L'accademia della follia


Tutti mi definirebbero un uomo violento, senza scrupoli e con tendenze maniaco ossessive, io invece preferirei di gran lunga la definizione di artista impercettibilmente eclettico.
Odio la gente moderna, odio quelle insulse e schifose persone che inquinano questo pianeta con la loro assurda presenza. Immaginatevi che l’umanità sia come una grossa tela da dipingere e concentratevi. Che tipo di effetto vogliamo ottenere? Rosso sangue o blu cianotico? Direi senza dubbio rosso sangue. Basterebbe una vera e immediata carneficina globale. Una strage senza precedenti… In modo artistico. La tela bianca della misericordia si coprirebbe allegramente di rosso. Il sangue schizzerebbe ovunque, qui da una gola tranciata, lì da arterie mozzate, e più in là chissà da quale altra ferita fatale … L’arte del massacro.
Non mi sono mai chiesto cosa sia l’arte. Fin da bambino l’unica cosa che mi interessava era fare dell’arte. Da ragazzo ho abbandonato subito amicizie e legami; sono andato via da casa prestissimo, ho preso con numerosi encomi la laurea presso l’Accademia di Belle Arti, ne ho fatto un quadretto e l’ho appeso alla parete del mio atelier. Da giovane avevo pochi soldi e dovevo scegliere se mangiare o comprare i tubetti di colore. Sceglievo ovviamente di mangiare quindi il mio studio era perennemente vuoto. Niente tele dipinte alle pareti. Troppo spoglio.
Poco dopo presi anche la patente, ne feci un quadretto e l’appesi alla parete del mio laboratorio. Ma poi la stracciai perché mi piaceva guidare, e questo poteva distogliere la mia attenzione dall’arte. Arte e motori, donne e motori, patenti per motori. Senza patente niente motori, senza motori niente donne. Senza donne niente sesso, solo arte. Iniziai presto anche l’avversità contro i motori.
Come mi sarebbe piaciuto giocare al tiro al bersaglio, fare il cecchino, soprattutto su tutti quei bastardi che posteggiavano i motori il mercoledì sera davanti al mio garage. Ma chi gli aveva dato la patente? L’avevano ottenuta studiando il codice stradale oppure l’avevano ritirata con la raccolta punti al distributore di benzina?
Questi giovani encefalitici che non distinguono un cartello di divieto di sosta da uno stemma araldico antico.
Ne ho incontrato uno una calda e afosa notte di giugno.
Ho capito subito che le cose non sarebbero andate bene con quel tizio. Ogni poro della sua pelle trasudava provocazione. Allora dissi a me stesso che dovevo restare calmo, il più calmo possibile… La mia arte non era ancora pronta, la prima pennellata su una tela vergine è sempre quella determinante, quindi non potevo sbagliare… soprattutto dovevo restare calmo.
Il pugno è partito istintivamente e con semplicità. Con eleganza, persino. Un pugno calmo e preciso. Sessantasette chilogrammi di massa corporea in volo… nell’istante in cui la volante della polizia sopraggiungeva. Mi arrestarono immediatamente per lesioni colpose e avviarono un processo per direttissima nei miei confronti.
Nel tentativo di punirmi severamente la società, e per essa il tribunale, mi rinchiuse dietro mura sicure che in realtà mi fornirono i mezzi con i quali acquisire una più grande energia e padronanza per future atrocità. Tra gli indifesi detenuti di buona famiglia, il debole innocente, condannato per errore, era il bersaglio predestinato delle persecuzioni e della crudeltà con cui i cuccioli malavitosi dovevano pur farsi gli artigli!.
In gattabuia mi feci subito rispettare dagli altri detenuti e imparai moltissimo in fatto di omicidi, ricatti, rapine, furti con scasso, sequestri di persona, stupri e maltrattamenti, ma lavorai anche molto sul perfezionamento delle mie conoscenze sulle tecniche di gioco della dama, scacchi, briscola e tre sette. I detenuti più giovani, tra una partita e l’altra, volevano sapere tutto sulla mia arte.
Impara l’arte e mettila da parte, essere senza arte ne parte, l’arte di Michelazzo: mangiare, bere e non fare un cazzo.
Cos’era di preciso la mia attività? Un lavoro? Un’arte? Non sapevo rispondere. Di sicuro, era un modo per dare forma alla mia fantasia. Con una buona dose di divertimento e, come mi è sempre piaciuto fare, con tanta umana cattiveria.
Al processo d’appello i giudici mi chiesero nuovamente di esporre i fatti accaduti quella fatidica sera di giugno. Perché mi ero accanito così brutalmente su quell’uomo?
La mia fu una lunghissima arringa dove spiegai per filo e per segno le mie motivazioni, le mie teorie filosofiche ed artistiche facendo numerosi sforzi per non tornare a vedere il sole a scacchi.

Centosettantaquattro mani, appartenenti a ottantasette persone, si misero ad applaudire come se fossero un solo uomo.
Lo stato mentale di quest’aula di tribunale mi interessava, anzi avevo il presentimento che sarebbero stati i miei principali acquirenti e committenti se solo fossi riuscito ad uscire di galera.
L’umanità è piena di cinici in doppio petto.
Dopo venti anni di domande e ricorsi, finalmente sono stato accettato per far parte del programma di libertà vigilata. Esco per poche ore la settimana dalla mia cella e compio indisturbato la mia body-art!
Vedrete che vi abituerete, gridai con un coltello insanguinato in mano, in ginocchio davanti ad una giovane preda trucidata a meraviglia …

A distanza di anni posso ancora permettermi di decidere della vostra vita, ma preferisco ora rimanere tranquillamente chiuso nella mia stanza e demolirvi agli scacchi.

Oggi posso finalmente permettermi tutti i colori dell’iride …

Il fatto è che le “pennellate” cominciano ad arrivare da ogni parte e da chiunque.

Scacco matto!

 

roberto

 

 

 

Racconti - HOME