Kurt Vonnegut

 

Dio la benedica Dott.Kevorkian
1999 - Eleuthera, pag. 78


 

Solo Vonnegut poteva riuscire a fare della morte una qualità, un luogo, una situazione. Solo l'umorismo nero di Vonnegut poteva riuscirci con quest'ultimo, «terminale» , prodotto della sua scatenata immaginazione. In questo volumetto, insieme divertente, amaro, sconvolgente, Vonnegut è un inviato radiofonico dall'incerta soglia della vita, su cui scivola avanti e indietro grazie a un uso letterario della macchina per l'eutanasia del famoso «dott. Morte».
Di lì intervista una ventina di personaggi defunti, tra cui Isaac Newton, Mary Shelley, John Brown, Adolf Hitler, William Shakespeare, Isaac Asimov... Qualche anno fa Vonnegut aveva dichiarato che, dopo Cronosisma, non avrebbe più scritto.
Ebbene, per fortuna, si è contraddetto, se pure in modo singolare. Da par suo.

 

l'inizio...

La mia prima esperienza di quasi morte fu dovuta a un incidente, un'anestesia mal fatta durante un intervento per l'innesto di un triplice bypass. Avevo già sentito, in qualche talk show televisivo, parecchie persone che erano entrate nel tunnel celeste che conduce alle porte del paradiso, e che quelle porte avevano varcato addirittura, o così dicevano, e che poi erano tornate indietro. Ma io non mi sarei sicuramente mai avventurato di proposito in una spedizione così rischiosa se non fossi scampato alla prima, e non avrei organizzato la seconda in collaborazione con il dottor Jack Kevorkian [J. Kevorkian è, nella realtà, l'ideatore di una «macchina» per l'eutanasia volontaria ed è uno dei più noti sostenitori americani del suicidio assistito dei malati terminali [N.d.T.].] e il personale del carcere di Huntsville, Texas, nella cella dove si praticano le iniezioni letali ai condannati a morte.
Le cronache che seguono furono registrate per essere trasmesse in un secondo tempo dalla stazione radio WNYC. Spero che diano un senso d'immediatezza. Furono registrate tra i muri piastrellati della camera della morte di Huntsville solo cinque o sei minuti dopo che mi ebbero sciolto dai lacci della lettiga. Il registratore, tra parentesi, come la lettiga, era di proprietà della brava gente del Texas, e veniva usato abitualmente per immortalare le ultime parole delle persone che stavano per fare un viaggio di sola andata, tutto pagato, in paradiso.
Personalmente, a meno che non mi capiti un altro incidente, non farò altri viaggi di andata e ritorno. Per il bene dei miei familiari sto cercando di ripristinare, se possibile, le mie polizze di assicurazione sulla salute e sulla vita. Ma altri giornalisti, e forse anche turisti, seguiranno sicuramente la strada per l'eternità, sicura e a doppio senso di circolazione, aperta da me. Li prego di accontentarsi, come ho imparato a fare io, delle interviste che potranno fare nei cento metri circa di terreno libero tra la fine del tunnel celeste e le porte del paradiso.
Varcare le porte del paradiso, per allettante che sia l'intervistato dall'altra parte, significa, come io stesso ho scoperto a mie spese, correre il rischio che l'irascibile San Pietro, in un accesso di malumore, possa non lasciarvi mai più uscire. Pensate a come sarebbero affranti i vostri amici e i vostri familiari se, varcando le porte del paradiso per parlare, diciamo, con Napoleone, in pratica vi suicidaste.
Sul credere o non credere nell'aldilà. Qualcuno di voi forse sa che io non sono né cristiano, né ebreo, né buddista, né una persona appartenente a una religione tradizionale.
Sono un umanista, il che significa, in parte, che ho cercato di comportarmi decorosamente senza pretendere, dopo che sarò morto, né ricompense né castighi. I miei avi tedesco-americani, il primo dei quali si stabilì nel nostro Middle West circa all'epoca della guerra di secessione, si definivano «liberi pensatori», che più o meno è la stessa cosa. Il mio bisnonno Clemens Vonnegut, per esempio, scrisse: «Se ciò che Gesù diceva era buono, cosa può importare se era Dio o no?».
Quanto a me, ho scritto: «Se non fosse per il messaggio di misericordia e di pietà contenuto nel Discorso della Montagna di Gesù, non vorrei essere un essere umano. Preferirei essere un serpente a sonagli».
Sono il presidente onorario dell'American Humanist Association, avendo preso il posto del defunto dottor Isaac Asimov, grande scrittore e scienziato di spettacolosa prolificità, in questa carica sostanzialmente inutile. Durante una commemorazione del mio predecessore svoltasi all'AHA dichiarai: -Isaac adesso è in paradiso-. Era la cosa più ridicola che avrei potuto dire a un pubblico di umanisti, e infatti la mia frase li fece ridere a crepapelle. Che ilarità! Vari minuti dovettero passare prima che tornasse nella sala qualcosa di simile alla solennità.
Quando sbottai in quella battuta non avevo ancora fatto, si capisce, la mia prima esperienza di quasi morte: quella accidentale.
Così quando, Dio non voglia, anche per me verrà il momento di unirsi al coro invisibile, o quel che è, spero che qualcuno dirà: - Adesso è in paradiso-. Chissà. Tutto questo potrebbe essere stato un sogno.
In ogni caso, ecco il mio epitaffio: “Tutto è stato bellissimo. Nulla mi ha ferito”. Comunque sia, me la sarò svignata.
[...]

 

DUE

Stamattina, grazie a un'esperienza controllata di quasi morte, sono stato tanto fortunato da incontrare, in fondo al tunnel celeste, un certo Salvatore Biagini. L'8 luglio scorso il signor Biagini, lavoratore edile settantenne in pensione, è rimasto vittima di una crisi cardiaca fatale mentre cercava di salvare il proprio amato schnauzer, Teddy, dall'aggressione di un pit bull scatenato di nome Chele, a Queens.
Per attaccare Teddy il pit bull, che non aveva precedenti di violenze contro uomini o animali, ha saltato un recinto alto un metro e venti. Il signor Biagini, disarmato e con una storia clinica di disturbi cardiaci, lo ha afferrato, permettendo allo schnauzer di scappar via. Allora il pit bull ha morso il signor Biagini in varie parti del corpo e poi il cuore del signor Biagini ha smesso di battere, per non ripartire mai più.
Ho chiesto a questo eroico amante degli animali cosa si provava a essere morti per uno schnauzer di nome Teddy. Salvatore Biagini è stato filosofico. Ha detto che era mille volte meglio che essere morti per niente nella guerra del Vietnam.


TREDICI


Durante le mie esperienze controllate di quasi morte ho incontrato Sir Isaac Newton, morto nel 1727, lo stesso numero di volte che ho incontrato San Pietro. Se ne stanno, tutt'e due, in fondo al tunnel celeste dell'aldilà, là dove comincia il paradiso. San Pietro ci sta perché è il suo mestiere. Sir Isaac vi resta inchiodato dalla propria insaziabile curiosità: vorrebbe sapere cos'è il tunnel celeste, come funziona.
Non gli basta, a Newton, negli ottantacinque anni passati sulla terra, aver inventato il calcolo, codificato e quantificato le leggi della gravità, del moto e dell'ottica, e avere ideato il primo telescopio riflettore. Non riesce a perdonarsi di aver lasciato a Darwin la scoperta della teoria dell'evoluzione, a Pasteur la scoperta dei microrganismi e a Einstein quella della relatività.
«Devo essere stato sordo, muto e cieco per non averle scoperte io» mi ha detto. «Cos'avrebbe potuto esserci di più ovvio?».
Il mio compito consiste nell'intervistare i defunti per la WNYC, ma questa volta, invece, è stato il defunto Sir Isaac Newton a intervistare me. Lui, nel tunnel, ha potuto fare un viaggio di sola andata. Vuol sapere di cosa sembra essere fatto, stoffa o metallo o legno o che altro. Io gli dico che è fatto della materia di cui sono fatti i sogni, cosa che lo lascia monumentalmente insoddisfatto.
San Pietro gli ha citato Shakespeare: «Ci son più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante se ne sognino nella tua filosofia».


DICIANNOVE


È il tardo pomeriggio del 3 febbraio 1998. Mi hanno appena slegato dalla lettiga dopo un'altra esperienza controllata di quasi morte in questa frequentatissima cella dedicata alle esecuzioni nel carcere di Huntsville, Texas.
Per la prima volta nella mia carriera sono stato veramente alle calcagna di una celebrità, mentre percorrevo il tunnel celeste che porta in paradiso. Era Carla Faye Tucker, la «cristiana rinata» che ha assassinato due sconosciuti con un piccone. Carla Faye è stata irreversibilmente uccisa qui, dallo Stato del Texas, poco dopo l'ora di pranzo.
Due ore dopo, su un'altra lettiga, sono stato ucciso anch'io, ma solo per tre quarti. Ho raggiunto Carla nel tunnel, a un centinaio di metri dalla fine, dove ci sono le porte del paradiso. Poiché strascicava i piedi, mi sono affrettato ad assicurarle che non l'aspettava nessun inferno, che non c'erano inferni in attesa di nessuno. Lei mi ha detto che era un peccato, perché sarebbe stata contenta di andare all'inferno, se solo avesse potuto portarsi dietro il governatore del Texas. «È un assassino anche lui» ha detto Carla Faye. «Ha assassinato me».
A organizzare i miei viaggi, andata e ritorno, provvede il dottor Jack Kevorkian. Ma ora il vostro inviato nell'aldilà deve salutarvi. Ci hanno chiesto, a Jack e a me, di liberare la cella dove si praticano le iniezioni letali, che dev'essere preparata per un'altra esecuzione totale. A nome di entrambi, arrivederci.



 

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