Hallgrimur Helgason

 

101 Reykjavik
(1996) - Guanda - pag.360


 

 

A trent'anni suonati, Hlinur non ha ancora trovato la forza di recidere il cordone ombelicale e vive ancora a casa della madre divorziata, Linda. Raramente si alza prima del crepuscolo; la notte la trascorre solitamente navigando su internet alla ricerca di siti pornografici o vegetando davanti alla televisione. Non mancano però le serate passate con i due inseparabili amici alla ricerca di qualche conquista sessuale e di nuove sbronze nei soliti locali notturni che si trovano nel centro storico di Reykjavik, codice di avviamento postale 101

"Hallgrimur Helgason, narratore a metà strada fra Bukowsky e Welsh, ci guida alla scoperta di notti gelide e movimentate, dove a un trentenne che vive con Ia mamma può capitare d'innamorarsi della fidanzata di lei"

 

 

***

 

frammenti

Dunque. Provo ad alzarmi almeno prima che faccia buio. Per assorbire un pò di luce solare, registrarmi e timbrare il cartellino. II sole è un orologio per iI controllo delle presenze. Senza che uno debba lavorare, per lui o per altri. Già. Sistema solare, sistema sociale.
Sempre difficile alzarsi. E' come essere rimasti sepolti per quattrocento anni e dover emergere da sotto due metri di terra. Ogni mattina.
La luce fa capolino attraverso le tende. A un tratto mi sembra che i numeri sulla radiosveglia siano una data. 1601. Mi alzo fin troppo presto, non dovrò rinascere prima di quattrocento anni scarsi. Già. Mi allungo verso Ia lattina di coca, me ne faccio un sorso, completamente sgassato. Un bel bacio mattutino dall'alito pesante.
Non bisogna baciare le ragazze Ia mattina dopo, sanno sempre di marcio, come se avessero già innescato il processo di putrefazione, come se fossero morte. In realtà sono morte. Non si dovrebbe dormire con le donne.
II sonno è morte. Si risorge ogni mattina. La resurrezione della carne. II mio ometto, sempre il primo giù dal letto. Inciampo nel telecomando, ma non sono ancora capace di farlo funzionare con le dita del piedi.
Canale 52: intervista al gestore di un bar tedesco. Si riempie tre boccali. Ho voglia di birra. Mi prendo un altro sorso di coca cola. Canale 53: giardinaggio inglese. Canale 54: concerto a Madrid. Canale 36: una cantante Indiana (20.000). Canale 37: previsioni del tempo nel sud-Est asiatico. Sembra un bel fine settimana, in Birmania.
Mi fermo sul menù dei programmi. Niente passera. Perché non trasmettono programmi pornografici al mattino? Non hanno mai sentito parlare di indurimenti mattutini? Almeno uno si sveglierebbe. The Morning Porn Show. II mio ometto, sempre il primo giù dal letto. Che lo facciano apposta? E' più facile sentirsi stimolati ad alzarsi se anche lui é già sveglio. II piccolo gigante. Sembra un troll con un occhio solo e senza collo.
Con Ia testa ma senza cervello, o forse se l'è bevuto, con tutto quello sputare cellule gialline. Non mi alzo mai prima che anche lui sia sveglio. Lo prendo per iI collo e gliele suono, lui non cede finch'è non è nel cesso. Lo ripulisco e lascio Ia mano. Perché le chiromanti non leggono il palmo bagnato, invece dei fondi delle tazzine del caffè? La mia vita è proprio così: Ia tengo in pugno, spumeggiante. Scorre nell'alveo della linea della vita.
Una sigaretta. Le giornate sono come una sigaretta. Una sigaretta bianca e iI sole felice di brancolarle dietro fra il vapore delle nuvole, per poi morire nel tramonto giallo del filtro.
II sole e la siga. Ambedue altamente nocivi alla salute. Comincia a fare scuro. Non vale Ia pe-na di aprire le tende. Mi allaccio l'orologio per sincronizzarmi con il tempo, la rotazione terrestre, iI sole e tutto iI sistema, 16.16, e vado in cucina. Corn-flakes. Già nella tazza.
Che succede? C'è bisogno di viziare cosi un uomo fatto? Troppi. Me ne ha messi troppi nella tazza. La giusta quantità è 365 giri. Li trangugio con l'aiuto del latte. La radio. La prima canzone dà iI ritmo a tutta Ia giornata. Passion di Rod Stewart. Non ne sono poi così sicuro.
Io e Woody Allen ci guardiamo negli occhi. Quando mollerà? Dovrà farlo, prima o poi.
A questo servono i poster. Accendo iI Mac. Benvenuto in Macintosh. Dovrebbe essere già tornata a casa. 1637.
Già. E' come se avessi un calendario al polso. Ogni giorno Ia storia del genere umano.
Cristo nasce a mezzanotte, l'impero romano crolla dopo un festino selvaggio, poi arrivano i vichinghi di primo mattino e cominciano a stuprare prima delle nove.
II telegiornale di mezzogiorno letto da un manoscritto, "grande incendio a Bergtorshvol Ia notte scorsa", poi bisogna rimettersi in sesto dopo iI pranzo, l'indolenza, Ia peste, le difficoltà, per svegliarsi nel 1504 ai colpi di scalpello di Michelangelo. II Rinascimento.
Shakespeare che scrive di getto, deve consegnare alle quattro e un quarto. La storia del genere umano è una giornata lunghissima. La guerra dei trenta minuti. La guerra del sei secondi. Una lunga giornata lavorativa. L'orologio segna quasi le sette quando Edison finalmente accende Ia lampadina. 1900: cena e telegiornale della sera. Siamo arrivati all'ora di cena nella storia del genere umano, anzi c'è chi ha appena finito di mangiare, sazio e riposato, e ha davanti un programma che non finisce mai. Tutti aspettano che scocchino le 2000. Mi intrufolo nella rete. Niente sulla pagina iniziale. Controllo Ia posta elettronica. Niente da lei. Le digito:
Hi, Kati.
Reykjavik calling. Hope you had a good day.
We are getting late up here, running out of days. You know. Wintertime in Iceland. The Kingdom of Darkness. And everything Johnny Rotten. Went to the bar last night and then to some after-party. There was one girl there who had been in Budapest and she told me about a bar called "Roxy" or "Rosy". Do you know it?
Bi. Hlinur


Sono mezzo vestito quando squilla il telefono:
"Hlinur" fa Trostur.
"Trostur" faccio io.
"Che si dice?"
"Nulla di speciale. Non sei venuto ieri"
"No. C'era qualcosa di interessante?"
"Niente. Dopo siamo andati da Jokull"
"Ah. Com'é stato?"
"Nulla di speciale. Anzi, tutto regolare."
"Donne?"
"Si, si. C'erano Loa e Soley, e anche altre due stanghe."
"Roba buona?"
"Si. Una classica modella alla Milano, l'altra in stile finto-povero."
"Però. Sono lì da te?"
"No. E' Ia televisione. Tu cosa hai fatto?"
"Be', ho visto tuo padre. Siamo stati al Castello, con Marri, e l'abbiamo visto, era fighissimo."
"Che cazzo dici?"

"No, era figo, ti dico, ci ha offerto da bere e ci ha invitati a casa sua, dopo."
"Siete andati?"
"No. Ci ha dato due indirizzi diversi."
"Sei sicuro che fosse lui?"
"Dai Hlinur. Lo conosco, il vecchio Barbagrigia."
"Che aspetto aveva?"
"Mah, stava bene. Come dopo tre giorni di astinenza."
"Completamente bevuto?"
"Si. Era un po' andato, ma in vena, cioè era divertente."
"Davvero?"
"Si. Ha parlato tantissimo di tua madre... e di te. Dovresti farci due chiacchiere, col tuo vecchio, caro mio."
"Mm."
"Che ne dici, facciamo qualcosa stasera?"
"Non lo so. Cosa hai in mente?"
"Boh, le solite cose, il K-bar oppure il Castello, è un posto da sballo, ce lo trovi di sicuro, il tuo vecchio."
"A che ora ci siete andati?"
"Verso I'una."
"Già. Boh."

"Senti, ti squillo più tardi."
"Si."
"Hlinur."
"Trostur."
La Mamma lavora all'ufficio importazioni. La Mamma è l'ufficio importazioni. La Mamma si chiama Berlgind Saemundsdottir. La Mamma ha una Subaru rossa. La Mamma torna dal lavoro fra le cinque e le sei. A volte viene anche Lolla e resta a cena con noi. Lolla si chiama Olof, non mi ricordo il cognome. Haraldsdottir, oppure Hardardottir. Lolla è lesbica. Da un sacco di tempo. Lo scorso autunno ha festeggiato i suoi primi quindici anni lesbici. La ULI le ha conferito una targa d'oro. La Mamma è I'ufficio importazioni. La Mamma di solito torna a casa con qualcosa per me. Intimo, coca-cola, una cintura, un video, pop-corn, biscotti. Oggi torna nell'anno 1735. Sento le buste di plastica, e poi bussa tre volte prima di entrare.
"Ciao, tesoro. Vedi tu se le vuoi o no. Le avevano in offerta a Bonus."
Mi volto e mentre passa butta sul letto tre paia di mutande bianche nel loro pacchetto chiassoso. Poi entra nella mia stanza, prende le mutande, le mette sul comodino e comincia a ficcanasare.
"Com'è andata oggi? C'è l'aria un po' pesante nella tua stanza, Hlinur caro. Non vuoi aprire la finestra?"
"Come?"

"Da quanto non ti cambio le lenzuola? Vuoi che lo faccia adesso? No, meglio di no, non farò certo il bucato prima di domani. Ma quante lattine di coca-cola hai sul letto? Te ne compro altre, se vuoi. Più tardi viene Lolla, resta a cena da noi. Come va, tesoro mio?"
"Cosa?"
"Non hai detto che lavori per quel Reynir?"
"E' solo un piccolo incarico. Sto aspettando che mi consegni il dischetto..."
Mi volto di nuovo verso iI computer.
"Già, già. Forse non le vuoi, queste mutande. Spero non siano troppo piccole. Era solo così. Vuoi che ti compri della coca-cola?"
"Mamma."
Si avvicina e mi appoggia Ia mano sulla spalIa. Mi sento il cuore fin dentro Ia nuca.
"D'accordo, tesoro mio. Non ti disturbo più. Che fai, scrivi in inglese?"
"Mamma."
"Oh, si, scusami. Sono sempre così curiosa."
Mi bacia sul cocuzzolo e se ne va.
"Ho comprato del filetto di manzo. Lolla porta il vino rosso. Faremo una cenetta speciale, questa sera."

II filetto di manzo è iI mio piatto preferito. E' grande, questa donna, per viziarmi. E' veramente grande.
Sono al telecomando quando mi chiamano. II Quiz della Manica, su Channel TV, What's on television? CIicco sul menù. Cosa c'è su Eurosport al mattino fra le 10 e le 11? Devo svegliarmi prima.
Stanno parlando di Heidar quando entro. LolIa dice che lo fiIa. lo filo Lolla. Ha un paio di tette serie e poi mi fa ridere. Ha sempre voglia di scherzare. Ha Ia brutta tendenza a spararmele addosso, ma spesso ha del fumo e poi porta un bel feeling in casa. La Mamma è più divertente, quando c'è lei.
Soprattutto se si fa una canna con noi. Fa un pò meno Ia mamma. Stanno bene insieme, nonostante siano così diverse.
La Mamma ha cinquantasei anni. Lolla trentasette. Si sono conosciute alle isole Fer Oer. La Mamma era andata a un congresso non ben identificato. La Mamma è una specie di televisione di stato, Lolla invece è un canale alternativo: non lo conosco bene, non l'ho mai guardato abbastanza, ma ha canali istruttivi. E' una consulente dell'Alcolisti Anonimi. Consulente dell'Alcolisti Anonimi!
Sa un sacco di storielle grandiose sugli ubriachi, soprattutto quando è bevuta. Le storielle sugli ubriachi non fanno lo stesso effetto se chi le racconta è sobrio. Abitiamo sulla Bergtorugata e pranziamo in cucina.
Mamma: "Non ti vanno, le mutande? GIi ho preso delle mutande oggi, al Bonus."
Lolla: "Dei bonuslip? Magari c'è un premio per chi li porta. E magari hanno su iI disegnino di un maiale rosa?"
Io: "Non lo so."
Mamma: "Non le hai ancora provate?"
Io: "Mum. E' rimasto del cavolo rosso?"
Lolla: "Ogni volta che penso al cazzo mi viene in mente un porcellino rosa."

Io: "Davvero?"
Lolla: "Sì, così paffutello... e saporito..."
Ride. La Mamma ghigna. Io sfodero iI mio sorriso alla JR.
Io: "Pensavo non mangiassi carne di maiale. Non sei lesbica?"
Mamma:"Qualcuno vuole del gelato?"
Lolla: "Les-bi-ca. Soprattutto bi. No, no. In reaItà sto pensando a te, HIinur caro... porcellino salvadanaio..."
lo: "Cosa vuoi dire?"
Lolla: "Niente. Non sei un gran risparmiatore? Non mi sembra che ti sprechi dietro a qualche storia senza senso. Non stai risparmiando per quando incontrerai iI vero amore?"
Io: "Cosa sta dicendo?!?"
Lolla ghigna alla Mamma che è in piedi.
Mamma: "Già. Allora, non è meglio prendere il gelato e cambiare discorso?"
Io: "Ehi, mum, cosa le hai dato da bere? Non si può avere un po' di privacy, in questa casa?"
Mamma: "Ti sta solo prendendo in giro. HIinur, tesoro. Lolla, cara, sei sicura di non volerne più?"
Lolla: "No, grazie, davvero, sono piena..."
Io: "... si, piena di cazzate. Dov'è il giornale? Forse è meglio che dia un'occhiata alle agenzie immobiliari."
Lolla: "Non vorrai mica andartene da casa?"
Io: "Mamma, non hai comprato il giornale?"

Lolla: "Non sei un pò troppo vecchio? Ormai hai compiuto trentatrè anni..."
Mi vedo di fronte una bella stanza sound e solid dove nessuno bussa alla porta nè suona il campanello. lo e me stesso, noi due soli, con il computer e la tivù, sedici videocassette per il fine settimana, solo Allen, lontano da tutte le lesbiche. C'è qualcosa che non quadra, con queste mezze-maschi sfacciate, queste donne intelligenti come un uomo, queste fighe con Ia lingua al posto giusto. Non ce la faccio. Non sono capace di rispondere a tono. Perdo sempre. Soprattutto se hanno anche le tette. E' come se non quadrasse qualcosa. Cioè. Le donne ci sbattono davanti tutto il servizio, ecco cosa c'è. Dovrebbero presentarci solo il cervello, invece. Ma tant'è, ora hanno cominciato ad avere anche quello. Che ci resta? Le donne hanno tutto. Testa e corpo. E noi restiamo così, senza parole, con quel cosino privo di cervello fra le mani che sputa le ultime cellule.
La Mamma è di un'altra generazione. Prima che gli strizzacervelli fossero così diffusi. La Mamma sta dalla mia parte. La Mamma sta dalla mia parte.
"Su, via, Lolla cara. II mio HIinsi può stare qui tutto il tempo che vuole."
Ci facciamo una canna dopo il gelato. Lolla arrotola. Ne fa due. Ma ne passa una (a volte conviene innervosirsi con lei). Andiamo in soggiorno. Il telegiornale non è così male, col fumo. In generale non capisco la televisione islandese. Sempre pesce e ittica dappertutto. Che gran trovata sarà mai, quest'idea geniale di mangiare roba viscida e squamosa tirata su dal fondo del mare?
Quei cumuli di neve, fuori, hanno un aspetto appetitoso con l'erba, sembrano gelato. Gelato sulla Regione Settentrionale.
Vaniglia sui Fiordi Occidentali. Nocciola sul Nordfjord. Eccole, si sono calmate e hanno ricominciato a parlare di mutande. Oh, no.
Mamma: "Non avevi detto che ti mancavano le mutande? Gli mancano sempre le mutande, non so cosa se ne fa di tutte quelle mutande, mi sembra di comprargliene di continuo. Ah, ah, ah!"

Lolla: "Magari le lascia in giro in città, quando... Sai, gli scapoli che non vogliono legami lo fanno spesso. Lasciano volontariamente le mutande dalla donna di turno, sai, tutte... ah, ah, ah!... gialle e puzzolenti. Così non rischiano che quelle abbiano voglia di qualcosa di più..."
Sono proprio in vena, quelle due, con questa storia delle mutande, e mi costringono a provarle. Non lo so, potrei anche essere diventato talmente contorto che i vestiti non mi stanno più. Torno come un fulmine in soggiorno, con le mutande del supermercato addosso, una sopra l'altra. Mi metto in posa. Loro urlano e gridano, come le donne dei Chippendales. Le femmine guardano gli spogliarelli in modo diverso da noi uomini. Loro vanno fuori di testa in modo esplicito. Gli uomini si chiudono, inseriscono la marcia più bassa, diventano serissimi e deglutiscono a vuoto. Ingoiano il pomo d'Adamo. Lolla mi invita ad awicinarmi, afferra I'elastico e lo rilascia, dice che le mutande mi stanno proprio bene e aggiunge:
"Se rimane com'è adesso." E si contorcono di nuovo sul divano, piegate in due dal ridere.
Lo stupido con un occhio solo si trova a quattrocchi con lei e sento, anche se c'è Ia Mamma vicina, che vorrebbe allungarsi per guardarla meglio negli occhi. Mi ritiro di là.
L'orologio segna I'anno 2315 quando Trostur chiama. Siamo già nel futuro quando spengo Ia tele e il computer.
E' quasi mezzanotte quando mi awio a piedi su per Ia Laugaveg. Buio, freddo e una neve che non è nè carne nè pesce, un infinito imperfetto, l'infinito del tempo. Un'atmosfera arcaica, e mi sento ancora più primitivo a dovermi fare tutta questa strada a piedi, le orecchie rigide e bianche nel vento, e fragili come se fossero di porcellana. E quando entro nel bar siamo di nuovo all'inizio dei tempi. E' l'anno 0000.

(.....) Siamo in piedi in fila davanti al K-bar. C'è un nuovo buttafuori che non ha ancora ben imparato come stanno le cose.
Non ci

conosce. Non l'ho mai visto prima, se non per il tatuaggio che ha sul collo. Non ci sprechiamo in originalità, grazie. L'orologio segna già le 200 e noi siamo qui bloccati in una specie di era glaciale. Questo sì che si chiama uscire e divertirsi. Ho i jeans neri che ho riempito di dita, il maglione bianco a collo alto e il giubbotto di pelle. Difficile distinguere che scarpe ho ai piedi a causa della calca, ma mi sembra di avere quelle nere. Una ragazza (30.000) in fila dietro dice: "Ciao."
Le faccio solo un cenno. Lavora al videonoleggio sulla Skolavordustig, mi ha servito lei una volta che ho preso in prestito delle cassette porno. Marri mi dà una sigaretta con cui cerchiamo di riscaldarci, per infilare un pò di calore nei polmoni. Come con un fornelletto a gas al Polo nord.
I fratelli Amundsen. Aspettiamo dodici anni prima di entrare.
Scannerizziamo l'interno. Pulisco gli occhiali appannati. II K-bar è una stanza. Trentacinque metri quadrati. Pieno bombato.
Come venti sigarette in un pacchetto. Ne prendo una, mi faccio largo, vado verso il bar attraverso Ia torma danzante. Girls on film, girls on film. Duran Duran. Sento una tetta sul gomito e dico due ciao piuttosto di malumore prima di venire risucchiato verso il bar come una pallina del lotto che inaspettatamente venga estratta fra i numeri di turno. E' il numero giusto: finisco accanto a Loa (15.000).
Prima stronzata:
"Ehi, ciao! Ci siamo visti ieri sera!"
"Già, c'eri anche tu."
"Oh no, fai finta di non ricordare, dai."
Questa è solo una delle sedici frasi che vengono pronunciate qui dentro in questo esatto momento. Loa è una specie di Canale 68. Bisogna fare zapping sessantotto volte prima di arrivarci. E ti capita sempre qualcosa di più interessante, prima. Al bar c'è Keisi stasera. Keisi Kremboy. Gliene ordino tre grandi. Ecco Loa.
In azione: "Bevi? Pensavo non bevessi mai, non ti ho mai visto bevuto.

Credevo non fossi attivo."
"E' vero non funziono dalla nascita. A dire Ia verità mi sono ubriacato una volta e poi non ho più toccato alcol. Forse perchè mio padre è alcolizzato e mia madre lesbica, ma questa sera sono uscito allo scoperto e ho deciso di mantenermi fedele, sai, rigare dritto, ho promesso di tenere fede alla famiglia."
"Uau."
Riesco ad allungare le birre ai ragazzi senza bagnare nessuno e c'è un tavolo libero. 0 meglio, ci sono tre sedie libere perchè due pollastre (15.000 e 25.000) stanno ballando sul tavolo.
Ci sediamo. Seguo con lo sguardo un paio di calze arancioni mentre espiro il fumo.
Trostur e Marri ghignano e Trostur si piega verso il mio orecchio:
"How much?"
Mi stanno sui nervi quelli che parlano inglese. E' una cosa tremendamente ridicola. Quello che Trostur vuol chiedermi è quante corone sarei disposto a sborsare per una notte con queste calze arancioni. E' una cosa fra noi, il nostro metro per le donne.
La guardo meglio. Dove finiscono le calze cominciano i capelli, biondi. Lontani anni luce. E il cervello sembra ancora più lontano. Anche se ha Ia minigonna è piuttosto difficile riuscire ad allungare un occhio nella valle sacra perchè si sta dimenando nelle danze, ma le tette sono carine, due pere in scatola, e non fanno ombra al viso, che sembra uscito da una foto di quelle che si scattano ogni anno alla festa del diploma. Non ci si può fare un gran che. E' ancora una mocciosa.
"Circa venticinque."
"No. di più."
"Si, trenta meno cinque per Ia lezione."
"Ehi, Li."
Trostur ha cominciato a copiarmi questa frase da poco.
Prima diceva sempre: "Yes, sir!", oppure: "Allright!"
Mi guardo intorno.

Conosco il trenta per cento dei presenti. II resto sono solo un branco di codici fiscali.
E almeno un gruppo con codici ben più recenti del mio.
C'è anche Eyglò Manfredsdottir (75.000). E' una presentatrice alla tivù locale.
Ehi Glò Day Glow. Trostur mi ha detto una volta che avrebbe dato il braccio sinistro per lei. Trostur è mancino. Non sono sicuro che Eyglò Manfreds straveda per i monchi, anche se sarebbe certamente più facile accoccolarsi in due sotto le coperte, con un braccio in meno.
A Sigrun piaceva moltissimo. E' tanto che non faccio nulla di simile. In realtà non ho mai parlato con Eyglò Manfreds ma una volta mi ha passato Ia sua gomma da masticare.
Ci sono anche Dora (25.000), e Magga Saemundsdottir (30.000). E anche Timur nell'angolo al suo tavolo, bello grasso con la barbetta alla ZZ-Top.
Mi piace il K-bar perchè è sempre bombato e Ia musica è a palla. Non c'è bisogno nè di ballare nè di parlare. Si sta seduti e basta. Scream. Michael Jackson. E Janet (3.500.000). Mi guardo intorno.
E all'improvviso me Ia vedo brutta. C'è Herta Berlino (150. Equivalente a un biglietto per l'autobus. Di sola andata). Vuole sedersi con noi. No. Niente stronzate! Eccola che si infiIa di forza al tavolo e sgomita con prepotenza contro le calze arancioni.
La pollastra cade quasi addosso a Trostur ma riesce a rimanere in equilibrio appoggiandosi al muro. Lei e Ia sua amica sono troppo mocciose per spazzare via Herta a calci, quindi si spostano su un altro tavolo. Una infila il tacco nella cera sciolta della candela. Herta Berlino si siede sul tavolo. Le si espandono le cosce. Meno male che ha i jeans. Tengono. Sorride a trecentosessanta gradi. Cosa vuole? Che le conti tutti i denti? Marri se l'è infrattata una volta, nell'ultimo decennio. Everybody's got a hungry heart.
Altra sfiga:
"Ciao HIinur. Ho saputo che sei uscito allo scoperto. L'ho sempre sospettato. Hai avuto qualche storia?"
"Solo cordless."
Vado al cesso. La strada passa proprio davanti a Holmfrida, lei mi dice: "Ciao" e le rispondo: "Ao"
La faccio nella tazza e osservo iI muro dipinto di giallo, mentre mi vedo davanti una scritta: "Mia madre è lesbica."
Possibile? E ha un senso? Lolla.
Prima, seconda e terza sfiga: Ia strada del ritorno passa proprio davanti a Holmfrida. Non so cosa dirle.
Lei mi dice: "Che si dice?" Io dico: "Io? non si

dice un gran che."
Lei fa: "Dove sei finito?" E io capisco: "Sei finito!" E le chiedo: "Perchè?" "Come? Be', così, te lo stavo solo chiedendo, non sapevo dov'eri finito." "Io, io sono finito. A lavorare, più o meno."
" Lavorare? Stai lavorando?" "Si, mi hanno commissionato una cosa. Al computer." "Ah. Lavori a casa?" "Si." "Ti ho chiamato, non rispondi mai, non ascolti Ia segreteria?" "Si, si, ma ultimamente non so, non si sente molto bene." "Dawero? Cos'ha, l'influenza?" "Si, ha preso qualche malattia." "Spero nulla di serio, magari non l'Alzheimer."
Parliamo come due che si sono appena Iasciati dopo essere stati insieme sei anni, che è assurdo perchè siamo andati a letto insieme due o tre volte, forse due o tre settimane fa. 0 meglio: ci siamo addormentati a letto insieme. HoImfrida abita nella zona bene. Da sola, in un appartamento di tre stanze. Con il sogno di riempire Ie altre due. E' al terzo anno del tirocinio per insegnanti. Suo padre è dentista. Ha due orsacchiotti e un poster di Monet, Manet o Manuet appeso in casa sua. E' tutto. Lascio perdere il resto. No, non è proprio tutto. Emana un'aria da tosta qui al K-bar, con i capelli tinti di rosso e il piercing nel naso e Ia tutina troppo larga, ma a casa sua c'è il paese delle meraviglie, una giostra stile Laura Ashley dove il buon gusto è così di gusto che uno non osa nemmeno farsi una sigaretta se non ha gusto, in quelle stanze dove i colori non si offendono a vicenda, le tonalità non sono mai eccessive e persino le tende profumano di bucato. Ognuno di noi ha qualche lato oscuro. I suoi sono proprio la precisione da donnina di casa, come se suo padre l'odontoiatrico fosse passato di lì con l'aspiratore e avesse passato la sua piccola levigatrice (di quelle a velocità variabile) sui muri color avorio e avesse spruzzato anestetico su tutti i cuscini del sofà, tanto tutto è sano e asettico. Come entrare in un palato, un palato di plastica, di quelli che si usano a lezione all'università.
"Qui non c'è bisogno di trapanare" le ho detto la prima volta, mentre stavo per lasciare le scarpe sul tavolo accanto alla scodella di ceramica con le mele in legno, senza sapere che era figlia di un dentista; ma lei non l'ha capita e non ha capito nemmeno quando ho aggiunto: "Se non te." "Parli sempre con queste frasi" disse lei allora, e me l'ha detto altre volte. "Tu e le tue frasi. Questa è una delle tue frasi?"

La mia vita in frasi, Life sentences.
Questa tipa, Hofi, è una stressante col piercing nel naso. Ha una pietruzza Iuccicante che dà un'impressione del tutto sbagliata della struttura generale. Ha l'anima alla moviola. Viene subito da sbadigliare appena apre bocca.
Le luci si accendono, sono le 300, comincia I'eliminazione. Cioè, è come se il gioco fosse chiuso e tutti rimanessero Iì mezzo straniti dopo essersi sfiancati sui tavoli in scene di guerra pazzesche. Tutti tornano a essere normali. Mi era rimasta mezza birra ma Ia trovo sparsa sul tavolo quando la vado a cercare. Holmfrida fa quest'effetto. Appiattisce tutto. Trostur e Marri conversano con un emerito sconosciuto: "Ehi, Hlinur, l'hai visto Il pasto nudo?, lui dice che non era con John Tortura."
"John Turturro correggo."
"Si, Turturro."
"No, ci stiamo confondendo con Arizona Dream, no, Raising Arizona, no, aspetta, com'è che si intitola quel film di quello scrittore nell'albergo con Ia carta da parati?" dice l'emerito.
"Si, quello dei fratelli Coen." faccio io e metto in moto il cervello.
"Si. Come cazzo si intitola?"
"The Farting Blink" dico.
"Ecco, quello."
"No, Barton Fink" dico.
"Farting Blink.....ah, ah, ah!..."
"Allora chi c'era in Il pasto nudo?"
"Non mi ricordo come si chiama, ma è quello che ha fatto anche Robocop dico."
Barton Fink. Dove I'ho visto? Si, a Londra. Con Dori. Dora Leifs. John Goodman awolto nelle fiamme gialle. Ci vorrebbe John Goodman in fiamme, per riscaldarci, ora che siamo davanti al K-bar in un'oscurità medievale e dei gradi sotto zero da fare invidia a un colonnello. Come cinquanta uomini che protestano davanti all'ambasciata del paese dei down di notte. Ehi. Se tutti i down abitassero nello stesso paese e si costituisseron in una nazione, sarebbero pericolosissimi nel caso utilizzassero armi nucleari.

Arriva Reynir. Con una donzella da sballo (60.000). In verità truccata fino al midollo. Racconta del film che ha appena finito di girare, con il gruppo del momento. Suona almeno come altri sette film già visti. Gli trilla il ceIIulare in qualche tessuto interno. Risponde e dice che è per strada, con altra gente. Mi sento costretto a parlare con la donzella, nel frattempo.
Scelto qualche fiocco di neve a caso, nell'aria:
"Se figlia di Kevin Costner?"
"No, perchè?"
"Così. Era l'ora."
"Era l'ora? Cosa vuoi dire?"
"Era l'ora di dire una cosa del genere."
Le parole sono fiocchi di neve. Cadono. In questo esatto momento stanno cadendo 12.674.523 fiocchi di neve su Reykjavik.
In ognuna delle teste che adesso dormono aIl'ospedale ci sono altrettante frasi. Per tutta la città, sui cuscini, sui divani, al telefono, fra gli scaffali dei libri, su tutto c'è un'intera galassia di frasi che si fanno largo, parole che si dispongono in stringhe che qualcuno, in un determinato momento, avrà bisogno di emettere. Qualcuno deve pur liberarle.



 

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