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Solo
Vonnegut poteva riuscire a fare della morte una qualità,
un luogo, una situazione. Solo l'umorismo nero di Vonnegut poteva
riuscirci con quest'ultimo, «terminale» , prodotto
della sua scatenata immaginazione. In questo volumetto, insieme
divertente, amaro, sconvolgente, Vonnegut è un inviato
radiofonico dall'incerta soglia della vita, su cui scivola avanti
e indietro grazie a un uso letterario della macchina per l'eutanasia
del famoso «dott. Morte».
Di lì intervista una ventina di personaggi defunti, tra
cui Isaac Newton, Mary Shelley, John Brown, Adolf Hitler, William
Shakespeare, Isaac Asimov... Qualche anno fa Vonnegut aveva
dichiarato che, dopo Cronosisma, non avrebbe più scritto.
Ebbene, per fortuna, si è contraddetto, se pure in modo
singolare. Da par suo.
l'inizio...
La
mia prima esperienza di quasi morte fu dovuta a un incidente,
un'anestesia mal fatta durante un intervento per l'innesto di
un triplice bypass. Avevo già sentito, in qualche talk
show televisivo, parecchie persone che erano entrate nel tunnel
celeste che conduce alle porte del paradiso, e che quelle porte
avevano varcato addirittura, o così dicevano, e che poi
erano tornate indietro. Ma io non mi sarei sicuramente mai avventurato
di proposito in una spedizione così rischiosa se non
fossi scampato alla prima, e non avrei organizzato la seconda
in collaborazione con il dottor Jack Kevorkian [J. Kevorkian
è, nella realtà, l'ideatore di una «macchina»
per l'eutanasia volontaria ed è uno dei più noti
sostenitori americani del suicidio assistito dei malati terminali
[N.d.T.].] e il personale del carcere di Huntsville, Texas,
nella cella dove si praticano le iniezioni letali ai condannati
a morte.
Le cronache che seguono furono registrate per essere trasmesse
in un secondo tempo dalla stazione radio WNYC. Spero che diano
un senso d'immediatezza. Furono registrate tra i muri piastrellati
della camera della morte di Huntsville solo cinque o sei minuti
dopo che mi ebbero sciolto dai lacci della lettiga. Il registratore,
tra parentesi, come la lettiga, era di proprietà della
brava gente del Texas, e veniva usato abitualmente per immortalare
le ultime parole delle persone che stavano per fare un viaggio
di sola andata, tutto pagato, in paradiso.
Personalmente, a meno che non mi capiti un altro incidente,
non farò altri viaggi di andata e ritorno. Per il bene
dei miei familiari sto cercando di ripristinare, se possibile,
le mie polizze di assicurazione sulla salute e sulla vita. Ma
altri giornalisti, e forse anche turisti, seguiranno sicuramente
la strada per l'eternità, sicura e a doppio senso di
circolazione, aperta da me. Li prego di accontentarsi, come
ho imparato a fare io, delle interviste che potranno fare nei
cento metri circa di terreno libero tra la fine del tunnel celeste
e le porte del paradiso.
Varcare le porte del paradiso, per allettante che sia l'intervistato
dall'altra parte, significa, come io stesso ho scoperto a mie
spese, correre il rischio che l'irascibile San Pietro, in un
accesso di malumore, possa non lasciarvi mai più uscire.
Pensate a come sarebbero affranti i vostri amici e i vostri
familiari se, varcando le porte del paradiso per parlare, diciamo,
con Napoleone, in pratica vi suicidaste.
Sul credere o non credere nell'aldilà. Qualcuno di voi
forse sa che io non sono né cristiano, né ebreo,
né buddista, né una persona appartenente a una
religione tradizionale.
Sono un umanista, il che significa, in parte, che ho cercato
di comportarmi decorosamente senza pretendere, dopo che sarò
morto, né ricompense né castighi. I miei avi tedesco-americani,
il primo dei quali si stabilì nel nostro Middle West
circa all'epoca della guerra di secessione, si definivano «liberi
pensatori», che più o meno è la stessa cosa.
Il mio bisnonno Clemens Vonnegut, per esempio, scrisse: «Se
ciò che Gesù diceva era buono, cosa può
importare se era Dio o no?».
Quanto a me, ho scritto: «Se non fosse per il messaggio
di misericordia e di pietà contenuto nel Discorso della
Montagna di Gesù, non vorrei essere un essere umano.
Preferirei essere un serpente a sonagli».
Sono il presidente onorario dell'American Humanist Association,
avendo preso il posto del defunto dottor Isaac Asimov, grande
scrittore e scienziato di spettacolosa prolificità, in
questa carica sostanzialmente inutile. Durante una commemorazione
del mio predecessore svoltasi all'AHA dichiarai: -Isaac adesso
è in paradiso-. Era la cosa più ridicola che avrei
potuto dire a un pubblico di umanisti, e infatti la mia frase
li fece ridere a crepapelle. Che ilarità! Vari minuti
dovettero passare prima che tornasse nella sala qualcosa di
simile alla solennità.
Quando sbottai in quella battuta non avevo ancora fatto, si
capisce, la mia prima esperienza di quasi morte: quella accidentale.
Così quando, Dio non voglia, anche per me verrà
il momento di unirsi al coro invisibile, o quel che è,
spero che qualcuno dirà: - Adesso è in paradiso-.
Chissà. Tutto questo potrebbe essere stato un sogno.
In ogni caso, ecco il mio epitaffio: “Tutto è stato
bellissimo. Nulla mi ha ferito”. Comunque sia, me la sarò
svignata.
[...]
DUE
Stamattina,
grazie a un'esperienza controllata di quasi morte, sono stato
tanto fortunato da incontrare, in fondo al tunnel celeste, un
certo Salvatore Biagini. L'8 luglio scorso il signor Biagini,
lavoratore edile settantenne in pensione, è rimasto vittima
di una crisi cardiaca fatale mentre cercava di salvare il proprio
amato schnauzer, Teddy, dall'aggressione di un pit bull scatenato
di nome Chele, a Queens.
Per attaccare Teddy il pit bull, che non aveva precedenti di
violenze contro uomini o animali, ha saltato un recinto alto
un metro e venti. Il signor Biagini, disarmato e con una storia
clinica di disturbi cardiaci, lo ha afferrato, permettendo allo
schnauzer di scappar via. Allora il pit bull ha morso il signor
Biagini in varie parti del corpo e poi il cuore del signor Biagini
ha smesso di battere, per non ripartire mai più.
Ho chiesto a questo eroico amante degli animali cosa si provava
a essere morti per uno schnauzer di nome Teddy. Salvatore Biagini
è stato filosofico. Ha detto che era mille volte meglio
che essere morti per niente nella guerra del Vietnam.
TREDICI
Durante le mie esperienze controllate di quasi morte ho incontrato
Sir Isaac Newton, morto nel 1727, lo stesso numero di volte
che ho incontrato San Pietro. Se ne stanno, tutt'e due, in fondo
al tunnel celeste dell'aldilà, là dove comincia
il paradiso. San Pietro ci sta perché è il suo
mestiere. Sir Isaac vi resta inchiodato dalla propria insaziabile
curiosità: vorrebbe sapere cos'è il tunnel celeste,
come funziona.
Non gli basta, a Newton, negli ottantacinque anni passati sulla
terra, aver inventato il calcolo, codificato e quantificato
le leggi della gravità, del moto e dell'ottica, e avere
ideato il primo telescopio riflettore. Non riesce a perdonarsi
di aver lasciato a Darwin la scoperta della teoria dell'evoluzione,
a Pasteur la scoperta dei microrganismi e a Einstein quella
della relatività.
«Devo essere stato sordo, muto e cieco per non averle
scoperte io» mi ha detto. «Cos'avrebbe potuto esserci
di più ovvio?».
Il mio compito consiste nell'intervistare i defunti per la WNYC,
ma questa volta, invece, è stato il defunto Sir Isaac
Newton a intervistare me. Lui, nel tunnel, ha potuto fare un
viaggio di sola andata. Vuol sapere di cosa sembra essere fatto,
stoffa o metallo o legno o che altro. Io gli dico che è
fatto della materia di cui sono fatti i sogni, cosa che lo lascia
monumentalmente insoddisfatto.
San Pietro gli ha citato Shakespeare: «Ci son più
cose in cielo e in terra, Orazio, di quante se ne sognino nella
tua filosofia».
DICIANNOVE
È il tardo pomeriggio del 3 febbraio 1998. Mi hanno appena
slegato dalla lettiga dopo un'altra esperienza controllata di
quasi morte in questa frequentatissima cella dedicata alle esecuzioni
nel carcere di Huntsville, Texas.
Per la prima volta nella mia carriera sono stato veramente alle
calcagna di una celebrità, mentre percorrevo il tunnel
celeste che porta in paradiso. Era Carla Faye Tucker, la «cristiana
rinata» che ha assassinato due sconosciuti con un piccone.
Carla Faye è stata irreversibilmente uccisa qui, dallo
Stato del Texas, poco dopo l'ora di pranzo.
Due ore dopo, su un'altra lettiga, sono stato ucciso anch'io,
ma solo per tre quarti. Ho raggiunto Carla nel tunnel, a un
centinaio di metri dalla fine, dove ci sono le porte del paradiso.
Poiché strascicava i piedi, mi sono affrettato ad assicurarle
che non l'aspettava nessun inferno, che non c'erano inferni
in attesa di nessuno. Lei mi ha detto che era un peccato, perché
sarebbe stata contenta di andare all'inferno, se solo avesse
potuto portarsi dietro il governatore del Texas. «È
un assassino anche lui» ha detto Carla Faye. «Ha
assassinato me».
A organizzare i miei viaggi, andata e ritorno, provvede il dottor
Jack Kevorkian. Ma ora il vostro inviato nell'aldilà
deve salutarvi. Ci hanno chiesto, a Jack e a me, di liberare
la cella dove si praticano le iniezioni letali, che dev'essere
preparata per un'altra esecuzione totale. A nome di entrambi,
arrivederci.
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