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Jackson
è un nero credente e credulone. Imabelle, la donna per
cui ha perso la testa, è una bomba di sesso e malizia.
Lui l'ha accolta in casa propria, aiutandola a nascondere un
prezioso bottino. Lei lo ha messo nelle grinfie di una banda
di truffatori, che gli hanno soffiato tutti i risparmi. Jackson
chiede aiuto al fratello Goldy, un tossicomane travestito da
suora che vende
biglietti per il paradiso e bisbiglia singolari premonizioni.
Goldy dà retta al fratello solo perché ha fiutato
il bottino nascosto. Bottino che, ovviamente, fa gola a molti,
e ben presto la pista di Jackson, Goldy e Imabelle si incrocia
con quella di Ed Bara e Jones Beccamorto. Una coppia di poliziotti
duri e violenti, che "si aggirano per Harlem a bordo di
una Plymouth scassata e assomigliano a due allevatori di maiali
venuti a passare il week-end nella Grande Mela".
I due conoscono a menadito la legge brutale del ghetto e la
follia che regna a Harlem. E si muovono di conseguenza...
Rabbia a Harlem è un viaggio crudo, esilarante nella
giungla di una metropoli che potrebbe trovarsi ovunque. Un affresco
imperdibile, e un noir considerato esemplare da molti maestri
del genere.
***
Hank contò la pila di soldi. Erano un
sacco di soldi - centocinquanta biglietti da dieci dollari nuovi
di zecca. Guardò Jackson con occhi freddi e gialli.
- Tu mi dai quindici gambe giusto? -
Voleva che le cose fossero chiare. Era una questione di affari
e basta.
Era un uomo piccolo e svelto, la pelle scura e chiazzata, i
capelli sottili e stirati. Aveva l'aria di uno che sta parlando
d'affari.
- Giusto - disse Jackson. - Millecinquecento pezzi -.
Anche per Jackson si trattava rigorosamente di affari.
Jackson era un uomo basso, nero e grasso con le gengive rosso
porpora e i denti bianchi come perle fatti per ridere, ma Jackson
non stava ridendo. Per Jackson era una storia troppo seria per
poter ridere. Jackson aveva solo ventotto anni, ma la faccenda
era così seria che sembrava più vecchio di dieci
anni buoni.
E vuoi che ti faccia quindici zucche - giusto? - gli andò
dietro Hank.
- Okay - disse Jackson. - Quindicimila pezzi -.
Cercava di parlare in tono allegro, ma aveva paura. Il sudore
gli gocciolava dai capelli corti e crespi. La sua rotonda faccia
nera luccicava come una palla numero otto.
La mia parte è il dieci per cento - quindici gambe -
giusto? -
- Giusto. Ti pago millecinquecento pezzi per l'affare -.
- Io prendo il cinque per cento per la mia parte - disse Jodie.
- Cioè settecentocinquanta. Okay? -
Jodie era il tipo dell'operaio, di media taglia, muscoloso,
con la pelle ruvida e color radica, vestito con una giacca di
cuoio e dei pantaloni militari. I suoi capelli lunghi e folti
erano stirati, di un rosso bruciato all'estremità e neri
e lanosi alla radice. Non erano stati tagliati da Capodanno
e ormai era metà febbraio. Bastava dare un'occhiata a
Jodie per capire che era decisamente un regolare.
- Okay - disse Jackson. - Per la tua parte avrai i tuoi settecentocinquanta
-.
Era Jodie che aveva convinto Hank a fare tutti quei soldi per
lui.
- E io mi prendo il resto - disse Imabelle. Gli altri risero.
Imabelle era la donna di Jackson. Era una ragazza dalle labbra
a cuscino, il corpo bollente e la pelle color banana con gli
occhi castano striati di una-che-arrapa e i fianchi alti e tondeggianti
montati su cuscinetti a sfere di una amante nata. Jackson andava
pazzo per lei come un alce maschio per la femmina.
Erano in piedi intorno al tavolo della cucina. La finestra dava
sulla 142a strada. La neve cadeva sui mucchi di spazzatura chiusi
nel ghiaccio che si stendevano come argini lungo i canaletti
di scolo fin dove l'occhio poteva arrivare.
Jackson e Imabelle vivevano in una stanza in fondo al corridoio.
La padrona di casa era al lavoro e gli altri inquilini erano
fuori. Il posto era tutto per loro.
Hank stava per trasformare i centocinquanta biglietti da dieci
dollari di Jackson in centocinquanta biglietti da cento dollari.
Jackson guardò Hank avvolgere con cura ciascun biglietto
in un foglio di carta chimica, infilare ciascun rotolo in un
tubo di cartone a forma di petardo e impilare i tubi nel forno
della nuova cucina a gas.
Gli occhi di Jackson erano rossi di sospetto.
- Sicuro che stai usando la carta giusta? -
- Dovrei saperlo. L'ho fatta io - disse Hank.
Hank era l'unico uomo al mondo a possedere la carta trattata
chimicamente capace di aumentare il valore dei soldi. L'aveva
sviluppata lui stesso. Ciò nonostante Jackson controllava
ogni movimento di Hank. Studiò persino la sua nuca quando
Hank si voltò per mettere il denaro nel forno.
- Non essere così preoccupato, papy - disse Imabelle
mettendo il braccio liscio e chiaro intorno alle sue spalle
rivestite di nero.
- Lo sai che non può andare male. Glielo hai già
visto fare -.
Jackson glielo aveva già visto fare, era vero. Hank gli
aveva dato una dimostrazione due giorni prima. Aveva trasformato
un deca in un centone proprio sotto gli occhi di Jackson. Poi
Jackson aveva portato il centone alla banca. Aveva detto all'impiegato
di averlo vinto a dadi e gli aveva chiesto se era buono. L'impiegato
gli aveva detto che era buono come se fosse appena uscito dalla
zecca. Hank si era fatto cambiare il centone e aveva restituito
a Jackson il suo deca. Jackson sapeva che Hank poteva farlo.
Ma questa volta era sul serio.
Quelli erano tutti i soldi che Jackson aveva al mondo. Tutti
i soldi che aveva messo da parte nei cinque anni in cui aveva
lavorato per il signor H. Exodus Clay, l'impresario di pompe
funebri. E non erano stati soldi facili. Aveva guidato la limousine
ai funerali, infilato i morti nel carro funebre, pulito la cappella,
lavato i corpi e riordinato il laboratorio d'imbalsamazione,
aveva portato via bidoni di sangue coagulato e spazzato carne
e budella putrefatte.
Tutti i soldi che aveva convinto il signor Clay ad anticipargli
sul salario. Tutti i soldi che era riuscito a farsi prestare
dagli amici. Aveva impegnato i suoi vestiti buoni, il suo orologio
d'oro, la sua spilla da cravatta con imitazione di diamante
e l'anello d'oro con sigillo che aveva trovato nella tasca di
un morto. Jackson non voleva che succedesse niente.
- Non sono mica preoccupato. Sono solo un po' nervoso, ecco.
Non voglio farmi beccare -.
- E come fanno a beccarci, papy? Nessuno ha la minima idea di
cosa stiamo facendo qui -.
Hank chiuse lo sportello del forno e accese il gas. - Adesso
ti faccio diventare ricco, Jackson.
- Sia ringraziato il Signore. Amen - disse Jackson facendosi
il segno della croce.
Non era cattolico. Era battista, membro della Prima Chiesa Battista
di Harlem. Ma era un giovane molto religioso. Ogni volta che
era turbato si faceva il segno della croce, tanto per mettersi
tranquillo. - Siediti, papy, - disse Imabelle - ti tremano le
ginocchia -.
Jackson si sedette al tavolo e guardò fisso il fornello.
Imabelle rimase in piedi vicino a lui e gli strinse la testa
contro il seno. Hank consultò l'orologio. Jodie stava
in disparte, la bocca spalancata.
- Non è ancora fatto? - chiese Jackson. - Ancora un minuto
- disse Hank.
Si avvicinò al lavandino per bere un po' d'acqua. - Non
è ancora passato questo minuto? - chiese Jackson.
In quel momento il fornello esplose con tanta violenza che abbattè
la porta.
- Gesù Santissimo! - strillò Jackson. Saltò
su dalla sedia come se gli fosse esploso il fondo dei pantaloni.
- Attento, papy! - gridò Imabelle e strinse così
forte Jackson da farlo cadere sulla schiena.
- Su le mani, in nome della legge! - urlò una voce nuova.
Un uomo di colore alto e smilzo con la grinta da poliziotto
fece irruzione nella stanza. Aveva una pistola nella mano destra
e un distintivo dorato nella sinistra.
- Sono un agente del Tesoro. Il primo che si muove gli sparo
-.
Aveva l'aria di dire sul serio. La cucina era piena di fumo
e puzzava di polvere. Il gas stava uscendo dal fornello. I tubi
di cartone bruciacchiati che erano stati a cuocere nel forno
erano sparsi sul pavimento.
- Gli sbirri! - strillò Imabelle. - Ho sentito! - gridò
Jackson. - Filiamo! - urlò Jodie.
Spinse il federale contro il tavolo e corse verso la porta.
Hank ci arrivò prima di lui e Jodie uscì sulle
spalle di Hank. Il federale finì lungo disteso sul piano
del tavolo.
- Corri, papy! - disse Imabelle.
- Non aspettarmi - rispose Jackson.
Era carponi e stava cercando di rimettersi in piedi come poteva.
Ma Imabelle stava scappando così in fretta che inciampò
su di lui e lo risbattè di nuovo per terra nel tentativo
di raggiungere la porta.
Prima che il federale riuscisse a rimettersi in piedi tutti
e tre erano scappati.
- Non ti muovere! - gridò il federale a Jackson. - Non
mi muovo, agente -.
Quando finalmente il federale riconquistò una posizione
eretta tirò su Jackson e gli fece scattare un paio di
manette intorno ai polsi.
- Volevi farmi fesso, eh? Ti beccherai dieci anni per questo
-.
Jackson diventò grigio come una nave da guerra. - Non
ho fatto niente, agente. Lo giuro davanti a
Dio -.
Jackson aveva frequentato un'università per negri nel
Sud, ma quando era eccitato o spaventato cominciava a parlare
con il suo accento nativo.
[…]
***
frammenti
Il Braddock Bar era all'angolo della 126a con
l'Ottava Avenue, tra una compagnia di assicurazioni e prestiti
a proprietà negra e la redazione del settimanale di Harlem.
Visto dall'esterno aveva un'aria costosa, piccole vetrine stile
inglese, con i vetri piombati a forma di rombo. Un tempo aveva
affermato la propria rispettabilità, era stato frequentato
dagli uomini d'affari bianchi e di colore del quartiere e dai
loro rispettabili dipendenti. Ma quando i bordelli, le bische
e i covi di drogati avevano preso possesso della 126a strada
per depredare la gente della 125a, il bar aveva cominciato ad
avere una pessima reputazione.
- Questo bar è passato dallo zucchero alla merda.- borbottò
tra sé Jackson quando ci arrivò alle sette di
sera.
La notte fredda e nevosa di febbraio si stava già alcolizzando.
Jackson si trovò un posto strizzato davanti al lungo
bancone, ordino un rye whiskey e guardò nervosamente
i suoi vicini.
Il bar era gremito di tipi della peggiore Harlem, squallide
battone dalla faccia tirata, ladruncoli, borsaioli, teppisti,
pusher, manovali grossi e rozzi in tuta e giacca di cuoio. Tutti
avevano un'aria abietta o pericolosa.
Tre gagliardi baristi pattugliavano il fangoso territorio dietro
il bancone, riempiendo bicchieri e raccogliendo moneta in silenzio.
***
16
Guardando a est dalle torri della chiesa di
Riverside, appollaiata tra gli edifici universitari sulla riva
alta del fiume Hudson, in una valle molto più in basso,
le onde di tetti grigi distorcono la prospettiva come la superficie
di un mare. E sotto la superficie, nelle acque scure di luridi
casamenti, una città di gente nera convulsa in un vivere
disperato, come l'insaziabile ribollire di milioni di pesci
cannibali affamati. Bocche cieche che divorano le proprie stesse
viscere. Ci infili una mano e tiri fuori un moncherino.
Questa è Harlem.
Più ci si sposta a est, più diventa nera.
A est della Settima Avenue, fino al fiume Harlem, viene chiamata
The Valley. Case brulicanti di vita si stendono nel più
tetro squallore. Ratti e scarafaggi contendono a cani e gatti
rognosi ossa già rosicchiate dagli uomini.
L'appartamento in cui vivevano Slim e Imabelle si trovava nella
Upper Park Avenue, tra la 129a e la 130a strada. Quella parte
della Valley era chiamata “il Fondo del Secchio di Carbone”.
I tralicci della ferrovia New York Central, che dalla Grand
Central Station sbuca dal sottosuolo all'altezza della 95a strada
e diventa sopraelevata fino alla stazione della 125a strada,
corrono al centro di Park Avenue al posto delle aiuole che la
abbelliscono nella sua parte più vicina al centro e dalle
quali il viale prende il suo nome.
La ferrovia confluisce nel cavalcavia della linea sopraelevata
della Terza Avenue che attraversa il fiume Harlem e svolta verso
il Bronx e verso il vasto mondo che si trova più in là.
Nel tratto di Harlem, Park Avenue è fiancheggiata da
tetri palazzoni privi di acqua calda, che incombono su cortili
pieni di rifiuti, tetri magazzini, fabbriche, garage e depositi
di immondizia su cui giovani e abili balordi coltivano la marijuana.
E’ una strada pericolosa e violenta, solcata dai camion
e conosciuta tra i malavitosi come il Secchio-di-Sangue. Se
vedi un uomo in un rigagnolo, lascialo dov'è, potrebbe
essere morto.
I due uomini grassi e neri con i loro vestiti neri nel carro
funebre nero e strisciante, facevano parte di quella lugubre
notte. Il vecchio motore Cadillac, in ottime condizioni, faceva
le fusa come un gattino. La neve galleggiava incerta nella luce
scarsa.
E lì - indicò Goldy.
Jackson guardò un portone accanto alla vetrina sporca
e rotta di un negozio di pellame. Una testa di manzo mangiata
dalle tarme rispose al suo sguardo con gli occhi di vetro scompagnati.
Gli venne la pelle d'oca. Era arrivato alla fine della pista
ed era così spaventato che non sapeva se esserne contento
o dispiaciuto.
- Lascia la macchina qui - disse Goldy. - Tanto è lo
stessso -.
Jackson fermò il furgone e spense le luci.
Un camion passo via fragorosamente diretto al mercato di Harlem,
dopo la 116a strada, lasciandosi dietro un'oscurità ancora
più fitta. Jackson e Goldy si guardarono intorno nella
strada deserta. Jackson si sentì accapponare la pelle.
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