canonico Gian Gerolamo Solaro posta in Contrada di Ponticello.
Nel nome del Signore Iddio sempre sia. Desiderando li tamburi che servono nelle Compagnie Italiane suffragare doppo morte l'anime loro congregatisi nella predetta Sala Matteo Arena, Agostino Barbagelata, Antonio Maria Pratolongo, Lorenzo Gaeta, Emanuele Vaccaro, Silvestro Figaro, Domenico Garibaldo, Lazzaro Pozzo, Gio: Batta Semino, Bartolomeo Noceti, Agostino de Negri, Carlo de Belli, Giovvanni Traverso, Andrea Pozzo, Gio: Batta Repetto, Domenico Braico, Benedetto Dondero, Nicolò Rocca, Giuseppe del Canto, Giacomo Bucavo, Pietro Noceti, Emanuelle Cima, e Guglielmo Vicheter quali in tutto numero sono più delle due terze parti delli tamburi.
Perciò hanno stabilito di fare un cumulo di contante per impiegarsi nella celebrazione di messe cento di requiem ciasched'una in canto, e nel consumo delle torchie, interro, e per le spese del medemo, e non havendo presentemente altra forma d'effettuarlo se non con lasciare sopra le loro respetive paghe soldi 6.8 ogni mese in appresso da esigersi dal tamburo maggiore pro tempore e da due deputandi da medesimi tamburi quali unitamente haveranno cura di fare celebrare le messe sudette con la solita elemosina e sodisfare il consumo delle torchie, l'interro et altre spese con presentare le spese delle messe celebrate e scalare da detto moltiplico o sia cumulo quello farà bisogno ogni volta si presenterà il caso.
Hanno a viva voce decretato di fare detta Compagnia et impiego per suffragio dell'anime loro ...
Segue il verbale dell'elezione dei primi due "deputandi" e le firme del canonico Solaro e di due testimoni. I tamburi avevano in precedenza ottenuto il consenso del "Sargente Maggiore Generale" della Repubblica cui avevano presentato una supplica per effettuare la trattenuta sulle paghe, accolta con il seguente decreto:
1726 a 14 febraro
L'Illustrissim Signor Carlo Doria Sargente Generale, vista l'instanza come sopra fattale dal detto Tamburo Maggiore Matteo Arena a suo, et a nome di tutti li sudetti Tamburi di sopra descritti, e di quei altri, che daranno il loro consenso, ordina che sopra le loro mensuali paghe si trattenghino soldi sei e denari otto al mese per ciascheduno d'essi a disposizione de medesimi, e d'ogni uno di loro.
La "Compagnia" così costituita presenta i caratteri propri di una confraternita, con un proprio patrimonio separato destinato a coprire le spese di sepoltura (interro) e di accompagnamento dei membri defunti, nonché la celebrazione, per ciascuno di essi, di cento messe di suffragio cantate (ricordiamo che a quei tempi i morti si seppellivano nelle chiese e i funerali si facevano di notte, da cui il riferimento alle torce). La paga di un tamburo era allora di 17 lire, 15 soldi e 6 denari al mese (1 lira = 20 soldi = 240 denari) per cui la trattenuta destinata alla confraternita era pari a poco più del 2 per cento.
In base al diritto canonico le confraternite possono essere formate solo in una chiesa o in un oratorio pubblico, indicazione che manca nei documenti sopra riportati. Gli stessi sono però atti che riguardano l'amministrazione militare, per cui non è da escludere che negli archivi della Curia o di qualche parrocchia esista il documento di riconoscimento dell'autorità ecclesiastica. Sarebbe interessante individuare presso quale chiesa la confraternita dei tamburini celebrava le sue funzioni, anche se per il piccolo numero dei componenti e gli scarsi mezzi finanziari probabilmente non aveva una tomba comune.
In un certo senso, rientrava nell'ambito delle confraternite di mestiere anche l'unico sodalizio di questo genere riservato esclusivamente a militari, ovvero la Confraternita delle Guardie del Real Palazzo, fondata nel 1753 ed intitolata a San Giovanni Nepomuceno. La compagnia delle "Guardie del Real Palazzo", la cui caserma si trovava all'interno del palazzo stesso (nella "cortina" esterna demolita nell'Ottocento) traeva origine da un reggimento di 500 "soldati alamanni" assoldato nel 1555 dal banchiere Anton Fugger "in luogo et per causa della Signoria di Genova". La compagnia, che pochi anni dopo divenne un reggimento, aveva il compito di assicurare la protezione dell'edificio, ove avevano sede il governo e gran parte delle principali magistrature; è comprensibile che in un momento delicato della situazione interna della Repubblica (erano ancora vivi i fermenti suscitati dall'insurrezione del 1746) si sia voluto preservare questi soldati da contatti esterni ritenuti potenzialmente pericolosi. La nuova confraternita, che aveva sede nella Cappella di Palazzo e comprendeva anche i paggi, ebbe anzi l'esplicita proibizione di aggregarsi alle casacce esistenti, con la scusa che "così schiverebbe volentieri quelle vane manifestazioni di pompa, che forza è mettano fuori quelle confraternite, che aggregate vengono a casaccie".
Nulla a che vedere con l'ambiente militare aveva invece la confraternita degli sbirri (poliziotti) sotto il titolo della Concezione, sorta nel XVII secolo ed aggregata alla Casaccia di S. Antonino, nota appunto come S. Antonino de' Birri. Ogni Magistratura della Repubblica aveva i propri sbirri, o "Famegli", organizzati in squadre agli ordini di un "Bargello" assunto per regolare concorso; si trattava quindi di una professione vera e propria ed il loro sodalizio una confraternita di mestiere. Nondimeno, tale attività era considerata infame ed il titolo di "birro" rappresentava un insulto. I militari odiavano e disprezzavano gli sbirri; per gli ascritti alla milizia una delle principali attrattive delle periodiche chiamate in servizio era la possibilità di approfittare del loro momentaneo "status" di soldato per sfogare impunemente i rancori nei loro confronti, insultandoli impunemente e passando spesso a vie di fatto.
Impiego delle Confraternite a fini militari
La Repubblica, pur appoggiando quasi sempre le Confraternite nei loro conflitti con la gerarchia ecclesiastica, esercitava nel contempo un controllo capillare sugli oratori, consapevole com'era delle potenzialità eversive di strutture associative in cui si riconosceva praticamente la totalità della popolazione. Tale atteggiamento di diffidenza impediva l'utilizzo a fini militari della massa di manovra costituita dai confratelli: solo uno scrittore politico del primo Seicento, Andrea Spinola, pensò di organizzare la milizia cittadina sulla base delle casacce, ma tale proposta non ebbe alcun seguito.
Del resto il governo oligarchico, sempre timoroso di rivolte e congiure, considerava con estrema diffidenza l'esistenza stessa di una milizia cittadina, autorizzandone la costituzione solo in caso di necessità. L'esistenza della milizia urbana genovese fu quindi saltuaria e gli ordinamenti molteplici, ma caratterizzati sempre dalla subordinazione a comandanti patrizi e dal reclutamento limitato alle classi della popolazione ritenute più fidate, quali gli appartenenti alle corporazioni di arti e mestieri di maggior rilevanza economica, restandone rigorosamente escluso il "popolo minuto".
Per prudenza, quando i provvedimenti militari si ripercuotevano sulle classi più umili, si consultavano le casacce: nel 1642, volendosi introdurre il reclutamento coatto dei rematori della flotta, i confratelli della Casaccia di San Giacomo delle Fucine, in cui dominavano facchini da grano e portantini, palesarono al Senato la loro buona disposizione circa la deliberazione di armare galere per la difesa della Repubblica.
Diversi autori ritengono che sia stata la capillare struttura delle casacce a fornire una sia pur rudimentale organizzazione al popolo in armi nel corso dell'insurrezione del 5-10 dicembre 1746, ipotesi senz'altro probabile, anche se manca finora di un sicuro riscontro documentario. Si deve comunque porre in rilievo come, alle varie tappe del progressivo riappropiarsi del potere da parte del governo faccia esatto riscontro una nuova organizzazione delle milizie cittadine, tendente sempre a restringere il numero degli armati con l'obiettivo finale del completo disarmo delle classi popolari. Come scrive F.M. Accinelli, "mentre i battaglioni e le legioni che venivano composte degli abitanti di ciascheduna parrocchia, staccandosi da queste la maggior parte si unì in compagnie, o di arti, o di oneste persone, in alcuna delle quali arrollandosi indistintamente i patrizi, cominciò a farsi quale riforma: ciascheduna di quelle vestiva con differente divisa, senza stipendio di sortte alcuna. Il popolo minuto, che per non aver di proprio, veniva da' capitani e capi delle parrocchie proveduto di qualche sollievo, trovandosi in istato di non poter comparire di chi avea migliore sorte, cominciò a declinare".
Per ironia della sorte, in queste classi popolari disarmate, tenute ai margini e viste con diffidenza, la Repubblica doveva trovare i suoi ultimi difensori quando la borghesia che formava le nuove compagnie civiche, vedendo ormai il regime oligarchico solo un ostacolo al proprio desiderio di affermazione, le si volse contro. Non è certo un caso che a dare il segnale della rivoluzione sia stata la banda dei "Cadetti", la più antica compagnia di estrazione borghese, la prima a costituirsi nel 1747 in funzione antipopolare, che aveva allora ripudiato il Quartier Generale del Popolo per porsi alle dipendenze del "Sargente Generale" patrizio.
Bibliografia
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R. Dellepiane, P. Giacomone Piana, Le leve corse della Repubblica di Genova dalla pace di Ryswick al trattato di Utrecht (1697-1713), in "Atti della Società Ligure di Storia Patria", N.S., vol. XXXVI (CX), fasc. II, pp. 425-446
P. Giacomone Piana, L'esercito e la marina della Repubblica di Genova dal trattato di Worms alla pace di Aquisgrana (1743-1748), in Genova 1746: una città di antico regime tra guerra e rivolta, a cura di C. Bitossi e C. Paolocci, Genova, 1998, vol. II, pp. 407-439
E. Grendi, Confraternita e mestieri nella Genova settecentesca, in "Miscellanea Storica Ligure", IV, Genova, 1966, pp. 239-265 A. Spinola, Scritti scelti, a cura di C. Bitossi, Genova, 1981