SESSIONE 1 (14 dicembre 1431)
(Scopo del concilio).
Poiché ogni essere dirige più direttamente e intensamente la sua azione quando ne conosce lo scopo, il santo sinodo, riflettendo assiduamente alle necessità della religione cristiana, dopo matura e accurata deliberazione, coli l'aiuto di Dio, da cui proviene ogni bene decide di perseguire con ogni attenzione e sollecitudine questi tre scopi. Primo, far si che, fugate dai confini del popolo cristiano le tenebre di ogni eresia, per dono del Cristo, vera luce, rifulga lo splendore della verità cattolica. Secondo, che il popolo cristiano, sedata colla dovuta riflessione la rabbia delle guerre, da cui per istigazione del seminatore di zizzania (1), in diverse parti del mondo esso è afflitto e diviso, con l'aiuto dell'autore della pace, ritrovi pace e tranquillità. Terzo, che la vigna del Cristo, - invasa dai triboli e dalle spine dei vizi e divenuta quasi una selva, - estirpati questi triboli e queste spine con l'assiduità della necessaria coltura, possa rifiorire mediante la celeste opera dell'agricoltore evangelico (2), e produrre con prospera fertilità i frutti dell'onestà e dell'onore.
Poiché senza la grazia celeste non si possono sperare beni cosi grandi, il concilio esorta vivamente tutti i cristiani perché supplichino istantemente con devote preghiere, digiuni ed elemosine la divina maestà, affinché Dio, buono e misericordioso, placato da questi umili atti, si degni concedere a questo sacro concilio con la sua consueta bontà, l'attuazione desiderata di tali scopi, imponendo ciò in remissione dei loro peccati.
SESSIONE III (29 aprile 1432)
(In nessun modo è possibile lo scioglimento del concilio).
Il santo sinodo, considerando che lo scioglimento del concilio (3) è stato fatto contro le disposizioni del concilio di Costanza, e che avrebbe per conseguenza un grave pericolo di eversione per la fede, di turbamento e danno per lo stato ecclesiastico e di scandalo per tutto il popolo cristiano, ha stabilito che esso non possa avvenire. E anzi, che, senza che esso costituisca il minimo ostacolo, con la grazia dello Spirito Santo, si proceda nella trattazione già lodevolmente iniziata dei problemi relativi alla stabilità della fede e alla salvezza del popolo cristiano.
Il vescovo di Losanna e il decano di Utrecht non hanno portato da parte del santissimo signor papa la desiderata risposta, benché questi sia stato supplicato, interpellato, richiesto, pregato non solo da questi inviati del concilio a nome dello stesso concilio, ma anche dal serenissimo signor Sigismondo, re dei Romani e fedele difensore della chiesa. Questo santo sinodo, basandosi sul decreto della V sessione del sacro concilio di Costanza, ha deciso in questa solenne sessione di interpellare lo stesso santissimo signor papa e i reverendissimi signori cardinali, nel modo e nella forma che seguono.
Questo santo sinodo, legittimamente riunito nello Spirito santo, con ogni riverenza e istanza supplica il beatissimo signor papa Eugenio e per la misericordia di Gesù Cristo (4) lo prega, gli chiede, lo scongiura, e lo esorta a revocare di fatto il preteso scioglimento, come di fatto è stato emesso; e a trasmettere e pubblicare nelle diverse parti del mondo la revoca, come ha fatto per lo scioglimento; e a desistere assolutamente da qualsiasi impedimento al concilio. Anzi, com'è suo dovere, lo favorisca e lo assista; gli procuri i sussidi e gli aiuti opportuni; e fra tre mesi - tempo che esso gli assegna e gli stabilisce come termine perentorio - se le sue condizioni di salute lo permetteranno, venga personalmente. Diversamente, voglia destinare in luogo e vece sua una o più persone e le mandi con pieni poteri, perché possano concludere ogni singola questione di questo concilio fino alla sua completa conclusione, attraverso le varie fasi, gradualmente e successivamente.
Altrimenti, se sua santità trascurasse di farlo, - cosa che neppure si deve pensare del vicario di Cristo - il santo sinodo, secondo quanto gli sembrerà giusto e lo Spirito santo gli avrà suggerito, cercherà di provvedere alle necessità della chiesa e procederà conforme al diritto divino ed umano insieme. Similmente prega i reverendissimi signori cardinali, - che come cardini principali della chiesa di Dio dovrebbero attendere col massimo zelo a queste cose, - chiede loro, li scongiura e li esorta a voler fare sollecita istanza presso il signor papa per quanto riguarda i problemi accennati, e a voler favorire e assistere e aiutare in tutti i modi possibili il concilio. E poiché la loro presenza, data la loro autorità e grande prudenza ed esperienza delle cose, potrebbe essere assai utile a questo sacro concilio, chiede, esorta, cita i signori cardinali e ciascuno di loro in particolare, perché entro
tre mesi, cessando ogni impedimento canonico, vengano al sacro concilio generale; termine che stabilisce e assegna in modo preciso e perentorio. In caso diverso, poiché la loro negligenza nel venire a questo sacro concilio per rimediare a tante necessità della chiesa, senza dubbio sarebbe causa di grande pericolo per la fede cattolica, e per tutta la chiesa, questo santo sinodo, trascorso il termine suddetto, procederà contro i negligenti nel venire - come esige la loro contumacia
nel modo che consiglieranno e permetteranno le prescrizioni del diritto divino e umano, e cercherà, con l'aiuto dell'Altissimo, di provvedere alle necessità della chiesa […]
SESSIONE IV (20 Giugno 1439)
(Se durante il concilio fosse vacante la sede apostolica non si proceda all'elezione fuori del concilio).
Questo sinodo generale di Basilea, legittimamente riunito nello Spirito santo, espressione della chiesa universale, considera che è previdente preordinare gli eventi futuri e provvedere salutarmente a quanto potrebbe portare danno alla cosa pubblica.
Lo stesso sinodo è impegnato nella lotta all'eresia e nel promuovere la pace del popolo cristiano, con la grazia dello Spirito santo, nella riforma dei costumi, - cosa che certamente è assai necessaria considerato lo stato delle cose e dei tempi, - per questo ha convocato al sacro concilio i venerabili padri cardinali della santa chiesa romana, nella certezza che la loro presenza per l'autorità di cui godono, per la loro saggezza e le loro conoscenze possa esser in molti modi feconda. Dato che se essi venissero al concilio come obbedienti e la vacanza della sede apostolica avvenisse altrove, potrebbero essere danneggiati proprio quelli che obbediscono al concilio e servono all'utilità della chiesa, perché l'obbedienza non porti danno, ma un aumento di utilità e di onore e perché la disobbedienza non debba per caso essere utile ad alcuni che sono negligenti, il santo sinodo, riflettendo con previdente attenzione a queste ed altre cose che potrebbero e dovrebbero preoccupare qualunque uomo prudente, stabilisce, prescrive e definisce che nell'eventualità della vacanza della sede apostolica durante questo sacro concilio generale, l'elezione del sommo pontefice debba esser fatta nella sede di questo sacro concilio e proibisce assolutamente che venga fatta altrove.
Ciò che venisse tentato in contrario con qualsiasi autorità, anche papale, non ostante qualsiasi costituzione fatta o da farsi, o altre disposizioni contrarie sarà vano e di nessun valore o importanza ipso iure, per disposizione di questo concilio.
Chi tentasse di fare il contrario sia inabile sia attivamente che passivamente all'elezione del romano pontefice, e a qualsiasi altra dignità. Sia, inoltre, privato per sempre di ogni dignità che avesse e incorra senz'altro nella nota di infamia e nella sentenza di scomunica.
Chi credesse di ritenere valida, di fatto, qualche pretesa elezione, nonché il preteso eletto e quelli che a lui aderiscono e si comportano con lui come se veramente fosse tale, incorrano ugualmente nella stessa pena. Quanto all'assoluzione di tutti e singoli quelli che sono incorsi nelle sentenze accennate o in qualcuna di esse, il sinodo la riserva a sé soltanto, eccetto in pericolo di morte. Stabilisce, infine, che il presente decreto colpisce, ha forza e sortisce l'effetto dopo quaranta giorni consecutivi che seguiranno immediatamente il giorno della sua pubblicazione.
SESSIONE VIII (18 dicembre 1432)
(Il concilio deve essere unico).
Il sacrosanto concilio generale di Basilea, legittimamente riunito nello Spirito santo, espressione della chiesa universale, a perpetua memoria.
Come la santa chiesa cattolica è unica, secondo le parole del suo sposo, Cristo: Una è la mia colomba, la mia diletta (5) e secondo la professione di fede, dato che l'unità non soffre divisione, non può esservi se non un unico concilio generale, espressione della chiesa cattolica.
Poiché, dunque, con i decreti dei sacri concili generali di Costanza e di Siena, e con l'approvazione dei due pontefici romani, Martino V di felice memoria ed Eugenio IV, il concilio generale è stato convocato in questa città di Basilea dove in effetti si è legittimamente raccolto sotto la guida
dello Spirito santo, è chiaro che durante questo concilio non possa esservene un altro altrove.
Chiunque dunque, durante questo sacro concilio osasse convocare e raccogliere un'altra assemblea sotto il nome di concilio generale, evidentemente non promuoverebbe un concilio della chiesa cattolica, ma un conciliabolo di scismatici.
Questo santo concilio, perciò, ammonisce ed esorta tutti i fedeli del Cristo, di qualunque stato o dignità, anche papale, imperiale o regale, essi siano, e li scongiura per il divino giudizio - quel giudizio che la divina scrittura ricorda in Core, Datan e Abiron, autori dello scisma (6) - ordina e comanda severamente in virtù di santa obbedienza e sotto minaccia delle pene stabilite dal diritto contro gli scismatici, che durante questo santo concilio non osino fare o raccogliere, magari col pretesto di qualche promessa o giuramento altra assemblea sotto il nome di concilio generale - che del resto non sarebbe tale - o recarvici, o partecipare ad essa come se fosse un concilio generale, o ricorrere in qualunque modo ad essa, o considerarla e ritenerla come concilio generale, o anche solo nominarla, anche se si adduca la ragione che esso è già stato indetto o si tenti di indirlo nel futuro.
Se poi un ecclesiastico, anche se fosse un cardinale di santa romana chiesa, o qualsiasi altro di qualunque stato, grado, o condizione, pretendesse di andare a Bologna o ad altra località sotto il nome di concilio durante questo in atto a Basilea, o rimanervi, incorra ipso facto nella sentenza di scomunica, di privazione di ogni beneficio, dignità e ufficio, e di inabilità ad essi. Quanto alle dignità, agli uffici e ai benefici di costoro, ne venga liberamente disposto da coloro, cui spetta per diritto, anche nel caso che le chiese fossero cattedrali o metropolitane.
SESSIONE X1 (27 aprile 1433)
(A perpetuo rafforzamento dei concili generali).
Il sacrosanto concilio generale di Basilea, legittimamente riunito nello Spirito santo, e espressione della chiesa uni- versale, a perpetua memoria.
Poiché la frequente celebrazione dei concili generali, come precipua coltivazione della vigna del Signore, riguarda lo stato di tutta la chiesa, è necessario attendere con ogni diligenza a superare con cura tutti gli ostacoli che potessero impedire una istituzione cosi utile.
Questo santo concilio, quindi, attenendosi alla prescrizione del decreto della 393 sessione del concilio di Costanza e desiderando che in futuro non rinascano gli scandali che, ahimè! si vedono ai nostri giorni a danno della chiesa, stabilisce e prescrive che il romano pontefice - che è tenuto per primo a lavorare nella vigna del Signore e a indurre gli altri al lavoro col suo esempio - debba intervenire ai concili generali, personalmente o per mezzo di uno o più suoi legati a latere da eleggersi col consiglio e col consenso - non auricolare - di due terzi dei Cardinali. Inoltre tutti gli ecclesiastici, i quali secondo il diritto o per consuetudine hanno il dovere di partecipare ai concili a meno che siano trattenuti da legittimo impedimento, siano obbligati in futuro senza altro invito, a intervenire agli stessi concili generali, indetti in forza della costituzione del concilio di Costanza o da indirsi per autorità di questo sacro concilio di Basilea o di qualche altro futuro concilio legittimamente radunato. In caso di impedimento, essi siano tenuti a mandare persone adatte con potere di rappresentarli.
Se poi il romano pontefice e le altre persone ricordate fossero negligenti in ciò o si adoprassero per impedire di fatto, in qualsiasi modo, lo stesso concilio, per trasferirlo prorogarlo, scioglierlo, ed entro quattro mesi non si fossero ricreduti offrendo una vera soddisfazione, da quel momento il papa sia ipso facto sospeso dal governo papale e le predette persone dall'amministrazione delle loro dignità. Il governo papale in questo caso sia devoluto al sacro concilio.
Se poi per due mesi, dopo i quattro suddetti, essi subissero queste pene col cuore indurito, il concilio generale proceda sia contro il romano pontefice che contro le persone in parola, fino alla deposizione inclusa.
SESSIONE XII (13 luglio 1433)
(Decreto sulle elezioni e conferme dei vescovi e dei prelati).
Come nel costruire una casa il primo pensiero dell'architetto è quello di gettare fondamenta tali che l'edificio possa durare a lungo, cosi nella riforma generale della chiesa la preoccupazione principale di questo santo sinodo è che vengano assegnati alle chiese pastori capaci di sostenerle come colonne e basi con la forza della loro dottrina e dei loro meriti.
Quanta diligenza debba usarsi nell'eleggere i prelati lo dimostra chiaramente la natura del loro ufficio: vengono assunti, infatti, al governo delle anime, per le quali il signore nostro Gesù Cristo è morto ed il suo sangue prezioso è stato sparso (7). Per questo i sacri canoni, promulgati per ispirazione dello spirito di Dio, hanno provvidenzialmente stabilito che ogni chiesa e collegio o convento si scelgano il loro prelato.
Aderendo a queste prescrizioni, questo santo sinodo, riunito nello stesso Spirito santo, stabilisce e definisce che il romano pontefice in futuro non debba riservarsi l'assegnazione di tutte le chiese metropolitane, cattedrali, collegiate, dei monasteri e delle dignità elettive eccettuate, naturalmente, le riserve sancite dal diritto e quelle relative alle terre direttamente o indirettamente soggette alla chiesa di Roma. Si provveda invece debitamente alle suddette chiese metropolitane, alle cattedrali, ai monasteri, alle collegiate e alle dignità elettive vacanti, per mezzo di elezioni e conferme canoniche, secondo il diritto comune, senza derogare per questo agli statuti, ai privilegi e consuetudini ragionevoli e salve le postulazioni contenute nel diritto comune.
Questo santo sinodo ritiene pure conforme alla ragione e utile alla cristianità che il romano pontefice non voglia far nulla contro questo salutare decreto, se non per motivi rilevanti, ragionevoli ed evidenti, da specificarsi espressamente nelle lettere apostoliche. E perché questo utile decreto venga osservato più fedelmente, lo stesso santo sinodo vuole che nel giuramento che il romano pontefice dovrà pronunciare in occasione della sua assunzione, vi sia anche l'obbligo di osservare inviolabilmente questo decreto.
E poiché bisogna che i prelati siano tali quali sono stati descritti, chi ha il diritto di elezione, ponga ogni curi per fare una degna elezione dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini; scegliendo chi possa soddisfare ad un ufficio cosi divino. E sappiano che se in cosa di tanta importanza essi agissero con inganno o con negligenza mettendo da parte il timore di Dio, come responsabili dei cattivi pastori saranno partecipi delle pene che questi dovranno subire nel severo giudizio di Dio.
Poiché lo sforzo dell'umana debolezza non potrebbe far nulla senza l'aiuto di Dio onnipotente, da cui discende tutto ciò che di meglio ci viene dato ed ogni dono perfetto (8), nel giorno dell'elezione del vescovo o dell'abate, gli elettori si raccolgano nella chiesa per ascoltare con grande devozione la messa dello Spirito santo, e lo preghino umilmente perché voglia ispirarli ad eleggere un degno pastore. E per meglio meritare di ottenere questa grazia, procedano all'elezione dopo aver ricevuto, contriti e confessati, il sacramento dell'eucarestia.
Nel luogo dell'elezione, per ogni prelato da eleggere gli elettori giureranno nelle mani di chi presiede - e il presidente stesso giurerà nelle mani di colui che viene immediatamente dopo di lui per dignità - in questo modo: "Io N. giuro e prometto a Dio onnipotente, al tale santo o alla tale santa, al cui nome è consacrata la chiesa, di eleggere quello che crederò che possa essere più utile alla chiesa nelle cose spirituali, e di non dare il voto a chi vuole procurarsi l'elezione con la promessa o col dono di qualche bene".
Identico giuramento faccia e trasmetta chi si serve di un procuratore e cosi pure il procuratore in quei casi in cui, secondo il diritto comune, può essere scelto un procuratore.
Tale giuramento sia prestato anche da quanti prendono accordi in vista della futura elezione di un prelato; i quali pure, sono obbligati a giurare. Se essi non si attenessero a queste norme, siano privati, per quella volta, ipso iure, del potere di eleggere.
Eleggano, quindi, come prelato una persona di età legittima, di seri costumi, che abbia conoscenza delle lettere (9) costituito negli ordini sacri e idoneo sotto ogni altro aspetto, conforme ai sacri canoni. Se poi l'elezione fosse fatta in altro modo e cadesse su persona diversa da come descritto, o fosse viziata da simonia, l'elezione sia ipso iure invalida e nulla; e quelli che hanno eletto simoniacamente, oltre alle altre pene, siano privati ipso facto per sempre del diritto di eleggere; gli altri siano soggetti alle pene canoniche. Quelli che sono stati eletti con simonia o che hanno partecipato a tale elezione, perché concepiscano orrore per un cosi grande delitto, incorrano senz'altro nella pena di scomunica e non possano essere assolti - gli eletti e i confermati - da tale reato e scomunica, se non rinunceranno liberamente alle chiese e alle dignità, alle quali sono stati vergognosamente eletti; siano inoltre resi inabili a poter avere quelle chiese e dignità che essi hanno ottenuto tanto indegnamente.
Per togliere poi ogni causa di ambizione, questo santo sinodo scongiura per la misericordia di Gesù Cristo (10), e supplica istantissimamente re, principi, comunità di qualsiasi grado e dignità, sia ecclesiastici che laici, che non vogliano, scrivere lettere agli elettori, o presentare istanze per chi, direttamente o indirettamente, cerca di procurarsi questi uffici. Ancor meno facciano minacce, pressioni o qualcosa di simile, per cui si proceda ad una elezione meno libera. Ugualmente si comanda agli stessi elettori, in virtù di santa obbedienza, che non eleggano nessuno tenendo conto delle istanze, minacce, o pressioni, di cui si è parlato. Fatta poi l'elezione e presentata a quelli cui appartiene il diritto di conferma, qualora si presentasse qualcuno che fosse stato eletto insieme ad un altro, o che si opponesse all'elezione, sia convocato personalmente per discutere il caso dell'elezione. Generalmente, inoltre, venga esposto un avviso pubblico nella chiesa in cui è stata fatta l'elezione, secondo la costituzione di Bonifacio VIII, di felice memoria.
Compaia o meno un opponente, chi ha diritto di conferma proceda ex officio, come se si trattasse di una procedura di inquisizione ed usi ogni diligenza perché vengano debitamente esaminate e discusse la forma dell'elezione, i meriti dell'eletto e tutte le circostanze. Se risulta che l'elezione dev'essere confermata o invalidata, sia confermata o invalidata con sentenza legale. E perché ogni cosa proceda onestamente, senza ombra o sospetto, colui che conferma si guardi bene dall'esigere qualche cosa, per quanto piccola, ma anche dal ricevere ciò che venisse offerto per la conferma, sotto forma di omaggio, di sussidio, di gratitudine, o sotto qualunque altro pretesto.
Per i notai e per gli scrivani, in questi casi, sia fissato un modesto compenso, tenuto conto dell'opera prestata nello scrivere, non del valore dei frutti della prelatura.
Se fossero confermate elezioni fatte senza osservare le prescrizioni suddette o soggetti non idonei, o elezioni fatte con simonia, queste conferma siano senz'altro nulle. In parti- colare quelli che confermano persone diverse da quelle de- scritte sopra, cioè non idonee, siano privati del diritto di conferma solo per quella volta; se lo fanno con simonia, incorrano ipso facto nella scomunica, da cui non potranno essere assolti se non dal romano pontefice, a meno che non siano in pericolo di morte.
Quanto al sommo pontefice, questo santo sinodo lo esorta - dovendo egli essere lo specchio e la norma di ogni santità e purezza, - a non esigere né ricevere assolutamente nulla per la conferma di quelle elezioni che siano deferite a lui; altrimenti, se agisse diversamente dando scandalo alla chiesa, sia deferito al futuro concilio.
Per gli oneri, poi, cui egli deve andare incontro per il governo della chiesa universale, per il sostentamento dei cardinali della santa romana chiesa e degli altri officiali necessari, provveda nel modo migliore e con dignità questo sacro concilio, prima del suo scioglimento.
Se il concilio non vi provvedesse allora le chiese e i benefici che finora hanno pagato una certa tassa per la nomina di un nuovo prelato, in futuro siano tenuti a pagarne la metà nell'anno successivo al pacifico possesso del beneficio, ciò sino a che non sia stato provvisto diversamente al papa e al sostentamento dei cardinali.
Con queste disposizioni il sacro sinodo"non intende recar pregiudizio alla santa chiesa romana e universale, né a chiunque altro.
SESSIONE XV (26 novembre 1433)
(Dei concili provinciali e sinodali).
Il sacrosanto concilio generale di Basilea, legittimamente riunito nello Spirito santo, espressione della chiesa universale, a perpetua memoria.
Già da tempo questo santo sinodo ha promulgato un decreto utilissimo per dare stabilità e vigore ai concili generali, la cui frequente celebrazione costituisce la principale coltivazione del campo del Signore.
Ma poiché di questa cura non vi è dubbio che facciano parte i sinodi episcopali e i concili provinciali, gli antichi canoni prescrissero che si radunassero spesso. Lo stesso santo sinodo desiderando che anche ai nostri tempi si osservino le antiche, lodevoli consuetudini, stabilisce e comanda che ogni vescovo - personalmente, se non è trattenuto da un impedimento canonico, altrimenti per mezzo di un suo rappresentante a ciò adatto - celebri ogni anno il sinodo episcopale in ciascuna diocesi, dopo l'ottava della resurrezione del Signore, almeno una volta all'anno, dove non vi sia la consuetudine di celebrarlo due volte. Questo sinodo duri due o tre giorni; o tanto quanto sembrerà necessario ai vescovi.
Il primo giorno, quindi, si riuniscano il vescovo e tutti gli altri che hanno il dovere di prendere parte al sinodo; durante la messa, o dopo, il vescovo o altri in suo nome esponga la parola di Dio; esorti tutti a comportarsi bene, ad astenersi dal male e a osservare la disciplina ecclesiastica e i doveri propri di ciascuno, e specialmente che quelli, cui è affidata la cura delle anime, nei giorni festivi e nelle altre solennità istruiscano il popolo loro soggetto con la dottrina e con salutari ammonimenti.
Dopo ciò, si leggano gli statuti provinciali e sinodali; e, tra le altre cose, un buon trattato che insegni come si debbano amministrare i sacramenti, ed altre cose utili per i sacerdoti. Quindi il vescovo stesso faccia indagini diligenti sulla vita e i costumi dei suoi sudditi; e cerchi di reprimere con la debita correzione la vergogna della perversa eresia, i contratti ispirati ad usura, il concubinato, la fornicazione, e qualsiasi altro delitto o mancanza. Revochi le alienazioni di beni ecclesiastici proibite dal diritto; riformi e corregga in meglio gli abusi dei chierici e degli altri suoi sudditi, che mancassero circa l'ufficio divino e l'obbligo di portare l'abito ecclesiastico.
E poiché l'inosservanza della costituzione di papa Bonifacio VIII sulla clausura delle monache - che inizia con Periculoso - causa spesso molti scandali, il vescovo faccia del suo meglio, perché essa venga assolutamente osservata, secondo il contenuto della stessa costituzione, cosi pure, che i religiosi di qualsiasi ordine soggetti alla sua autorità, osservino fedelmente le loro regole e costituzioni, specie poi, che rinunzino ad ogni possesso. Faccia anche in modo che quando essi vengono accolti nell'ordine, non si esiga nulla con simonia.
Ma la preoccupazione principale del vescovo nel Sinodo sia quella di vigilare e di usare i dovuti rimedi perché nessuna dottrina eretica, erronea, scandalosa, offensiva per orecchie delicate, o sortilegi, divinazioni, incantesimi, superstizioni, e ogni altra diabolica invenzione, contaminino la sua diocesi. Siano istituiti, inoltre, i testi sinodali: uomini seri, prudenti e onesti, che abbiano zelo per la legge di Dio, in numero proporzionato all'estensione delle diocesi; o altri che abbiano le loro stesse facoltà, dove non vi sono altri, costituiti a questo scopo. Se questi non sembrassero adatti al vescovo, ne scelga altri (come egli crederà necessario), allontanando i primi. Questi siano obbligati a giurare nelle mani del vescovo o di chi lo rappresenta, come prescrive il canone: Episcopus in synodo; e durante l'anno visitino la diocesi e riferiscano a colui, cui spetta correggere e riformare, ciò che loro sembra degno di correzione e di riforma. Questi punti se non fossero già stati corretti e riformati, siano portati dinanzi al prossimo sinodo, nel quale si cerchi di provvedere con i dovuti rimedi.
Ma oltre a ciò che il vescovo verrà a sapere dai testi sinodali, o da quelli che esercitano il loro ufficio, cerchi di indagare anche lui, personalmente e con diligenza sulle mancanza dei suoi sudditi, e la severità del meritato castigo colpisca talmente i trasgressori, da servire di esempio a quelli che intendessero comportarsi male.
In ogni provincia venga celebrato anche, in luogo sicuro, almeno entro due anni dalla fine del concilio generale, e poi almeno di triennio in triennio, il concilio provinciale. Ad esso, debitamente convocati, intervengano sia l'arcivescovo che tutti i suffraganei, e gli altri che sono tenuti a partecipare a questi concili provinciali. Se un vescovo fosse trattenuto da un impedimento canonico, designi un suo rappresentante, che non solo scusi e provi i motivi della sua assenza, ma assista anche, a suo nome, al concilio e accolga tutto quello che il concilio credesse opportuno stabilire. In caso contrario, lo stesso vescovo per ciò stesso sia sospeso dal percepire la metà dei frutti della sua chiesa per un anno; questi saranno devoluti a favore della fabbrica della sua chiesa, da persona che dovrà esser designata nel concilio stesso. Gli altri, che fossero negligenti nell'intervenire, siano puniti, invece, a giudizio dello stesso concilio, rimanendo, naturalmente, in vigore le altre pene stabilite dal diritto. Durante il concilio generale, però, e nei sei mesi precedenti i concili provinciali non si celebrino. Al principio del concilio provinciale, inoltre, il metropolita, o altri in suo nome, durante o dopo la messa, tenga un'esortazione, per ricordare seriamente i doveri dello stato ecclesiastico e particolarmente quelli inerenti all'ufficio del vescovi. E ricordi a ciascuno che se - conforme alla parola del profeta - per colpa sua venisse a perdersi l'anima di qualcuno, il Signore richiederà dalle loro mani il sangue di essi (11).
In particolare si faccia, allora, una precisa ammonizione perché gli ordini e i benefici vengano assegnati a persone degne e meritevoli, la cui vita sia sufficientemente conosciuta e testimoniata; e senza alcuna macchia di simonia; e, soprattutto nell'affidare la cura delle anime, si usi somma diligenza e si faccia un maturo esame; e i beni ecclesiastici siano lodevolmente destinati non ad usi illeciti, ma ad onore di Dio, alla conservazione delle chiese, con particolare riguardo, secondo i sacri canoni, alla cura dei poveri e degli indigenti, sapendo che di tutto ciò essi dovranno rendere conto dinanzi al tribunale dell'eterno giudice fino all'ultimo soldo (12).
In questi concili si faccia un diligente esame, secondo quanto il diritto stabilisce, dei vizi da correggere, della riforma dei costumi dei sudditi, e soprattutto del comportamento dei vescovi nell'assegnare i benefici, nel confermare le elezioni, nel conferire gli ordini, nello scegliere i confessori, nel predicare al popolo, nel punire le mancanze dei loro sudditi, nell'osservanza dei sinodi episcopali, e in tutte le cose che in qualsiasi maniera riguardano l'ufficio del vescovo, la loro giurisdizione e il loro governo sia in questioni spirituali che temporali. In modo particolare si curi che conservino pure le loro mani dalla piaga della simonia. E quelli che avessero mancato in ciò, siano corretti e puniti dallo stesso concilio.
Si indaghi anche diligentemente, per tutte queste cose, sul metropolita. Il concilio ne metta in rilievo espressamente le mancanze e i difetti, e l'ammonisca e lo preghi che proprio perché è chiamato e deve essere il padre degli altri, si astenga assolutamente da tali difetti. Ed oltre a ciò, questa indagine sul suo conto, messa in iscritto, sia trasmessa senza indugio al Romano pontefice, o ad altro suo superiore, se ne avesse, perché lo punisca e corregga come merita.
Tra le altre cose, il sacro concilio cerchi con ogni diligenza, di sedare le discordia, le contese, le inimicizie, se ve ne fossero tra qualsiasi persona, che potessero turbare la quiete e la tranquillità della provincia; e, come farebbe un buon padre, attenda con vigilanza alla pace e alla concordia dei figli. E se avvenisse che queste discordia sorgessero fra regni, province e principati, i santi vescovi di Dio procurino che i concili delle loro province si riuniscano insieme, e i concili facciano in modo, consigliandosi e aiutandosi a vicenda di togliere di mezzo ogni fonte di discordia. Né cerchino di evitare questo loro dovere per amore o per odio contro qualcuno; ma guardando a Dio solo e alla salvezza del popolo bandita ogni tiepidezza, attendano all'opera santa della pace.
Nel concilio provinciale che precede immediatamente il concilio generale, si discutano inoltre, tutti quei problemi che fosse sembrato bene doversi trattare nello stesso concilio generale, a gloria di Dio, ad utilità della provincia, e per la salvezza del popolo. In esso vengano scelti in numero adeguato quelli che dovranno recarsi al prossimo concilio generale come rappresentanti di tutta la provincia; e si provveda ad essi con un sussidio o in qualche altro modo, come meglio sarà sembrato secondo le norme del diritto e le risoluzioni del concilio provinciale. E si facciano le cose in modo, che quelli i quali oltre le persone designate - come già accennato - volessero recarsi al concilio generale, non debbano in nessun modo esserne gravati; e cosi il loro clero.
Si rilegga anche, in ogni concilio provinciale, ciò che secondo le prescrizioni canoniche deve leggersi in essi, perché venga scrupolosamente osservato; e si infliggano ai trasgressori le pene dovute.
Se poi i metropoliti o i vescovi, cessando il legittimo impedimento, fossero negligenti nel celebrare i concili provinciali e diocesani nei termini predetti, perdano con ciò stesso la metà di tutti i frutti e proventi che loro appartengono per le loro chiese, da devolversi a favore della fabbrica delle stesse chiese. Se poi persistessero per tre mesi in questa negligenza, siano sospesi ipso facto dai loro uffici e benefici. Passato questo tempo, il vescovo più anziano della provincia o colui che viene subito dopo il vescovo in dignità nella diocesi - a meno che ciò non spetti ad altri per consuetudine o
privilegio - sia tenuto a supplire alla loro negligenza nel celebrare questi sinodi provinciali ed episcopali.
Comanda, inoltre, questo santo sinodo, a tutti i prelati degli ordini religiosi di qualsiasi specie, cui appartiene celebrare i capitoli, che ne curino e ne facciano curare la celebrazione nei tempi stabiliti e sotto minaccia delle pene predette. In essi con ogni attenzione e diligenza si trattino i problemi della vera riforma delle singole professioni e ordini, secondo le prescrizioni canoniche e le costituzioni delle varie associazioni religiose; di modo che in seguito nei singoli monasteri sia viva, come deve, l'osservanza della regola secondo le proprie norme e costituzioni, e soprattutto siano osservati perfettamente i tre voti fondamentali della professione religiosa.
Con ciò, tuttavia, questo santo sinodo non intende in nessun modo derogare ai diritti di chiunque.
SESSIONE XVIII (6 giugno 1434)
(Rinnovazione del decreto di Costanza sull'autorità e il potere dei concili generali)
Il sacrosanto concilio generale di Basilea, legittimamente riunito nello Spirito Santo, immagine della chiesa universale, a perpetua memoria.
E’ riconosciuto di grande utilità per la chiesa cattolica che la sua autorità - cui tutti devono sottomettersi - già dichiarata nel sacro concilio di Costanza, venga spesso ribadita e sia portata a conoscenza di tutti.
E come alcuni concili usarono rinnovare le salutari prescrizioni e dichiarazioni di precedenti sinodi, cosi anche questo santo sinodo col testo che segue rinnova quella necessaria dichiarazione sull'autorità dei concili generali, promulgata nel suddetto concilio di Costanza: In primo luogo... e inoltre dichiara… (13).
SESSIONE XIX (7 settembre 1434)
(Intorno ai dibatti intervenuti tra il Concilio e i greci per l’unione).
Il sacrosanto sinodo generale di Basilea, legittimamente riunito nello Spirito santo, immagine della chiesa universale, a perpetua memoria.
Come una buona madre è sempre in ansia per la salute dei figli, e non si dà pace fino a che, se vi è qualche disaccordo tra loro, la discordia non sia sopita, cosi e molto più la santa madre chiesa, che genera i figli alla vita eterna, ha sempre usato mettere in opera ogni tentativo perché tutti i cristiani, tolto di mezzo ogni dissenso, con fraterna carità conservino l'unità della stessa fede, senza la quale non può esservi salvezza.
E’ stata quindi precipua cura di questo santo sinodo, fin dal suo inizio, di estinguere la recente divisione dei Boemi e quella antica dei Greci, per unirli a noi con lo stesso perpetuo vincolo della fede e dell'amore.
Abbiamo quindi invitato a questo sacro concilio per primi con ogni carità i Boemi più vicini, quindi, con lettere e per mezzo di nostri inviati, i Greci, per fare questa santa unione. E benché il caso dei Boemi fosse ritenuto da molti, in principio, non solo difficile, ma quasi impossibile e i nostri sforzi fossero ritenuti superflui ed inutili, pure il signore nostro
Gesù Cristo, cui nulla è impossibile, ha diretto le cose in modo cosi salutare fino a questo momento, che ha giovato di più alla chiesa questo stesso invito dei Boemi, che i molti potentissimi eserciti che sono entrati in Boemia a mano armata. Questo fatto ci infonde una speranza cosi grande, da farci perseguire questa unione dei Greci con ogni fiducia e perseveranza: impresa che noi affrontiamo tanto più volentieri, quanto più li vediamo inclini a questa unione.
Non appena, infatti, il serenissimo imperatore dei Greci e il patriarca di Costantinopoli sono stati richiesti dai nostri inviati, hanno subito destinato a questo santo sinodo tre dei loro uomini più insigni, tra quelli che godono fra essi di grande autorità - e il primo è consanguineo dello stesso imperatore - muniti del necessario mandato da parte sua, con bolla d'oro sottoscritta di propria mano, e di lettere del patriarca. Tanto nella congregazione generale, quanto dinanzi ai nostri commissari, essi hanno manifestato il desiderio vivissimo dell'imperatore, del patriarca e di tutta la chiesa orientale per questa unione; e ci sollecitano in modo meraviglioso al proseguimento di un'opera cosi grande, affermando, tra l'altro due cose con fermezza e costanza: che l'unione stessa non è possibile in nessun modo senza un concilio Universale, cui partecipino sia la chiesa occidentale che quella orientale; e che in questo concilio, se sarà. celebrato secondo gli accordi che seguono, la stessa unione sarà senz'altro conclusa.
All'udire queste cose, naturalmente la nostra letizia e la nostra gioia fu somma. Cosa mai, infatti, potrebbe _avvenire alla chiesa cattolica di più felice e di più glorioso di questo, che tanti popoli orientali, - che non sembra differiscano molto, per numero di abitanti da quelli che appartengono alla nostra fede - si uniscano a noi nella stessa unità della fede? Cosa di più utile e fruttuoso di questo vide mai il popolo cristiano dall'inizio della chiesa nascente: che venga estirpato, cioè, del tutto uno scisma cosi lungo e dannoso?
Da questa unione, poi, noi ci attendiamo anche un'altra utilità, con l'aiuto di Dio, per la cristianità: che molti dalla empia religione maomettana si convertano alla fede cattolica.
Che cosa, dunque, non si dovrebbe tentare e mettere in opera dai cristiani per cosi pie e sante prospettive? Quale, cattolico non dovrebbe esporre, non diciamo i fuggevoli beni di questo mondo, ma addirittura il corpo e la vita per un cosi grande aumento del nome cristiano e della fede?
Riponendo, quindi, ogni nostro pensiero in Dio (14) che solo sa compiere opere meravigliose (15), abbiamo incaricato i cardinali della santa chiesa romana, i presidenti della sede apostolica, il patriarca di Antiochia, arcivescovi, vescovi, abati, maestri e dottori in giusto numero, perché trattassero con gli stessi ambasciatori dei Greci questo problema e il modo di condurlo in porto. Essi, abboccatisi spesso sia tra di loro che con gli stessi ambasciatori, si sono accordati coli essi sui punti che seguono; questi, poi, deliberati dalle commissioni sacre conforme al modo di procedere di questo concilio, sono stati portati a conclusione e confermati dalla congregazione generale.
Segue il testo, con il mandato dello stesso signor imperatore e la bolla d'oro; ed è questo.
(Convenzione degli incaricati del santo concilio con gli ambasciatori dei Greci).
Gli ambasciatori del serenissimo signor imperatore dei Greci e del signor patriarca di Costantinopoli, cioè il signor Demetrio protonostiario, Paleologo Metodite, il venerabile Isidoro, abate del monastero di S. Demetrio, e il signor Giovanni Dissipato, familiare dell'imperatore, incontratisi con i signori deputati del sacro concilio, prima di tutto dissero che, se fosse piaciuto alla chiesa occidentale, questo sinodo avrebbe potuto essere celebrato a Costantinopoli e che la chiesa orientale si sarebbe raccolta li a proprie spese e non sarebbe stato necessario che la chiesa occidentale sostenesse spese per i prelati orientali per questo motivo. Anzi, che lo stesso signor imperatore sarebbe venuto incontro ai prelati Latini che si fossero recati a Costantiponoli, secondo le sue possibilità.
Se poi fosse sembrato meglio che i prelati della chiesa orientale venissero nelle terre dei Latini per il sinodo suddetto allora per giusti motivi sarebbe stato necessario che si accollasse le spese la chiesa occidentale.
Poiché ai signori deputati sembrava per molte ragioni che l'unione avrebbe potuto farsi con maggiore opportunità in questa città di Basilea, dove il concilio è già in atto, hanno insistito spesso e molto presso gli ambasciatori perché fosse scelto lo stesso luogo per questa santa unione, offrendo le spese a ciò necessarie. E tuttavia, poiché gli ambasciatori risposero che erano state date loro dall'imperatore e dal patriarca istruzioni limitate a certi luoghi, e quindi non potevano scegliere questo luogo, non nominato nelle stesse istruzioni, i deputati a nome del santo concilio, ben cono- scendo l'intenzione santa e perfetta del concilio, che è quella di non guardare a disagi e spese per l'onore di Dio e l'incremento della fede cattolica, non ritennero opportuno mettere a repentaglio un bene cosi grande solo a causa del luogo.
Accettarono, quindi, se fosse piaciuto al santo concilio una delle località che seguono, con questa clausola: che - come si è convenuto sotto - venissero mandati alcuni, o uno solo, presso il signor imperatore, presso il patriarca e presso gli altri, affinché con efficaci argomenti li persuadessero a voler acconsentire su questa città di Basilea.
I luoghi proposti sono: la Calabria, Ancona, o altra città marittima, Bologna, Milano, o altra città in Italia; fuori d'Italia Buda, in Ungheria, Vienna, in Austria, e per ultimo la Savoia. I signori deputati convennero, tuttavia, con i signori ambasciatori su quanto segue, sempre che fosse approvato dal sacro concilio.
In primo luogo gli ambasciatori promisero che a questo concilio sarebbero venuti l'imperatore e il patriarca di Costantinopoli, e gli altri tre patriarchi, ed arcivescovi e vescovi, e quegli altri ecclesiastici che avessero potuto senza grave disagio. Ed inoltre, che sarebbero venuti anche da
tutti i regni e domini dipendenti dalle chiese dei Greci, con piena potestà e con mandato, confermato da giuramento e da altre clausole opportune, sia da parte dei signori secolari che dei prelati.
Inoltre, che si mandassero uno o più ambasciatori, da parte del sacro concilio, con otto mila ducati, per raccogliere i prelati della chiesa orientale a Costantinopoli. Questi Otto mila ducati saranno spesi dagli stessi ambasciatori del sacro concilio come sembrerà al signor imperatore o agli stessi ambasciatori del concilio. A condizione, però, che se gli stessi prelati Greci non volessero venire a Costantinopoli, o se, una volta venuti a Costantinopoli, non volessero venire al predetto sinodo, l'imperatore sarebbe stato tenuto a rifondere agli stessi ambasciatori del sacro concilio quanto avessero speso.
Ancora: che la chiesa occidentale sostenesse le spese di quattro grosse galere, di cui due salpino da Costantinopoli e due da altre località, per condurre, a suo tempo, al nostro porto, e ricondurre a Costantinopoli il signor imperatore i patriarchi e i prelati della chiesa orientale con il loro seguito fino al numero di settecento persone. Per questi la chiesa occidentale sosterrà le spese in questo modo: per le spese dell'imperatore e delle settecento persone da Costantinopoli al nostro ultimo porto, darà all'imperatore quindici mila ducati; dall'ultimo porto fino alla sede del sinodo, e poi dopo, fino a che rimarranno al concilio, e quindi fino al loro ritorno a Costantinopoli, offrirà all'imperatore e alle settecento persone adeguato trattamento.
Entro dieci mesi, a cominciare dal prossimo novembre, il sacro concilio sarà tenuto a mandare due galere grandi e due leggere a Costantinopoli con trecento balestrieri. Esse trasporteranno gli ambasciatori del sacro concilio e il signor Demetrio pronostriario Paleologo, primo degli ambasciatori del signor imperatore. Questi ambasciatori porteranno con sé quindicimila ducati da consegnarsi al signor imperatore, per le spese sue e per quelle dei patriarchi, dei prelati e di quanti altri verranno, fino al numero di settecento persone; per le spese, cioè, che incontreranno da Costantinopoli fino all'ultimo porto in cui sbarcheranno, come accennato sopra.
Gli ambasciatori del sacro concilio che andranno con le galere disporranno che diecimila ducati siano pronti per essere spesi, se necessario, in difesa della città di Costantinopoli, per il pericolo che potrebbe derivare dai Turchi durante l'assenza del signor imperatore. Il denaro sarà speso da persona da destinarsi dagli ambasciatori del santo concilio, secondo le necessità.
I predetti ambasciatori del sacro concilio disporranno anche per le spese di due galere leggere e di trecento balestrieri per la difesa della città di Costantinopoli durante l'assenza del signor imperatore; il personale di queste galere e i balestrieri giureranno nelle mani dell'imperatore di comportarsi fedelmente. I loro capitani saranno scelti dall'imperatore.
Gli ambasciatori suddetti sostengano spese equivalenti a quanto occorre per armare due galere pesanti.
Gli ambasciatori del sacro concilio, che andranno a Costantinopoli, designeranno al signor imperatore il porto nel quale da ultimo dovrà sbarcare, ed una delle località sopra nominate, in cui dovrà svolgersi il predetto sinodo universale. Faranno tuttavia del loro meglio perché sia scelta la città di Basilea, com'è da sperare.
Intanto questo sacro concilio di Basilea continuerà a tenersi fisso in essa, né si scioglierà; in caso di legittimo impedimento: - Dio non voglia! - secondo la disposizione del capitolo Frequente, si trasferirà ad altra città per la sua continuazione.
Nel caso poi che il signor imperatore non fosse contento di questo luogo, allora, dopo un mese dallo sbarco, il sacro concilio si trasferirà ad una delle località nominate, da scegliersi, come abbiamo detto sopra, dal concilio stesso.
Tutto quanto è stato premesso sarà adempiuto dall'una e dall'altra parte in qualsiasi circostanza e il sacro concilio lo metterà in esecuzione nel modo più fermo e con il maggior vigore e sicurezza possibili: cioè con decreto e bolla. A tutto quello che è stato concluso e concordato il sommo pontefice dia il suo consenso con bolle ufficiali. Tutto quanto è stato detto, inoltre, e ogni singola disposizione devono intendersi in buona fede, senza inganno e frode, e senza legittimo ed evidente impedimento.
Adempiute tutte queste clausole, gli ambasciatori dei Greci affermano e promettono che verranno assolutamente anche se vi fosse o incombesse la guerra sulla città. E che a conferma di tutte queste cose presenteranno al sacro concilio il mandato dell'imperatore con bolla d'oro essi e gli altri giureranno in suo nome, scrivendo e sottoscrivendo a garanzia della loro ferma e vera fede che debba farsi, con Dio, il santo, universale concilio, se non sopravverrà la morte dell'imperatore o qualche impedimento chiaro e vero, che non possa essere evitato.
Da ultimo fu chiesto agli stessi ambasciatori dei Greci che dessero chiaramente su qualche espressione, contenuta nelle loro istruzioni. E prima di tutto che cosa intendessero con il termine: sinodo universale.
Risposero: che il papa e i patriarchi partecipassero a tale sinodo personalmente o per mezzo di loro rappresentanti; e ugualmente che gli altri prelati fossero in esso personalmente o per mezzo di rappresentanti. E promisero, conforme a quanto è stato detto sopra, che il signor imperatore dei Greci e il patriarca di Costantinopoli sarebbero intervenuti personalmente.
E cosa intendessero con le parole: libero e inviolato, Risposero: che uno potesse esprimere liberamente il proprio pensiero senza impedimento o violenza di alcuno. Senza contesa: cioè senza polemica rissosa e offensiva. Non si escludevano però, con ciò, le dispute e i confronti necessari, fatti con serenità, cortesia e carità. Apostolico e canonico. Per quanto riguarda come dovessero intendersi tutte queste cose, e come procedere nel sinodo, si rimettevano a ciò che lo stesso sinodo universale dichiarerà ed ordinerà.
Similmente, che l'imperatore dei Greci e la loro chiesa avesse gli onori dovuti, quelli, cioè, che aveva al tempo in cui sorse lo scisma, salvi sempre i diritti, gli onori, i privilegi e le dignità del sommo pontefice, della chiesa di Roma e dell'imperatore dei Romani. Se poi fosse sorto qualche dubbio, si stesse alla decisione del concilio universale predetto.
Segue il testo del mandato dell'Imperatore, con la bolla d'oro, tradotto dal Greco in Latino: Quoniam missi fuerunt... e cioè: poiché sono stati mandati; e la lettera del signor Patriarca di Costantinopoli, dal Greco tradotta in Latino, con bolla di piombo.
Col presente decreto questo santo sinodo approva con l'autorità della chiesa universale i predetti accordi e convenzioni; li ratifica e li conferma, stabilisce, decreta e promette di osservarli sia nel loro insieme che ognuno di essi in particolare, e di adempierli senza tergiversazione, cosi come è stato predetto. E poiché ciò porta all'incremento della vera fede e all'utilità della chiesa cattolica e di tutto il popolo cristiano deve esser sommamente gradito e accetto a tutti quelli che amano la fede di Cristo.
Poiché, come è stato già detto, i Greci richiedono per vari motivi che il santissimo signor papa Eugenio IV approvi espressamente questi accordi e convenzioni, perché a causa di ciò non sia trascurato un bene cosi grande, questo santo sinodo lo prega e lo supplica con ogni carità, lo scongiura e gli chiede per la misericordia di Gesù Cristo (l6), quanto più istantemente, che voglia dare espressamente il suo consenso a questi accordi e convenzioni, già approvati e ratificati con decreto del sinodo in favore della fede e dell'unità ecclesiastica, con lettere bollate secondo l'uso della curia romana.
SESSIONE XX (92 gennaio 1435)
(Decreto sui concubinari).
Il sacrosanto sinodo generale di Basilea, riunito legittimamente nello Spirito santo, espressione di tutta la chiesa, a perpetua memoria.
[…]Qualsiasi chierico - di qualunque stato, condizione, religione, dignità, anche vescovile o di altra preminenza esso sia quale, dopo esser venuto a conoscenza di questa costituzione - e si presume che egli abbia tale conoscenza entro due mesi dopo la sua pubblicazione nelle chiese cattedrali (che i vescovi sono tenuti a fare) - da quando la stessa costituzione è venuta a sua conoscenza, fosse un concubinario, sia ipso facto sospeso per tre mesi dal percepire i frutti di tutti i suoi benefici. Il suo superiore destini questi frutti a beneficio della fabbrica o ad altra evidente utilità delle chiese da cui essi sono percepiti.
Naturalmente, il superiore è tenuto ad ammonire questo pubblico concubinario, non appena si sappia che egli è tale, perché allontani entro brevissimo tempo la concubina. Se egli non la allontanasse, o se riprendesse quella che ha mandato via o altra, questo santo sinodo ordina che lo privi senz’altro di tutti i suoi benefici. Questi pubblici concubinari anche dopo l'allontanamento delle concubine e l'emendamento palese della loro vita siano inabili a ricevere qualsiasi bene, dignità, beneficio o ufficio, fino a che i loro superiori non li abbiano dispensati. Ma se, una volta dispensati, fossero recidivi (17) e tornassero al pubblico concubinato, siano del tutto inabili a quanto abbiamo detto, senza alcuna speranza di dispensa.
Se poi quelli, a cui spetta correggerli, fossero negligenti nel punirli come è stato disposto, i loro superiori puniscano con la dovuta pena sia loro per la loro negligenza, che i colpevoli per il loro concubinato.
E nei concili provinciali e sinodali si proceda severamente contro questi negligenti nel punire, o che hanno fama di aver commesso tale delitto, anche con la sospensione dal conferimento dei benefici o con altra pena proporzionata.
Se poi quelli, la cui destituzione spetta al Romano pontefice, dai concili provinciali o dai loro superiori fossero trovati degni della privazione per pubblico concubinato, con processo di inquisizione siano deferiti al sommo pontefice.
La stessa diligente indagine sia fatta in ogni capitolo generale e provinciale per quanto riguarda i propri membri, rimanendo in vigore le altre norme contro quelli di cui abbiamo parlato, e contro gli altri concubinari non pubblici.
Per "pubblici", poi, devono intendersi non solo quelli il cui concubinato è notorio per una sentenza o per una confessione giuridicamente rilevante o per l'evidenza del fatto, quando questo non possa essere tenuto nascosto, ma anche chi tiene una donna sospetta di incontinenza, o di cattiva fama, e, ammonito dal suo superiore, non la rimanda.
E poiché in alcune regioni vi è chi, avendo giurisdizione ecclesiastica, non si vergogna di accettare somme di denaro dai concubinari, sopportando che essi vivano in tale vergogna, si comanda sotto pena dell'eterna maledizione, che in futuro essi non tollerino in nessun modo o facciano finta di non vedere tali cose, con patti, composizioni, o con la speranza di qualche guadagno. In caso diverso, oltre la pena predetta per la loro negligenza, siano obbligati e costretti senz'altro a restituire il doppio di quanto hanno ricevuto per questo motivo, da destinarsi ad usi pii.
I prelati, inoltre, si preoccupino in ogni modo di allontanare dai loro sudditi - anche con l'aiuto del braccio secolare - queste concubine; e non permettano che i figli nati dal loro concubinato vivano presso il padre.
Comanda ancora, questo santo sinodo, che la presente costituzione venga pubblicata anche nei predetti sinodi e capitoli, e che ognuno ammonisce diligentemente i propri sudditi ad allontanare le loro concubine. Obbliga, inoltre, tutti i secolari, anche quelli che abbiano dignità regale, a non frapporre impedimento, con qualsiasi scusa, ai prelati che in ragione del loro ufficio intendono procedere contro i loro sudditi per questo concubinato.
E siccome ogni peccato di fornicazione è proibito dalla legge divina, e deve evitarsi sotto pena di peccato mortale, ammonisce tutti i laici, sia ammogliati che liberi, che vogliano astenersi ugualmente dal concubinato. E’ infatti degno di molta riprensione chi ha la propria moglie e va dalla donna altrui; e chi è libero, se non intende astenersi, sposi, secondo il consiglio dell'apostolo (18)
Per l'osservanza di questo divino precetto, quelli che ne hanno il dovere si diano da fare in ogni modo, sia con ammonizioni salutari che con gli altri rimedi canonici.
(Gli interdetti non si devono Porre troppo facilmente).
Poiché dalla facile imposizione degli interdetti nascono, di solito, molti scandali, questo santo sinodo stabilisce che nessuna città, paese, castello, villaggio o luogo possa esser sottoposto ad interdetto ecclesiastico se non per una colpa dei luoghi stessi o del signore o dei reggitori o degli officiali.
Per colpa, invece, o per causa di qualsiasi altra persona privata questi luoghi non possano essere sottoposti ad interdetto da qualsiasi autorità ordinaria o delegata, se tale persona non è stata prima scomunicata e denunziata, ossia pubblicata in chiesa, e se i signori, o reggitori od officiali di tali località, richiesti dall'autorità del giudice, non hanno allontanato effettivamente entro due giorni la persona scomunicata, ovvero non l'hanno costretta a dare soddisfazione.
In caso poi che questa, anche se cacciata entro i due giorni, si ricredesse o offrisse riparazione, la celebrazione dei divini misteri può riprendere. Ciò può aver luogo anche quando la questione è in pendenza.
(Contro quelli che si appellano con troppa leggerezza).
Perché le liti possano terminare più presto, non sia permesso riappellarsi per lo stesso aggravio o per la stessa causa interlocutoria, che non abbia valore definitivo. E chi si appella senza seri e giusti motivi prima della sentenza definitiva sia condannato dal giudice di appello oltre che al pagamento delle spese, dei danni e dell'interesse, a pagare quindici fiorini d'oro alla parte appellata.
SESSIONE XXI (9 giugno 1435)
(Delle annate).
Il sacrosanto concilio generale di Basilea, legittimamente riunito nello Spirito santo, espressione della chiesa universale, a perpetua memoria.
In nome dello Spirito santo paraclito, questo santo sinodo stabilisce, che sia nella curia romana che altrove, per ottenere la conferma delle elezioni, l'accettazione delle postulazioni, la provvista delle presentazioni, e per ogni conferimento, collazione, elezione, postulazione, presentazione, anche fatta da laici, e ancora per ogni costituzione, installazione, investitura, non si esiga d'ora in avanti assolutamente nulla, sia prima che dopo, dalle chiese anche cattedrali e metropolitane, dai monasteri, dalle dignità, dai benefici, dagli offici ecclesiastici, qualsiasi essi siano, a titolo di sigillo della bolla di annate comuni, di servizi minori, di primi frutti, di redditi del primo anno o sotto qualsiasi altro titolo, colore, scusa, col pretesto di qualsiasi consuetudine, privilegio, o statuto, o per qualsiasi altra causa od occasione, direttamente, o indirettamente. Sarà dato solo il compenso dovuto agli scrittori, agli abbreviatori, e ai registratori delle lettere o minute per il loro lavoro.
Se qualcuno credesse di poter contravvenire a questo sacro canone esigendo qualche compenso, dandolo o promettendolo, incorra nelle pene stabilite contro i simoniaci, e non acquisti nessun diritto e nessun titolo alle dignità e ai benefici ottenuti in questo modo.
Anche gli obblighi, le promesse, le censure e le disposizioni date, e tutto quello che potesse esser fatto in pregiudizio di questo utilissimo decreto, non avranno nessuna forza e siano ritenuti nulli.
E se - Dio ci guardi - il romano pontefice, che più degli altri deve mettere in esecuzione ed osservare i canoni dei concili universali, scandalizzasse la chiesa col fare qualche cosa contro questa disposizione, sia deferito al concilio generale. Gli altri siano puniti con una degna punizione dai loro superiori in proporzione della loro colpa, secondo le disposizioni dei canoni.
(Come si debba celebrare in chiesa l'ufficio divino).
Se uno nel pregare un principe di questo mondo si preoccupa di presentarsi con abito decoroso, con portamento dignitoso, di non precipitare nel parlare, ma di pronunciare chiaramente le parole, e di essere attento con la mente, quanto più diligentemente deve fare attenzione ad usare queste cautele nel luogo sacro, nell'accingersi a pregare l'Onnipotente?
Stabilisce, quindi, il santo sinodo, che in tutte le cattedrali e chiese collegiate, ad ore opportune, dato il dovuto segnale col suono delle campane, si recitino con riverenza, da tutti, le lodi divine per ogni ora, non di corsa o in fretta, ma piano e adagio e con una pausa conveniente, specie a metà di ciascun versetto dei salmi, osservando la dovuta differenza tra l'ufficio solenne e quello fermale.
Nell'accingersi a recitare le ore canoniche, si entri in chiesa con la tunica talare e con le cotte pulite, lunghe fin sotto la metà della tibia, o con cappe, secondo la diversità delle stagioni e delle regioni, tenendo in capo non i cappucci, ma le almucie o le berrette. Giunti in coro, ci si comporti con serietà, come il luogo e l'ufficio esigono; non chiacchierando o parlando, o leggendo lettere o altri scritti. E poiché si recano li proprio per recitare i salmi, non devono tenere le labbra unite e chiuse, ma cantino tutti - specie quelli costituiti in maggiore dignità - gioiosamente i salmi, e i canti a Dio.
Quando si dicono le parole: Gloria al Padre, al Figlio, e allo Spirito Santo, si alzino tutti.
Quando si pronuncia quel glorioso nome di Gesù, nel quale ogni ginocchio si piega, dei celesti, degli abitatori della terra, degli inferi (19) tutti inchinino il capo.
Nessuno, mentre si cantano pubblicamente le ore in comune, legga o reciti privatamente l'ufficio; non solo, infatti, in tal modo defrauda il coro dell'onore che gli spetta, ma disturba anche gli altri che cantano i salmi.
Perché poi queste norme siano debitamente osservate, - ed anche le altre che riguardano il proseguimento del divino ufficio o la disciplina del coro - il decano, o quegli cui spetta sia solerte e vigilante, volgendo lo sguardo attentamente, qua e là, perché non sia fatto nulla senza il dovuto ordine.
Quanto ai trasgressori di queste disposizioni, siano puniti con la multa di quell'ora in cui le norme predette sono state trasgredite, o con una maggiore, secondo la gravità della trasgressione.
(In qual tempo ciascuno debba essere in coro).
Chi, a mattutino, non sarà presente all'ufficio divino da prima della fine del salmo Venite exsultemus (21), nelle altre ore da prima della fine del primo salmo, e nella messa da prima dell'ultimo kyrie, eleison alla fine, - a meno che, costretto da una necessità, e chiesta e ottenuta dal presidente del coro la licenza di allontanarsi, non debba andarsene per quell'ora sia considerato assente, salve le consuetudini delle chiese, qualora ve ne fossero di più strette su questo punto. Si osservi la stessa disciplina con coloro che non prendano parte alle processioni dal principio alla fine. Per l'osservanza di questa norma sia designato qualcuno, il quale abbia l'incarico di annotare le singole persone che non giungono al tempo stabilito, obbligato dal giuramento ad agire fedelmente e a non risparmiare nessuno.
Questo santo sinodo comanda anche che nelle chiese in cui non vi fossero distribuzioni per le singole ore, siano senz’altro stabilite norme di modo che ognuno percepisca un utile più o meno grande secondo il suo lavoro, togliendo assolutamente l'abuso, per cui chi è presente ad una sola ora, usurpa le distribuzioni di tutto il giorno; e l'altro, per cui i preposti, o decani, o gli altri officiali, solo per il fatto che sono officiali, anche se attualmente siano assenti non per utilità della chiesa, percepiscono le distribuzioni quotidiane.
(Come debbano recitarsi le ore canoniche fuori del coro).
Questo santo sinodo ammonisce tutti quelli che sono beneficiati o costituiti negli ordini sacri, che sono tenuti a recitare le ore canoniche, perché vogliano recitare l'ufficio diurno e notturno non con voce gutturale, o fra i denti, o mangiandosi o storpiando le parole; e neppure inframezzando discorsi o ridendo; ma che - lo dicano soli o in compagnia - lo recitino con riverenza e pronunciando bene le parole, e in luogo tale per cui non debbano perdere la devozione. Si devono, anzi, preparare e disporre ad esso, conformemente a quanto sta scritto: Prima della preghiera prepara l'anima tua, perché tu non sia uno di quelli che tentano Dio (21).
(Di quelli che durante i sacri misteri vanno in giro per la chiesa).
Coloro che godono di benefici ecclesiastici, specie se maggiori, se durante la celebrazione degli uffici divini fossero visti andare in giro per la chiesa o fuori, nei dintorni di essa, camminando o chiacchierando con altri, perdano ipso facto la presenza non solo di quell'ora, ma di tutto il giorno. Chi, ripreso una volta, non s i correggesse, sia privato delle distribuzioni per un mese; e sia sottoposto anche ad una pena maggiore, se la sua pertinacia lo richiedesse, cosi che alla fine sia costretto a desistere. Si faccia anche in modo che i divini uffici non vengano impediti o disturbati dall'andare e venire tumultuoso per la chiesa da parte di chiunque.
I religiosi che nelle chiese conventuali mancassero su questi punti, siano gravemente puniti a discrezione dei loro superiori.
(Della tabella appesa in coro).
Perché ogni cosa nella casa di Dio proceda con ordine e ciascuno sappia cosa deve fare, si ponga una tabella appesa in modo permanente nel coro, nella quale sia scritto cosa si deve leggere o cantare da ciascun canonico o dagli altri beneficiati in ogni ora per una settimana, o anche per un tempo più lungo.
Chi poi fosse negligente nel compiere - personalmente o per mezzo di altri - quanto è scritto in essa, perda per ogni ora le distribuzioni di un giorno intero.
(Di quelli che nella messa non cantano tutto il credo, o cantano o leggono a voce troppo bassa, o senza l'inserviente).
Volendo abolire l'abuso di alcune chiese, nelle quali il Credo - che è il simbolo e la professione della nostra fede - non viene cantato completamente fino alla fine, o si tralascia il Prefazio o l'orazione del Signore, o si cantano nella chiesa canzoni secolari, o si celebra la messa - anche privata - senza l'inserviente, o a voce talmente bassa, nelle orazioni, da non essere percepita dagli astanti, stabiliamo che chi sarà stato trovato colpevole su questi punti, sia debitamente punito a suo superiore.
(Di quelli che danno in pegno il culto divino).
Aboliamo anche l'abuso, che deroga apertamente al culto divino, per cui alcuni canonici, contraendo debiti si obbligano in tale forma coi loro creditori, che, se al tempo stabilito non avessero soddisfatto ai loro obblighi, cessino dai divini uffici; e dichiarando nulla questa obbligazione, anche se confermata con giuramento, stabiliamo che chi fa un contratto illecito di tal genere, perda ipso facto i frutti di tre mesi, da devolversi alla chiesa stessa. E fino a che non abbia ripreso la celebrazione dei divini uffici, non percepisca provento dalla stessa chiesa.
(Di quelli che tengono il capitolo durante la messa maggiore).
Questo santo sinodo proibisce che i canonici nel tempo della messa solenne, specie nei giorni festivi, tengano capitoli, o atti capitolari, o altre trattazioni a meno che non lo richieda una assoluta ed evidente necessità. Chi per tale ora indicesse il capitolo, sia sospeso per una settimana dalle distribuzioni quotidiane; ed anche i canonici per quella ora non percepiscano le stesse distribuzioni.
(Non si tengano spettacoli in chiesa).
Detestando anche quel vergognoso abuso, divenuto frequente in alcune chiese, - per cui alcuni benedicono con mitra, pastorale e vesti pontificati come vescovi e altri si vestono da re e duchi (e questa festa in alcune regioni si chiama dei matti, o degli innocenti, o dei fanciulli), altri fanno giochi da maschere e da teatro, altri balli e baldorie tra uomini e donne e spingono la gente al divertimento e al riso, altri preparano banchetti e conviti, - questo santo sinodo stabilisce e comanda sia agli ordinari che ai decani e rettori di chiese, sotto pena della sospensione da tutti i proventi ecclesiastici per tre mesi, che non permettano più che nella chiesa, che deve essere casa di preghiera (22), e anche nel cimitero abbiano luogo questi e simili ludibri, e che si tengano mercati o commerci di fiere. E non manchino di punire i trasgressori con la censura ecclesiastica e con altri rimedi del diritto.
Questo santo sinodo stabilisce pure che siano nulle tutte le consuetudini, le leggi e i privilegi che su questi argomenti non si accordino con questi decreti.
SESSIONE XXII (15 ottobre 1435)
(Condanna del libello di Agostino Favaroni).
Il sacrosanto sinodo di Basilea, legittimamente riunito nello Spirito santo, espressione della chiesa universale, a perpetua memoria.
Poiché tra le altre opere di pietà, questo santo sinodo si è riunito in modo particolare per conservare la verità della fede cattolica e per estirpare gli errori e le eresie, è nostra precipua sollecitudine - non appena sappiamo che si diffonde qualcosa che possa offendere la purezza della fede cristiana ed annebbiare lo splendore della luce nelle menti dei fedeli - intervenire tempestivamente e liberare con ogni diligenza il campo del Signore dalla nociva zizzania (23) e dai rovi.
Questo santo concilio condanna quindi e riprova un libello, pubblicato dal maestro Agostino, detto volgarmente da Roma, arcivescovo di Nazareth. Il primo trattato riguarda il mistero dell'unità di Gesù Cristo e della chiesa, cioè del Cristo totale; il secondo, del Cristo capo e del suo principato; un altro della carità del Cristo per gli eletti e del suo infinito Minore. Lo condanna con i suoi sostenitori perché contiene una dottrina non sana ed erronea.
In particolare condanna la scandalosa affermazione con- tenuta nello stesso libro, erronea nella fede e che le pie orecchie dei fedeli non possono ascoltare senza orrore, che, cioè, il Cristo pecca ogni giorno, e che da quando cominciò ad essere ha peccato ogni giorno, quantunque egli dica che non intende affermare ciò del Cristo, capo della chiesa e nostro salvatore, ma delle sue membra, che egli ha affermato essere Un solo Cristo, col Cristo capo.
Condanna anche queste proposizioni ed altre simili, che esso dichiara ricadere negli articoli condannati nel sacro concilio di Costanza, e cioè: Non tutti i fedeli giustificati sono membra del Cristo, ma solo gli eletti, che alla fine regneranno col Cristo. Le membra di Cristo, da cui è formata la chiesa, sono costituite secondo l'ineffabile prescienza di Dio (24); essa tuttavia, non è formata se non da quelli che sono stati chiamati secondo il proposito (25) della scelta. Non è sufficiente, perché alcuni diventino membra del Cristo, essere uniti a lui dal vincolo dell'amore, ma si richiede un'altra unione.
Ed anche le seguenti proposizioni, contenute nel libro:
L'umana natura nel Cristo è veramente Cristo.
L'umana natura nel Cristo è la persona di Cristo.
L'intima causa che determina la natura umana nel Cristo, non si distingue realmente dalla stessa natura determinata.
La natura umana nel Cristo è senza dubbio la persona del Verbo: e il Verbo, nel Cristo, assunta la natura, è realmente la persona che assume.
La natura umana assunta dal verbo con unione personale è veramente Dio naturale e proprio.
Cristo secondo la volontà creata ama tanto la natura umana unita alla persona del Verbo, quanto ama la persona divina.
Come in Dio due persone sono ugualmente amabili, cosi nel Cristo le due nature, l'umana e la divina sono ugualmente amabili a causa della persona che hanno in comune.
L'anima del Cristo vede Dio cosi chiaramente ed intensamente, come Dio vede chiaramente ed intensamente se stesso.
Il santo sinodo condanna queste proposizioni ed altre che derivano dalla stessa radice e contenute nello stesso libro come erronee nella fede. Perché, quindi, non avvenga che qualcuno dei fedeli a causa di questa dottrina cada in errore, comanda severamente che nessuno osi insegnare, predicare, difendere o approvare la dottrina di questo libro e in particolare le proposizioni sopra riferite, già dannate e riprovate, come abbiamo riferito, ed anche quei trattati che lo difendessero.
Quelli poi che si comportassero diversamente vengano puniti come eretici ed anche con altre pene canoniche.
In nessun punto però, il concilio intende derogare con queste sue disposizioni alle espressioni ed agli scritti dei santi dottori che parlano di questi argomenti; anzi accetta e accoglie le loro dottrine secondo il loro vero significato, come viene comunemente esposto e dichiarato nelle scuole di teologia da essi stessi o da altri dottori.
Con questa sentenza il santo sinodo non intende neppure pregiudicare la persona dell'autore, perché anche se è statoconvocato, ha allegato le cause della sua assenza, ed in alcuni suoi scritti ed in altri modi ha sottomesso la sua dottrina al giudizio della chiesa.
Concludendo, questo santo sinodo comanda ed impone a tutti gli arcivescovi, vescovi, cancellieri delle università, e agli inquisitori per l'eresia, che vogliano usare la loro accorta diligenza e provvedere che nessuno possa avere questo libro e gli scritti che lo difendono, od osi conservarlo e tenerlo presso di sé, e che anzi lo consegni alle persone sopra indicate, perché ne facciano quello che le leggi dispongono. In caso diverso, si proceda contro di essi con, le sanzioni canoniche.
SESSIONE XXIII (16 marzo 1436)
(Dell'elezione del sommo pontefice).
Il sacrosanto concilio generale di Basilea, legittimamente riunito nello Spirito santo, espressione della chiesa universale, a perpetua memoria.
Poiché un buon pastore è la salvezza del popolo, è giusto che questo santo sinodo cerchi in tutti i modi - almeno per quanto è possibile alla diligenza della legge umana, - che il romano pontefice, che è il primo e più alto pastore del gregge del Signore, sia eletto e continui ad essere tale da provvedere alla salvezza di tutte le anime e all'utilità di tutto il mondo cristiano, e possa degnamente adempiere un ufficio cosi grave.
Perciò questo santo sinodo, rinnovando le costituzioni dei sacri concili e dei sommi pontefici sull'elezione del romano pontefice, ed aggiungendo ad esse alcune norme salutari, stabilisce che ogni qualvolta la sede apostolica divenga vacante, i cardinali della santa romana chiesa, presenti nel luogo dove si deve procedere all'elezione del sommo pontefice, nel decimo giorno della vacanza della sede, si raccolgano tutti in una cappella o in un luogo vicino al conclave. Di qui, camminando a due a due dietro la Croce, cantando devotamente Vieni Spirito creatore, entrino nel luogo del conclave.
Ciascuno introduca in esso solo due servitori necessari.
Per ordinare le cerimonie si possono ammettere anche due chierici, di cui almeno uno notaio. Il Camerlengo, poi, insieme con quelli cui è stata affidata la custodia del conclave, faccia in modo che nessuno vi entri, oltre a quelli che abbiamo ricordato. Egli, poi, dopo l'ingresso dei cardinali, chiuse le porte, entri con gli incaricati, e faccia un diligente sopralluogo alle celle dei cardinali; ed eccettuate le medicine degli infermi e dei deboli, se trova li cose da mangiare o cibi preparati, li faccia rimuovere.
Quindi uscendo e chiudendo la porta del conclave, faccia una guardia severa, ed ogni giorno esamini diligentemente i cibi portati ai cardinali; e non permetta che venga introdotto se non quanto sembra necessario ad un onesto sostentamento, fermi restando nella loro efficacia i decreti di questo sacro concilio promulgati nella quarta e nella settima sessione (26).
Il giorno seguente, tutti i cardinali, alla. presenza di quelli che sono in conclave, ascoltata la messa dello Spirito santo, ricevano l'eucarestia. E prima di cominciare lo scrutinio, giurino sui santi evangeli in questa, forma: Io, cardinale tale, giuro e prometto a Dio onnipotente, Padre, Figlio e Spirito santo, e al beato Pietro, principe degli apostoli, di eleggere come pontefice quello che crederò utile alla chiesa universale, sia nello spirituale che nel temporale, e idoneo a tanta dignità; di non dare il voto a chi capirò che verisimilmente cerca di procurarsi l'elezione con la promessa o con la donazione di qualche bene temporale, o con suppliche, presentate da sé o da altri - o in qualunque altra maniera, direttamente o indirettamente. E giuro di non prestare obbedienza a chi è stato eletto pontefice, prima che questi abbia prestato giuramento secondo la formula del decreto del sacro concilio di Basilea. Cosi mi aiuti Dio, al quale il giorno del tremendo giudizio dovrò render conto di questo giuramento e di tutte le mie opere.
Dopo ciò, ognuno di essi consegnerà la sua scheda, in cui dovranno essere indicati non più di tre nomi; se ne nominasse più di uno, che un nome sia scelto fuori dal collegio cardinalizio.
Non si faccia più di uno scrutinio al giorno. E questo subito dopo la messa. Lette le schede, se i voti dei due terzi non confluiscono nella stessa persona, siano subito bruciate.
Prima di sei scrutini, non si può fare accesso nei confronti di nessuno.
Durante questo tempo i cardinali considerino attentamente quanto merito o demerito possono acquistare per sé con l'elezione del pontefice, e quanto frutto o quanto danno, quanto bene e quanto male possono fare al popolo cristiano. E certo che in nessuna cosa si può conseguire la grazia del signore nostro Gesù Cristo o meritare la sua ira, più di quando si tratta di preporre il suo vicario alle sue pecore: quelle pecore che egli ha talmente amato, da degnarsi di morire (27) e di soffrire per esse il supplizio della croce.
(Della Professione del sommo Pontefice).
Questo santo sinodo dispone che chi è stato eletto papa deve esprimere il suo consenso all'elezione fatta nella sua persona, nel modo che segue. Se egli è presente in curia il consenso sia manifestato ai cardinali, o, se fuori di essa, a qualcuno di essi, o ad altri che ne abbia da essi il mandato, alla presenza di un notaio e di almeno dieci persone. Se poi egli, comunicatagli l'elezione, dopo esserne stato richiesto non accettasse entro un giorno naturale dall'ora della richiesta, la sua elezione sia considerata come non avvenuta e i cardinali siano tenuti a procedere ad un'altra nel nome del Signore.
Ma espresso, come si diceva, il consenso, i cardinali gli prestino subito la dovuta obbedienza come a sommo pontefice. Una volta, poi, prestata l'obbedienza dai cardinali, a nessuno sia più lecito dubitare della legittimità del suo pontificato.
(Forma del consenso).
In nome della santa ed indivisa Trinità, Padre, Figlio e Spirito santo.
lo N., eletto papa, col cuore e con la bocca confesso e prometto a Dio onnipotente, la cui chiesa col suo aiuto mi accingo a governare, e al beato Pietro, principe degli apostoli, che, fino a che vivrò questa fragile vita, crederò e terrò fermamente la fede cattolica come è stata tramandata dagli apostoli, dai concili generali, e dagli altri santi padri, specialmente dagli otto santi concili universali, e cioè dal primo di Nicea; dal secondo, di Costantinopoli; dal terzo, primo di Efeso; dal quarto, di Calcedonia; dal quinto e sesto, ugualmente di Costantinopoli; dal settimo, di Nicea; dall'ottavo, similmente di Costantinopoli; ed inoltre dal Lateranense da quelli di Lione, di Vienne, di Costanza, e di Basilea, concili generali anch'essi; prometto di conservare intatta questa fede fino all'ultima sillaba (28), di difenderla e di predicarla fino all'effusione della vita e del sangue; e similmente di seguire in ogni modo e di osservare il rito dei sacramenti della chiesa ad essa trasmesso.
Prometto anche di lavorare fedelmente per la difesa della fede cattolica, per la estirpazione delle eresie e degli errori, per la riforma dei costumi, e per la pace del popolo cristiano.
Giuro anche di attendere alla celebrazione dei concili generali e alla conferma delle elezioni, secondo le prescrizioni del sacro concilio di Basilea.
Ho sottoscritto questa professione di mia mano: la offro a te, con mente sincera, sull'altare, o l)io onnipotente, cui nel giorno del tremendo giudizio dovrò render conto di questo e di tutte le mie opere. Ripeterò solennemente questa professione nel primo concistoro pubblico.
Perché col passare del tempo una cosi salutare prescrizione non venga dimenticata dal sommo pontefice, ogni anno, nel giorno in cui si celebra l'anniversario della sua elezione o della sua incoronazione, durante la messa il primo dei cardinali presenti, pubblicamente, ad alta voce, legga in questo modo dinanzi al sommo pontefice: "Santissimo padre, rifletta la tua santità e consideri attentamente questa promessa che ha fatto a Dio il giorno dell'elezione". Quindi la legga; e in fine dica: "Veda, dunque, la santità tua, per l'onore di Dio, per la salvezza della sua anima, per il bene della chiesa universale, di osservare come meglio può quanto è stato premesso, in buona fede, senza inganno e frode.
Ricordati anche di chi fai le veci in terra: di colui, cioè, che diede la sua vita per le pecore (29), che per tre volte, prima di affidarle a Pietro, gli chiese se lo amasse (30); e che, giusto giudice, cui nessun segreto è nascosto (31), ti chiederà conto fino all'ultimo centesimo (32).
Ricordati di quanto hanno fatto il beato Pietro e gli altri pontefici che gli successero. Essi non pensarono ad altro che all'onore di Dio, alla propagazione della fede, al pubblico bene della chiesa, alla salvezza e all'utilità dei loro figli. E finalmente, ad imitazione del maestro e Signore, non esitarono a dar la vita per le pecore loro affidate.
Non voler accumulare tesori in terra, per te o per i tuoi, dove la tignola e la ruggine li consumano, dove i furfanti e i ladroni scassinano; ma accumula per il cielo (33).
Non fare accezione di persone, di sangue, di patria, di nazione (34). Tutti sono figli di Dio e affidati ugualmente alla tua cura. E di', come Cristo: Chi farà la volontà del Padre mio, che è nei cieli, quegli è mio fratello, mia sorella, mia madre (35).
Nell'assegnare le dignità e i benefici, non considerare la carne, i doni, o altro motivo temporale, ma solo Dio, le virtù e i meriti delle persone. Nel correggere i difetti, usa la disciplina ecclesiastica, memore di quale grazia meritò Pincas (36), di quale pena meritò Eli (37), l'uno riparando le
ingiurie fatte a Dio, l'altro fingendo di non vedere. Difendi; aiuta e sostieni i poveri e i miseri. Usa con tutti una paterna carità".
Terminate le solennità dell'incoronazione – e poi ogni anno dopo l'anniversario dell'incoronazione – almeno per otto giorni di seguito il sommo pontefice studi attentamente con i cardinali quale sia il modo migliore per mettere in pratica quello che con tanta solennità ha promesso a Dio.
E per prima cosa esamini con attenzione in quale parte del mondo la religione cristiana sia perseguitata dai Turchi, dai Saraceni, dai Tartari, e dagli altri infedeli; in quale regione prosperi l'eresia, lo scisma o qualsiasi altra specie di superstizione; in quali province i costumi, l'osservanza dei divini comandamenti e il retto modo di vivere vadano peggiorando, sia nel campo ecclesiastico che in quello secolare; ove, inoltre, la libertà della chiesa viene conculcata; tra quali re, principi e popoli imperversino gli odi, le guerre, o i pericoli di guerre. E dovunque come padre pietoso, cerchi di provvedere diligentemente, assieme ai suoi fratelli, con opportuni rimedi.
Provveduto a questi affari di carattere più universale ponga mano a ciò che gli è più vicino; e cominci ad ordinare in modo esemplare la casa, la servitù, la curia romana, dove e come riterrà necessario, e a riformarle sul serio, di modo che dalla sapiente riforma di quella che è la prima di tutte le altre chiese, le altre, che sono minori, sappiano attingere la purezza dei costumi, e non si dia ad alcuno occasione di calunnia e di maldicenza.
Cercando, quindi, di vigilare attentissimamente e di far vigilare sui grandi e sui piccoli, non tardi a correggere tutto ciò che egli troverà degno di correzione, e non lo dissimili, ben sapendo che doppio è il peccato: uno, quello che li si commette; l'altro, assai più grave, quello che ne consegue. Qualsiasi cosa, infatti, si compie nella curia romana facilmente viene preso come esempio. Di conseguenza, se languisce il capo, il male invade tutto il resto del corpo. La casa del pontefice, invece, e la curia devono essere come uno specchio terso; e gli altri, guardandolo, devono potersi conformare ad esso e vivere secondo il suo esempio.
Disperda, perciò, e sradichi del tutto da esse qualsiasi macchia di simonia, qualsiasi indegno concubinato, e qualsiasi cosa che possa offendere Dio o scandalizzare gli uomini.
Curi che i suoi impiegati non amministrino male i loro uffici; che non gravino nessuno, che non estorcano nulla abusando del loro potere o illecitamente; e che i capi degli officiali non permettono che le loro mancanze restino impunite. Non permettono neppure che qualcuno usi vesti e colori proibiti dai sacri canoni.
Istruisca con cura il clero romano, che gli è particolarmente e immediatamente soggetto, in ogni virtù ecclesiastica, ammonendolo che Dio non si compiace delle pompe dei vestiti, ma dell'umiltà, della dignità, della purezza della mente, della semplicità del cuore, della santità dei costumi, e dell'ornamento delle altre virtù: queste raccomandano chi le ha a Dio e agli uomini.
Riformi, inoltre il culto divino nelle chiese di Roma perché venga esercitato con la venerazione e disciplina che si conviene. Insegni, istruisca, diriga il popolo di Roma, che è la sua parrocchia per la via della salvezza. Imponga ai cardinali che visitino e riformino i loro titoli e le loro parrocchie, come è dovere del loro ufficio. Costituisca vicario in Roma un prelato di grande scienza, di vita provata ed esemplare, il quale eserciti la cura di vescovo in sua vece verso il clero e il popolo. E si informi spesso se questi attende diligentemente al suo ufficio.
Dopo di ciò attenda con cura, insieme ai suoi fratelli cardinali agli affari temporali della chiesa romana, provveda perché le province, le città, i paesi, i castelli, le terre soggette alla stessa chiesa, siano governati nella giustizia e nella pace; cioè con tale moderazione, che tra il governo degli ecclesiastici e quello dei principi secolari vi sia la stessa differenza che vi è tra il padre e il padrone.
Non abbia di mira il guadagno, ma la protezione e la tutela; e scaldando tutti con la paterna carità, li consideri non tanto sudditi, quanto figli. E poiché ha la loro cura spirituale, cerchi di togliere di mezzo ogni odio di parte e le sedizioni, specie dei guelfi e dei ghibellini, e qualsiasi altro nome simile a questi, che uccide le anime e i corpi; e con ogni industria cerchi di conservarli tutti, unanimemente, a difesa della chiesa, eliminando, con pene spirituali e temporali, e con tutti i modi a sua disposizione, ogni causa di dissenso.
A governare le province e le città principali destini i cardinali, o prelati di fama integra ed incorrotta, che non siano avidi di denaro, ma che attendano a procurare la giustizia e la pace ai loro sudditi. Il loro incarico duri due anni, o, al massimo, tre.
E poiché è normale che ciascuno renda conto della sua amministrazione (38), vengano scelte, alla fine di ogni legazione, una o due persone ragguardevoli che ascoltino la relazione dell'amministrazione, le lamentele e le richieste dei cittadini e facciano giustizia. Quello che esse non possono fare, lo riferiscano al papa, il quale deve in ogni modo conoscere ciò che è stato fatto: e se risulterà che essi hanno agito illecitamente in qualche cosa, non li lasci impuniti in modo che i loro successori imparino dal loro esempio a guardarsi da quanto non è lecito.
Perché gli officiali non debbano appropriarsi di ciò che è illecito, si stabilisca per essi un giusto salario, con cui possano vivere onestamente.
Si informi spesso il sommo pontefice sul governo dei legati, dei governatori e dei commissari, nonché dei vicari e dei feudatari della chiesa romana e se per caso non gravino i sudditi di nuove tasse ed esazioni. E non tolleri severità o ingiusti pesi imposti ai sudditi; sarebbe, infatti, empio tollerare che quelli che il papa da sé governerebbe paternamente, siano trattati malamente dagli altri.
Procuri anche che le antiche disposizione e costituzioni, con cui le province e le terre sono governate con buoni effetti, vengano conservate fedelmente. E se vi fossero leggi emanate in seguito per invidia o per partigianeria, conosciuto il motivo, vengano riviste e riformate.
Entro un anno dal giorno della sua elezione il Romano pontefice convochi gli ambasciatori o procuratori delle province e delle principali città della chiesa romana e mostrando loro l'affetto di un amore paterno, si informi sullo stato e sulla condizione delle loro terre; come fossero trattati all'epoca del suo predecessore; se siano gravati da qualche ingiusto peso; e veda che cosa si possa fare perché il loro governo sia salutare. E finalmente apporti in ogni cosa i rimedi necessari. E non gli dispiaccia di ripetere tutto ciò almeno di biennio in biennio.
Tra le altre cose, poi, che i feudatari, i capitani, i governatori, i senatori, i castellani e gli altri più alti officiali di Roma e dei territori della chiesa devono giurare, vi sia anche questa: che giurino, cioè, nella loro assunzione, che durante la sede vacante essi reggeranno le città, le terre, i luoghi, le fortezze, i castelli e i popoli secondo gli ordini dei cardinali, a nome della chiesa romana, e che li riconsegneranno liberamente e senza alcuna opposizione.
Perché, inoltre, il sommo pontefice non sembri esser mosso da affetto umano, più che dal giudizio della ragione, e perché si possano evitare gli scandali che, per quanto si può dedurre dall'esperienza, spesso ne sono seguiti, in avvenire non nomini e non permetta che qualche suo consanguineo od affine, fino al terzo grado incluso sia duca, marchese, conte, feudatario, enfiteuta, vicario, governatore, officiale, castellano di qualche provincia, città, paese, castello, fortilizio, o luogo della chiesa romana, e che abbia giurisdizione e autorità su questi luoghi, o sia capitano, o duce di gente d'armi.
Gli stessi cardinali, se il sommo pontefice volesse fare diversamente, non consentano in nessuna maniera. E facciano in modo che il pontefice successivo riveda completamente e revochi ciò che fosse stato fatto diversamente.
Secondo la costituzione di papa Nicolò IV, questo santo sinodo stabilisce che ai cardinali della santa chiesa romana sia destinata metà di tutti i frutti, redditi, proventi, multe, condanne e tasse, che provengono da qualsiasi terra e luogo soggetto alla chiesa romana; e che la scelta e la destituzione di tutti i reggitori, dei governatori e dei custodi, comunque essi si chiamino, che presiederanno alle terre e ai luoghi suddetti, ed anche di quelli che raccoglieranno i frutti, debbano esser fatte col consiglio e col consenso degli stessi cardinali.
Questo santo sinodo ammonisce, quindi, i cardinali per ché proteggano le terre e i sudditi della chiesa romana dalle ingiustizie e dalle oppressioni e, avendo di mira la pace, la salvezza e il loro buon governo, li mettano in buona luce, se fosse necessario, presso il sommo pontefice.
Se, poi, il sommo pontefice e i cardinali devono avere una grande cura di tutte le terre della chiesa romana, tuttavia hanno il dovere di rivolgere sollecitamente le loro cure alla città di Roma e nutrire verso di essa un amore ed un affetto particolare: è, infatti, la loro figlia particolare e la loro principale parrocchia, nella quale riposano i corpi sacri dei beati Pietro e Paolo e di innumerevoli martiri di Cristo e dei santi; dov'è la sede del romano pontefice, e da dove egli stesso e l'impero romano regnano; e nella quale confluiscono per devozione tutti i cristiani, perché sia governata nella pace, nella tranquillità e nella giustizia, e non debba soffrire danno nelle sue chiese, nelle sue mura, nelle sue vie, e nella sicurezza delle strade.
Perciò questo santo sinodo stabilisce che una parte adeguata di tutti i redditi e proventi di Roma venga destinata alla conservazione delle chiese, delle mura, delle vie, dei ponti, della sicurezza delle strade della stessa Roma e del suo distretto. Ciò venga fatto per mezzo di uomini di nota fama, da scegliersi col consiglio dei cardinali.
Dato che il sommo pontefice si professa servo dei servi di Dio, lo dimostri con le opere. E dal momento che da ogni parte la gente viene a lui come al padre comune, egli consenta che tutti possano facilmente recarsi da lui. Stabilisca, quindi, almeno un giorno alla settimana per l'udienza pubblica nella quale possa ascoltare pazientemente e benignamente tutti, specie i poveri e gli oppressi e, per quanto gli è possibile in coscienza li accontenti, e, come padre coi figli, provveda benevolmente a tutti col consiglio e con l'aiuto, secondo le loro necessità e conforme alle sue possibilità. Se ne fosse impedito da qualche materiale necessità, ne affidi l'incarico a qualche cardinale o ad altra degna persona, che gli riferisca ogni cosa; e comandi a tutti gli officiali della curia, specialmente al vice cancelliere, al penitenziere e al camerlengo di sbrigare le cose dei poveri subito e gratis, memore della carità apostolica, per cui Pietro e Paolo si diedero la destra, perché si ricordassero dei poveri (39).
Nelle domeniche e nei giorni festivi celebri pubblicamente la messa, dopo la quale per qualche tempo dia udienza ai bisognosi. Ogni settimana, o almeno due volte al mese, tenga pubblici concistori, in cui tratti i problemi delle chiese cattedrali e dei monasteri, ovvero dei principi e delle università, ed altre cose d'importanza. Rimetta le liti e le cause minori al vice cancelliere. Egli, quanto più può, resti estraneo dai litigi e dalle questioni di minore importanza, perché possa attendere più liberamente a quelle più gravi.
Poiché i cardinali della santa chiesa romana sono ritenuti parte del corpo del romano pontefice, è utilissimo per la cristianità che, secondo l'antica consuetudine, le questioni più gravi e più difficili, in futuro siano risolte col loro consiglio, sotto la loro direzione, e dopo matura deliberazione, specie per quanto riguarda le decisioni delle cause della fede, le canonizzazioni dei santi, le elezioni, le soppressioni, le divisioni, le soggezioni, le unioni delle chiese cattedrali e dei monasteri, le promozioni di cardinali, le conferme e le provviste delle chiese cattedrali e dei monasteri, le privazioni e i trasferimenti degli abati, dei vescovi e dei loro superiori, le leggi, o costituzioni, le legazioni de latere, ossia le nomine dei vicari e dei nunzi con autorità di legati de latere, la fon- dazione di nuove istituzioni religiose, le nuove esenzioni alle chiese e ai monasteri o alle cappelle, o le revocazioni di quelle
già fatte loro, salvo il decreto del concilio di Costanza sul non doversi trasferire i prelati contro la loro volontà.
(Numero e qualità dei cardinali).
Poiché i cardinali della santa chiesa romana affiancano il sommo pontefice nel governo della chiesa, bisogna che siano di tale virtù, da esser davvero, come indica il loro nome, cardini, sui quali girino e poggino le porte della chiesa universale.
Stabilisce, quindi, il santo sinodo, che in futuro il loro numero sia talmente limitato, da non esser di aggravio alla chiesa (la quale al presente, per i tempi tristi che corrono, è afflitta da molti mali), e da non svilire la loro dignità con un numero eccessivo.
Siano scelti da tutte le re,-ioni della cristianità, per quanto è possibile, perché si possa avere più facilmente la conoscenza dei problemi che emergono nella chiesa, e si, possa provvedere ad essi in modo più maturo; perciò tra quelli esistenti e quelli da nominarsi non superino il numero di ventiquattro, e di una nazione non ve ne possano essere oltre un terzo di quelli esistenti in un dato momento, e da una città e diocesi non ne possa provenire più di uno, e non se ne crei di quella nazione che ora superasse il terzo sin che non siano ridotti a questa proporzione.
Siano uomini che spiccano per la loro scienza, per i loro costumi, per l'esperienza delle cose; non abbiano meno di trenta anni; siano maestri, dottori o licenziati con rigoroso esame nel diritto divino o umano. Almeno la terza o quarta parte di essi sia costituita da maestri o licenziati in sacra Scrittura.
Tra questi ventiquattro potranno esservi - ma in numero limitatissimo - alcuni figli, fratelli o nipoti di re o di grandi principi, che con l'esperienza e la maturità dei costumi abbiano anche la dovuta cultura nelle lettere.
Non siano creati cardinali i nipoti del romano pontefice, figli di fratelli o di sorella, o i nipoti di qualche cardinale vivente; non quelli nati illegittimamente; non gli imperfetti nel corpo, o macchiati per qualche delitto o per infamia.
A questo numero di ventiquattro, per una grande necessità o in vista di una grande utilità per la chiesa, potranno essere aggiunti altri due nei quali brilla la santità della vita o eminenti virtù, anche se non avessero i gradi richiesti ed anche alcuni insigni Greci, quando si saranno uniti alla chiesa romana.
L'elezione dei cardinali non sia fatta con voto orale, ma siano eletti solo quelli su cui, fatto un vero scrutinio pubblico, risulti essersi trovata d'accordo la maggioranza dei cardinali con firma fatta di propria mano.
Vengano redatte anche, poi, le lettere apostoliche, firmate dai cardinali, restando sempre fermo, naturalmente, in tutto il suo vigore, il decreto di questo sacro concilio, pubblicato solennemente nella quarta sessione (40).
Quando i cardinali riceveranno le insegne della loro dignità, il cui significato è che essi non devono temere di versare, se necessario, il proprio sangue per il bene della chiesa universale - giureranno in pubblico concistoro, se sono in curia; se fossero assenti, giureranno pubblicamente nelle mani di un vescovo, a cui sia stato conferito l'incarico con lettere apostoliche, nelle quali sia inclusa la formula del Giuramento.
(Delle elezioni)
Da tempo questo santo sinodo, abolita la generale riserva di tutte le chiese e dignità, elettive, stabilì provvidamente che alle chiese e dignità suddette si dovesse provvedere con elezioni canoniche e con le conferme. Con ciò voleva proibire anche le riserve speciali o particolari delle stesse chiese e
elettive, con cui si potesse impedire la libera facoltà, in esse, di eleggere e di confermare, e che il romano pontefice non facesse nulla contro questo decreto, a meno che vi fosse un motivo grave, ragionevole e chiaro, da esprimersi chiaramente nelle lettere apostoliche.
Poiché tuttavia molte cose sono state compiute senza questo giusto motivo contro l'intenzione del decreto, e con gravi conseguenze, - e si temono scandali sempre più gravi - questo santo sinodo volendo ovviare a ciò, e non volendo, d'altra parte, che l'intenzione del decreto - che fu quella di togliere qualsiasi ostacolo dalle elezioni e dalle conferme canoniche - venga frustrata nel suo effetto, stabilisce che le elezioni in queste chiese avvengano senza impedimento od ostacolo, e che esse, dopo averne esaminato lo svolgimento secondo il diritto comune e il decreto suddetto, vengano confermate.
Tuttavia se avvenisse qualche volta che si facesse una elezione, pur canonica sotto altri aspetti, ma che si teme possa portare a qualche disordine per la chiesa, per la patria, o per il bene pubblico, quando sarà deferita a lui la conferma, il sommo pontefice ove costasse che vi è tale urgentissima ragione, dopo averla discussa ed aver ottenuto il consenso scritto dei cardinali o della maggioranza di essi, che dichiarano che la causa è vera e sufficiente, respinta tale elezione, la rimetta al capitolo o al convento perché, entro il tempo stabilito dal diritto, o entro un altro termine a seconda della distanza del luogo, procedano ad altra elezione, da cui non si prevedano tali conseguenze.
(Delle riserve).
Poiché le molte riserve di chiese e di benefici fatte finora dai sommi pontefici sono riuscite di non piccolo peso per le chiese, questo santo sinodo le abolisce tutte, sia quelle generali che quelle speciali o particolari, - per qualsiasi chiesa e beneficio cui si è soliti provvedere con l'elezione, col conferimento o con altra disposizione, - introdotte sia con le estravaganti Ad regimen, ed Exsecrabilis, che con le regole della cancelleria, o con altre costituzioni apostoliche. Stabilisce, inoltre, che in futuro tali riserve non vengano assolutamente più fatte, eccetto solo quelle contenute espressamente nel diritto, e quelle relative ai territori direttamente o indirettamente soggetti alla chiesa Romana.
SESSIONE XXIV (14 aprile 1436)
(Salvacondotto dato ai greci).
Il sacrosanto sinodo generale di Basilea, riunito legittimamente nello Spirito santo, espressione della chiesa universale. Per volontà di Dio il sinodo universale ed ecumenico dovrà essere celebrato in occidente e nell'obbedienza della chiesa romana. In esso converranno, secondo quanto è stato concordato in questo santo sinodo, e poi ratificato a Costantinopoli, sia la chiesa occidentale che quella orientale.
Perché, dunque, sia chiara a tutti la sincerità della nostra intenzione verso la chiesa orientale e venga meno ogni sospetto che potrebbe sorgere circa la sicurezza e la libertà di quanti verranno, col presente decreto questo santo sinodo di Basilea, a nome e in vece di tutta la chiesa occidentale e di tutti quelli che ad essa appartengono, di qualsiasi stato siano, anche papale, imperiale, regale, vescovile, o di qualsiasi altra inferiore dignità, potestà, o ufficio spirituale o secolare siano rivestiti, stabilisce, dà e concede al serenissimo imperatore dei Greci, ai reverendissimi patriarchi costantinopolitano, alessandrino, antiochieno, e gerosolimitano, e agli altri, fino al numero di settecento persone - anche se fossero di dignità imperiale, regale, arcivescovile e di qualsiasi altro stato, o condizione, - che verranno ora o in futuro per celebrare il concilio universale ed ecumenico in occidente, come è stato già detto, concede un completo e libero salvacondotto. Esso ha preso e prende con le presenti lettere sotto la sua certa e sicura salvaguardia tutti e ciascuno dei predetti, per quanto riguarda sia le loro persone che gli onori e qualsiasi altra loro cosa, nei regni, province, domini, territori, comuni, città, castelli, paesi, villaggi, e in tutti i luoghi dell'obbedienza della chiesa occidentale, attraverso, i quali essi passeranno o che avranno la sorte di toccare, nel venire, fermandosi, o nel tornare. Promette, inoltre, con questo decreto sinodale e concede a tutti e a ciascuno di essi sicura e libera facoltà di andare a venire nella o presso la città o il luogo nella quale o nel quale dovrà esser celebrato il predetto, sacrosanto concilio universale; di stare, dimorare, risiedere abitare li con tutte le immunità, libertà, garanzie di sicurezza con cui vi abitano quelli che appartengono alla chiesa romana, ed anche di disputare e ragionare, di allegare i diritti e le autorità, e di fare, dire, trattare con tutta libertà e senza impedimento di nessuno, tutte quelle cose che sembrerà loro necessario ed opportuno per la unione delle chiese del Cristo.
Essi potranno andarsene a loro piacere e ritornare una o più volte, e tante volte quante sembrerà e piacerà loro, sia soli che insieme, con i loro beni, cose, denaro, o senza di essi, tranquillamente, liberamente, impunemente, senza alcun impedimento per le cose o le persone, anche se - Dio non voglia! - tale unione non seguisse e non avesse effetto. In questo ed in qualsiasi altro caso, il serenissimo imperatore, i signori patriarchi e gli altri sopra nominati, completamente a nostre spese e con nostre galere, senza alcun indugio e senza alcun impedimento, con gli stessi onori, benevolenza e amicizia con cui saranno condotti a celebrare il concilio universale, saranno anche ricondotti a Costantinopoli, sia che durante la celebrazione del concilio ecumenico segua l'unione, sia che non segua. Tutto ciò, non ostante qualunque differenza che possa esservi nelle cose già accennate, o in qualcuna di esse; non ostante le discordie e i dissensi che vi sono al presente e che potrebbero sorgere ed esservi in futuro fra le chiese occidentale ed orientale, ossia tra la stessa chiesa romana e quelli che sono ad essa soggetti e aggregati, e il serenissimo imperatore e gli altri aderenti alla chiesa di Costantinopoli; non ostante sentenze, decreti, condanne, leggi e decretali in qualsiasi modo ed in qualsiasi maniera fatte ed emesse, o da farsi; ed anche non ostante accuse, eccessi, colpe e delitti, qualora ne fossero commessi e perpetrati in qualunque modo ed in qualunque maniera dalle due parti o da una di esse; e, in generale, non ostante qualsiasi altro impedimento, fosse anche tale per cui fosse necessario farne speciale menzione nelle presenti lettere.
E se per caso avvenisse che uno o qualcuno dei nostri facesse ingiuria ad essi o ad alcuno di essi, o arrecasse loro qualche molestia nella persona, nell'onore, nelle cose o in qualsiasi altro campo, chi manca in tal modo verrà giudicato da noi o dalla nostra parte, in modo da dare alla parte lesa una giusta e ragionevole soddisfazione.
Analogamente, se qualcuno di loro faccia, come abbiamo detto, qualche ingiuria a qualcuno dei nostri, sarà giudicato da loro fino a dare una degna e ragionevole soddisfazione a colui che ha sofferto l'ingiuria, secondo l'uso e la consuetudine di ognuna delle due parti.
Quanto agli altri crimini, mancanze e colpe di qualsiasi genere, ciascuna di esse istituirà il processo e giudicherà dei suoi.
Questo santo sinodo, infine, esorta tutti i cristiani, e inoltre con l'autorità della chiesa universale, in virtù dello Spirito santo e di santa obbedienza comanda e ordina a tutti e singoli i prelati, i re, i duchi, i principi, gli officiali, le comunità, e alle altre singole persone, di qualsiasi stato, condizione e dignità essi siano, appartenenti alla nostra chiesa occidentale, che osservino inviolabilmente quanto è stato detto nel suo complesso ed in ogni singolo punto, e, per quanto sta in essi, lo facciano osservare; che onorino e trattino con benevolenza e con reverenza il serenissimo imperatore e tutti gli altri e ciascuno di quelli che verranno per la celebrazione del sacro concilio, e quando se ne riandranno, sia insieme che singolarmente; e li facciano onorare e trattare allo stesso modo.
Se dovesse sorgere qualche dubbio circa il salvacondotto e quanto esso contiene, si starà alla dichiarazione del sinodo universale che sarà celebrato.
Questo santo sinodo vuole che il presente salvacondotto abbia valore e conservi la sua validità fino a che, in ultimo, il serenissimo imperatore, i patriarchi, e le altre persone suddette coi loro nobili e coi loro servi - fino al numero, come già detto, di settecento - e con le altre cose e beni, non saranno tornati nella città di Costantinopoli.
Se poi qualcuno tentasse di fare qualche cosa contro quanto abbiamo detto o qualche sua singola disposizione, sappia che egli incorrerà nella indignazione di Dio onnipotente e del santo sinodo.
SESSIONE XXV (7 maggio 1437)
(Delle località del futuro concilio ecumenico per i Greci).
Il sacrosanto sinodo di Basilea, riunito legittimamente nello Spirito santo, espressione della chiesa universale, a perpetua memoria.
Poco fa questo sacrosanto sinodo, tra le varie cure con le quali la inscrutabile provvidenza della divina profondità, per l'invocazione del suo spirito Paraclito, si è degnata adunarlo e spingerlo a coltivare il campo del gregge del Signore, come zelante agricoltore, ha prestato particolare attenzione alla deplorevole divisione delle chiese occidentale ed orientale che dura da tanto tempo nella chiesa di Dio, pur nella professione della stessa fede. Attingendo speranza e fiducia alla clementissima bontà di colui, presso il quale niente è impossibile (41) e che dà abbondantemente (42) e largamente a chi lo supplica in modo conveniente, per ristabilire tra le stesse chiese l'unità della fede cattolica, il concilio ha stabilito di mettere in opera le risorse della sua diligenza con tanto maggiore accuratezza, senza badare a fatiche e a spese, quanto più prevede che da ciò possa sgorgare, a lode e gloria di Dio onnipotente, una più abbondante salute delle anime e un maggior incremento della stessa fede.
Desiderando, quindi, con l'aiuto della grazia dello Spirito santo, affrontare ed abbracciare questa salutarissima opera dell'unione, ha creduto bene con diversi inviati e lettere di invitare ed esortare il serenissimo imperatore, il venerabile patriarca di Costantinopoli e gli altri prelati e il popolo dei Greci a compiere quest'opera.
L'imperatore e il patriarca e gli altri Greci, sotto l'influsso dell'Altissimo, che ha infiammato i loro cuori, hanno accolto queste esortazioni con animo gioioso ed hanno manifestato con sincerità di voler affrontare il problema dell'unione. Hanno quindi pensato di mandare allo stesso sacrosanto
sinodo, con grande solennità, i loro ambasciatori e nunzi con adeguato mandato, autenticato con bolla d'oro e con firma autentica dell'imperatore, e con bolla d'argento del patriarca greco, perché con somma devozione esprimessero il loro vivissimo zelo per questa unità della fede. Con essi questo santo sinodo, dopo varie trattative e deliberazioni, ha convenuto alcuni decreti e convenzioni per l'esecuzione e il felice compimento di un'opera cosi salutare, recentemente pubblicati solennemente in una delle sessioni del santo si- nodo nella cattedrale di Basilea.
Volendo poi, questo santo sinodo mettere in esecuzione, con tutte le vie e i modi necessari ed opportuni questi decreti e convenzioni e procedere con sollecitudine, conforme ad essi, alla scelta del luogo per il futuro concilio ecumenico, a cui potessero e dovessero partecipare l'imperatore, il patriarca e gli altri Greci, si ebbero su questo ed altri problemi riguardanti questa santa questione, diverse proposte e discussioni nelle diverse commissioni dello stesso sinodo, che furono concluse una per una con uno scrutinio diligente dei voti dei partecipanti. Finalmente, nella congregazione generale, indetta a questo scopo nella chiesa cattedrale citata, secondo la prassi, esaminati nuovamente i voti dei singoli, si è costatato ripetutamente che la maggioranza ed anche più erano per Basilea, per Avignone o per la Savoia.
Invocata, allora, la grazia dello Spirito santo, dopo la santa messa si concluse e si convenne di fare presso l'imperatore, il patriarca e gli altri Greci predetti diligente e dovuta istanza, allegando ed esponendo le ragioni perché essi volessero accettare la città di Basilea per celebrarvi il concilio ecumenico. Se non l'avessero accettata, allora il luogo per celebrare il concilio ecumenico sarebbe stata la città di Avignone. E se neppure in essa questo avesse potuto esser celebrato, allora sarebbe stato celebrato nella Savoia.
Perché, quindi, tutte e singole le proposte accennate possano sortire il dovuto e desiderato effetto, con tutta la solennità solita ad essere usata altre volte in questo sacro concilio di Basilea quando si trattava di condurre a termine affari di una certa gravità, mentre i padri, dopo la s. messa siedono nella chiesa maggiore di Basilea, questo santo Sinodo determina, vuole, stabilisce, ordina e dichiara che il futuro concilio ecumenico, secondo la conclusione sopra accennata, debba esser celebrato nella città di Basilea, o, se questa fosse rifiutata, in Avignone oppure nella Savoia.
Inoltre, l'imperatore, il patriarca e gli altri Greci, in, conformità a queste disposizioni e a questi decreti, e ugualmente tutti e singoli gli altri, di qualunque grado, stato, dignità o preminenza essi siano, che per diritto o per consuetudine hanno il dovere di prender parte ai concili generali, anche se rivestiti di dignità vescovile, - siano tenuti e debbano recarsi e andare ad esso, specie per portare a compimento un'opera cosi salutare.
Il santo sinodo vuole, stabilisce e determina che questa scelta sia ferma, inconcussa ed inviolabile, cosicché qualsiasi altra modifica, ordinamento, disposizione, designazione o scelta, fatta o fatte dallo stesso sacro concilio o da qualche altro, o da altri, qualsiasi autorità essi possano avere, anche papale, in senso contrario, non abbia o non abbiano alcun valore; e questo santo sinodo le rende vane, cancella, revoca, annulla, da ora, con cognizione di causa, cioè le denunzia come cancellate, nulle e vane, e vuole che esse siano considerate come non fatte, e tali le considera, in ciò in cui esse si oppongono o sono in contrasto, in tutto o in parte, con la scelta suddetta.
Con cognizione di causa supplisce anche, questo santo sinodo a qualsiasi difetto, che possa essere sfuggito in ciò che riguarda quanto abbiamo detto o qualche suo punto in particolare.
Inoltre, poiché un'impresa cosi grandiosa, che porterà alla chiesa di Dio molto frutto, non potrebbe essere condotta a termine, e i Greci non potrebbero esser condotti qua e mantenuti senza gravi spese; e poiché è giusto e doveroso che per il compimento di un'opera cosi bella tutti i fedeli, e specie le persone ecclesiastiche, si prestino con generosa larghezza con le sostanze del patrimonio del signore nostro Gesù Cristo loro affidato, questo santo sinodo decreta, stabilisce e dichiara che a tutti e singoli gli ecclesiastici, esenti e non esenti, con qualsiasi formula, anche a quelli dell'ordine di S. Giovanni di Gerusalemme, di qualunque stato, dignità, grado, ordine, condizione essi siano, anche se insigniti della dignità cardinalizia o vescovile, venga imposta la decima generale di tutti e singoli i loro frutti e proventi ecclesiastici eccettuate solo le distribuzioni quotidiane - provenienti dalle loro chiese, monasteri, dignità e uffici, e dagli altri benefici ecclesiastici, già imposta e conclusa nella sua congregazione generale, perché sia pagata e riscossa.
Inoltre lo stesso santo sinodo stabilisce, vuole, ordina e dichiara che i venerabili fratelli Giovanni, vescovo di Lubecca; Ludovico, vescovo di Viseu; Delfino, vescovo di Parma e Ludovico, vescovo di Losanna, inviati dello stesso sacrosanto sinodo per condurre i Greci al luogo del concilio ecumenico e la maggior parte di essi, ora presente, hanno piena facoltà di scegliere e designare il porto latino più adatto e più vicino ai luoghi sopra scelti e nominati, e dà ad essi questa facoltà con le presenti lettere, secondo la forma delle altre lettere, date ad essi su questa impresa.
Vuole, da ultimo, questo santo sinodo, comanda e stabilisce che per la dovuta e desiderata esecuzione di quanto è stato detto e di quanto ne dipende, e per maggiore sicurezza di questi incaricati e del concilio, ad ogni loro richiesta ed istanza o dei loro procuratori o messi, siano loro concesse, compilate e sbrigate tutte le altre lettere opportune, utili e necessarie, con bolla dello stesso santo sinodo, attraverso la sua cancelleria, in forma dovuta e conveniente.
Il sacrosanto sinodo generale di Basilea, legittimamente riunito nello Spirito santo, espressione della chiesa universale, a perpetua memoria.
Questo sacrosanto sinodo fin dal suo inizio, perché con l'assistenza della grazia dello Spirito santo venissero concretamente risolti i problemi per cui sono stati istituiti i concili generali, ha usato la massima diligenza per perseguire l'unione tra i popoli occidentali ed orientali; perché come a causa del lungo contrasto la chiesa di Dio è andata incontro a innumerevoli sventure, cosi dall'unione fraterna potesse conseguire la massima utilità. Per questo mandò a Costantinopoli suoi ambasciatori per promuovere questa santa opera; al loro ritorno, insieme con i solenni ambasciatori del serenissimo imperatore dei Romani e del venerabile patriarca di Costantinopoli, dopo lunghe trattative sull'argomento e matura deliberazione, finalmente tra questo sacro concilio e gli stessi ambasciatori furono concordate delle clausole, confermate in sessione pubblica.
In esse lo stesso santo sinodo si volle obbligare, per una cosi santa impresa, a mandare a Costantinopoli i suoi rappresentanti con alcune somme di denaro, due galere più grosse, due più piccole, trecento balestrieri entro un certo tempo, e a designare uno dei luoghi compresi nel decreto per il concilio ecumenico, dove l'imperatore e il patriarca con settecento persone potessero riunirsi con noi per portare a termine questa santa unione.
Il tempo di eseguire questi disegni è ormai alle porte e questo santo concilio desidera soddisfare completamente alle sue promesse e condurre alla desiderata conclusione un cosi pio negozio, di cui in questo tempo non potrebbe pensarsi uno più utile. Nelle sue discussioni, perciò, e poi nella congregazione generale è venuto a questa conclusione; che cioè Firenze o Udine, nel Friuli - da porsi sotto l'autorità del concilio - o qualunque altro luogo sicuro compreso nel decreto e comodo per il sommo pontefice e per i Greci, venga scelto per il concilio ecumenico: quello, cioè, tra gli elencati, che più presto avrà preparato e messo a punto le galere, il denaro e le altre cose necessarie, con tutte le opportune garanzie.
Il porto sia Venezia, Ravenna o Rimini: quello, di questi, che l'imperatore e il patriarca di Costantinopoli preferiranno.
Similmente, perché il clero non venera gravato senza motivo, si è deciso che la decima non venga stabilita né riscossa fino a che i Greci non siano sbarcati ad uno dei porti predetti; che per tutto il tempo determinato nel decreto il sacro concilio rimanga in questa città; e che i legati e i presidenti della sede apostolica, convocati i padri che a loro sembrerà, scelgano gli ambasciatori per condurre i Greci e per l'esecuzione di quanto convenuto. Questi dovranno insistere per la città di Basilea.
Perché, dunque, con l'assistenza della grazia divina, tutto ciò che abbiamo ricordato, nel suo complesso e in ogni singola parte, possa sempre aver l'effetto dovuto, in questa pubblica e solenne sessione il santo sinodo vuole, stabilisce, dichiara che la conclusione accennata rimane ferma, valida, da tenersi e da seguirsi; cancella, rende vano, annulla, dichiara vano, irrito, nullo, tutto ciò che da chiunque, sia era uno che da più, venga fatto o compiuto, o venisse fatto in futuro, o fosse attentato contro le precedenti disposizioni o contro quanto consegue da esse, o potesse impedire in
qualsiasi modo la loro esecuzione. E vuole anche che per la loro esecuzione i legati e presidenti apostolici facciano redigere qualsiasi lettera opportuna con bolla del concilio, nella forma dovuta e sbrighino tutte le altre pratiche necessarie o adatte a questa santa opera.
SESSIONE I (8 gennaio 1438)
(Dichiarazione del card. 2Vicola Albergati, presidente del concilio).
Noi, Nicola, legato della sede apostolica, dichiariamo solennemente che presiediamo a questo sacro sinodo, trasferito da Basilea a Ferrara e ormai legittimamente riunito, a nome del santissimo Signore nostro il papa Eugenio IV; e che oggi, 8 gennaio, ha avuto luogo la continuazione del medesimo concilio trasferito; e che da questo giorno in poi esso deve continuare per raggiungere gli scopi per cui fu riunito il sinodo di Basilea, anche in vista del concilio ecumenico in cui si possa trattare e, con la grazia di Dio, realizzare l'unione della chiesa occidentale con quella orientale.
SESSIONE IV (9 aprile 1438)
(Eugenio IV e i partecipanti al sinodo dichiarano il concilio di Ferrara legittimo ed ecumenico).
Eugenio vescovo, servo dei servi di Dio, a perpetua memoria.
Dobbiamo davvero render molte grazie a Dio onnipotente, che, memore della sua antica misericordia, arricchisce sempre la sua chiesa e benché permetta che essa sia talvolta sconvolta dai flutti delle prove e delle tribolazioni, non permette mai, tuttavia, che venga sommersa; ma tra i flutti la conserva inviolata, e con la sua clemenza fa si che dalle varie prove essa esca sempre più forte.
Ecco, infatti che i popoli occidentali ed orientali, per tanto tempo separati gli uni dagli altri, si preparano a concludere un patto di concordia e di unità; e quelli che, separati reciprocamente da una lunga discordia, giustamente la sopportavano di mal animo, dopo molti secoli, certo sotto la spinta di colui, dal quale proviene ogni dono migliore (43), ora si riuniscono personalmente in questo luogo mossi dal desiderio della santa unione.
Noi comprendiamo dunque che nostro dovere è e deve essere quello di sforzarci in ogni modo perché questa felice impresa progredisca e giunga a felice conclusione, affinché noi meritiamo di essere, e di esser chiamati cooperatori di Dio.
Finalmente, il carissimo nostro figlio Giovanni Paleologo, imperatore dei Romani, il giorno 8 del mese di febbraio ultimo scorso è sbarcato a Venezia, cioè all'ultimo porto, col venerabile fratello Giuseppe, patriarca di Costantinopoli, con i rappresentanti delle altre sedi patriarcali e una grande moltitudine di arcivescovi e vescovi e nobili; qui, come aveva già fatto spesso, dichiarò apertamente di non poter recarsi, per giusti motivi, a Basilea per il concilio ecumenico, cioè universale, e lo annunciò con lettere a quelli che erano riuniti a Basilea, esortando e pregando tutti perché volessero trasferirsi a Ferrara, scelta per la celebrazione di questo concilio destinato ad attuare l'opera tanto pia di questa santissima unione.
Noi, quindi, cui stette sempre a cuore questa sacratissima unione, e che desideriamo ardentissimamente che sia condotta a termine, intendiamo eseguire diligentemente il decreto del concilio di Basilea, convenuto con gli stessi Greci, e rispettare la scelta del luogo per celebrare il concilio ecumenico fatta nel sinodo di Basilea, e quindi confermata da noi a Bologna, dietro istanza anche degli ambasciatori dell'imperatore e del patriarca, e tutte le altre cose che riguardano l'opera della santa unione, come del resto è nostro ufficio e dovere.
In ogni modo e forma, quindi, che ci sono possibili, decretiamo e comandiamo, col consenso dell'imperatore predetto e del patriarca e di tutti quelli che sono presenti a questo concilio, che è universale, ossia ecumenico, il sacro sinodo riunito in questa città di Ferrara, libera e sicura per tutti, e che tutti devono giudicarlo e chiamarlo cosi; in esso senza risse e liti e senza rigidità, anzi con ogni carità, deve essere discusso l'argomento dell'unione e con l'aiuto di Dio come speriamo - condotto felicemente a compimento, con tutti gli altri santi problemi, per la cui risoluzione questo santo sinodo è stato indetto.
SESSIONE VI (6 luglio 1439)
(Definizione del santo concilio ecumenico fiorentino).
Eugenio vescovo, servo dei servi di Dio, a perpetua memoria. Col consenso per quanto segue del nostro carissimo figlio Giovanni Palcologo, nobile imperatore dei Romani, dei rappresentanti dei venerabili fratelli nostri patriarchi, e degli altri che rappresentano la chiesa orientale.
Si rallegrino i cieli ed esulti la terra (44): è stato abbattuto il muro che divideva la chiesa occidentale e quella orientale ed è tornata la pace e la concordia, poiché quella pietra angolare, Cristo, che ha fatto delle due cose una sola (45), vincolo fortissimo di carità e di pace, ha congiunto le due pareti e le ha unite e le tiene strette col vincolo della perfetta unità. E dopo la lunga nebbia della tristezza e la scura e spiacevole caligine della lunga separazione, è apparso a tutti il raggio sereno della desiderata unione.
Gioisca anche la madre chiesa, che ormai vede i suoi figli, fino a questo momento separati, tornare all'unità e alla pace; essa, che prima piangeva amaramente per la loro separazione, ringrazi l'onnipotente Dio con ineffabile gaudio per la loro meravigliosa concordia di oggi. Esultino tutti i fedeli in ogni parte del mondo, e i cristiani si rallegrino con la loro madre, la chiesa cattolica.
Ecco, infatti: i padri occidentali ed orientali, dopo un lunghissimo periodo di dissenso e di discordia, esponendosi ai pericoli del mare e della terra, superate fatiche di ogni genere, sono venuti, lieti e gioiosi, a questo sacro concilio ecumenico col desiderio di rinnovare la sacratissima unione e l'antica carità. E la loro attesa non è stata vana.
Infatti dopo lunga e laboriosa ricerca finalmente, per la clemenza dello Spirito santo, hanno raggiunto la desideratissima e santissima unione. Chi potrebbe, quindi, rendere le dovute grazie per i benefici di Dio onnipotente? (46) Chi potrebbe non meravigliarsi per l'abbondanza di una cosi grande misericordia divina? Chi avrebbe un cuore tanto indurito da non essere commosso dalla grandezza della divina pietà?
Tali opere sono schiettamente divine, non frutto dell'umana fragilità. Esse devono essere accolte, quindi, con somma venerazione e celebrate con lodi a Dio. A te la lode, a te la gloria, a te il ringraziamento, Cristo, fonte di misericordie, che hai ricolmato di tanto bene la tua sposa, la chiesa cattolica ed hai mostrato a questa nostra generazione i prodigi della tua pietà, perché tutti lodino le tue meraviglie (47).
Dio, infatti, ci ha fatto davvero un dono grande e divino e abbiamo visto coi nostri occhi quello che molti, prima di noi avevano intensamente desiderato, ma non avevano potuto vedere (48).
Radunatisi, infatti, i Latini e i Greci in questo sacrosanto concilio ecumenico, gli uni e gli altri hanno posto grande impegno perché, tra le altre cose, con somma diligenza e assidua. ricerca fosse discusso anche l'articolo della divina processione dello Spirito santo.
Addotte, quindi, le testimonianze scavate dalle divine scritture e da molti passi dei santi dottori orientali ed occidentali, poiché qualcuno dice che lo Spirito santo procede dal Padre e dal Figlio, qualcuno, invece, che procede dal Padre attraverso il Figlio, dato che con diverse formulazioni tutti intendono la medesima realtà, i Greci affermano che dicendo che lo Spirito santo procede dal Padre non intendono escludere il Figlio; ma poiché sembrava loro, come dicono, che i Latini asseriscono che lo Spirito santo procede dal Padre e dal Figlio come da due principi e da due spirazioni, per questo si astengono dal dire che lo Spirito santo procede dal Padre e dal Figlio.
I Latini dal canto loro affermano che dicendo che lo Spirito santo procede dal Padre e dal Figlio non intendono escludere che il Padre sia la fonte e il principio di ogni divinità, cioè del Figlio e dello Spirito santo; né vogliono negare che il Figlio abbia dal Padre [il fatto] che lo Spirito santo procede dal Figlio; né ritengono che vi siano due principi o due spirazioni; ma affermano che unico è il principio ed unica la spirazione dello Spirito santo, come finora hanno asserito.
E poiché da tutto ciò scaturisce un unico ed identico senso della verità, finalmente con lo stesso senso e con lo stesso significato essi si sono intesi e hanno convenuto nella seguente formula d'unione, santa e gradita a Dio.
Nel nome della santa Trinità, Padre, Figlio e Spirito santo, con l'approvazione di questo sacro ed universale concilio fiorentino, definiamo che questa verità di fede debba essere creduta e accettata da tutti i cristiani; e così tutti debbono professare che lo Spirito santo è eternamente dal Padre e dal Figlio, che ha la sua essenza e l'essere sussistente ad un tempo dal Padre e dal Figlio, e che dall'eternità procede dall'uno e dall'altro come da un unico principio e da un'unica spirazione; e dichiariamo che quello che affermano i santi dottori e padri - che lo Spirito santo procede dal Padre
per mezzo del Figlio, - tende a far comprendere che anche il Figlio come il Padre è causa, secondo i Greci, principio, secondo i Latini, della sussistenza dello Spirito santo.
E poiché tutto quello che è del Padre, lo stesso Padre lo ha dato al Figlio con la generazione, meno l'essere Padre; questa stessa processione della Spirito santo dal Figlio l'ha dall'eternità anche il Figlio dal Padre, da cui è stato pure eternamente generato.
Definiamo, inoltre, che la spiegazione data con l'espressione Filioque, è stata lecitamente e ragionevolmente aggiunta al simbolo per rendere più chiara la verità e per necessità allora incombenti.
Similmente definiamo che nel pane di frumento, sia azzimo che fermentato, si consacra veramente il corpo del Cristo, e che i sacerdoti devono consacrare il corpo del Signore nell'uno o nell'altro, ciascuno, cioè, secondo la consuetudine della sua chiesa, occidentale o orientale.
Inoltre definiamo che le anime di chi, veramente pentito, muore nell'amore di Dio, prima di aver soddisfatto per i peccati e le omissioni con degni frutti di penitenza, vengono purificate dopo la morte con le pene del purgatorio; che, perché siano sollevate da queste pene, sono loro utili i suffragi dei fedeli viventi, cioè il sacrificio della messa, le preghiere, le elemosine, ed altre pratiche di pietà, che i fedeli usano offrire per gli altri fedeli, secondo le consuetudini della chiesa.
Le anime di quelli che dopo aver ricevuto il battesimo non sono incorse in nessuna macchia; e anche quelle che, dopo aver contratto la macchia del peccato, sono state purificate o durante la loro vita, o, come sopra è stato detto, dopo essere state spogliate dai loro corpi, vengono subito accolte in cielo e vedono chiaramente Dio stesso, uno e trino, cosi com'è, nondimeno uno più perfettamente dell'altro, a seconda della diversità dei meriti. Invece, le anime di quelli che muoiono in peccato mortale attuale, o anche solo nel peccato originale, scendono subito nell'inferno; subiranno tuttavia la punizione con pene diverse.
Definiamo inoltre che la santa sede apostolica e il romano pontefice hanno il primato su tutta la terra; che lo stesso romano pontefice è il successore del beato Pietro principe degli apostoli e vero vicario di Cristo, capo di tutta la chiesa e padre e maestro di tutti i cristiani; che a lui, nel beato Pietro, è stato dato da nostro signore Gesù Cristo pieno potere di pascere, reggere e governare la chiesa universale, come del resto è detto (49) negli atti dei concili ecumenici e nei sacri canoni.
Rinnoviamo, infine, l'ordine trasmesso nei canoni tra gli altri venerabili patriarchi, per cui il patriarca di Costantinopoli sia il secondo dopo il santissimo pontefice romano; che il terzo sia il patriarca alessandrino; il quarto quello di Antiochia; il quinto quello di Gerusalemme, salvi tutti i loro privilegi e diritti.
SESSIONE VII (4 settembre 1439)
(Decreto del concilio fiorentino contro il concilio di Basilea).
Eugenio vescovo, servo dei servi di Dio, a perpetua memoria.
Mosè, uomo di Dio, zelante per la salvezza del popolo affidatogli e temendo che l'ira di Dio si abbattesse su di esso, se avesse seguito lo scisma sedizioso di Core, Datan e Abiron, per comando di Dio disse a tutto il popolo: Allontanatevi dalle tende degli empi, e non toccate quanto loro appartiene, perché non siate coinvolti nei loro peccati (50). Aveva compreso, infatti, per ispirazione del Signore stesso, che quei sediziosi e scismatici avrebbero ricevuto una gravissima punizione, come poi mostrarono gli avvenimenti, quando la terra stessa non poté sostenerli e li inghiotti, per giusto giudizio di Dio; e cosi discesero viventi nell'inferno.
Cosi anche noi, cui il signore Gesù Cristo, anche se indegni, si è degnato affidare il suo popolo, sentendo il delitto esecrando che alcuni scellerati hanno perpetrato in questi ultimi giorni a Basilea per scindere l'unità della santa chiesa, e temendo che possano sedurre con le loro frodi gli incauti e avvelenarli, ci vediamo costretti a gridare con uguali espressioni allo stesso popolo del signore nostro Gesù Cristo: Allontanatevi dalle tende degli empi (51); tanto più che il popolo cristiano è molto più numeroso di quello dei Giudei di allora e la chiesa è più santa della sinagoga, e il vicario di Cristo è superiore per autorità e dignità allo stesso Mosè.
Questa empietà dei Basileesi già da tempo l'avevamo prevista; vedevamo infatti quel concilio scivolare verso la tirannide: molti di grado inferiore, allora, venivano costretti ad andare o a restare secondo l'arbitrio dei capi di una fazione; i voti e i giudizi di parecchi venivano estorti con diversi artifici ed altri venivano ingannati con buie ed inganni; e quasi tutto doveva sottostare a cospirazioni, congiure, accaparramenti, conciliaboli, e per ambizione del papato si cercava di allungare all'infinito la durata del concilio, dove, infine, si introducevano innumerevoli novità, disordini, deformazioni e si perpetravano quasi infiniti mali, cui concorrevano anche chierici costituiti negli ordini sacri, ma ignoranti, inesperti, vagabondi, indisciplinati, fuggiaschi, apostati, condannati per crimini, fuggiti dalle carceri, ribelli a noi e ai loro superiori ed altri simili campioni, i quali attingevano da questi maestri di scelleratezze ogni macchia di corruzione.
Notiamo ancora per quanto riguarda l'opera santissima dell'unione della chiesa orientale, che noi la vedevamo in, serio pericolo proprio per l'inganno di alcuni faziosi.
Volendo, quindi, provvedere a tanti mali, almeno per quanto era in noi, per le ragioni accennate e per altre cause ragionevoli e necessarie, chiaramente esposte nel decreto di traslazione, col consiglio dei nostri venerabili fratelli cardinali della santa chiesa romana, con la piena approvazione di moltissimi venerabili fratelli e diletti figli arcivescovi, vescovi, abati e di altri prelati e maestri e dottori, abbiamo trasferito il concilio di Basilea nella città di Ferrara, dove abbiamo dato anche l'avvio, con l'aiuto di Dio, al concilio ecumenico con la chiesa occidentale ed orientale.
Poi, sopravvenuto il contagio della peste e dato che esso non cessava, con la grazia di Dio e con l'approvazione del sacro concilio lo abbiamo trasferito in questa città di Firenze; qui il piissimo e clementissimo Iddio ha mostrato le sue meraviglie: infatti lo scisma dannosissimo che si protraeva nella chiesa di Dio con enorme danno di tutta la cristianità da quasi cinquecento anni, alla cui estirpazione si erano duramente affaticati moltissimi santi pontefici nostri predecessori, molti re e principi ed altri cristiani con grandi fatiche e spese, finalmente, dopo molte discussioni pubbliche e private in entrambe le città, dopo diverse trattative e non poche fatiche, è stato eliminato ed è stata felicemente realizzata la santissima unione dei Latini e dei Greci, come più ampiamente viene riferito nel decreto precedentemente emanato e solennemente promulgato.
Perciò, rendendo all'eterno Padre innumerevoli grazie e gioiendo con tutto il popolo fedele, abbiamo offerto a Lui il sacrificio del giubilo e della lode. Abbiamo visto, infatti, chiamato alla terra promessa, non un solo popolo come quello Ebreo, ma popoli e nazioni e genti di ogni lingua (52) incontrarsi per proclamare e servire unanimemente la divina verità; per cui sorge ormai anche la grande speranza che lo stesso sole di giustizia (53), che sorge in oriente, estenda i raggi
della sua luce alle tenebre di molte altre genti, anche infedeli, e si operi la salvezza di Dio fino agli ultimi confini della terra (54).
Di tutto ciò abbiamo già, per divina volontà, ottime garanzie poiché Dio onnipotente, per mezzo nostro, ci ha concesso che gli ambasciatori degli Armeni giungessero in questi giorni dalle lontanissime parti del settentrione presso di noi, presso la sede apostolica e presso questo sacro concilio con pieni poteri.
Questi, considerandoci e venerandoci come il beato Pietro, principe degli apostoli, e riconoscendo nella stessa sede apostolica la madre e la maestra di tutti i fedeli, hanno affermato di essere venuti ad essa e al concilio per ottenere cibo spirituale e la verità della sana dottrina. Per questo avvenimento abbiamo di nuovo reso molte grazie al nostro Dio.
Ma lo spirito trema nel ricordare quante molestie, quante opposizioni, quante persecuzioni abbiamo incontrato finora in questa divina opera, e non certo dai Turchi o dai Saraceni, ma da chi si dice cristiano.
Riferisce s. Gerolamo che dai tempi di Adriano fino all'impero di Costantino sul luogo della resurrezione del Signore i pagani veneravano una statua di Giove e sul dirupo della croce una statua marmorea di Venere: gli autori della persecuzione credevano che avrebbero spento in noi la fede nella resurrezione e nella croce se avessero profanato quei luoghi coi loro idoli.
Qualcosa di simile è perpetrato in questi giorni, contro di noi e la chiesa di Dio da quegli sciagurati che sono a Basilea; sennonché quello è stato fatto da pagani, che non conoscevano il vero Dio; questo, da gente che lo conosce e lo odia (55); quindi la loro superbia, come dice il profeta, cresce sempre (56), e tanto più pericolosamente, inquantoché essi diffondono i loro veleni col pretesto della riforma, che essi però hanno sempre avuto in orrore per se stessi.
Per prima cosa, infatti, questi fautori di ogni scandalo a Basilea hanno mancato di fede ai Greci. Essi avevano appreso dagli ambasciatori degli stessi Greci e della chiesa orientale che il nostro carissimo figlio in Cristo Giovanni Paleologo, illustre imperatore dei Romani, Giuseppe, patriarca di Costantinopoli, di buona memoria, e gli altri sia prelati che membri della chiesa orientale intendevano recarsi al luogo legittimamente scelto per la celebrazione del concilio ecumenico dai nostri legati e presidenti e da altri dei più insigni personaggi a cui, dopo gravi dissensi tra i partecipanti al concilio, era stato devoluto il diritto di scegliere il luogo, secondo l'accordo raggiunto col comune consenso del concilio stesso. Sapendo anche che noi, dietro supplica e istanza dei suddetti ambasciatori nel concistoro generale di Bologna, avevamo confermato questa scelta e inviavamo a Costantinopoli le galere e le altre cose necessarie per l'opera di questa santissima unione con molte fatiche e denaro, hanno osato indirizzare un volgare documento di ammonizione o di citazione contro di noi e i suddetti cardinali, per interrompere questa santa impresa, e mandarlo all'imperatore e al patriarca di Costantinopoli per distoglierli - loro e tutti gli altri - dal venire. Sapevano bene, infatti, che essi, come si è detto, non sarebbero andati assolutamente in nessun altro posto, fuorché in quello scelto.
Inoltre, quando essi hanno saputo che l'imperatore, il patriarca e gli altri erano giunti da noi per l'opera santissima dell'unione, hanno tentato di tendere a quest'opera divina un altro laccio di empietà emanando cioè contro di noi un'empia sentenza di sospensione dall'esercizio del papato.
Da ultimo, questi maestri di scandali, - in verità pochissimi di numero, e quasi tutti di modestissima condizione e di nessun nome - veri odiatori della pace, accumulando iniquità su iniquità temendo di trovarsi davanti alla giustizia del Signore (57) accortisi che la grazia dello Spirito santo per l'unione dei Greci gia operava in noi, deviando dalla retta via per i tortuosi sentieri dell'errore, il 16 maggio scorso hanno tenuto una pretesa sessione, dichiarando di attenersi ad alcuni decreti, anche se emanati da una sola delle tre obbedienze, dopo la fu-a di colui che nella sua obbedienza era chiamato Giovanni XXIII quando a Costanza vi era ancora lo scisma. Essi hanno enunciato, considerando noi, tutti i principi e prelati e gli altri fedeli e devoti della sede apostolica come eretici, tre proposizioni, che chiamano verità di fede, e che sono contenute in queste frasi:
"La verità che enuncia il potere del concilio generale, espressione della chiesa universale, sul papa e su chiunque altro, dichiarata dai concili generali di Costanza e da questo di Basilea, è verità di fede cattolica.
Questa verità che il papa non può con la sua autorità sciogliere o prorogare ad altro tempo o trasferire da un luogo ad un altro, senza il suo consenso, un concilio generale espressione della chiesa universale, legittimamente riunito per le materie dichiarate nella suddetta verità o qualche loro punto particolare, è verità di fede cattolica.
Chi pertinacemente non accetta le predette verità dev'essere considerato eretico (58).
In ciò sono dannosissimi, perché camuffano la loro malvagità sotto parvenza di verità di fede e distorcono il concilio di Costanza ad un significato empio, riprovevole e dei tutto alieno dalla sua dottrina; e seguono l'insegnamento di tutti gli scismatici ed eretici, che cercano sempre di costruirsi i loro erronei ed empi dogmi sulla base delle divine scritture e dei santi padri, interpretati perversamente.
Finalmente, allontanando completamente il loro cuore e svolgendo altrove i loro occhi per non vedere il cielo e per non ricordare i giudizi dei giusti (59) a somiglianza di Dioscoro e del condannato sinodo di Efeso, con inespiabile scelleratezza sono giunti ad emanare una velenosa ed esecrabile sentenza circa la pretesa privazione della dignità e dell'Ufficio del sommo apostolato, il cui contenuto, inaccettabile per ogni mente sana, intendiamo qui sufficientemente espresso; e non hanno trascurato nulla, per quanto era in loro, per far naufragare completamente questo incomparabile beneficio dell'unione.
O figli miseri e degeneri! O generazione malvagia e adultera! (60) Cosa c'è di più crudele di questa empietà ed iniquità? Cosa si può pensare di più detestabile, di più orribile, di più pazzo?
Avevano detto, un tempo, che niente di meglio né di più glorioso ed utile di questa santissima unione era stato mai visto o sentito in mezzo al popolo cristiano dai primi tempi della chiesa; e che non era bene, in cosa di tanta importanza, far questione di luogo, ma che per conseguirla si doveva essere disposti non solo a mettere i repentaglio i possessi di questo mondo, aria il corpo e la vita stessa; e per questo hanno gridato per tutto il mondo e hanno messo sottosopra il popolo cristiano, come si può desumere dai loro decreti e dalle loro lettere. Ora, invece, perseguitano tutto ciò con tanto furore, con tanta empietà da sembrare che siano confluiti a quel latrocinio di Basilea tutti i demoni del mondo.
E benché Dio non abbia permesso finora che la loro iniquità, che sempre mentisce loro (61), prevalesse, poiché, tuttavia, essi cercano con tutte le loro forze di portare a compimento l'abominazione della desolazione nella chiesa di Dio (62), noi, non potendo in nessun modo ignorare tutto ciò senza gravissima offesa di Dio e pericolo imminente di confusione e abominazione nella sua chiesa, secondo il dovere del nostro ufficio pastorale, - anche perché molti, accesi dello zelo di Dio, ci sollecitano a ciò - intendiamo ovviare a tanti mali e, per quanto è in noi, opportunamente e salutarmente provvedere, eliminando questa odiosa empietà e perniciosissima peste dalla chiesa di Dio.
Seguendo, perciò, le orme dei nostri predecessori, soliti, come scrive papa Nicola di santa memoria, cancellare anche i concili iniquamente celebrati dai sommi pontefici, come avvenne del concilio universale efesino secondo, - che papa Leone rinnegò, riconoscendo autorità a quello di Calcedonia,
con la nostra autorità apostolica e con l'approvazione di questo sacro concilio fiorentino, rinnoviamo il solenne e salutare decreto contro quei sacrileghi, da noi pubblicato nel sacro concilio generale di Ferrara il 15 febbraio 1438; decreto con cui, tra l'altro, con l'approvazione dello stesso concilio, dichiarammo che tutti e singoli quelli che a Basilea, sotto il nome del preteso concilio - che è piuttosto una conventicola -, contravvenivano al trasferimento e alla dichiarazione da noi fatti, ed osavano cose scandalose e nefande - anche se si fosse trattato di persone rivestite della dignità cardinalizia, patriarcale, arcivescovile, vescovile, abbaziale, o di qualsiasi altra dignità ecclesiastica o secolare - sarebbero incorsi nelle pene di scomunica, di privazione delle dignità, dei benefici ed uffici, e di inabilità ad averne in futuro, contenute nelle nostre lettere di trasferimento.
Stabiliamo e decretiamo di nuovo che tutto ciò che è stato fatto e tentato dagli empi che sono a Basilea, di cui si fa menzione nel nostro decreto di Ferrara, e ugualmente ciò che è stato fatto, compiuto, tentato dopo, e specialmente nelle due pretese sessioni, o, per essere più precisi cospirazioni cui abbiamo accennato da ultimo e tutto ciò che possa essere seguito da esse o che potrebbe derivarne in futuro, poiché si tratta di cose fatte da uomini empi, senza alcuna potestà, ma. rigettati e riprovati da Dio, è stato ed è tutto nullo, vano e senza effetto, come atti presunti e assolutamente privi di efficacia, valore ed importanza.
Con l'approvazione del santo concilio, inoltre, condanniamo e riproviamo le proposizioni sopra menzionate nel senso corrotto inteso dagli stessi Basileesi, contrario al senso genuino delle sacre scritture, dei santi padri e dello stesso concilio di Costanza; ed inoltre la asserita sentenza di privazione, di cui si è parlato, con tutte le conseguenze già verificatesi o che si verificheranno in futuro: sono, infatti, empie e scandalose, e tendono ad un aperto scisma nella chiesa di Dio e al sovvertimento di ogni ordine ecclesiastico e del potere cristiano.
Decretiamo anche e dichiariamo che tutti e singoli quelli di cui parliamo sono stati e sono scismatici ed eretici e che come tali, oltre alle pene stabilite nel concilio di Ferrara, sono da punirsi nel modo meritato con tutti i loro fautori o difensori, di qualunque stato, condizione o grado, sia ecclesiastico che secolare, anche se fossero insigniti della dignità, cardinalizia, patriarcale, arcivescovile, vescovile, abbaziale, o di qualsiasi altra dignità, perché abbiano la meritata. parte con i predetti Core, Datan e Abiron (63).
SESSIONE VIII (22 novembre 1439)
(Bolla di unione degli Armeni).
Eugenio vescovo, servo dei servi di Dio, a perpetua memoria.
Lodate Dio, nostra forza, glorificate il Dio di Giacobbe (64) voi tutti che avete il nome di cristiani. Ecco, il Signore, infatti, ricordandosi ancora della sua Misericordia (65), si è degnato rimuovere dalla sua chiesa un'altra causa di dissenso, che durava da oltre novecento anni. Colui che mantiene la concordia nei cieli (66) e in terra è pace per gli uomini di buona volontà (67) ci ha concesso, nella sua ineffabile misericordia, la desideratissima riunione degli Armeni.
Sia benedetto Dio, Padre del signore nostro Gesù Cristo, padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione, il quale si degna consolarci in ogni nostra tribolazione (68). Infatti, il Signore piissimo vedendo che la sua chiesa, ora dall'esterno (69) ora dall'interno, è agitata da non piccole difficoltà, si degna consolarla e rafforzarla ogni giorno in molti modi, perché possa respirare tra le angustie e sia capace di far fronte a problemi sempre maggiori.
Poco fa egli ha restituito nel vincolo di fede e di carità con la sede apostolica i Greci che comprendono molte nazioni e lingue, diffuse per ampie, lontane regioni; oggi il popolo Armeno, diffuso verso settentrione e oriente in gran numero. Si tratta di benefici tanto grandi della divina pietà, che l'uomo non potrebbe render degne grazie alla divina maestà, nonché per entrambi, neppure per uno. Come non meravigliarsi grandemente che, in così breve tempo, siano state condotte felicemente a termine in questo sacro concilio due opere così grandi e desiderate per tanti secoli? Davvero questo è stato fatto dal Signore, ed è meraviglioso ai nostri occhi (70). Quale prudenza o industria umana, infatti, avrebbe potuto compiere tali e cosi grandi cose, se la grazia di Dio non le avesse iniziate e concluse?
Lodiamo, quindi, e benediciamo il Signore con tutto il cuore, lui che, solo, compie grandi meraviglie (71). Cantiamolo con lo spirito, con la mente, con la bocca e con le opere (72), com'è possibile all'umana fragilità. Ringraziamolo di tanti doni, pregandolo e scongiurandolo che come i Greci e gli Armeni si sono uniti con la chiesa romana, cosi avvenga delle altre nazioni, specie di quelle insignite del carattere cristiano; e cosi, finalmente, tutto il popolo cristiano, spenti gli odi e le guerre, goda di scambievole pace e di fraterna carità nella tranquillità.
Gli Armeni sono giustamente degni di grandi elogi e di lodi. Infatti non appena invitati al sinodo da noi, quasi avidi dell'unità della chiesa, da regioni lontanissime, attraverso molte fatiche e pericoli del mare, hanno mandato a noi e a questo sacro concilio i loro ambasciatori, nobili, devoti, dotti, col dovuto mandato, per esaminare, cioè, tutto quello che lo Spirito santo avesse suggerito a questo santo sinodo.
Da parte nostra, desiderando con tutto il cuore portare a compimento un'opera cosi santa, come del resto comportava il nostro ufficio di pastore, abbiamo spesso trattato con gli ambasciatori di questa santa unione. E perché non si tardasse neppure un poco in questa santa cosa, abbiamo incaricato persone di ogni stato di questo sacro concilio, dottissime nelle scienze divine e umane, perché con ogni cura, studio e diligenza trattassero il problema cori gli ambasciatori, informandosi diligentemente quale fosse la loro fede, sia circa l'unità della divina essenza e la trinità delle divine persone, che circa l'umanità di nostro signore Gesù Cristo, i sette sacramenti della chiesa, ed altri punti che riguardano la retta fede e i riti della chiesa universale.
Dopo molte dispute e confronti e dopo un profondo esame di testimonianze tratte dai santi padri e dottori della chiesa, finalmente, perché in futuro non sorga alcun dubbio sulla verità della fede presso gli Armeni, ed in tutto consentano con la sede apostolica e l'unione stessa possa durare senza incrinature, stabilmente e per sempre, abbiamo pensato, con l'approvazione di questo sacro concilio fiorentino e col consenso degli stessi ambasciatori, di presentare con questo decreto, in breve compendio, la verità della fede ortodossa, che su questi argomenti professa la chiesa di Roma.
Prima di tutto diamo loro il santo simbolo, approvato da centocinquanta vescovi nel concilio ecumenico di Costantinopoli, con l'aggiunta Filioque, apportata lecitamente e ragionevolmente allo stesso simbolo per chiarire la verità e sotto la spinta della necessità.
Il contenuto è questo: Credo... (73).
Stabiliamo poi che questo santo simbolo venga cantato o letto in tutte le lingue degli Armeni, durante la messa, almeno in tutte le domeniche e nelle maggiori festività, come si usa presso i Latini.
Secondo. Diamo loro la definizione del quarto concilio di Calcedonia, - rinnovata poi nel quinto e sesto concilio universale - stille due nature nella stessa persona di Cristo, che è questa: Sarebbe stato, dunque, già sufficiente... (74).
Terzo. La definizione delle due volontà e delle due operazioni del Cristo, promulgata nell'accennato sesto concilio, del seguente tenore: Sarebbe stato sufficiente, con tutto ciò che segue nella stessa definizione del concilio di Calcedonia riferita più sopra, fino alla fine, cui segue: Predichiamo anche in lui due volontà naturali... (75).
Quarto. Poiché gli Armeni, fino a questo momento, fuori dei tre sinodi Niceno, Costantinopolitano e primo di Efeso, non hanno accettato nessun altro sinodo universale posteriore, e neppure lo stesso beatissimo vescovo di questa santa sede Leone, per la cui autorità il concilio di Calcedonia fu indetto, - poiché era stato loro insinuato che sia il concilio di Calcedonia, che papa Leone avevano emanato la loro definizione in armonia con la dannata eresia di Nestorio - li abbiamo istruiti, spiegando loro che l'insinuazione era falsa e che il concilio di Calcedonia e il beatissimo Leone avevano definito santamente e rettamente la verità delle due nature nella stessa persona del Cristo contro le empie asserzioni di Nestorio e di Eutiche. Ed abbiamo comandato loro che in futuro ritengano e venerino come santo - e giustamente iscritto nel catalogo dei santi - lo stesso beatissimo Leone, che fu una colonna della vera fede, pieno di santità e dottrina; e che, come tutti gli altri fedeli, accettino con riverenza non solo i tre sinodi che abbiamo detto, ma anche tutti gli altri concili universali, legittimamente celebrati per autorità del romano pontefice.
Quinto. Per una più facile comprensione per gli Armeni, presenti e futuri, abbiamo compendiato in questa brevissima formula la dottrina sui sacramenti: sette sono i sacramenti della nuova legge: battesimo, confermazione, eucarestia, penitenza, estrema unzione, ordine e matrimonio. Essi sono molto differenti dai sacramenti dell'antica legge: quelli, infatti, non producevano la grazia, ma indicavano solo che questa sarebbe stata data per la passione di Cristo. I nostri, invece, contengono la grazia e la danno a chi li riceve degnamente. Di essi, i primi cinque sono ordinati alla perfezione individuale di ciascuno, i due ultimi, al governo e alla moltiplicazione di tutta la chiesa.
Col battesimo, infatti, noi rinasciamo spiritualmente. La confermazione aumenta in noi la grazia e ci fortifica nella fede. Rinati e fortificati, siamo nutriti col cibo della divina eucarestia. E se col peccato ci ammaliamo nell'anima, cori la penitenza veniamo spiritualmente guariti. Spiritualmente - e, se giova all'anima, anche corporalmente - ci guarisce l'estrema unzione. Con l'ordine la chiesa è governata e moltiplicata spiritualmente; col matrimonio cresce materialmente.
Tutti questi sacramenti constano di tre elementi: cose come materia, parole come forma, la persona del ministro che conferisce il sacramento, con l'intenzione di fare quello che fa la chiesa. Se manca uno di questi elementi, il sacramento non si compie.
Tra questi sacramenti, ve ne sono tre: battesimo, cresima e ordine, che imprimono indelebilmente nell'anima il carattere, ossia un segno spirituale che distingue dagli altri. Perciò non si ripetono nella stessa persona. Gli altri quattro non imprimono il carattere e possono ripetersi.
Primo di tutti i sacramenti è il battesimo, che è la porta della vita spirituale. Con esso diveniamo membra di Cristo e parte del corpo della chiesa. E poiché attraverso il primo uomo è entrata in tutti (76) la morte, se noi non rinasciamo per mezzo dell'acqua e dello Spirito, non possiamo, come dice la verità, entrare nel regno di Dio (77). Materia di questo sacramento è l'acqua vera e naturale; né importa se calda o fredda. Forma sono le parole: "Io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo". Non neghiamo, però, che anche con le parole: "Sia battezzato il tale servo di Cristo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo"; o con le altre: "Con le mie mani viene battezzato il tale nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo", si amministri il vero battesimo. Ciò perché, essendo causa principale da cui il battesimo ha la sua efficacia - la SS. Trinità, causa strumentale, invece, il ministro che compie esteriormente il sacramento, se si esprime l'azione, che viene compiuta dal ministro, con l'invocazione della santa Trinità, si ha un vero sacramento. Ministro di questo sacramento è il sacerdote, cui, per ufficio, compete battezzare; ma in caso di necessità non solo può battezzare un sacerdote o un diacono, ma anche un laico o una donna; anzi, perfino un pagano o un eretico, purché usi la forma della chiesa e intenda fare quello che fa la chiesa. Effetto di questo sacramento è la remissione di ogni colpa, originale e attuale, e di ogni pena dovuta per la stessa colpa. Non si deve, quindi, imporre ai battezzati nessuna penitenza per i peccati passati; e quelli che muoiono prima di commettere qualche colpa, vanno subito nel regno dei cieli e alla visione di Dio.
Il secondo sacramento è la confermazione la cui materia è il crisma, composto di olio - che significa lo splendore della coscienza - e di balsamo, - che significa il profumo della buona fama -, benedetto dal vescovo. Forma sono le parole: "Ti segno col segno della croce, e ti confermo col crisma della salvezza, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo". Ministro ordinario è il vescovo. E mentre le altre unzioni può farle un semplice sacerdote, questa non può farla se non il vescovo, perché dei soli apostoli, di cui i vescovi fanno le veci, si legge che davano lo Spirito santo con l'imposizione delle mani, come mostra la lettura degli Atti degli Apostoli: Avendo infatti sentito gli apostoli che la Samaria aveva accolto la parola di Dio, mandarono ad essi Pietro e Giovanni; questi, giunti colà, pregarono per essi perché ricevessero lo Spirito santo:non era ancora disceso, infatti, in nessuno di essi, una erano stati solo battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imposero loro le mani e ricevettero lo Spirito santo (78). La confermazione, nella chiesa, tiene precisamente il luogo di quella imposizione delle mani. Si legge, tuttavia, che qualche volta, con dispensa della sede apostolica e per un motivo ragionevole e urgentissimo, un semplice sacerdote abbia amministrato il sacramento della confermazione col crisma consacrato dal vescovo. Effetto di questo sacramento è che per mezzo suo viene dato lo Spirito santo per rendere forti, come fu dato agli apostoli il giorno di Pentecoste (79), perché il cristiano possa audacemente confessare il nome del Cristo. E’ per questo che il confermando viene unto sulla fronte, dov'è la sede del sentimento dell'onore; perché non si vergogni di confessare il nome del Cristo, e specialmente la sua croce, che è scandalo Per i Giudei, stoltezza per le genti (80) secondo l'apostolo, e per cui viene segnato col segno della croce.
Il terzo sacramento è l'eucarestia. La sua materia è il pane di frumento e il vino di uva, cui prima della consacrazione deve aggiungersi un po' d'acqua. L'acqua si aggiunge perché, secondo le testimonianze dei santi padri e dottori della chiesa, addotte nelle discussioni, si crede che il Signore stesso abbia istituito questo sacramento con vino misto a acqua, e anche perché questo rappresenta bene la passione del Signore. Dice infatti il beato papa Alessandro, V dopo S. Pietro: "Nelle offerte dei sacramenti, che vengono presentate al Signore durante la messa, siano offerti in sacrificio solo il pane e il vino misto ad acqua. Non si deve, infatti, offrire nel calice dei Signore o il vino solo o l'acqua sola, ma l'uno e l'altra insieme, perché l'uno e l'altra, cioè il sangue e l'acqua, si legge essere sgorgati dal fianco di Cristo" (81); ciò esprime anche l'effetto di quello sacramento: l'unione del popolo cristiano con Cristo. L'acqua, infatti, significa il popolo, secondo l'espressione dell'Apocalisse: acque molte, popoli molti (82). E papa Giulio, secondo dopo il beato Silvestro, dice: Il calice del Signore dev'essere offerto, secondo i canoni, con acqua e vino mischiati insieme, perché l'acqua prefigura il popolo e il vino è il sangue di Cristo. Perciò quando si mischia nel calice l'acqua col vino, si unisce il popolo a Cristo, e la schiera dei fedeli si congiunge con colui, nel quale crede. Se, dunque, sia la santa chiesa e romana, istruita dai beatissimi apostoli Pietro e Paolo, che tutte le altre chiese latine e greche, nelle quali fiorirono splendori di santità e dottrina, hanno conservato quest'uso fin dall'inizio della chiesa nascente, e lo conservano ancora, sembrerebbe sommamente sconveniente che qualsiasi altra nazione differisca da questa pratica universale e ragionevole.
Stabiliamo, quindi, che anche gli Armeni si conformino a tutto il resto del mondo cristiano, e che i loro sacerdoti nell'offrire il calice aggiungano un po’ d'acqua al vino.
Forma di questo sacramento sono le parole del Salvatore, con le quali lo offrì. Il sacerdote, infatti, lo compie parlando nella persona di Cristo. E in virtù delle stesse parole la sostanza del pane diviene corpo di Cristo, e quella del vino sangue; in modo che tutto il Cristo è contenuto sotto la specie del pane e tutto sotto la specie del vino e in qualsiasi parte di ostia consacrata e di vino consacrato, fatta la separazione, vi è tutto il Cristo. L'effetto, di questo sacramento, che si operi nell'anima di chi lo riceve degnamente, è l'unione dell'uomo col Cristo. E poiché per la grazia l'uomo viene incorporato al Cristo, e viene unito alle sue membra, ne consegue che per mezzo di questo sacramento, in quelli che lo ricevono degnamente, la grazia viene accresciuta, e che tutti gli effetti che il cibo e la bevanda materiale producono nella vita del corpo, sostentandolo, aumentandolo, rigenerandolo, dilettandolo, questo sacramento li produce nella vita spirituale; esso nel quale, come dice papa Urbano IV, commemoriamo la grata memoria del nostro Salvatore, siamo preservati dal male, rafforzati nel bene e progrediamo accrescendo le virtù e le grazie.
Il quarto sacramento è la penitenza, di cui materia sono gli atti del penitente, distinti in tre categorie: prima è la contrizione del cuore, che consiste nel dolore del peccato commesso, col proposito di non peccare in avvenire. Seconda, la confessione orale, nella quale il peccatore confessa integralmente al suo sacerdote tutti i peccati di cui si ricorda; terzo, la soddisfazione dei peccati, ad arbitrio del sacerdote. Si soddisfa specialmente con la preghiera, col digiuno e con l'elemosina. Forma di questo sacramento sono le parole dell'assoluzione, che il sacerdote pronuncia quando dice: "Io ti assolvo". Ministro di questo sacramento è il sacerdote che ha il potere di assolvere, ordinario, o delegato dal superiore. Effetto di questo sacramento è l'assoluzione dai peccati.
Quinto sacramento è l'estrema unzione; sua materia è l'olio d'oliva benedetto dal vescovo. Questo sacramento non si deve dare se non ad un infermo di cui si teme la morte. Egli dev'essere unto in queste parti: negli occhi, per la vista; nelle orecchie, per l'udito; nelle narici, per l'odorato; nella bocca, per il gusto e la parola; nelle mani, per il tatto; nei piedi, per camminare; nei reni, per il piacere, che vi ha la sua sede. Forma del sacramento è questa: "Per questa unzione e per la sua piissima misericordia, il Signore ti perdoni tutto ciò che hai commesso con la vista". E similmente nell'ungere nelle altre parti. Ministro di questo sacramento è il sacerdote. Effetto è la sanità della mente, e, se giova all'anima, anche quella del corpo. Di questo sacramento dice S. Giacomo: Si ammala qualcuno fra voi? Chiami gli anziani della chiesa; questi preghino su di lui, ungendolo con olio nel nome del Signore. La preghiera della fede salverà l'infermo e il Signore lo solleverà. E se avesse peccato, gli sarà perdonato (83).
Il sesto sacramento è quello dell'ordine: Materia di esso è ciò con la cui consegna viene conferito l'ordine. Cosi il presbiterato viene conferito con la consegna del calice col vino e della patena col pane; il diaconato con la consegna del libro degli Evangeli; il suddiaconato, con la consegna del calice e della patena vuoti. E cosi per gli altri ordini, con la consegna delle cose che sono proprie del ministero relativo. Forma del sacerdozio è questa: "Ricevi il potere d offrire il sacrificio nella chiesa, per i vivi e per i morti, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo". E cosi per le forme degli altri ordini, come sono ampiamente riferite nel pontificale romano. Ministro ordinario di questo sacramento è il vescovo. Effetto è l'aumento della grazia, perché si possa essere buoni ministri di Cristo.
Settimo è il sacramento del matrimonio, simbolo dell'unione di Cristo e della chiesa, secondo l'apostolo, che dice: Questo sacramento è grande; lo dico in riferimento al Cristo e alla chiesa (84). Causa efficiente del sacramento è regolarmente il mutuo consenso, espresso verbalmente di persona. Triplice è lo scopo del matrimonio: primo, ricevere la prole ed educarla al culto di Dio; secondo, la fedeltà, che un coniuge deve conservare verso l'altro; terzo, la indissolubilità del matrimonio, perché essa significa la unione indissolubile di Cristo e della chiesa. E quantunque a causa della infedeltà sia permesso separarsi, non è lecito, però, contrarre un altro matrimonio, poiché il vincolo del matrimonio legittimamente contratto è eterno.
In sesto luogo, diamo agli ambasciatori la norma sintetica di fede composta dal beato Atanasio, il cui contenuto è questo: [E,segue il simbolo Atanasiano, che inizia con le parole: Chiunque vuole salvarsi...]
Settimo, diamo ad essi il decreto d'unione coi Greci, già promulgato in questo sacro concilio ecumenico fiorentino.
Esso inizia con le parole: Si rallegrino i cieli...
Ottavo. Tra le altre cose si è anche disputato con gli armeni in quali giorni debbano celebrarsi le festività dell'annunciazione della beata vergine Maria, della natività di S. Giovanni Battista, e, conseguentemente, della natività e circoncisione del signore nostro Gesù Cristo e della sua presentazione al tempio, cioè della purificazione della beata vergine Maria; ed è stata dimostrata abbastanza chiaramente la verità, sia con le testimonianze dei santi padri, che con l'uso della chiesa romana e di tutte le altre sia latine che greche.
Perché, dunque, nella celebrazione di cosi grandi solennità il rito dei cristiani non sia diverso e non si dia occasione di turbare la carità, stabiliamo, conforme alla verità e alla ragione, che, secondo l'uso di tutto il resto del mondo, anche gli Armeni debbano solennemente celebrare la festa dell'annunciazione della beata vergine Maria il 25 marzo; la natività di S. Giovanni Battista, il 24 giugno; la nascita carnale del nostro Salvatore, il 25 dicembre; la sua circoncisione, il primo gennaio; l'epifania, il 6 dello stesso mese; la presentazione del Signore al tempio, cioè la purificazione della madre di Dio, il 2 febbraio.
Spiegate tutte queste cose, i predetti ambasciatori degli Armeni, a nome proprio, del loro patriarca, e di tutti gli Armeni, accettano, ricevono e abbracciano con ogni devozione e obbedienza questo salutarissimo decreto sinodale, con tutti i suoi capitoli, dichiarazioni, definizioni, tradizioni, precetti e statuti ed ogni dottrina in esso contenuta e tutto quello che ritiene ed insegna la santa sede apostolica e la chiesa romana.
I dottori, inoltre, e santi padri che la chiesa romana approva, li approvano anch'essi con riverenza: Qualsiasi persona, e qualunque cosa essa disapprova e condanna, la considerano riprovata e condannata anch'essi. E promettono, come veri figli d'obbedienza di obbedire agli ordini e ai comandi della sede apostolica.
Letto, poi, solennemente alla presenza nostra e di questo santo sinodo il decreto suddetto, subito il diletto figlio Narsete, armeno, a nome degli stessi ambasciatori lesse nella lingua armena, pubblicamente, quanto segue: e il diletto figlio Basilio, dell'ordine dei Minori, comune interprete nostro e degli Armeni, lo lesse immediatamente dallo Scritto, in pubblico, nella lingua latina, in questo modo:
Beatissimo padre e santissimo sinodo, tutto questo santo decreto, ora letto pubblicamente in latino alla vostra presenza, ci è stato esposto e tradotto ieri nella nostra lingua, parola per parola; e ci è piaciuto e ci piace sommamente. Per una più chiara espressione del nostro pensiero, ne ripetiamo sommariamente il suo contenuto.
In esso si dice: primo, che consegnate al nostro Popolo armeno, perché almeno nelle domeniche e nelle maggiori festività si debba leggere o cantare, durante la messa, nelle nostre chiese, il santo simbolo costantinopolitano con l’aggiunta del Filioque.
Secondo, la definizione del quarto concilio universale di Calcedonia, sulle due nature nell'unica persona del Cristo.
Terzo, la definizione delle due volontà ed operazioni di Cristo, promulgata nel sesto concilio universale.
Quarto, voi dichiarate che lo stesso sinodo di Calcedonia e il beatissimo papa Leone hanno definito rettamente la verità delle due nature in una sola persona nel Cristo, contro le empie asserzioni di Nestorio e Eutiche. E comandate che veneriamo lo stesso beatissimo Leone come santo e colonna della fede e che non accettiamo solo questi tre sinodi: Niceno, Costantinopolitano, Elesino primo, ma che riconosciamo con riverenza anche tutti gli altri sinodi universali, celebrati per autorità del romano pontefice.
Quinto, una breve esposizione dei sette sacramenti della chiesa: battesimo, cresima, cucarestia, penitenza, estrema unzione, ordine e matrimonio, dichiarando quale sia la materia, la forma, e il ministro di ciascun sacramento; e che nel sacrificio dell'altare, quando si offre il vino, vi si debba
mischiare un po' d'acqua.
Sesto, un breve riassunto della regola della fede: quello del beatissimo Atanasio, che comincia: Chi vicolo salvarsi...
Settimo, il decreto dell'unione conclusa con i Greci, promulgato già in questo santo concilio, in cui si spiega come lo Spirito santo procede ab eterno dal Padre e dal Figlio, e come l'aggiunta del Filioqtte al simbolo costantinopolitano è stata fatta lecitamente e ragionevolmente. Che il corpo del Signore viene consacrato nel pane di frumento, sia azzimo che fermentato; e che cosa bisogna credere delle pene del purgatorio e dell'inferno, della vita beata e dei suffragi che si fanno per i defunti. Cosi pure della pienezza del potere della sede apostolica, trasmessa da Cristo al beato Pietro e ai suoi successori, e dell'ordine delle sedi patriarcali.
In ottavo luogo, stabilito che per il futuro gli Armeni debbano celebrare le seguenti festività, nei giorni indicati sotto, come tutto il resto della chiesa universale e cioè: l'annunciazione della beata vergine Maria, il 25 marzo; la natività di S. Giovanni Battista, il 24 giugno; la nascita carnale del nostro Salvatore, il 25 dicembre; la sua circonci-sione, il primo gennaio, l'epifania, il 6 dello stesso mese; la presentazione del Signore al tempio, o purificazione della beata Maria, il 2 febbraio.
Noi ambasciatori, quindi, a nome nostro, del nostro reverendo patriarca e di tutti gli Armeni, come anche la santità vostra attesta nello stesso decreto, accettiamo, accogliamo, e abbracciamo con ogni devozione e obbedienza questo salutarissimo decreto sinodale con tutti i suoi capitoli, dichiarazioni, definizioni, tradizioni, precetti e statuti, e tutta la dottrina in esso contenuta ed inoltre, tutto ciò che ritiene ed insegna la santa sede apostolica e la chiesa romana.
Accettiamo anche con riverenza i dottori e santi padri che la chiesa romana approva; mentre consideriamo riprovata e condannata qualsiasi persona e qualsiasi cosa che la stessa chiesa romana riprova e condanna, dichiarando, come veri figli d'obbedienza di obbedire fedelmente agli ordini e ai comandi della stessa sede apostolica.
SESSIONE XI (4 febbraio 1442)
(Bolla di unione dei copti).
Eugenio vescovo, servo dei servi di Dio, a perpetua memoria.
Cantate al Signore, perché ha fatto cose magnifiche: annunziatelo per tutta la terra. Godi e lodalo, abitante di Sion, perché è grande, in mezzo a te, il santo di Israele (85). E’ davvero giusto che la chiesa di Dio canti e si rallegri nel Signore per questo grande splendore e gloria del suo nome, che Dio clementissimo si è degnato di compiere oggi. Conviene, infatti, lodare e benedire con tutto il cuore il Salvatore nostro, che ogni giorno accresce la sua santa chiesa con nuove aggiunte. E quantunque sempre i suoi benefici verso il popolo cristiano siano molti e grandi, - ed essi ci dimostrano più chiaramente della luce la sua immensa carità verso di noi - tuttavia, se consideriamo più attentamente quali meraviglie in questi ultimissimi tempi la divina clemenza si è degnata operare, dovremo certamente costatare che i doni del suo amore sono stati più numerosi e più grandi in questo nostro tempo che in molte altre età passate.
Ecco, infatti, che in meno di un triennio il signore nostro Gesù Cristo con la sua inesauribile pietà ha realizzato in questo santo sinodo ecumenico, la salutarissima unione di tre grandi nazioni, a comune, perenne gaudio di tutta la cristianità; per cui quasi tutto l'oriente, che adora il glorioso nome di Cristo, e non piccola parte del settentrione, dopo Lunghi dissidi, condividono con la santa chiesa romana lo stesso vincolo di fede e di carità.
Prima, infatti, si sono uniti alla sede apostolica i Greci e quelli che dipendono dalle quattro sedi patriarcali, che comprendono molte genti e nazioni e lingue; poi gli Armeni, gente dai molti popoli; oggi, i Giacobiti, grandi popoli dell'Egitto.
E poiché niente potrebbe esser più grato al nostro Salvatore e signore Gesù Cristo della mutua carità, e niente più glorioso per il suo nome e più utile per la chiesa che i cristiani, rimossa tra loro ogni divisione, convengano nella stessa fede, giustamente noi tutti dobbiamo cantare dalla gioia e giubilare nel Signore; noi, che la divina misericordia ha fatto degni di vedere in questi tempi tanta magnificenza della fede cristiana.
Annunziamo, quindi, con animo gioioso queste meraviglie in tutto il mondo cristiano, perché, come noi per la gloria di Dio e l'esaltazione della chiesa siamo stati inondati da ineffabile gaudio, cosi anche gli altri partecipino di tanta letizia; e tutti, ad una sola bocca, magnifichiamo e lodiamo Dio (86) e rendiamo, com'è giusto, grandi grazie, ogni giorno, alla sui maestà per tanti e cosi mirabili benefici concessi in questa età alla sua chiesa.
E poiché, inoltre, chi compie l'opera di Dio diligentemente, non solo deve aspettarsi il compenso e la retribuzione nei cieli, ma merita anche una grande gloria e lode presso gli uomini, crediamo che il venerabile fratello nostro Giovanni, patriarca dei Giacobiti, che ha tanto desiderato questa santa unione, a buon diritto debba esser lodato da noi e da tutta la chiesa e innalzato e giudicato degno, con tutta la sua gente della comune benevolenza di tutti i cristiani.
Egli, sollecitato per mezzo di un nostro inviato e di lettere, perché mandasse una legazione a noi e a questo sacro concilio e si unisse con la sua gente a questa sede romana nella stessa fede, ha destinato a noi e allo stesso sinodo il diletto figlio Andrea, egiziano, abate del monastero di S. Antonio in Egitto, nel quale si dice che abbia dimorato e sia morto lo stesso S. Antonio, noto per la sua pietà e i suoi costumi. E, acceso di zelo per la religione, gli impose e gli ordinò di accettare con riverenza, a nome del patriarca e dei suoi Giacobiti, la dottrina di fede che professa e predica la santa romana chiesa e di portarla, poi, allo stesso patriarca e ai Giacobiti, perché potessero conoscerla e approvarla e predicarla nelle loro regioni.
Noi, quindi, incaricati dalla vocedel Signore di pascere le pecore del Cristo (87) abbiamo fatto esaminare diligentemente questo abate Andrea da alcuni insigni membri di questo sacro concilio sugli articoli della fede, i sacramenti della chiesa e tutto ciò che riguarda la salvezza; e alla fine, esposta allo stesso abate - per quanto necessario - la fede cattolica della santa chiesa romana, da lui umilmente accettata, oggi, in questa solenne sessione, con l'approvazione del sacro concilio ecumenico fiorentino, gli abbiamo affidato, nel nome del Signore, la dottrina che segue, vera e necessaria.
In primo luogo, dunque, la sacrosanta chiesa romana, fondata dalla voce del nostro Signore e Salvatore, crede fermamente, professa e predica un solo, vero Dio, onnipotente, incommutabile, eterno: Padre, Figlio e Spirito santo; uno nell'essenza, trino nelle persone; Padre, non generato, Figlio, generato dal Padre, Spirito santo, procedente dal Padre e dal Figlio; crede che il Padre non è il Figlio o lo Spirito santo, che il Figlio non è il Padre o lo Spirito Santo che lo Spirito santo non è il Padre o il Figlio; ma che il Padre è solo Padre, il Figlio, solo Figlio, lo Spirito santo, solo Spirito santo. Solo il Padre ha generato il Figlio dalla sua sostanza; solo il Figlio è stato generato dal solo Padre; solo lo Spirito santo procede nello stesso tempo dal Padre e dal Figlio. Queste tre persone sono un solo Dio, non tre Dei poiché una sola è la sostanza una l'essenza, una la natura, una la divinità, una l'immensità, una l'eternità di tutti e tre, tutti sono uno, dove non si opponga la relazione. Per questa unità il Padre è tutto nel Figlio e tutto nello Spirito santo; il Figlio è tutto nel Padre e tutto nello Spirito santo; lo Spirito santo è tutto nel Padre e tutto nel Figlio. Nessuno precede l'altro per eternità, o lo sorpassa in grandezza, o lo supera per potenza: è eterno, infatti, e senza principio che il Figlio ha origine dal Padre; ed eterno e senza principio, che lo Spirito santo procede dal Padre e dal Figlio. Tutto quello che il Padre è od ha, non lo ha da un altro, ma da sé; ed è principio senza principio. Tutto ciò che il Figlio è od ha, lo ha dal Padre, ed è principio da principio. Tutto ciò che lo Spirito santo è od ha, lo ha dal Padre e dal Figlio insieme; ma il Padre ed il Figlio non sono due principi dello Spirito santo, ma un solo principio, come il Padre, il Figlio e lo Spirito santo non sono tre principi della creatura, ma un solo principio.
Essa condanna, perciò, riprova e anatematizza tutti quelli che credono diversamente e contrariamente e li dichiara solennemente estranei al corpo di Cristo, che è la chiesa. Condanna, quindi, Sabellio, che confonde le persone e toglie del tutto la distinzione reale di esse; condanna gli Ariani, gli Eunomiani, i Macedoniani, che affermano che solo il Padre è vero Dio, e collocano il Figlio e lo Spirito santo nell'ordine delle creature. Condanna anche qualunque altro, che ponga dei gradi o l'ineguaglianza nella Trinità.
Crede fermissimamente, ritiene e predica che un solo, vero Dio, Padre, Figlio e Spirito santo, è il creatore di tutte le cose visibili e invisibili, il quale, quando volle, creò per sua bontà tutte le creature, spirituali e materiali: buone, naturalmente, perché hanno origine dal sommo bene, ma mutevoli, erché fatte dal nulla; ed afferma che non vi è natura cattiva in sé stessa, perché ogni natura, in quanto tale, è buona.
Essa confessa che un solo, identico Dio è autore dell'antico e dei nuovo Testamento, cioè della legge e dei profeti, e del Vangelo, perché i santi dell'uno e dell'altro Testamento hanno parlato sotto l'ispirazione del medesimo Spirito santo. Essa accetta e venera i loro libri, che sono indicati da questi titoli: I cinque di Mosè, cioè: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio; Giosuè, Giudici, Ruth, i 4 dei Re, i 2 dei Paralipomeni, Esdra, Neemia, Tobia, Giuditta, Ester Giobbe, Salmi di David, Parabole, Ecclesiaste, Cantico dei Cantici, Sapienza, Ecclesiastico, Isaia, Geremia, Baruc, Ezechiele, Daniele, i 12 Profeti minori, e cioè: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia; i 2 dei Maccabei, i 4 Evangeli: di Matteo, di Marco, di Luca e di Giovanni; le 14 lettere di S. Paolo: ai Romani, le 2 ai Corinti, ai Galati, agli Efesini, ai Filippesi, le 2 ai Tessalonicesi, ai Colossesi, le 2 a Timoteo, a Tito, a Filemone, agli Ebrei; le 2 di Pietro, le 3 di Giovanni; 1 di Giacomo; 1 di Giuda; gli Atti degli Apostoli, e l'Apocalisse di Giovanni. Essa anatematizza, quindi, la pazzia dei Manichei, che ammettevano due primi principi, uno delle cose visibili, l'altro delle invisibili e dicevano che altro è il Dio del nuovo Testamento, altro quello dell'antico. Crede fermamente, professa e predica che una delle persone della Trinità, vero figlio di Dio, generato dal Padre, consostanziale al Padre e coeterno con lui, nella pienezza dei tempi, stabilita dalla inscrutabile profondità del divino consiglio, ha assunto la vera e completa natura umana nel seno immacolato della vergine Maria per la salvezza del genere umano; e che ha unito a sé questa natura in una unità personale cosi stretta, che tutto quello che è di Dio non è separato dall'uomo, e quello che è proprio dell'uomo non è diviso dalla divinità; ed è un essere solo ed indiviso, pur rimanendo l'una e l’altra natura con le sue proprietà; Dio e uomo; Figlio di Dio e figlio dell'uomo; uguale al Padre secondo la divinità, minore del Padre secondo l'umanità; immortale ed eterno, per la natura divina, soggetto alla sofferenza e al tempo per la condizione umana che ha assunto. Crede fermamente, professa e predica che il Figlio di Dio è veramente nato dalla Vergine, nell'umanità che ha assunto; che in essa ha veramente sofferto, è veramente morto ed è stato sepolto, è veramente risorto dai morti, è asceso al cielo, siede alla destra del Padre, e verrà alla fine dei secoli a giudicare i vivi e i morti. Essa anatematizza, quindi, detesta e condanna ogni eresia che professi dottrine contrarie a queste.
E prima di tutti condanna Ebione, Cerinto, Marcione, Paolo di Samosata, Fotino e tutti quelli che proferiscono simili bestemmie, i quali, non riuscendo a comprendere l'unione personale dell'umanità col Verbo, negano che Gesù Cristo, nostro Signore, sia vero Dio e lo ritennero semplice uomo: un uomo, cioè che per una più intensi partecipazione alla grazia divina - che avrebbe ricevuto per merito di una vita più santa - sarebbe detto uomo divino.
Anatematizza anche Manicheo con i suoi seguaci, i quali fantasticando che il Figlio di Dio non ha assunto un corpo vero, ma apparente, annullarono del tutto, nel Cristo, la verità dell'umanità. Ed inoltre Valentino, il quale afferma che il Figlio di Dio non ha ricevuto nulla dalla Vergine Madre, ma che ha assunto un corpo celeste e che è passato per il seno della Vergine, proprio come l'acqua scorre attraverso un acquedotto. Ed Ario, il quale afferma che il corpo assunto dalla Vergine non avesse l'anima e pone al posto di essa la divinità. Ed Apollinare, il quale, ben comprendendo che, se si negasse che l'anima informa il corpo, non potrebbe più parlarsi nel Cristo di vera umanità, pone in lui solo l'anima sensitiva e, quindi, la deità del Verbo sostituirebbe l'anima razionale.
Anatematizza anche Teodoro di Mopsuestia e Nestorio, i quali affermano che l'umanità è unita al Figlio di Dio per mezzo della grazia, e che quindi in Cristo vi sono due persone, come ammettono esservi due nature. Essi non riuscirono a comprendere che l'unione dell'umanità col Verbo è ipostatica, e negarono, quindi, che essa abbia avuto la sussistenza del Verbo. Secondo questa bestemmia, infatti, il Verbo non si è fatto carne, ma per mezzo della grazia ha abitato ne a carne e cioè non il Figlio di Dio si è fatto uomo ma, piuttosto, il Figlio di Dio ha abitato nell'uomo.
Anatematizza pure, detesta e condanna Eutiche, archimandrita. Questi comprese che secondo la bestemmia di Nestorio veniva annullata la verità dell'incarnazione e che, quindi, era necessario che l'umanità fosse unita al Verbo di Dio in modo che vi fosse una sola persona per la divinità e per l'umanità. Non potendo però capire l'unità della per- sona, stante la pluralità delle nature, e quindi, che in Gesù Cristo una sola fosse la persona per la divinità e per l'umanità, ammise una sola natura: ammise, cioè, che prima dell'unione vi fossero due nature, ma che esse nell'assunzione si fossero trasformate in una sola natura, ammettendo, con orrenda bestemmia e somma empietà, che o l'umanità si era trasformata nella divinità, o la divinità nella umanità. Anatematizza ancora, detesta e condanna Macario di Antiochia e tutti quelli che seguono dottrine simili. Questi, non ostante che avesse una giusta opinione delle due nature e dell’unità della persona, errò tremendamente, però, circa le operazioni di Cristo: disse, infatti, che delle due nature, in Cristo, una sola era l'operazione e la volontà.
La sacrosanta chiesa romana li condanna tutti questi con le loro eresie, e afferma che in Cristo due sono le volontà e due le operazioni. Crede fermamente, professa e insegna che nessuno, concepito dall'uomo e dalla donna, sia stato mai liberato dal dominio del demonio, se non per la fede in Gesù Cristo, nostro Signore, mediatore tra Dio e gli uomini (88). Questi, concepito, nato e morto Senza peccato, ha vinto da solo il nemico del genere umano cancellando i nostri peccati con la sua morte, ed ha riaperto l'ingresso al regno celeste, che il primo uomo col suo peccato aveva perduto con tutti i suoi successori. Tutti i santi sacrifici, i sacramenti e le cerimonie dell'antico Testamento prefigurarono che egli un giorno sarebbe venuto.
Crede fermamente, conferma e insegna che le prescrizioni legali dell'antico Testamento, cioè della legge mosaica, che si dividono in cerimonie, santi sacrifici e sacramenti proprio perché istituite per significare qualche cosa di futuro, benché fossero adeguate al culto divino in quella età, venuto,
però, nostro signore Gesù Cristo, da esse significato, sono cessate e sono cominciata i sacramenti della nuova alleanza. Chiunque avesse riposto in quelle la sua speranza e si fosse assoggettato ad esse anche dopo la passione, quasi fossero necessarie alla salvezza e la fede nel Cristo non potesse salvare senza di esse, pecca mortalmente. Non nega, tuttavia, che dalla passione di Cristo fino alla promulgazione evangelica, esse potessero osservarsi, senza pensare con ciò minimamente che fossero necessarie alla salvezza. Ma da quando è stato predicato il Vangelo, esse non possono più osservarsi, pena la perdita della salvezza eterna.
Essa, quindi, dichiara apertamente che, da quel tempo, tutti quelli che osservano la circoncisione, il sabato e le altre prescrizioni legali, sono fuori della fede di Cristo, e non possono partecipare della salvezza eterna, i meno che non si ricredano finalmente dei loro errori. Ancora, comanda assolutamente a tutti quelli che si gloriano del nome di cristiani, che si deve cessare dal praticare la circoncisione sia prima che dopo il battesimo perché, che v si confidi o meno, non si può in nessun modo praticarla senza perdere la salvezza eterna.
I bambini - dato il pericolo di morte, che spesso vi può essere - non possono essere aiutati se non col sacramento del battesimo, che li sottrae al dominio del demonio e in forza del quale sono adottati come figli di Dio. Essa ammonisce che il ]Battesimo non deve essere differito per quaranta od ottanta giorni o altro tempo, secondo l'uso di alcuni, ma deve essere amministrato quanto prima si può senza incomodo, con la precauzione che, in pericolo di morte, siano battezzati subito senza alcun ritardo, anche da un laico o da una donna, se mancasse il sacerdote, nella forma della chiesa, come più diffusamente viene esposto nel decreto per gli Armeni.
Crede fermamente, confessa e predica che ogni creatura Dio è buona e niente dev'essere respinto quando è accettato con rendimento di grazie (89); poiché, secondo l'espressione del Signore non ciò che entra nella bocca contamina l'uomo (90). E afferma che la differenza tra cibi puri e impuri della legge mosaica deve considerarsi cerimoniale e che col sopravvenire del Vangelo è passata e ha perso efficacia. Anche la proibizione degli apostoli delle cose immolate ai simulacri, del sangue e delle carni soffocate (91) era adatta al tempo in cui dai giudei e gentili, che prima vivevano praticando diversi riti e secondo diversi costumi, sorgeva una sola chiesa. In tal modo giudei e gentili avevano osservanze in comune e l'occasione di trovarsi d'accordo in un solo culto e in una sola fede in Dio, e veniva tolta materia di dissenso. Infatti ai Giudei per la loro lunga tradizione potevano sembrare abominevoli il sangue e gli animali soffocati, e poteva sembrare che i gentili tornassero all'idolatria col mangiare cose immolate agli idoli.
Ma quando la religione cristiana si fu talmente affermata da non esservi più in essa alcun Giudeo carnale, ma anzi tutti d'accordo erano passati alla chiesa, condividendo gli stessi riti e cerimonie del Vangelo, persuasi che per quelli che sono puri ogni cosa è pura (92), allora venne meno la causa di quella proibizione, e perciò anche l'effetto. Essa dichiara, quindi, che nessun genere di cibo in uso tra gli uomini deve essere condannato, e che nessuno, uomo o donna, deve far differenza di animali, qualunque sia il genere di morte che abbiano incontrato, quantunque per riguardo alla salute del corpo, per l'esercizio della virtù, per la disciplina regolare ed ecclesiastica, molte cose, anche se permesso, possano e debbano non mangiarsi. Secondo l'apostolo, infatti, tutto è lecito, ma non tutto conviene 93.
Crede fermamente, confessa e predica che nessuno di quelli che sono fuori della chiesa cattolica, non solo pagani, ma anche Giudei o eretici e scismatici, possano acquistar la vita eterna, ma che andranno nel fuoco eterno, preparato per il demonio e per i suoi angeli (94), se prima della fine della vita non saranno stati aggregati ad essa; e che è tanto importante l'unità del corpo della chiesa, che solo a quelli che rimangono in essa giovano per la salvezza i sacramenti ecclesiastici, i digiuni e le altre opere di pietà, e gli esercizi della milizia cristiana procurano i premi eterni. Nessuno
per quante elemosine abbia potuto fare, e perfino se avesse versato il sangue per il nome di Cristo si può salvare, qualora non rimanga nel seno e nell'unità della chiesa cattolica.
Accoglie, poi, approva e accetta il santo concilio di Nicea dei trecentodiciotto padri, raccolto ai tempi del beatissimo Silvestro, nostro predecessore, e di Costantino il grande, principe piissimo. In esso fu condannata l'empia eresia ariana assieme al suo autore, e fu definito che il Figlio è consustanziale e coeterno al Padre. Abbraccia anche, approva e accetta il santo concilio di Costantinopoli, dei centocinquanta padri, convocato al tempo del beatissimo Damaso, nostro predecessore, e di Teodosio il vecchio, che anatematizzò l'errore di Macedonio, il quale asseriva che lo Spirito santo non è Dio, ma una creatura. Quelli che essi condannano, li condanna, quello che approvano, approva; e intende che ciò clic in essi è definito, rimanga intatto ed inviolato in ogni sua prescrizione. Abbraccia anche, approva e accetta il santo primo concilio di Efeso, dei duecento padri, terzo nella serie dei concili universali, convocato sotto il beatissimo nostro predecessore Celestino e sotto Teodosio il giovane. In esso fu condannata la bestemmia dell'empio Nestorio; fu definito che del signore nostro Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo è una sola la persona, e che la beata Maria sempre vergine deve esser chiamata da tutta la chiesa non solo madre del Cristo, ma anche di Dio. Condanna, poi, anatematizza e respinge l'empio secondo concilio di Efeso, riunito
sotto il beato Leone, nostro predecessore, e il suddetto principe. In esso Dioscoro, patriarca di Alessandria, difensore dell'eresiarca Eutiche ed empio persecutore di S. Flaviano, vescovo di Costantinopoli, trasse quel sinodo esecrando, con l'astuzia e con le minacce, ad approvare l'empietà eutichiana.
Accoglie anche, approva e accetta il santo concilio di Calcedonia, quarto nella serie dei sinodi universali, dei sei- centotrenta padri, celebrato al tempo del predetto predecessore nostro Leone e dell'imperatore Marciano, nel quale fu condannata l'eresia eutichiana col suo autore Eutiche e con Dioscoro, suo difensore. Vi fu anche definito che Gesù Cristo, nostro signore, è vero Dio e vero uomo e che in una stessa identica persona sono rimaste integre, intatte, incorrotte, inconfuse, distinte la natura divina e la natura umana; in cui l'umanità operava quello che è proprio dell'uomo, la divinità, quello che è proprio di Dio. Quelli che esso condanna, li condanna anch'essa; quelli che approva, li approva anch'essa. Abbraccia pure, approva e accetta il santo quinto concilio, il secondo celebrato a Costantinopoli al tempo del beato Vigilio, nostro predecessore, e dell'imperatore Giustiniano, nel quale fu confermata la definizione del concilio di Calcedonia sulle due nature e un'unica persona in Cristo e furono riprovati e condannati molti errori di Origene e dei suoi seguaci, specie quelli riguardanti la penitenza e la liberazione dei demoni e degli altri dannati.
Abbraccia anche, approva e accetta il santo, terzo concilio di Costantinopoli, dei centocinquanta padri, - sesto nella serie dei concili universali - celebrato al tempo del beato predecessore nostro Agatone e di Costantino, IV imperatore di questo nome, nel quale fu condannata l'eresia di Macario antiocheno, e fu definito che in Gesù Cristo, nostro signore, vi sono due nature perfette ed integre, due operazioni, ed anche due volontà, benché in una sola persona, a cui competono le azioni dell'una e dell'altra natura, inquantoché la divinità compie quanto è proprio di Dio, l'umanità quello che è proprio dell'uomo.
Abbraccia, approva e accetta anche tutti gli altri concili Universali legittimamente convocati, celebrati e confermati dall'autorità del romano pontefice, e specialmente questo santo concilio fiorentino, nel quale, tra le altre cose, è stata con- dotta a termine la santissima unione con i Greci e con gli Armeni, e sono stati emanati molti utilissimi insegnamenti riguardanti l'una e l'altra unione, completamente riferiti nei decreti promulgati su questi argomenti, il cui testo segue qui appresso. Si rallegrino i cieli... Lodato Dio...
Ma poiché nel decreto per gli Armeni, riportato sopra, non è stata espressa la forma delle parole che la sacrosanta chiesa romana - confermata dalla dottrina e dall'autorità degli apostoli Pietro e Paolo - ha sempre usato nella consacrazione del corpo e del sangue del Signore, abbiamo creduto opportuno inserirla nel presente testo. Nella consacrazione del corpo del Signore essa usa questa formula: Questo è, infatti, il mio corpo. In quella del sangue, invece: Questo è il calice del mio sangue del nuovo ed eterno testamento, mistero della fede, che sarà versato per voi e per molti in remissione dei Peccati (95).
Che poi il pane di frumento, usato per il sacramento, sia stato cotto quel giorno o prima, non ha proprio alcuna importanza: purché, infatti, rimanga la sostanza del pane, non c'è affatto da dubitare che dopo le predette parole della consacrazione del corpo, pronunciate dal sacerdote con intenzione adeguata, si trasforma subito nel vero corpo di Cristo.
Poiché si dice che qualcuno non ammette le quarte nozze come se fossero condannate, perché non avvenga che si ponga il peccato dove non è, - e dato che, secondo l'apostolo, morto il marito, la donna è sciolta dal legame che a lui la stringeva ed ha la libertà di sposare, nel Signore, chiunque voglia (96), e non distingue se sia morto il primo, il secondo o il terzo, - dichiarando che si possono contrarre non solo seconde e terze nozze, ma anche quarte ed oltre, se nessun impedimento canonico le impedisce. Riteniamo tuttavia più degno di lode chi, astenendosi da altre nozze, rimanga nella castità, perché come crediamo che la verginità sia da preferirsi alla vedovanza, così una casta vedovanza è da preferirsi alle nozze, per lode e merito.
Spiegate tutte queste cose, il suddetto abate Andrea, a nome del suo patriarca e suo proprio e di tutti i Giacobiti riceve e accetta con ogni devozione e riverenza questo saluberrimo decreto sinodale con tutte le sue prescrizioni, dichiarazioni, definizioni, tradizioni, precetti e statuti, ogni dottrina contenuta in esso, e tutto quello che ritiene e insegna la santa sede apostolica e la chiesa romana. E riceve anche con riverenza i dottori e santi padri che la chiesa romana approva; qualunque altra persona invece e cosa la stessa chiesa romana riprova e condanna, anch'egli la considera come riprovata e condannata. E, come vero figlio de l'obbedienza, a nome di quelli, di cui sopra, promette
obbedire fedelmente e sempre agli ordini e ai comandi della sede apostolica.
SESSIONE XIII (30 novembre 1444)
(Bolla di unione dei Siri).
Eugenio vescovo, servo dei servi di Dio, a perpetua memoria.
In questi nostri tempi, la ineffabile clemenza della divina misericordia largisce alla sua santa chiesa molti e mirabili doni e molto più grandi di quanto potessimo chiedere o pensare, per cui vediamo la fede ortodossa dilatarsi e nuovi ppoli tornare di giorno n-i giorno all'obbedienza della sede apostolica e sentiamo rinnovarsi quotidianamente i motivi di gioia e di esultanza per noi e per tutti i fedeli di Cristo. Giustamente, quindi, siamo spinti a dire spessissimo ai popoli cristiani col profeta, nel giubilo: Venite, esultiamo nel Signore (97) manifestiamo la nostra letizia a Dio, nostra salvezza, perché grande è il Signore e degno di molta lode nella città del nostro Dio, nel suo santo monte (98).
Il Signore, il quale non ha limiti nella sua onnipotenza e sapienza, ha sempre operato cose grandi e inscrutabili nella chiesa cattolica, che è la città di Dio, fondata sul monte santo (99) dell'autorità della sede apostolica e di Pietro, questo però, di particolarmente singolare e grande le ha concesso l'ineffabile provvidenza del suo fondatore: che la retta fede, la quale, sola, santifica e vivifica il genere umano, rimanga sempre, in quel monte santo, in una sola ed immutabile confessione della verità, e che i dissensi che nascono contro la chiesa dai vari modi terreni di sentire e che separano dalla solidità di quella pietra, tornando a quel monte siano sterminati e sradicati. Per cui i popoli e le nazioni, confluendo al suo seno, si trovano d'accordo con essa in una sola verità. Non è stato, certo, per i nostri meriti che l'immensità della divina bontà ci ha concesso di poter vedere questi doni di Dio, tanto grandi e eccelsi e cosi meravigliosi, ma per la sua benignità e degnazione. Dopo l'unione dei Greci nel sacro concilio ecumenico fiorentino - che sembravano in disaccordo con la chiesa romana su alcuni punti, - e dopo il ritorno degli Armeni e dei Giacobiti - che erano trattenuti da varie opinioni, ma che, abbandonato ogni dissenso, hanno convenuto nella stessa retta via della verità -, ecco ora, di nuovo, con l'aiuto del Signore, vengono da lontano altre nazioni, che abitano la Mesopotamia, fra il Tigri e l'Eufrate: esse, che non avevano una retta dottrina sulla processione dello Spirito santo e su altri punti.
Grande, quindi, è il motivo di gioia per noi e per tutti i cristiani: poiché col favore di Dio la splendidissima professone della verità della fede della chiesa romana, che è sempre stata monda di ogni macchia di falsità, ha brillato anche in oriente, oltre i confini dell'Eufrate, con nuovi fulgori, tanto da attrarre e chiamare fino a questa alma città e alla nostra presenza e a quella di questo sacro concilio ecumenico Lateranense (100) il venerabile fratello nostro Abdalam, arcivescovo di Edessa, inviato del venerabile fratello nostro Ignazio, patriarca dei Siri e di tutta la sua nazione; il quale con umile devozione ha chiesto che noi dessimo loro la regola della fede, che la sacrosanta chiesa di Roma professa.
Noi perciò, che fra tutte le preoccupazioni della santa sede apostolica abbiamo questa in cima a tutti i nostri pensieri, - come del resto sempre l'abbiamo avuta- difendere la verità del Vangelo e, sterminate le eresie diffondere e propagare il più largamente possibile la retta fede, abbiamo scelto alcuni dei nostri venerabili fratelli cardinali della santa chiesa romana, i quali, chiamati alcuni maestri in sacra scrittura da questo sacro concilio, trattassero con quell'arcivescovo delle difficoltà, dei dubbi e degli errori di quella nazione, lo esaminassero e gli esponessero l'insegnamento della verità cattolica, lo istruissero e lo informassero completamente della integrità della fede della chiesa romana.
Essi hanno trovato che egli ha idee giuste su tutto quanto riguarda la fede e i costumi, meno che su tre punti: sulla processione dello Spirito santo, sulle due nature in Gesù Cristo, nostro salvatore, e sulle due volontà e operazioni in lui. Gli hanno spiegato la verità della fede ortodossa, chiarito l'intelligenza delle sacre scritture, adducendo le testimonianze dei santi dottori e portando anche quegli argomenti di ragione che la materia comporta.
L'arcivescovo, compresa la loro dottrina, ha dichiarato pienamente superati tutti i suoi dubbi. Per quanto riguarda la processione dello Spirito santo e le due nature, volontà ed operazioni in Gesù Cristo, nostro signore, ha dimostrato di averne uni tale comprensione, da dar l'impressione di capire pienamente la verità della fede, e da promettere che a nome del patriarca, di tutta 1a nazione e suo, avrebbe accettato completamente la fede e la dottrina, che noi con l'approvazione di questo sacro concilio gli avremmo dato.
Perciò, ricolmi di gioia in Cristo, rendiamo innumerevoli grazie al nostro Dio, perché vediamo adempiuto il nostro voto per la salvezza di quella nazione.
Quindi, dopo averne trattato diligentemente coi nostri fratelli e col sacro concilio, abbiamo creduto bene trasmettere e prescrivere allo stesso arcivescovo la fede e la dottrina che professa la sacrosanta madre chiesa romana. Ed egli l'accetta, a nome delle persone già dette.
Questa, dunque, è la fede che la sacrosanta madre chiesa romana ha sempre ritenuto, predicato, e insegnato e che al presente tiene, predica, professa e insegna. E’ questa dottrina che noi prescriviamo che l'arcivescovo Abdalam debba ricevere nei tre articoli, e custodire ed osservare per sempre, in futuro, a nome e in vece del suddetto patriarca dei Siri, di tutta quella nazione e suo.
E prima di tutto, che lo Spirito santo è ab aeterno dal Padre e dal Figlio, che ha la sua essenza e l'essere sussistente dal Padre e dal Figlio insieme, e che procede eternamente dall'uno e dall'altro come da un solo principio e da un'unica spirazione. Ritiene, inoltre, professa e insegna "un solo e medesimo Figlio: i1 signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo, [composto] di anima razionale e del corpo, consostanziale al Padre per la divinità e consostanziale a noi per l'umanità, simile in tutto a noi, fuorché nel peccato, generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi per noi e per la nostra salvezza da Maria vergine e madre di Dio, secondo l'umanità, uno e medesimo Cristo signore unigenito; da riconoscersi in due nature, senza confusione, immutabili, indivise, inseparabili, non essendo venuti meno la differenza delle nature a causa delle loro unione, ma essendo stata, anzi, salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, e concorrendo a formare una sola persona e ipostasi; Egli non è diviso o separato in due persone, ma è un unico e medesimo Figlio, unigenito, Dio, verbo e signore Gesù Cristo" (101).
Crede, inoltre, professa ed insegna che nello stesso signore Gesù Cristo vi sono "due volontà naturali e due operazioni naturali, indivisibilmente, immutabilmente, inseparabilmente, inconfusamente, secondo l'insegnamento dei santi padri. Due volontà naturali, l'una divina, l'altra umana, che non sono in contrasto fra loro, ma tali che la volontà umana sia sottoposta alla divina e onnipotente sua volontà. Come, infatti, la sua santissima carne, immacolata e animata, sebbene deificata, non fu distrutta, ma rimase nel proprio stato e nel proprio modo d'essere, cosi la sua volontà umana, anche se deificata, non fu annullata, ma piuttosto salvata" (102).
Noi disponiamo, dunque, che l'arcivescovo Abdalam, a nome di quelli che sono stati accennati sopra, debba accettare questa fede, crederla col cuore e professarla con la bocca. Ordiniamo, inoltre, e stabiliamo che, a nome degli stessi debba accettare ed abbracciare tutto quello che dalla
sacrosanta chiesa romana è stato definito e stabilito lungo i secoli, specialmente i decreti dei Greci, degli Armeni e dei Giacobiti, promulgati nel sacro concilio ecumenico fiorentino, che noi, dopo che lo stesso arcivescovo Abdalam li ebbe letti accuratamente, - tradotti in arabo - e lodati, abbiamo fatto dare a lui, che li accettava a nome delle persone suddette, per una più profonda e più completa comprensione. Quei dottori, inoltre, e quei santi padri che approva e accetta la sacrosanta chiesa romana, egli, a nome dei suddetti, dovrà accettarli e approvarli; e, sempre a nome loro, dovrà considerare come condannate e riprovate tutte quelle persone e qualsiasi altra cosa - che essa condanna e riprova, promettendo, ancora, a nome di essi, come figlio d'obbedienza, di stare, devotamente, sempre e fedelmente agli ordini e alle disposizioni della sede apostolica. Ciò, con giuramento.
SESSIONE XIV (7 agosto 1445)
(Bolla di unione dei Caldei e dei Maroniti di Cipro).
Eugenio vescovo, servo dei servi di Dio, a perpetua memoria.
Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo Padre delle Misericordie e Dio di ogni consolazione che (103) accompagna sempre più, con molti e grandi segni di benevolenza e con esito più felice di quanto noi meritiamo, i nostri voti e pii desideri, con i quali, per dovere del nostro ufficio pastorale, desideriamo la salvezza del popolo cristiano e la favoriamo, come ci viene concesso dall'alto, con opere continue.
Realizzata, infatti, l'unione della chiesa orientale con l'occidentale nel concilio ecumenico fiorentino, dopo che gli Armeni, i Giacobiti e i popoli della Mesopotamia erano stati ricondotti all'obbedienza, inviammo il venerabile nostro fratello Andrea, arcivescovo di Colocia, in oriente e all'isola di Cipro, perché con la sua predicazione e con l'esposizione e la spiegazione dei decreti, emanati per la loro unione e per il loro ritorno all'obbedienza, egli confermasse nella fede ricevuta i Greci, gli Armeni e i Giacobiti che abitavano in quelle terre, e perché, secondo le nostre esortazioni ed ammonimenti, cercasse di ricondurre alla verità della fede quelli che avesse trovato appartenere ad altre sètte alieni dalla vera dottrina, seguaci di Nestorio o di Macario. Missione che egli eseguì con somma diligenza, con la sapienza e le altre virtù, di cui l'arricchì il donatore di ogni grazia, Dio.
Cosi dopo varie e molteplici discussioni, tolse finalmente dal loro cuore prima ogni impura dottrina di Nestorio, - che asseriva Cristo essere un semplice uomo, e la beatissima Vergine non la madre di Dio, ma la madre di Cristo -; poi di Macario d'Antiochia, uomo di somma empietà, - il quale, pur ammettendo che Cristo è vero Dio e vero uomo, tuttavia, detraendo troppo all'umanità, riteneva che in lui vi fosse solo la volontà e l'operazione divina. Quindi con l'aiuto di Dio egli converti i nostri venerabili fratelli Timoteo, metropolita dei Caldei, che nell'isola di Cipro erano chiamati nestoriani perché seguivano Nestorio ed Elia, vescovo dei Maroniti, che nello stesso regno era contaminato con tutta la sua nazione dalle dottrine di Macario, e che egli riportò alla verità della fede ortodossa nell'isola di Cipro, a lui soggetta, con tutto il popolo e i chierici. A questi presuli e a tutti quelli che in quelle parti erano loro soggetti, egli trasmise la fede e la dottrina che la chiesa sacrosanta ha sempre coltivato e osservato; ed essi l'accolsero con somma vene- razione, in un pubblico e solenne raduno di popoli delle diverse nazioni del regno, tenuto nella chiesa metropolitana di Santa Sofia.
Fatto ciò, i Caldei mandarono fino a noi il suddetto Timoteo, loro metropolita; Elia, invece, vescovo dei Maroniti, ci mandò un inviato, perché facessero la solenne professione, e dinanzi a noi, in questa sacra congregazione generale del concilio ecumenico lateranense, il metropolita Timoteo, per primo, con riverenza e devozione, fece la professione della fede e dottrina nella sua lingua caldea tradotta in greco, e poi dal greco in latino, in questo modo.
"Io Timoteo, arcivescovo Tarsense, metropolita dei Caldei di Cipro, prometto per me e per tutti i miei popoli e mi impegno solennemente dinanzi a Dio immortale, Padre, Figlio e Spirito santo, e dinanzi a te, santissimo e beatissimo padre, Eugenio IV papa, e a questa sacrosanta apostolica sede e a questa santa e venerabile congregazione, che per l'avvenire sarò sempre sotto la tua obbedienza, dei tuoi successori e della sacrosanta chiesa romana, in quanto unica madre e capo di tutte le altre.
Ed inoltre, che in avvenire riterrò sempre e professerò che lo Spirito santo procede dal Padre e dal Figlio, come insegna la santa chiesa romana.
Similmente, che in avvenire crederò sempre ed approverò due nature, due volontà, una ipostasi e due operazioni in Cristo.
Che in avvenire confesserò e approverò sempre tutti e sette i sacramenti della chiesa romana, come essa li crede, li insegna, li predica.
Che in avvenire non aggiungerò olio nella santa eucarestia.
Che in avvenire, riterrò, confesserò, predicherò e insegnerò sempre tutto ciò che ritiene, confessa, insegna e predica la sacrosanta chiesa romana; e che tutto quello che essa riprova, anatematizza e condanna, lo riprovo, lo anatematizzo e lo condanno anch'io e lo riproverò e lo anatematizzerò e lo condannerò sempre anche in futuro, specialmente le empietà e le bestemmie dell'iniquissimo eresiarca Nestorio, ed ogni altra eresia, che si manifesti contro questa santa, cattolica e apostolica chiesa.
Onesta è la fede, padre santo, che io faccio voto e prometto di tenere e di osservare e di far tenere e osservare da tutti i miei sudditi; e prometto anche, assicuro e faccio voto di privare di tutti i beni e di tutti i benefici chiunque la re- spinga o si eriga contro di essa e di scomunicarlo e di dichiararlo eretico e condannato, e, se fosse ostinato, di degradarlo e consegnarlo al braccio secolare".
Professione del tutto simile fece, con molta venerazione, il diletto figlio in Cristo Isacco, nunzio del nostro venerabile fratello Elia, vescovo dei Maroniti, in sua vece e a suo nome, riprovando l'eresia di Macario dell'unica volontà in Cristo.
Per queste professioni e per la salvezza di tante anime, rendiamo infinite grazie a Dio e al signore nostro Gesù Cristo, che si degna di dare in questi nostri tempi un incremento cosi grande alla fede e tanti benefici ai popoli cristiani. Accettiamo e approviamo tali professioni. Riceviamo il metropolita e il vescovo di Cipro e i loro sudditi nel grembo della santa madre chiesa, e, se rimarranno nella fede, nell'obbedienza e nella devozione, concediamo loro grazie e privilegi; e specialmente: che nessuno, in seguito, osi chiamare eretici il metropolita dei Caldei, il vescovo dei Maroniti, e i loro. chierici e popoli, o qualcuno di essi; o in seguito, chiamare i Caldei nestoriani. E se qualcuno credesse di poter disprezzare questa nostra disposizione, comandiamo che questi sia scomunicato dal suo ordinario, per tutto il tempo che differirà di riparare degnamente o che sia punito con qualche altra pena temporale, a giudizio dell'ordinario.
Cosi pure che il metropolita e il vescovo e i loro successori, per quanto riguarda qualsiasi onore, siano preferiti ai vescovi che sono separati dalla comunione della santa chiesa romana.
Che in avvenire possano sottoporre a censura i loro sudditi, e che quelli che essi avranno legittimamente scomunicato debbano considerarsi scomunicati da tutti, e quelli che avranno assolto, per assolti.
Che essi, i loro sacerdoti e i loro chierici possano celebrare liberamente nelle chiese dei cattolici e i cattolici nelle loro chiese.
Che i suddetti presuli e i loro sacerdoti e chierici e laici dell'uno e dell'altro sesso, che abbiano accettato questa unione e questa fede, possano scegliere il luogo della loro sepoltura nelle chiese dei cattolici e contrarre matrimoni con cattolici - secondo il rito dei Latini, tuttavia - e godere ed usufruire di tutti quei benefici, immunità e libertà di cui godono gli altri cattolici, sia chierici che laici, in quel regno.
NOTE