Domenic Stansberry

Domenic Stansberry è nato a Washington nel 1952 e vive a San Francisco. E' autore di diversi racconti e di due romanzi The Spoiler e The Last Days of Il Duce. I suoi racconti sono stati più volte finalisti dell'Edgar Award e dell'Hammett Prize, due dei maggiori riconscimenti per la letteratura gialla.

 

Manifesto per chi muore
(2000) - Edizioni e/o - pag.183


 

 

Jim Thompson, sceneggiatore di Stanley Kubrick, maledetto tra i più maledetti scrittori hard-boiled americani, leggenda degli appassionati del genere noir, è il protagonista di questo romanzo asciutto e implacabile.
Un produttore di second'ordine gli chiede di scrivere il soggetto per un film sull'omicidio di un attricetta. Thompson, senza più soldi nè fama, alcolizzato, accetta, ma si accorge ben presto che sta scrivendo la trama di un vero omicidio.
Ambientato nella Hollywood dei perdenti, dove individui spezzati e sogni infranti vagano tra le penombre deli american-bar e gli interminabili viali di palme, questo romanzo conferma la crudele vitalità del genere noir, la capacità unica che possiede di denunciare un mondo fondato su denaro e falsi sogni.

 

***

l'inizio...

Quella fu la fine. L’ultima trappola. La fregatura conclusiva. E per Jim Thompson quell’epilogo, quel lungo inabissarsi nel dolce nulla, ebbe inizio il giorno in cui conobbe Billy Miracle al Musso & Frank Grill, giù a Hollywood Boulevard.
Era il 1971 e Thompson andava da Musso’s quasi tutti i pomeriggi. Giallista, romanziere e sceneggiatore, era approdato Hollywood quasi trent’anni prima. Ora di anni ne aveva sessantaquattro; capelli bianchi fiammanti, occhi cupi abbassati. Se ne stava chino sul bancone fra gli habituè del bar e all’orecchio gli arrivavano sommessi bisbigli d’infinito. Salivano dl bicchiere, o almeno così sembrava; ma la voce era la sua.
Hai toccato il fondo, Jimmy. Non ti chiama nessuno, non ti si incula più nemmeno tua moglie. Sento il fetore, stai marcendo.
Thompson si diede un’occhiata intorno. Musso’s era uno di quei locali pacchiani alla moda: pareti scure, separé rossi e un’aria alcolica che odorava di fritto e sigarette. La clientela era mista, gente di Holliywood appena uscita dagli studios, gente del quartiere, ama anche autori e attori che ci andavano con l’idea di svoltare qualcosa e continuavano a tornare, una sera dopo l’altra. Prima o poi finivano tutti al bancone.
Dietro il bancone uno specchio restituiva a ognuno il suo riflesso e così pareva che tutti fossero sospesi contemporaneamente in due mondi: il mondo oscuro, torbido, del presente e quell'altro mondo accanto, scintillante nell'illusoria chiarezza dello specchio. Era in quell'altro mondo che tentavano tutti di entrare con i loto highball, i loro straight, le loro svolte e i loro piani.
Thompson stava guardando nello specchio, quando dalla folla sgusciò fuori Billy Miracle. - Sono un tuo ammiratore - si presentò. - I libri che hai scritto, cazzo, li ho letti tutti quanti - .
Miracle scivolava ormai verso la cinquantina. Portava una giacca sportiva bianca e una camicia nera. Fisicamente non era male, scuro di carnagione, capelli corti bruni, occhi castani acquosi con un certo luccichio dentro. Naso aquilino e sorriso pronto. Era il tipo che la gente voleva trovare simpatico mentre ci parlava, salvo poi chiedersi quale sarebbe stato il prezzo da pagare.
- Dai - disse Miracle. Aveva una voce morbida come ovatta; l'alito gli puzzava d'aglio. - Ti offro da bere - .
Thompson tentennò, ma neanche tanto. - D'accordo - rispose infine. - Magnifico - .

*

Il vero nome di Miracle era Abe Syncowitz. Correva voce che fosse ammanicato con la mafia degli ebrei e che in qualche modo avesse sfruttato i suoi agganci per entrare nel cinema. Aveva girato cinque o sei polizieschi duri, quasi tutta roba da drive-in con titoli tipo Pallottola nel cervello e Fino alla morte, dove i protagonisti erano delinquenti di mezza tacca che si ritrovavano catapultati nell'affascinante mondo dei ricchi. La storia finiva sempre in un bagno di sangue.
Anche se i film avevano incassato, Miracle non godeva di una bella reputazione. Aveva la testa piena di neve. Concepiva piani pazzeschi. Peggio ancora, era indebitato fino al collo con la mafia di Vegas, che gli aveva finanziato l'ultima pellicola. E il debito stava per arrivare a scadenza.
Fino a che punto fosse vero tutto ciò, Thompson non ne aveva idea. Fin li aveva seguito Miracle da lontano. L'unica cosa certa era che la sua casa di produzione aveva chiuso i battenti e che in quelle ultime settimane Miracle era andato e venuto da Musso's, nel tentativo di trovare nuovi sbocchi.
Pareva che nel frattempo avesse fatto comunella con una diva ormai al tramonto di nome Michele Haze. La Haze era la ex di Lombard e Lombard, come sapevano tutti, era l'uomo che dava l'okay al cinquanta per cento dei film che si giravano a Hollywood. I due avevano fatto coppia fissa per anni, ma adesso tra loro era finita. A quel punto era entrato in scena Miracle. Ora stava cercando di piazzare un certo copione che la vedeva nella parte della protagonista.
- Un triangolo amoroso. Ambientato proprio qui a Los Angeles.
- Un triangolo? - .
- Esatto. E lo sai, no, come va a finire in questi casi... - .
- No, come? - .
Il vecchio scrittore disfatto e il produttore avido e ambizioso si guardarono nello specchio. Fra le ombre alle loro spalle, nei separé rossi debolmente illuminati, la gente si muoveva e si mischiava ad altra gente, parlando con voce languida, carica di sottintesi.
- Se la prendono tutti in culo. Ad ogni modo, volevo farti una proposta - .
- E sarebbe? - .
- Il copione... Secondo me si potrebbe vendere più facilmente se facesse parte di un pacchetto - .
- Mah - .
- Un libro. A me serve qualcuno che scriva un romanzo ispirato al copione. Perché poi, mi sono detto, se c’è interesse per il libro, interesserà anche il film.. .- .
Un piano delirante. Ma era rimasto poco tempo. Quel pomeriggio Alberta, la moglie di Thompson, aveva preso appuntamento per vedere una casa più alla loro portata, un oscuro appartamentino sulla collina dietro il Grauman's Chinese Theater. Ma l'idea di traslocare non le andava giù, e non andava giù neanche a lui.
- Io sarei disposto - .
Miracle sembrò non sentire. Thompson, però, aveva intuito la tattica. Getta l'esca. Tira la lenza. Aspetta che il pesce si butti sull'amo. Thompson bevve un sorso e fece girare il whiskey in bocca come per anestetizzarsi il labbro. Poi si decise e abboccò.
- Il libro. Potrei farlo io - .
I due si guardarono di nuovo nello specchio. Adesso Miracle aveva uno sguardo bellicoso. - Il libro e il film non devono raccontare la stessa storia. Per capirci, l'azione principale del film ruota intorno al triangolo qui a Los Angeles. Ma il killer viene dal Texas e il film racconta anche la sua storia. Si va avanti e indietro, una storia in Texas e una qui. Che a un certo punto si incontrano - . Miracle si voltò verso Thompson e lo guardò negli occhi. - E tuo libro deve parlare del killer, del texano. Tu devi lavorare sul texano - .
- Hai qualche soldo? Un anticipo? - .
- In quest'ambiente tocca essere figli di puttana. Basta guardare per strada. Troie. Papponi. Ladri e rapinatori. Se ti scordi com'è, finisci sul marciapiede. Così è la vita.
Thompson conosceva la canzone. Era il solito discorso in cui si lanciavano i produttori quando uno affrontava l'argomento liquidi. Vista la mala parata, tacque.
Giro il whiskey nel bicchiere, poi lo buttò giù d'un fiato e restò a guardare il ghiaccio.
Miracle proseguì. - Quella è gente spietata. Pronta a tagliarti la gola. A fregarti il portafoglio. A farsi tua madre - .
Schiaffò il bicchiere sul banco e fece cenno al barista di servirne un altro a tutti e due.
- Prendi Lombard. Come credi che abbia fatto ad arrivare? Anche a te t'ha mollato per strada, o no? - .
Thompson non disse nulla. Non voleva parlare di Lombard.
- Be', comunque non ha sbattuto la porta in faccia solo a te. Da quando sta con quella nuova, con la Fidanzatina, avvicinarlo è un'impresa impossibile. Quella ha messo lo zampino dappertutto. Lo sai come succede, no? Lei gli tiene le palle strette nella sottana - .
- Posso vedere il copione? Se il libro deve ispirarsi al film, potrebbe essermi utile... - .
- Tu comincia a scrivere. E poi fammi vedere qualche pagina - . Miracle gli diede una pacca sulla schiena. - Non ti preoccupare, Jimbo. Tra noi due c’è feeling. Siamo d'un pelo e d'una buccia - .
A Thompson quel patto non piaceva, ma non sapeva cos'altro fare. Era sempre la stessa storia, la trappola del boia: sia che penzoli a destra, sia che penzoli a sinistra, sempre condannato sei. Il barista allungò a entrambi un altro whiskey. Sullo specchio calò una nebbia piacevole; sembrava che tutti si muovessero in una specie di fluido ambrato e caldo.
- Secondo te, cosa farebbe Lombard se le posizioni fossero invertite? - .
- In che senso? - .
- Be', se l'attricetta... la Fidanzatina... gli stesse fra i piedi. Se gli impedisse di arrivare alla gente che gli serve - .
Thompson ci rifletté, ma la verità era che non riusciva a immaginare Lombard in una posizione del genere. - Allora, secondo te che farebbe? - .
La spedirebbe sottoterra - rispose Thompson alla fine.
Esatto. Dritta nella fossa - . Miracle rise. Era una risata sgradevole, un tipo di risata che Thompson aveva già sentito. Ai vecchi tempi, quando collaborava con la "Police Gazette". Sul set di Getaway, quando aveva scritto i dialoghi per Steve McQueen. Nelle redazioni di Lion Books e Random House. Uomini adulti che ridevano di cadaveri, immaginari e non. Da come ridevano, pareva che fossero assassini anche loro. Nella maggior parte dei casi non era vero (o se era vero, lo tenevano ben nascosto). Erano uomini tutti casa e famiglia. Avevano moglie. Il giardinetto con lo steccato bianco. Una figlia che quando paparino rincasava gli gettava le braccia al collo.
Thompson mandò giù un altro sorso e poco dopo Miracle scivolò via, si confuse di nuovo tra la folla, stringendo altre mani, cercando altri agganci. Thompson guardò lo specchio e il riflesso di se stesso, seduto lì fra tutta quella gente, per un attimo gli tornò chiaro. Allora si domandò se stavolta sarebbe andata in maniera diversa. Se al di là di quello specchio esisteva un altro mondo e se lui sarebbe finalmente riuscito in qualche modo a passare il confine. Poi tracannò l'ultimo sorso e uscì per strada.
Fuori c'era lo stesso luridume di sempre. A sentire i racconti, per un certo periodo Hollywood Boulevard era stata la via del passeggio. La Grande Via Blanca inondata di luce, dove la gente che se ne andava a spasso quasi sfolgorava. Poteva anche darsi. Ma adesso, a parte i bar e i locali di strip-tease, non c'era granché. Thompson passò accanto alle prostitute, all'altezza di Whitley Avenue svoltò e si avviò su per la salita, verso l'Ardmore. Nell'atrio con i globi di luce gialla prese l'ascensore e appena entrato in casa cercò Alberta per darle la notizia del libro.
La trovò in camera da letto, davanti all'armadio, con la camicetta sbottonata. In gonna e reggiseno, guardava se stessa, invecchiata, nello specchio della toletta. Anche se era vicina ai sessanta, sua moglie si difendeva bene. Aveva ancora il fisico di una volta. E quando lo fissava come lo stava fissando ora, con quei suoi occhi verdi di ghiaccio e incandescenti, il suo sguardo gli arrivava come un pugno in petto.
- Tesoro, gli hai chiesto quanto ti dà? Gliel'avrai chiesto, no? - .
- Certo - .
- E allora, quanto? - .
- Stiamo ancora in trattative - .
- Cioè, te lo farai mettere in culo un'altra volta - . Alberta si girò dall'altra parte, abbottonandosi la camicetta, e lui si sentì il cuore -per un istante si era sollevato, volava come un canarino- piombare giù nelle viscere.

***

frammenti..

Capitolo ottavo

Era una trappola. La donna che mi aveva caricato per strada si chiamava Belle Lanier. Mi portò a casa e mi mise nella stanza degli ospiti, in casa di suo padre.
Io mi spogliai e mi infilai nudo a letto. Avevo conosciuto il padre a cena e c'era anche la sorella minore. La sorella le somigliava un po', ma aveva un'aria più sana, un paio di occhialoni e un sorriso a trentadue denti. Mi toccai pensando a tutte e due. E pensando che un giorno, se mi fossi giocato bene le mie carte, sarei potuto diventare il braccio destro del padre.
Dentro di me stava prendendo forma un piano.
Scordatelo, ragazzo. Tu sei solo un imbroglioncello da quattro soldi.
Di nuovo la voce. Di nuovo Pa'. Lo psicologo del carcere mi aveva detto di non badarci più, che Pa' non era vero, no, era semplicemente una voce che mi ero inventato da piccolo perché non avevo un padre mio. Solo tutti quegli uomini che frequentava mia madre.
Bussarono alla porta. Un attimo dopo Belle entrò tranquilla e si sedette sul letto. Portava una sottoveste di seta e un fiore tra i capelli.
- Mio padre è un uomo ricco - mi disse.
Poi mi si mise a cavalcioni sulle gambe e io sentii la sua cosa calda e brutta sulle ginocchia. Lei mi posò una mano là e mi baciò forte sulla bocca. Cercai di liberarmi, ma lei non mi lasciò. Pensai alla sorella, a quella sana, e così fu come se con me ci fossero tutte e due. Belle tenne la mano là finché non mi uscì tutto quello che c'era dentro e feci un verso come di un animale che si aggira nel buio grugnendo. Allora le sue labbra si arricciarono, come se le avessi appena dimostrato una cosa che sapeva fin dall'inizio. A quel punto se ne andò e io restai sdraiato ad ascoltare i grilli, le cicale, i succiacapre e le cavallette verdi, che tutti insieme facevano lo stesso rumore della notte texana che entra sferzante dal deflettore, quando si corre sulla strada con la paura di andare avanti, con la paura di fermarsi.


***

la fine...

[...] Forse quel libro non l’avrebbe mai scritto. Non sarebbe campato abbastanza. Già si sentiva diventare il personaggio di una storia altrui, superare a poco a poco il confine. Se non l’okie, l’avrebbe accoppato qualcos’altro. Un ictus. Un infarto. Uno sconosciuto entrato dalla finestra nel cuore della notte. stava arrivando in quell’altro mondo. Forse c’era già arrivato. Forse giaceva sul suo letto di morte e quell’istante, quel presente, era pura fantasia. Forse era un personaggio di un sogno altrui. Ma non importava. Adesso stava sopra e Alberta lo stringeva a sé. Adorava il momento della discesa, era più forte di lui, non sapeva resistere, né sapeva resistere sua moglie. Nell’aria c’era furore. Bramosia. Desiderio. Il corpo di lei era scheletrico, orribile, splendido nella sua bruttezza, amato e atroce. Lui la assecondò, ma mentre lei lo tirava dentro si accorse che il cuore gli batteva troppo forte, il sangue gli andava alla testa, senonchè le sue labbra gli sussurrarono all’orecchio parole incomprensibili, allettanti, così si lasciò allettare, tuffandosi nel buio proibito. Poi ancora buio, sagome che si muovevano, e da qualche parte un confine che una volta superato non c’era più ritorno. Fra breve, lo sapeva, sarebbe scivolato al di là di quel confine, dentro quel nero, lasciando lo specchio oscuro della propria scrittura per chi lo avrebbe seguito.



 

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