Concilio di Efeso

Dal 22 giugno al 31 luglio 431.
Papa Celestino I (422-432).
Convocato dall'Imperatore Teodosio II.
Cinque sessioni. Divina Maternità di Maria contro Nestorio. 6 canoni.


SECONDA LETTERA DI CIRILLO A NESTORIO

Cirillo saluta nel Signore il piissimo e sommamente amato da Dio Nestorio, suo collega.

Sono venuto a sapere che alcuni tentano con vane ciance di detrarre al mio buon nome presso la tua Riverenza - e ciò frequentemente - soprattutto in occasione di riunioni di persone assai in vista. Forse pensando addirittura di accarezzare le tue orecchie, essi spargono voci incontrollate. Sono persone che non ho offeso in nessun modo, li ho invece ripresi con le debite maniere: l'uno perché trattava ingiustamente ciechi e bisognosi; l'altro, perché aveva impugnato la spada centro la propria madre; un altro ancora, perché aveva rubato con la sua serva l'oro degli altri, ed aveva sempre avuto una fama, quale nessuno augurerebbe neppure al suo peggior nemico. Del resto, non intendo interessarmi troppo di costoro, perché non sembri che io estenda la misura della mia pochezza al di sopra del mio signore e maestro, e al di sopra dei padri: non è possibile, infatti, evitare le stoltezze dei malvagi, in qualsiasi modo si viva. Costoro, però, che hanno la bocca piena di maledizione e di amarezza (1), dovranno rendere conto al giudice di tutti. lo, invece, tornando a ciò che credo più importante, ti ammonisce anche ora, come fratello in Cristo, perché tu esponga la dottrina e il pensiero sulla fede al popolo con ogni cautela e prudenza perché tu rifletta che lo scandalizzare anche uno piccoli che credono in Cristo (2), suscita la insopportabile, indignazione (di Dio). Se poi coloro che sono stati fossero una moltitudine, non dobbiamo forse usa arte per evitare, con prudenza, gli scandali e presentare rettamente una sana esposizione della fede a chi cerca la verità? Ciò avverrà nel modo migliore se leggendo le opere dei santi padri, cercheremo di apprezzarle molto, ed esaminando noi stessi, se siamo nella vera fede conforme della Scrittura (3), conformiamo perfettamente il nostro modo di vedere il loro pensiero retto e irreprensibile.

Dice, dunque, il santo e grande concilio (di Nicea) che lo stesso Figlio unigenito, generato secondo natura da Dio Padre, Dio vero nato dal vero Dio, luce dalla luce, colui per mezzo del quale il Padre ha fatto tutte le cose, è disceso si è fatto carne, si è fatto uomo, ha sofferto, è risuscitato il terzo giorno, è salito al cielo. Dobbiamo attenerci anche noi a queste parole e a questi insegnamenti, riflettendo bene cosa significhi che il Verbo di Dio si è incarnato e fatto uomo. Non diciamo, infatti, che la natura dal Verbo si sia incarnata mutandosi, né che fu trasformata in un uomo, composto di anima e di corpo. Diciamo, piuttosto, che il Verbo, unendosi ipostaticamente una carne animata da un'anima razionale si fece uomo in modo ineffabile e incomprensibile e si è chiamato figlio dell'uomo, non assumendo solo la volontà e neppure la sola persona. Sono diverse, cioè, le nature che si uniscono, ma uno solo è il Cristo e Figlio che risulta non che questa unità annulli la differenza delle nature ma piuttosto la divinità e l'umanità formano un solo e Cristo, e Figlio, che risulta da esse; con la loro unione arcana ed i nell'unità. Così si può affermare che, pur sussistendo prima dei secoli, ed essendo stato generato dal Padre, Egli è stato generato anche secondo la carne da una donna; ma ciò non significa che la sua divina natura abbia avuto inizio nella santa Vergine, né che essa avesse bisogno di una seconda nascita dopo quella del padre (sarebbe infatti senza motivo, Oltre che sciocco, dire che colui che esisteva prima di tutti i secoli, e che è coeterno al Padre, abbia bisogno di una seconda generazione per esistere); ma poiché per noi e per la nostra salvezza, ha assunto l'umana natura in unità di persona, ed è nato da una donna così si dice che è nato secondo la carne. (Non dobbiamo pensare), infatti, che prima sia stato generato un uomo qualsiasi dalla santa Vergine, e che poi sia disceso in lui il Verbo: ma che, invece, unica realtà fin dal seno della madre, sia nato secondo la carne, accettando la nascita della propria carne.

Così, diciamo che egli ha sofferto ed è risuscitato, non che il Verbo di Dio ha sofferto nella propria natura le percosse, i fori dei chiodi, e le altre ferite (la divinità, infatti non può soffrire, perché senza corpo); ma poiché queste cose le ha sopportate il corpo che era divenuto suo, si dice che egli abbia sofferto per noi: colui, infatti, che non poteva soffrire, era nel corpo che soffriva. Allo stesso modo spieghiamo la sua morte. Certo, il Verbo di Dio, secondo la sua natura, è immortale, incorruttibile, vita, datore di vita; ma, di nuovo, poiché il corpo da lui assunto, per grazia di Dio, come dice Paolo (4), ha gustato la morte per ciascuno di noi, si dice che egli abbia sofferto la morte per noi. Non che egli abbia provato la morte per quanto riguarda la sua natura (sarebbe stoltezza dire o pensare ciò), ma perché, come ho detto poco fa, la sua carne ha gustato la morte. Così pure, risorto il suo corpo, parliamo di resurrezione del Verbo; non perché sia stato soggetto alla corruzione - non sia mai detto - ma perché è risuscitato il suo corpo.

Allo stesso modo, confesseremo un solo Cristo un solo Signore; non adoreremo l'uomo e il Verbo insieme, col pericolo di introdurre una parvenza di divisione dicendo insieme, ma adoriamo un unico e medesimo (Cristo), perché il suo corpo non è estraneo al Verbo, quel corpo con cui siede vicino al Padre; e non sono certo due Figli a sedere col Padre ma uno, con la propria carne, nella sua unità. Se noi rigettiamo l'unità di persona, perché impossibile o indegna (del Verbo) arriviamo a dire che vi sono due Figli: è necessario, infatti definire bene ogni cosa, e dire da una parte che l'uomo è stato onorato col titolo di figlio (di Dio), e che, d'altra parte il Verbo di Dio ha il nome e la realtà della filiazione. Non dobbiamo perciò dividere in due figli l'unico Signore Gesù Cristo. E ciò non gioverebbe in alcun modo alla fede ancorché alcuni parlino di unione delle persone: poiché non dice la Scrittura che il Verbo di Dio sì è unita la persona di un uomo ma che si fece carne (5). Ora che il Verbo si sia fatto carne non è altro se non che è divenuto partecipe, come noi, della carne e del sangue (6): fece proprio il nostro corpo, e fu generato come un uomo da una donna, senza perdere la sua divinità o l'essere nato dal Padre, ma rimanendo, anche nell'assunzione della carne, quello che era.

Questo afferma dovunque la fede ortodossa, questo troviamo presso i santi padri. Perciò essi non dubitarono di chiamare la santa Vergine madre di Dio, non certo, perché la natura del Verbo o la sua divinità avesse avuto l’origine del suo essere dalla santa Vergine, ma perché nacque da essa il santo corpo dotato di anima razionale, a cui è unito sostanzialmente, si dice che il verbo è nato secondo la carne.

Scrivo queste cose anche ora spinto dall'amore di Cristo esortandoti come un fratello, scongiurandoti, al cospetto di Dio e dei suoi angeli eletti, di voler credere e insegnare con noi queste verità, perché sia salva la pace delle chiese, e rimanga indissolubile il vincolo della concordia e dell’amore tra i sacerdoti di Dio.

 

TERZA LETTERA DI CIRILLO DI ALESSANDRIA A NESTORIO

[...]
Seguendo in tutto le confessioni che i santi Padri hanno formulato sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, e le orme dei loro pensieri, battendo la via regia, noi diciamo che il Verbo unigenito di Dio, nato dalla stessa sostanza del Padre, Dio vero da Dio vero, luce da luce, mediante il quale sono state fatte tutte le cose in cielo e in terra, è lo stesso che è disceso (dal cielo) per la nostra salvezza, si è umiliato sino all'annientamento, si è incarnato e si è fatto uomo, ossia, prendendo la carne dalla santa Vergine e facendola propria, è nato come noi dal seno materno, ed è diventato uomo dalla donna, senza rinunziare a quello che era; ma, pur assumendo la carne e il sangue, rimase anche così ciò che era: Dio, per natura e secondo verità. Né diciamo con ciò che la carne sia passata nella natura della divinità, né che la ineffabile natura del Verbo di Dio si sia trasformata nella natura della carne: infatti, è assolutamente immutabile, sempre identico a sé stesso, secondo le Scritture (7). Apparso fanciullo, e in fasce, e ancor nel seno della Vergine Madre, riempiva (di sé) tutta la creazione, essendo Dio, e sedeva alla destra del suo genitore; poiché la divinità non ha quantità, né grandezza, e non conosce limiti.

Noi confessiamo, quindi, che il Verbo di Dio si è unito personalmente alla carne umana, ma adoriamo un solo Figlio e Signore Gesù Cristo, non separando né dividendo l'uomo e Dio, come se fossero uniti l'uno all'altro dalla dignità e dalla autorità (ciò, infatti, sarebbe puro suono e niente altro), e neppure chiamando, separatamente, Cristo Verbo di Dio, e separatamente l'altro Cristo quello nato dalla donna; ma ammettendo un solo Cristo, e cioè il Verbo di Dio Padre, con la sua propria carne. Allora egli, come noi, è stato unto, anche se è lui stesso a dare lo Spirito a coloro che sono degni di riceverlo, e ciò non secondo misura, come dice il beato Giovanni evangelista (8). Ma non affermiamo neppure che il Verbo di Dio ha abitato, come in un uomo qualsiasi, in colui che è nato dalla Vergine santa, perché non si creda che Cristo sia un semplice uomo portatore di Dio. Se, infatti il Verbo di Dio abitò fra noi (9) ed è detto che in Cristo abitò corporalmente la pienezza della divinità (10), crediamo però che egli si fece carne non allo stesso modo che si dice che abita nei santi, e distinguiamo nello stesso modo l'abitazione che si è fatta in lui: unito secondo natura, e non mutato affatto in carne, ebbe in essa una tale abitazione, quale si potrebbe poi dire che abbia l'anima dell'uomo nei riguardi del suo corpo. Non vi è, dunque, che un solo Cristo, Figlio e Signore; non secondo una semplice unione di un uomo, nell'unità della dignità e dell'autorità, con Dio perché una uguale dignità infatti, non può unire le nature. Così Pietro e Giovanni sono uguali in dignità, come gli altri apostoli e discepoli; ma i due non erano uno. Infatti non concepiamo il modo dell’unione come una giustapposizione (ciò, del resto, non sarebbe neppure sufficiente ad una unità naturale), o come una unione per relazione, come quando noi, aderendo a Dio, secondo la Scrittura, siamo uno spirito solo con lui (11); evitiamo piuttosto il termine stesso di "congiunzione" in quanto inadeguato ad esprimere il mistero dell'unità.

E non chiamiamo il Verbo di Dio Padre neppure "Dio" o "Signore" di Cristo, per non dividere di nuovo, apertamente in due l'unico Cristo e Figlio e Signore, cadendo nel di bestemmia, facendo di lui il Dio o il Signore di se stesso. Unito, infatti, sostanzialmente, alla carne, come abbiamo detto, il Verbo di Dio è Dio di ogni cosa e domina su ogni creatura, ma non è né servo, né Signore di se stesso. Il solo pensare o dire ciò sarebbe sciocco o addirittura empio. E’ vero che ha detto che suo padre era il suo Dio (12), pur essendo Dio per natura e della sostanza di Dio; ma non ignoriamo che, essendo Dio, egli è diventato anche uomo, soggetto a Dio secondo la legge propria della natura dell'umanità. Come avrebbe potuto essere, d'altra parte, egli, Dio o Signore di se stesso? Quindi, in quanto uomo, e in quanto si può accordare con la misura del suo annientamento, egli afferma di essere con noi sottoposto a Dio: così egli si assoggettò alla legge (13), pur avendo espresso egli la legge, ed essendo legislatore, in quanto Dio. Evitiamo assolutamente di dire: "Venero ciò che è stato assunto, per la dignità di colui che l'assume; adoro il visibile a causa dell'invisibile". E’ addirittura orrendo, inoltre, dire: "Colui che è stato assunto è chiamato Dio, insieme con colui che l'ha assunto". Chi usa questo linguaggio, divide di nuovo il Cristo in due Cristi e colloca da una parte l'uomo, e dall'altra Dio; nega, infatti, evidentemente l'unità: quell'unità per cui uno non può essere coadorato o connominato Dio con un altro: uno, invece, è creduto Gesù Cristo, unigenito figlio di Dio, da onorarsi con un unica adorazione con la sua carne. Confessiamo anche che lo stesso Figlio unigenito di Dio, anche se impossibile secondo la propria natura, ha sofferto nella sua carne per noi, secondo le Scritture (14), ed era nel corpo crocifisso, facendo sue, senza soffrire, le sofferenze della sua carne. Per la grazia di Dio gustò la morte (15) per la salvezza di tutti; ed offri ad essa il proprio corpo, quantunque egli sia per natura la vita ed egli stesso la resurrezione (16).

Egli, sconfiggendo la morte con la sua ineffabile potenza, fu nella sua propria carne il primogenito tra i morti e la primizia di coloro che si erano addormentati (nel Signore) (17), ed aprì all'umana natura la via del ritorno all'incorruzione. Per la grazia di Dio, come abbiamo accennato, egli gustò la morte per ciascuno di noi, e risorgendo il terzo giorno, spogliò l'Ade. Quindi, anche se si dice che la resurrezione dei morti è avvenuta attraverso un uomo (18), per uomo, però, intendiamo quello che era nello stesso tempo il Verbi di Dio, per mezzo del quale è stato distrutto l'impero della morte. Questi verrà, a suo tempo, come unico Figlio e Signore nella gloria del Padre, per giudicare il mondo, nella giustizia, come affermano le Scritture (19).

E’ necessario aggiungere anche questo. Annunziando la, morte, secondo la carne, dell'Unigenito Figlio di Dio, cioè di Gesù Cristo, e la sua resurrezione dai morti, e confessando la sua assunzione al cielo, noi celebriamo nelle chiese il sacrificio incruento, ci avviciniamo così alle mistiche benedizioni, e ci santifichiamo, divenendo partecipi della santa carne e del prezioso sangue del Salvatore di noi tutti, Cristo. Noi non riceviamo, allora, una comune carne (Dio ci guardi dal pensarlo!), o la carne di un uomo santificato e unito al Verbo mediante un'unione di dignità, o di uno che abbia in sé l'abitazione di Dio, ma una carne che dà veramente la vita ed è la carne propria del Verbo stesso. Essendo infatti, vita per natura in quanto Dio, poiché è divenuto una cosa sola con la propria carne, l'ha resa vivificante sicché quando ci dice: In verità vi dico, se non mangerete la carne del Figlio dell'uomo e non berrete il sito sangue (20), non dobbiamo comprendere che essa sia la carne di un qualunque uomo come noi (e come potrebbe essere vivificante la carne di un uomo, considerata secondo la propria natura?); ma, invece, come la carne di Colui che per noi si fece e si fece chiamare figlio dell'Uomo.

Quanto alle espressioni del nostro Salvatore contenute nei Vangeli, noi non le attribuiamo a due diverse sussistenze o persone. Non è infatti duplice l'unico e solo Cristo, anche se si debba ammettere che egli è pervenuto all'unità indivisibile da due differenti realtà; come del resto avviene dell'uomo, che, pur essendo composto di anima e di corpo, non per questo è duplice, ma una sola realtà composta di due elementi. Diciamo piuttosto che sia le espressioni umane, sia quelle divine, sono state dette da un solo (Cristo). Quando egli, infatti, con linguaggio divino, afferma di sé: Chi vede me, vede il Padre, e: Io e il Padre siamo una sola cosa (21), noi pensiamo alla sua divina ed ineffabile natura, per cui egli è uno col Padre in forza dell'identità della sostanza, egli, immagine e figura e splendore della sua gloria (22). Quando, invece, non reputando indegna la condizione umana, dice ai Giudei: ora voi volete uccidermi, perché vi ho detto la verità (23) di nuovo dobbiamo riconoscere in lui, uguale e simile al Padre, il Dio Verbo anche nei limiti della sua umanità. Se, infatti, dobbiamo credere che, essendo Dio per natura, si è fatto carne, ossia uomo con anima razionale, che motivo vi è, poi, che uno si vergogni che le sue espressioni siano state dette in modo umano? Poiché, se egli avesse rifiutato le espressioni proprie dell'uomo, chi mai lo spinse a farsi uomo come noi? Colui che si è abbassato, per noi, volontariamente, fino all'annientamento, perché mai dovrebbe poi rifiutare le espressioni proprie di chi si è annientato? Le espressioni dei Vangeli, quindi, sono da attribuirsi tutte ad una sola persona, ossia all'unica sussistenza incarnata del Verbo: uno è, infatti, il Signore Gesù Cristo, secondo le Scritture (24).

Se, infatti, viene chiamato apostolo e pontefice della nostra confessione (25) inquantoché ha offerto in sacrificio a Dio Padre la confessione della fede che noi facciamo a lui, e per mezzo suo a Dio Padre, e anche allo Spirito santo, diciamo ancora che egli è per natura il Figlio unigenito di Dio, e non attribuiamo certamente ad un altro uomo diverso da lui il nome e la sostanza del sacerdozio. Egli infatti è divenuto mediatore fra Dio e gli uomini (26) li ha riconciliati per la pace, offrendosi vittima di soavità a Dio padre (27). Perciò ha detto: Non hai voluto né sacrificio né oblazione, ma mi hai dato un corpo. Non hai gradito gli olocausti in espiazione del peccato. Allora ho detto: Ecco, vengo. All'inizio del libro è scritto di me che io debba fare, o Dio, la tua volontà (28). Egli ha offerto in odore di soavità il proprio corpo per noi, non certo per se stesso. Di quale sacrificio ed offerta, infatti, avrebbe bisogno per sé, egli che è superiore a qualsiasi peccato essendo Dio? Se è vero, infatti, che tutti sono peccatori e sono privati della gloria di Dio (29) inquantoché siamo inclinati ad ogni vento di peccato e la natura dell'uomo divenne inferma per il peccato - per lui, però, non fu così, e siamo vinti dalla sua gloria - come può essere ancora dubbio che l'agnello vero sia stato immolato a causa nostra e per noi? Sicché dire che egli si è offerto per sé e per noi non potrebbe in nessun modo essere esente dall'accusa di empietà. Egli, infatti, non ha mancato in nessun modo e non ha commesso peccato. E di quale oblazione avrebbe dovuto aver bisogno, non essendovi alcun peccato, per cui avrebbe dovuto offrirla?

Quando poi afferma dello Spirito: Egli mi glorificherà (30), rettamente noi non diciamo che l'unico Cristo e Figlio, quasi avesse bisogno di essere glorificato da un altro, ha avuto la sua gloria dallo Spirito Santo: perché lo Spirito non è migliore di lui o superiore a lui. Ma poiché a dimostrazione della sua divinità, si serviva del proprio spirito per compiere le sue meraviglie, perciò egli dice di essere glorificato da lui come se un uomo, riferendosi alla forza che è in lui o alla sua scienza dicesse: "mi glorificano". Poiché, se anche lo Spirito ha una sussistenza propria, e viene considerato in sé ossia secondo quella proprietà per cui è Spirito e non Figlio non è, però, estraneo a lui. E’ detto, infatti, Spirito di verità (31), e Cristo è appunto la verità (32), e procede da lui come da Dio Padre. Di conseguenza, questo Spirito, operando meraviglie anche per mezzo degli apostoli, dopo l'ascensione del Signore nostro Gesù Cristo al cielo, lo glorificò; fu creduto, infatti, che egli, Dio per natura, operasse ancora per mezzo del proprio Spirito. Per questo diceva ancora: Prenderà del mio e ve lo annunzierà (33). E in nessun modo noi diciamo che lo Spirito è sapiente e potente per partecipazione: egli è assolutamente perfetto e non ha bisogno di nessun bene. Proprio, infatti, perché è Spirito della potenza e della sapienza del Padre, che è il Figlio (34), per questo è realmente sapienza e potenza.

E poiché la Vergine santa ha dato alla luce corporalmente Dio unito ipostaticamente alla carne, per questo noi diciamo che essa è madre di Dio, non certo nel senso che la natura del Verbo abbia avuto l'inizio della sua esistenza dalla carne, infatti esisteva già all'inizio, ed era Dio, il Verbo, ed era Presso Dio (35). Egli è il creatore dei secoli, coeterno al Padre e autore di tutte le cose; ma perché, come abbiamo già detto, avendo unito a sé, ipostaticamente, l'umana natura in realtà sortì dal seno della madre in una nascita secondo la carne; non che avesse bisogno necessariamente o per propria natura anche della nascita temporale, avvenuta in questi ultimi tempi, ma perché benedicesse il principio stesso della nostra esistenza, e perché, avendo una donna partorito (il Figlio di Dio) che si è unito l'umana carne, cessasse la maledizione contro tutto il genere umano, che manda a morte questi nostri corpi terrestri, e rendesse vana questa parola: darai alla luce i figli nella sofferenza (36), e realizzasse la parola del profeta: la morte è stata assorbita nella vittoria (37) e l'altra: Dio asciugò ogni lacrima da ogni volto (38). Per questo motivo diciamo che egli, da buon amministratore, ha benedetto le stesse nozze, quando fu invitato, con i santi apostoli, a Cana di Galilea (39).

Ci hanno insegnato a pensare così sia i santi apostoli ed evangelisti, sia tutta la Scrittura divinamente ispirata sia le veraci professioni di fede dei beati padri. Con la dottrina di tutti questi bisogna che concordi e si armonizzi anche tua pietà. Ciò che la tua pietà deve anatematizzare è aggiunto in fondo a questa nostra lettera.

I dodici anatematismi

  1. Se qualcuno non confessa che l'Emmanuele è Dio nel vero senso della parola, e che perciò la santa Vergine è madre di Dio perché ha generato secondo la carne, il Verbo fatto carne (40), sia anatema.
  2. Se qualcuno non confessa che il Verbo del Padre assunto in unità di sostanza l'umana carne, che egli è un solo Cristo con la propria carne, cioè lo stesso che è Dio e uomo insieme, sia anatema.
  3. Se qualcuno divide nell'unico Cristo, dopo l'unione le due sostanze congiungendole con un semplice rapporto di dignità, cioè d'autorità, o di potenza, e non, piuttosto con un'unione naturale, sia anatema.
  4. Se qualcuno attribuisce a due persone o a due sostanze le espressioni dei Vangeli e degli scritti degli apostoli, o dette dai santi sul Cristo, o da lui di se stesso, ed alcune le attribuisce a lui come uomo, considerato distinto dal Verbo di Dio, altre, invece, come convenienti a Dio, al solo Verbo di Dio Padre, sia anatema.
  5. Se qualcuno osa dire che il Cristo è un uomo portatore di Dio, e non piuttosto Dio secondo verità, come Figlio unico per natura, inquantoché il verbo si fece carne (41) e partecipò a nostra somiglianza della carne e del sangue (42), sia anatema.
  6. Se qualcuno dirà che il Verbo, nato da Dio Padre è Dio e Signore del Cristo, e non confessa, piuttosto, che esso è Dio e uomo insieme, inquantoché il Verbo si è fatto carne (43) secondo le Scritture, sia anatema.
  7. Se qualcuno afferma che Gesù, come uomo, è stato mosso nel Suo agire dal Verbo di Dio, e che gli è stata attribuita la dignità di unigenito, come ad uno diverso da lui, sia anatema.
  8. Se qualcuno osa dire che l'uomo assunto dev'essere con-adorato col Verbo di Dio, con-glorificato e con-chiamato Dio come si fa di uno con un altro (infatti la particella con che accompagna sempre queste espressioni, fa pensare ciò), e non onora, piuttosto, con un'unica adorazione l'Emmanuele, e non gli attribuisce una unica lode, in quanto il Verbo si è fatto carne (44), sia anatema.
  9. Se qualcuno dice che l'unico Signore Gesù Cristo è stato glorificato dallo Spirito, nel senso che egli si sarebbe servito della sua potenza come di una forza estranea, e che avrebbe ricevuto da lui di potere agire contro gli spiriti immondi, e di potere compiere le sue divine meraviglie in mezzo agli uomini, sia anatema.
  10. La divina Scrittura dice che il Cristo è divenuto pontefice e apostolo della nostra confessione (45), e che si è offerto per noi in odore di soavità a Dio Padre (46). Perciò se qualcuno dice che è divenuto pontefice e apostolo nostro non lo stesso Verbo di Dio, quando si fece carne e uomo come noi, ma, quasi altro da lui, l'uomo nato dalla donna preso a sé; o anche se qualcuno dice che ha offerto il sacrificio anche per sé, e non, invece, solamente per noi (e, infatti, non poteva aver bisogno di sacrificio chi noia conobbe peccato), sia anatema.
  11. Se qualcuno non confessa che la carne del Signore è vivificante e (che essa è la carne) propria dello stesso Verbo del Padre, (e sostiene, invece, che sia) di un altro, diverso da lui, e unito a lui solo per la sua dignità; o anche di uno che abbia ricevuto solo la divina abitazione; se, dunque, non confessa che sia vivificante, come abbiamo detto inquantoché divenne propria del Verbo, che può vivificare ogni cosa, sia anatema.
  12. Se qualcuno non confessa che il Verbo di Dio ha sofferto nella carne, è stato crocifisso nella carne, ha assaporato la morte nella carne, ed è divenuto il primogenito dei morti (47), inquantoché, essendo Dio, è vita e dà la vita, sia anatema.

SENTENZA PRONUNCIATA CONTRO NESTORIO A SUA CONDANNA

Il santo sinodo disse: oltre al resto, poiché l'illustrissimo Nestorio non ha voluto né ascoltare il nostro invito né accogliere i santissimi e piissimi vescovi da noi mandati abbiamo dovuto necessariamente procedere all'esame delle sue empie espressioni. Avendo costatato dall'esame delle sue lettere, dagli scritti che sono stati letti, dalle sue recenti affermazioni fatte in questa metropoli e confermate da testimoni, che egli pensa e predica empiamente, spinti dai canoni dalla lettera del nostro santissimo padre e collega nel ministero Celestino, vescovo della chiesa di Roma, siamo dovuti giungere, spesso con le lacrime agli occhi, a questa dolorosa condanna contro di lui.

Gesù Cristo stesso, nostro signore, da lui bestemmiato ha definito per bocca di questo santissimo concilio che lo stesso Nestorio è escluso dalla dignità vescovile e da qualsiasi collegio sacerdotale.

LETTERA SINODALE GENERALE

[...]

[I. Di quei metropoliti che parteggiano per Nestorio e Celestio]

Poiché è necessario che anche quelli che non hanno partecipato a questo santo sinodo e sono rimasti nella propria provincia, non debbano ignorare quanto è stato decretato, informiamo la santità tua che:

Se il metropolita di una provincia, staccandosi da questo santo e universale Concilio, avesse aderito a quel consesso di apostasia, o dopo ciò, aderisse ancora ad esso, o abbia condiviso le idee di Celestio, o le condividerà in futuro, questi non potrà prendere alcuna decisione contro i vescovi della sua provincia, né aver parte, in seguito, ad alcuna comunione ecclesiastica: già fin d'ora, infatti, è scacciato da questo sacro sinodo e privo di ogni autorità; al contrario, sarà soggetto ai vescovi della provincia e ai metropoliti delle province confinanti di retta ortodossia, e sarà privato del grado di vescovo.

[II. Dei vescovi che aderiscono a Nestorio].

Se qualcuno dei vescovi provinciali, allontanandosi da questo santo sinodo, ha abbracciato l'apostasia o tenta di abbracciarla; e, dopo aver sottoscritto la condanna di Nestorio, è poi ritornato al concilio della apostasia, questi, secondo quanto ha stabilito il santo Concilio, è da considerarsi del tutto estraneo al sacerdozio, e decaduto dal suo grado.

[III. Dei chierici che per la loro retta fede sono stati deposti da Nestorio]

Se vi fossero dei chierici in qualsiasi città, che siano stati sospesi dal loro ufficio da Nestorio o dai suoi partigiani per il loro retto sentire, è bene che anche questi riprendano il loro posto. In genere, poi, comandiamo che quei chierici che aderiscono a questo ecumenico e ortodosso Concilio, o che aderiranno ad esso, sia ora che in seguito, in qualsiasi tempo, non debbano essere assolutamente e in nessun modo e tempo soggetti ai vescovi che hanno abbandonato, o sono diventati avversi, o hanno trasgredito i sacri canoni e la retta fede.

[IV. Dei chierici che seguono le opinioni di Nestorio].

I chierici che allontanatisi (da questo santo sinodo) sia in pubblico che in privato; mostrino di avere le idee di Nestorio, anche questi sono deposti dal sacro sinodo.

[V. Dei chierici puniti e accolti da Nestorio].

Quanti, per azioni indegne siano stati condannati da questo santo Concilio, o dai propri vescovi, e contro ogni norma ecclesiastica siano restituiti nella comunione o nel grado da Nestorio o dai suoi seguaci, abbiamo stabilito non ne abbiano tuttavia alcun giovamento e rimangano deposti

[VI. Di chi volesse sconvolgere i decreti del Sinodo].

Ugualmente, se vi fosse chi volesse metter sotto sopra in qualsiasi modo, le singole decisioni del santo sinodo questo stabilisce che, se si tratta di vescovi o di chierici siano senz'altro privati del loro grado, se di laici, che siano privati della comunione.

 

DEFINIZIONE SULLA FEDE DI NICEA

Il concilio di Nicea espose questa fede: Crediamo...

[segue il simbolo niceno].

E’ bene, quindi, che tutti convengano in questa fede: è, infatti, piamente e sufficientemente utile a tutta la terra.

Ma poiché alcuni, pur simulando di confessarla e di convenirne, ne interpretano male il vero senso secondo il loro modo di vedere ed alterano la verità, figli dell'errore e della perdizione, è stato assolutamente necessario aggiungere le testimonianze dei santi ed ortodossi padri, adatte a dimostrare in qual modo essi compresero e predicarono con coraggio questa fede, perché sia anche chiaro che tutti quelli che hanno una fede retta ed irreprensibile la comprendono, l'interpretano e la predicano in questo modo.

[Segue un florilegio di passi degli scritti dei padri].

Letti questi documenti il santo sinodo stabilisce che non è lecito ad alcuno proporre, redigere o comporre una nuova fede diversa da quella che è stata definita dai santi padri raccolti a Nicea con lo Spirito Santo. Quelli che osassero comporre una diversa fede o presentarla o proporla a chi vuole convertirsi alla conoscenza della verità o dall'Ellenismo o dal Giudaismo, o da qualsiasi eresia, se sono vescovi o chierici siano considerati decaduti, i vescovi dall'episcopato, i chierici dalla loro dignità ecclesiastica; se poi costoro fossero laici, siano anatema. Similmente se fossero scoperti dei vescovi, dei chierici o dei laici, che ritengano o insegnino le dottrine contenute nella esposizione già presentata del presbitero Carisio circa l'incarnazione dell'unigenito Figlio di Dio, o anche le empie e perverse dottrine di Nestorio, che ci sono state sottoposte, siano colpiti dai decreti di questo santo Concilio ecumenico, essendo chiaro che chi è vescovo sarà eliminato dall'episcopato e deposto, chi è chierico sarà ugualmente decaduto da chierico; se poi si tratta di un laico, sia condannato, conforme a quanto è stato detto.

 

DEFINIZIONE CONTRO GLI EMPI MESSALIANI 0 EUCHITI

Radunatisi presso di noi i piissimi e religiosissimi vescovi Valeriano e Anfilochio, fu proposto alla comune discussione il caso di quelli che in Panfilia sono chiamati Messaliani, ossia Euchiti o entusiasti, o in qualsiasi modo debba chiamarsi questa setta, la più empia di quante se ne possano ricordare. Mentre, dunque, si discuteva, il piissirno e religiosissimo vescovo Valeriano ci mostra un voto sinodale, scritto sul conto di questi stessi nella grande Costantinopoli, sotto Sisinnio, di beata memoria. Letta dinanzi a tutti, sembrò fatta bene e secondo la retta dottrina. E piacque a tutti noi, compresi i santi vescovi Valeriano e Anfilochio e tutti i piissimi vescovi delle diocesi della Panfilia e della Licaonia, che tutto ciò che era esposto nello scritto sinodale dovesse aver forza di legge e che in nessun modo dovesse esser trasgredito, e che fosse valido anche quanto era stato fatto in Alessandria e, cioè, che tutti quelli che per tutta la diocesi appartenessero alla setta dei Messaliani o degli entusiasti, o fossero sospetti di essere infetti di questa malattia, sia chierici che laici vengano istruiti con prudenza. Se abiureranno per iscritto i loro errori, secondo quanto viene esposto nello scritto sinodale già ricordato, i chierici rimangano chierici, i laici siano ammessi nella comunione della chiesa. Se rifiutassero ciò e non volessero abiurare, allora i sacerdoti, i diaconi, e quelli che hanno un qualsiasi grado nella chiesa, siano considerati decaduti dal clero, dal grado e dalla comunione ecclesiastica; i laici siano anatematizzati. Non sia permesso a coloro che sono stati convinti di errore, di continuare ad avere i monasteri, perché la zizzania non si estenda e non si rafforzi. Perché queste disposizioni vengano eseguite con energia usino la loro diligenza sia gli stessi santi vescovi Valeriano e Anfilochio, che i reverendissimi vescovi di tutta la provincia. E’ sembrato bene, inoltre, anatematizzare il libro di quella infame eresia, che essi chiamano Ascetico, portato dal pio e santo vescovo Valeriano, perché composto dagli eretici; e se presso qualcuno si trovasse qualche altra raccolta delle loro empie dottrine, anche questa venga anatematizzata.

 

CHE I VESCOVI DI CIPRO PROVVEDANO ALLE LORO CONSACRAZIONI

Il santo vescovo Regino e i reverendissimi vescovi della provincia di Cipro che sono con lui, Zenone ed Evagrio, hanno fatto presente un fatto nuovo contrario alle costituzioni ecclesiastiche e ai canoni dei santi padri che coinvolge la libertà di tutti. A mali comuni si richiedono più efficaci rimedi, onde evitare maggiori danni. Se non è uso antico che il vescovo di Antiochia faccia in Cipro le consacrazioni come hanno dimostrato con i loro opuscoli e con la propria voce i religiosissimi uomini che si sono presentati a questo santo sinodo, coloro che sono preposti alle sante chiese di Cipro avranno tranquillità e sicurezza, secondo i canoni dei santi e venerandi padri, facendo le consacrazioni dei reverendissimi vescovi da se stessi, secondo l'antica consuetudine. Queste stesse norme verranno osservate anche per le altre diocesi e ovunque, per ogni provincia; cosicché nessuno dei venerabili vescovi possa appropriarsi di una provincia che un tempo non fosse sotto la sua autorità o di coloro che governarono prima di lui. In caso, poi, che uno se ne sia impadronito e l'abbia ridotta sotto la sua giurisdizione con la violenza, deve senz'altro restituirla, perché non siano trasgrediti i canoni dei padri e, sotto l'apparenza del servizio di Dio non si introduca a poco a poco e di nascosto la vanità della umana potenza, né avvenga che senza accorgerci, a poco a poco perdiamo la libertà, che ci ha donato col suo sangue il Signore nostro Gesù Cristo, il liberatore di tutti gli uomini. E’ sembrato bene dunque a questo sinodo santo e universale, di conservare a ciascuna provincia puri e intatti i propri diritti, che ciascuna ha avuti fin dal principio, secondo la consuetudine antica, e che il metropolita abbia facoltà di addurre la documentazione necessaria per la sicurezza della sua provincia. Che se qualcuno adducesse documenti in contrasto con quanto è stato ora stabilito, questo santo e universale sinodo dichiara nullo tutto ciò!

 

FORMULA DI UNIONE

Per quanto poi riguarda la Vergine madre di Dio, come noi la concepiamo e ne parliamo e il modo dell'incarnazione dell'unigenito Figlio di Dio, ne faremo necessariamente una breve esposizione, non con l'intenzione di fare un'aggiunta, ma per assicurarvi, così come fin dall'inizio l'abbiamo appresa dalle sacre scritture e dai santi padri, non aggiungendo assolutamente nulla alla fede esposta da essi a Nicea.

Come infatti abbiamo premesso, essa è sufficiente alla piena conoscenza della fede e a respingere ogni eresia. E parleremo non con la presunzione di comprendere ciò che è inaccessibile, ma riconoscendo la nostra insufficienza, ed opponendoci a coloro che ci assalgono quando consideriamo le verità che sono al di sopra dell'uomo.

Noi quindi confessiamo che il nostro signore Gesù figlio unigenito di Dio, è perfetto Dio e perfetto uomo, (composto) di anima razionale e di corpo; generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, nato, per noi e per la nostra salvezza, alla fine dei tempi dalla vergine Maria secondo l'umanità; che è consostanziale al Padre secondo la divinità, e consostanziale a noi secondo l'umanità, essendo avvenuta l'unione delle due nature. Perciò noi confessiamo un solo Cristo, un solo Figlio, un solo Signore.

Conforme a questo concetto di unione in confusa, noi confessiamo che la vergine santa è madre di Dio, essendosi il Verbo di Dio incarnato e fatto uomo, ed avendo unito a sé fin dallo stesso concepimento, il tempio assunto da essa.

Quanto alle affermazioni evangeliche ed apostoliche che riguardano il Signore, sappiamo che i teologi alcune le hanno considerate comuni, e cioè relative alla stessa, unica persona, altre le hanno distinte come appartenenti alle due nature; e cioè: quelle degne di Dio le hanno riferite alla divinità del Cristo, quelle più umili, alla sua umanità.


Note

(1) Cfr. Rm 3, 14
(2) Cfr. Mt 18, 6
(3) Cfr. II Cor 13, 5
(4) Cfr. Eb 2, 9
(5) Cfr. Gv 1, 14
(6) Cfr. Eb 2, 14
(7) Cfr. Mt 3, 6
(8) Cfr. Gv 3, 34
(9) Gv 1, 14
(10) Col 2, 9
(11) cfr. I Cor 6, 17
(12) Cfr. Gv 20, 17
(13) Cfr. Gal 4, 4
(14) Cfr. I Pt 4, 1
(15) Eb 2, 9
(16) Cfr. Gv 11, 25
(17) Cfr Col 1, 18 e I Cor 15, 20
(18) Cfr. I Cor 15, 21
(19) Cfr At 17, 31
(20) Gv 6, 53
(21) Gv 14, 9 e 10, 30
(22) Cfr Eb 1, 3
(23) Gv 8, 40
(24) Cfr. I Cor 8, 6
(25) Eb 3,
(26) I Tm 2, 5
(27) Cfr. Ef 5, 2
(28) Eb 10, 5-7
(29) Rm 3, 23
(30) Gv 16, 14
(31) Gv 16, 13
(32) Cfr. Gv 14, 6
(33) Gv 16, 14
(34) Cfr I Cor 1, 24
(35) Gv 1, 1
(36) Gen 3, 16
(37) I Cor 15, 54
(38) Is 25, 8
(39) Cfr. Gv 2, 1-2
(40) Gv 1, 14
(41) Gv 1, 14
(42) Cfr. Eb 2, 14
(43) Gv 1, 14
(44) Gv 1, 14
(45) Eb 3, 1
(46) Cfr. Ef 5, 2
(47) Cfr. Col 1, 18


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