Introduzione alla Lectio Divina di Luca 9,28-36

Seconda domenica di Quaresima 2001

 

[28] Circa otto giorni dopo questi discorsi, prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. [29] E, mentre pregava, l’aspetto del suo volto divenne un altro e il suo abito bianco, sfolgorante. [30] Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia, [31] apparsi nella loro gloria, e parlavano del suo esodo che stava per compiere a Gerusalemme. [32] Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. [33] Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: “Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia”. Egli non sapeva quel che diceva. [34] Mentre parlava così, venne una nube e li avvolse; all’entrare in quella nube ebbero paura. [35] E dalla nube uscì una voce, che diceva: “Questi è il figlio mio, l’eletto; ascoltatelo”. [36] Appena la voce cessò, Gesù restò solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

 

*quelli sottolineati sono termini chiave per la meditatio.

 

Il brano cosiddetto della “trasfigurazione” è presente in tutti i tre i vangeli sinottici di Matteo, Marco, Luca; proprio questo ci dà la possibilità di apprezzare, attraverso le diversità e le peculiarità di ognuna delle tre versioni, come ciascun racconto, più che il resoconto di una “esperienza”, sia piuttosto una consapevole costruzione teologica tramite cui ciascuno degli evangelisti intende donarci un proprio messaggio.

La “trasfigurazione” di Luca, in particolare si presenta come il punto di arrivo di una serie di discorsi relativi all’identità di Gesù, strettamente connessa alla prospettiva pasquale e al cammino che lo stesso Gesù si avvia a compiere verso Gerusalemme. Già diversi segnali, disseminati nello stesso capitolo sembrano puntare in questa direzione: la professione di fede di Pietro, nella quale Gesù è riconosciuto dal proprio discepolo come “il Cristo di Dio” (v. 20), poi l’annuncio imminente della passione, con il quale lo stesso Gesù manifesta per la prima volta in modo inequivocabile la propria vicenda imminente di passione e resurrezione. Ed è tuttavia proprio nel nostro brano che l’evangelista sembra volere intrecciare tutti questi fili.

Gesù si avvia adesso con tre dei propri discepoli su un monte. Di esso non ci viene indicato il nome; per l’evangelista non è importante indicare un luogo preciso, quanto piuttosto sottolineare, come del resto era già nella tradizione dell’Antico Testamento, che il monte è il luogo privilegiato dell’incontro con Dio (basti pensare a Es. 24,15-18, in cui Mosè sale sul monte Sinai incontrando Dio che per sei giorni dimora sotto forma di nube). Gesù inizia a pregare e durante la preghiera, nel dialogo intimo e intenso tra Figlio e Padre il suo aspetto muta. Il volto, immagine e rivelazione nella persona nella sua globalità, diventa “altro” da quello consueto, le vesti risplendono di un candore folgorante. È il Gesù della gloria (ejn dovxh/), è il Gesù che anche nel suo aspetto visibile manifesta ora la sua totale integrazione tra natura umana e natura divina. E tuttavia proprio a questo punto che emerge l’originalità e il tratto caratterizzante di Luca. Già la costruzione del testo rivela che per Luca la natura gloriosa di Gesù non può assolutamente essere separata dal quel cammino verso la croce che Gesù sta per affrontare. Non è una caso che egli, unico fra gli evangelisti, si soffermi a riferire il contenuto della conversazione che Gesù intrattiene con Mosè ed Elia: “parlavano del suo esodo che stava per compiere a Gerusalemme”. Da qui possiamo comprendere come secondo Luca la pienezza (suggerita dal verbo greco plhrovw) di Gesù è ancora da compiersi e si realizzerà in quell’ ”esodo” imminente che coniuga l’idea di “cammino” e quella di “allontanamento dalla vita”. In altre parole è come se l’autore volesse suggerire che la gloria del Cristo trasfigurato assume il suo senso più pieno solo nella prospettiva della passione e della croce, così come il volto sofferente di Cristo si spiega alla luce del volto glorioso della trasfigurazione. Tra i due momenti non c’è separazione bensì continuità e identità profonda: perché ci sia gloria è necessario l’”esodo” e anzi proprio quest’ultimo è il compimento più alto della gloria stessa di Gesù.

Di fronte a questo evento straordinario la reazione di Pietro e dei discepoli appare profondamente umana, a prima vista cattura quasi la nostra simpatia. Pietro, Giacomo e Giovanni sono saliti sul monte, hanno avuto il privilegio di condividere con Gesù una intimità ancora più profonda di quella vissuta dagli altri discepoli: dopo avere seguito quell’uomo di cui hanno avvertito la forza, hanno ora contemplato la sua gloria; la proposta di “fare le tende” è allora l’espressione del desiderio di Pietro di prolungare questo stato di grazia e di benessere, di sospendere il tempo e la storia per continuare a gioire della gloria del maestro; eppure Luca fa intuire che paradossalmente proprio chi è più vicino rischia di non comprendere appieno il senso di quello che accade. A stento i discepoli riescono a stare svegli (ancora un anticipo di quello che accadrà al momento della passione, quando durante un’altra e ben più drammatica preghiera di Gesù, quella al Monte degli Ulivi, essi non riusciranno neppure a vegliare; cfr. Luca 22,44-46) mentre  le parole di Paolo sono come prive di senso “egli non sapeva quel che diceva”; Paolo in effetti ha dimenticato le parole pronunciate da Gesù pochi giorni prima, sulla necessità di compiere un percorso che solo attraverso la morte avrebbe condotto alla resurrezione; se la tentazione di Paolo è quella di “restare”, di fermarsi a contemplare, Luca suggerisce con forza che la realizzazione piena della gloria impone a Gesù la necessità di scendere dal monte e di avviarsi a Gerusalemme.

La voce del Padre giunge allora a spiegare ai discepoli il mistero cui essi hanno assistito. Essa non soltanto porta a compimento il percorso di definizione dell’identità di Gesù, mettendo in evidenza il rapporto di figliolanza e di elezione del Cristo, ma suggerisce ai discepoli (e a noi) il modo con cui rapportarsi al Figlio: “questi è il figlio mio l’eletto; ascoltatelo”. Non dunque quella visione cui Paolo e gli altri rimangono ancorati e che alla fine si rivela, almeno per il momento, effimera; al contrario la sequela dei discepoli dovrà farsi ascolto vigile, custodia e comunicazione della parola udita dal maestro.

E del resto la raccomandazione del Padre rimane la stessa anche per noi. Come scrive A. Louf “Egli ci dà il suo Figlio, noi porgiamo l’orecchio e lo ascoltiamo senza fine”. È ri-ascoltando ogni volta questa parola con le “orecchie del cuore”, è continuando a proclamarla e meditarla che siamo invitati ad entrare nel mistero di Gesù, nell’attesa di vederlo un giorno “così come egli è, faccia a faccia”.

 

Brani per la meditatio

 

- È consigliabile anzitutto la lettura dell’intero capitolo in cui il brano è inserito.

- Interessante è 2Pt. 1,17 e segg. nella quale lo stesso Pietro, rievocando la trasfigurazione, ne dà una lettura come di un primo compimento delle profezie dell’A.T.

- utile anche la lettura del brano del Battesimo di Gesù a 3,21-22.

 

Meditazione su Lc 9,28-36

questa settimana la lectio sulla prima lettura non è disponibile.