D I
R I T T I
REFERENDUM
SOCIALI
FIRMA
I
licenziati
inquinati
privatizzati
per
il lavoro
per
l’ambiente
per
la scuola
A C U R A
D E L GRUPPO DI LAVORO REFERENDUM DEL PA R T I TO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA
PIEGATI
APPROFONDIMENTI E SCHEDE
PIEGATI
D I
R I T T I
APPROFONDIMENTI E SCHEDE
Come
nasce lo Statuto dei lavoratori
L’idea di uno statuto
dei lavoratori viene proposta la prima volta da Giuseppe Di Vittorio durante il
terzo congresso della
CGIL nel 1952. Sono gli “anni duri”, quelli della repressione antisindacale in
fabbrica, dei
licenziamenti per rappresaglia e dei reparti confino.
L’idea viene
riproposta quindici anni più tardi dal ministro del lavoro Giacomo Brodolini,
che tuttavia
muore pochi mesi più
tardi. Il disegno di legge viene portato avanti dal nuovo ministro del lavoro
Carlo
Donat Cattin, sotto
la direzione dei lavori di Gino Giugni. La legge viene approvata dalla
maggioranza
dal Parlamento nel
maggio del 1970. Il PCI si astiene dalla votazione, perché pur riconoscendo
questo
come un primo passo
verso una legislazione che garantisca le libertà costituzionali nei luoghi di
lavoro,
ne lamenta i limiti,
primo tra tutti l’esclusione delle garanzie previste dalla legge per i
lavoratori di
imprese con meno di
quindici dipendenti.
Il
contesto: l’autunno caldo
Lo statuto dei
lavoratori è il risultato degli anni di grande fermento sociale e civile che
vanno sotto il
nome di autunno
caldo.
Sono gli anni della
centralità operaia e della contestazione giovanile, gli anni dei grandi
conflitti industriali
nelle fabbriche del
nord, gli anni della partecipazione, della spontaneità e della radicalità. Le
lotte hanno
come principale
protagonista l’operaio massa, il lavoratore dequalificato impiegato nella
produzione
taylor-fordista, spesso
immigrato dal sud, la cui rabbia e il cui disagio sociale si incontra con
l’avanguardia operaia
che ha resistito agli anni ’50, grazie a una travagliata rielaborazione
politica e alla
capacità di proporre
un coraggioso dibattito interno.
Sono gli anni
dell’unità sindacale. Il primo maggio del 1970, per la prima volta dal 1948, le
tre
confederazioni
celebrano insieme la festa dei lavoratori e preparano, dopo decenni di aspri
conflitti, il
processo che nel 1972
porterà all’unificazione organizzativa.
Sono gli anni dei
consigli di fabbrica. La struttura sindacale vive in questi anni un processo di
profonda
trasformazione da cui
nascono forme dirette di rappresentanza, ereditate dall’esperienza dell’Ordine
Nuovo e ispirate alla
democrazia di base e alla centralità dell’assemblea nel processo decisionale.
Il
valore dell’articolo 18
La Statuto dei
lavoratori garantisce il rispetto delle libertà costituzionali in fabbrica,
promovendo e
sostenendo la piena
cittadinanza del sindacato nei luoghi di lavoro.
L’articolo 18 integra
la disciplina prevista dalla legge 604 del 1966 in materia di licenziamento
individuale.
Esso prevede che il
giudice, rilevando l’inefficacia di un licenziamento perché privo di giusta
causa o
giustificato motivo
possa ordinare al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel posto di
lavoro.
Il valore principale
dell’articolo 18 è nella sua funzione di deterrente rispetto all’utilizzo
disinvolto della
procedura di
licenziamento individuale da parte dei datori di lavoro. Anche se in Italia il
numero dei
licenziamenti
individuali impugnati e conclusi con sentenza di accoglimento attraverso la
reintegra è
relativamente scarso,
è evidente che l’abolizione dell’articolo 18, esporrebbe i lavoratori alla
privazione
delle tutele
fondamentali e alla minaccia alla dignità personale.
La tutela in materia
di licenziamento rappresenta un principio di emancipazione e un valore decisivo
articolo
18
PIEGATI
D I
R I T T I
APPROFONDIMENTI E SCHEDE
che riguarda la libertà
e la dignità della persona. Esso regola i rapporti di potere all’interno
dell’impresa
e ristabilisce in
parte lo squilibrio tra lavoratori e datori di lavoro. A fronte di presunti
benefici
sull’occupazione -
mai seriamente dimostrati né dall’evidenza statistica né dalla dottrina
economica -
con l’abolizione
dell’articolo 18 il lavoratore tornerebbe solo e in posizione di accentuata
debolezza di
fronte al datore di
lavoro.
Il
confronto con il resto d’Europa
La tutela prevista
dall’articolo 18 attraverso il meccanismo della reintegra non è affatto una
anomalia
italiana. Nonostante
nella maggioranza dei paesi europei a fronte del licenziamento ingiustificato
viga la
prassi del
risarcimento, l’istituto della reintegra come questione di principio è previsto
quasi ovunque.
PROCEDURA PAESE
ENTITA’
DELL’INDENNIZZO SOGLIA
Svezia
Sono escluse le
imprese di
piccolissime
dimensioni
Da 16 a 48 mensilità Dopo un iniziale tentativo di
conciliazione
effettuato direttamente tra le parti, il
procedimento è rinviato al giudice che
può ordinare la reintegra.
Il datore può rifiutarla, ma è obbligato a
pagare un’indennità molto alta.
Norvegia
È commisurato a una serie
di parametri soggettivi e
contestuali
L’ordinamento prevede la reintegra, ma il
giudice può decidere che sussistono
motivi tali da rendere il proseguimento
del rapporto di lavoro “chiaramente
irragionevole”. In tal caso è previsto il
risarcimento.
Germania
Sono escluse le
imprese con meno
di 5 dipendenti.
Vale solo per
lavoratori con
almeno 6 mensilità
di servizio
50% dell’ultima retribuzione
in base agli anni di servizio,
fino a un massimo di 12 anni
(18 se l’anzianità è superiore
ai 20 anni)
Il consiglio di azienda (Betriebsrat) deve
essere preventivamente informato del
licenziamento e deve giudicarne la
validità. Senza preventiva consultazione,
il licenziamento è automaticamente nullo.
Nel caso in cui il licenziamento sia
considerato giustificato, il lavoratore può
comunque presentarsi al giudice, ma
avrà meno possibilità di successo.
Il giudice può ordinare la reintegra, ma
nella maggioranza dei casi prevale il
risarcimento.
Portogallo Minimo tre mensilità Il lavoratore può scegliere tra
reintegra e
indennizzo.
Grecia Il lavoratore può scegliere tra reintegra e
indennizzo.
PROCEDURA PAESE
ENTITA’
DELL’INDENNIZZO SOGLIA
Regno
Unito
Nessun limite
dimensionale.
1 anno di servizio
In media 50.000 sterline
(160.000.000 di lire)
Il giudice può ordinare la reintegra, la
riassunzione in un posto con
caratteristiche simili a quello perso o il
pagamento di una indennità.
Francia 10 dipendenti In media 15-18 mensilità
Se il vizio riguarda la procedura, l’organo
che deve giudicare è il Conseil de
Proud’hommes che può prevedere una
penale e un risarcimento.
Se il vizio riguarda la causa, il giudice
può ordinare la reintegra o un
risarcimento.
Belgio Non meno di 6 mensilità, a
seconda che il dipendente
sia operaio o impiegato.
Non esiste alcun diritto di reintegra, ma
solo un indennizzo.
Danimarca Massimo 12 mensilità Il reintegro non è escluso, ma è assai
raro.
Finlandia Massimo 24 mensilità e
interventi di formazione
professionale
Il reintegro non è escluso, ma è assai
raro.
Spagna Dipende dal fatto che le cause
del licenziamento siano
oggettive o soggettive. Nel
primo caso si tratta di 33 giorni
di retribuzione per ogni anno di
servizio fino a 24 mensilità. Nel
secondo di 45 giorni per un
massimo di 42 mensilità.
Di fronte al riconoscimento del carattere
ingiustificato da parte del giudice, il
datore può comunque scegliere tra il
reintegro e l’indennizzo.
Olanda
Il giudice può ordinare la reintegra, ma il
datore di lavoro può decidere comunque
per l’indennizzo.
Importante è il ruolo degli Uffici regionali
del lavoro, da cui dipende
l’autorizzazione di un licenziamento
dubbiamente motivato.
Anche se accade raramente, il
licenziamento che venga autorizzato, può
comunque essere contestato dal
lavoratore. Se il giudice accoglie la
richiesta, il datore deve pagare un
indennizzo ancora maggiore.
PIEGATI
D I
R I T T I
APPROFONDIMENTI E SCHEDE
PIEGATI
D I
R I T T I
APPROFONDIMENTI E SCHEDE
articolo 35
Estensione
dell’articolo 35 alle imprese con meno di 15 dipendenti
L’art. 35 della legge
300/1970 (Statuto dei Lavoratori) stabilisce il limite dimensionale entro il
quale il
datore di lavoro, tra
gli altri, è tenuto a riconoscere ai propri dipendenti il diritto di costituire
rappresentanze
sindacali aziendali, il diritto di assemblea, il diritto ad usufruire di
permessi retribuiti, il
diritto di
affissione, nonché le procedure da osservare in caso di trasferimento del
rappresentante
sindacale.
La norma sancisce
l’applicabilità del titolo III della legge 300/70 (che è appunto quella parte
dello Statuto
dei Lavoratori che
disciplina i diritti e le tutele sopra indicati) a ciascuna sede, stabilimento,
filiale, ufficio
o reparto autonomo di
impresa industriale e/o commerciale nella quale siano occupati più di 15
dipendenti;
ugualmente si applica alle imprese industriali o commerciali che nell’ambito
dello stesso
comune occupano più
di 15 dipendenti.
E’ evidente che
l’abolizione del limite dimensionale consente che la norma possa essere
applicata in
qualsivoglia realtà
industriale o commerciale consentendo così l’effettivo esercizio dei diritti e
delle
tutele sindacali
anche nelle realtà lavorative di dimensioni più ridotte.
E’ fin troppo noto
infatti che attualmente proprio in tali realtà i lavoratori vivono in
condizioni di
soggezione
psicologica rispetto al datore di lavoro per la mancanza di rappresentanze
sindacali
aziendali, per
l’impossibilità di esercitare diritti quale quello di assemblea o di
affissione, ma è altrettanto
noto che ormai tali
realtà sono quelle più numerose
Imprese con meno di
15 dipendenti sono numerosissime nel Nord Est e nel Mezzogiorno d’Italia, dove,
non a caso, e per
ragioni diverse si vivono le peggiori condizioni di lavoro: il sindacato è meno
presente
ed il sommerso è la
regola; ma ormai il fenomeno è sempre più diffuso anche nelle grandi aree
industriali grazie ai
processi di esternalizzazione favoriti dalla legislazione premiale sviluppatasi
negli
ultimi anni.
E’ per questo motivo
che, oltre a chiedere l’applicabilità dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori
a tutti,
è necessario
estendere l’art. 35 a qualsiasi luogo di lavoro, quale che sia la dimensione,
per rendere
esigibile l’esercizio
dei diritti sindacali da parte di tantissimi lavoratori ancora invisibili.
REFERENDUM
SOCIALI
FIRMA
I
PIEGATI
D I
R I T T I
APPROFONDIMENTI E SCHEDE
scuola pubblica
“…Enti
e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza
oneri
per
lo Stato…”
La legge di parità,
aggirando il dettato costituzionale del “senza oneri per lo Stato” inserisce le
scuole
paritarie nel sistema
scolastico nazionale prevedendo per questi istituti l’erogazione di
finanziamenti
pubblici.
La politica di
sostegno alle scuole private non si limita soltanto al finanziamento pubblico,
ma arriva
anche a modificare lo
status giuridico degli insegnanti. Infatti, grazie a questa legge, le scuole
paritarie
possono utilizzare il
25% del loro personale gratuitamente, tramite il volontariato o i contratti di
prestazioni d’opera.
Nonostante il forte
incremento di contributi pubblici (nel 2001 oltre 300 miliardi, il Governo
Berlusconi
ha stanziato altri
1000 miliardi per il 2002) le scuole private registrano una continua
diminuzione di
studenti (35% in meno
nel quinquennio 1997-2001). Forte è il decremento nella scuola media e
superiore
(-36,2% e -39,4%) più
attenuato invece è il decremento relativo alla scuola dell’infanzia (-4,8%).
Le condizioni di
degrado ed insufficienza delle strutture scolastiche pubbliche (palestre,
mense,
laboratori, edifici),
soprattutto nel sud, ma non solo, sono particolarmente gravi e richiedono
consistenti
interventi finanziari
da parte dello Stato, tenuto conto che l’Italia è fanalino di coda tra i paesi
europei
per gli investimenti
per l’istruzione. Le spese nel settore hanno subito un vero tracollo negli
ultimi anni,
compresi i governi di
centro-sinistra, passando dal 13,6% di spesa a poco più del 5%.
La legge di parità
quindi come madre di tutte le controriforme intervenute nella legislazione
scolastica.
Sia chiaro una legge
di parità non è di per sé
incostituzionale, al
contrario, essa potrebbe mettere ordine
nel mucchio selvaggio
dei diplomifici, che contribuiscono
alla svalutazione del
valore legale dei titoli di studio,
riconoscendo la
parità degli esiti e non la parità delle
finalità o delle
funzioni.
La legge di parità
attribuisce l’istruzione pubblica al privato,
stravolgendo quanto
previsto dal dettato costituzionale per
il quale le scuole
pubbliche sono necessarie in quanto
strutture
istituzionalmente previste per la realizzazione dello
sviluppo culturale e
democratico del paese, e come tali
aperte a tutti e
caratterizzate dalla libertà di insegnamento;
mentre le scuole
private non sono necessarie, in quanto
espressione di
esigenze private, di tendenze, ma possono
essere istituite con
piena libertà aggiungendosi (non
facendo parte) al
sistema pubblico come possibile scelta
alternativa e senza
comportare spese a carico del bilancio
pubblico.
Il referendum
conserva il carattere di parità previsto dal III
Comma dell’art.33
della Costituzione.
PIEGATI
D I
R I T T I
APPROFONDIMENTI E SCHEDE
scuola pubblica
ACCESSO
ALLA SCUOLA
SCUOLA PUBBLICA
Tutti possono
accedere alla scuola pubblica senza limitazione alcuna
SCUOLA PRIVATA
L’iscrizione è subordinata
all’accettazione dello specifico progetto educativo e della tendenza che
caratterizza ogni
singola scuola
QUALIFICAZIONE
DEL PERSONALE DOCENTE
SCUOLA PUBBLICA
L’assunzione richiede
il possesso del titolo di studio prescritto per lo specifico insegnamento e la
relativa abilitazione
SCUOLA PRIVATA
Si richiede una
“idonea” qualificazione professionale, quindi si può prescindere dai requisiti
richiesti per
l’insegnamento nelle
scuole pubbliche. In misura non superiore al 25% complessivo del personale le
scuole private
possono avvalersi di prestazioni volontarie di personale docente.
RECLUTAMENTO
PERSONALE DOCENTE
SCUOLA PUBBLICA
Le assunzioni sono
disposte sulla base di concorsi pubblici ai quali tutti possono partecipare
SCUOLA PRIVATA
Le assunzioni sono
disposte per scelta da parte dei gestori subordinatamente all’accettazione
dell’identità
culturale dell’istituzione. Il reclutamento è quindi palesemente
discriminatorio.
LIBERTA’
DI INSEGNAMENTO
SCUOLA PUBBLICA
Nella scuola pubblica
è garanzia di pluralismo e quindi anche come rispetto dei diritti degli
studenti,
rappresenta il
connotato essenziale e caratterizzante dell’istituzione
SCUOLA PRIVATA
La libertà di
insegnamento è subordinata alla libertà di istituire scuole di tendenza, il
personale docente
deve rispettare
l’identità culturale della scuola, la libertà di insegnamento non può quindi
configgere con
le finalità educative
del gestore della scuola, cioè con la tendenza confessionale e/o ideologica di
quella
scuola.
PIEGATI
D I
R I T T I
APPROFONDIMENTI E SCHEDE
elettrodotto coattivo
No
all’inquinamento da elettrosmog
Il
principio di cautela afferma: “occorre usare con prudenza e cautela quelle
tecnologie che non risultano
sicuramente
innocue, superando il criterio corrente per il quale va ammesso l’utilizzo di
processi e prodotti
finché
non sia dimostrata la loro nocività.”
Quindi,
una moderna legislazione di tutela sanitaria e ambientale inverte l’onere della
prova. A questa
impostazione,
in linea con la più avveduta ricerca in campo scientifico, sia sperimentale che
epidemiologica,
si
oppone la difesa di interessi delle imprese, quelle delle società elettriche e
delle telecomunicazioni, e
delle
lobbies che, in associazioni a loro collegate, ne difendono gli interessi.
Il
problema nasce per i cosiddetti effetti a lungo termine derivanti da
esposizioni prolungate anche a basse
dosi.
Tali effetti non sono ovviamente deterministici (ovvero non c’è rapporto
automatico di causa ed effetto
per
ogni soggetto esposto) ma sono, comunque, rilevati dalle indagini
epidemiologiche sulle popolazioni
esposte
anche a valori molto bassi.
Per
le basse frequenze (elettrodotti), che sono tecnologie usate da più anni,
l’indagine epidemiologica ha
dimostrato
un aumento di patologie anche gravi, quali la leucemia infantile, anche a
esposizioni centinaia
di
volte inferiori a quelle individuate per la protezione dai cosiddetti effetti
acuti. Tali effetti nocivi sono
evidenziati
dalle indagini più recenti anche dalle nuove tecnologie legate alle alte
frequenze (ripetitori,
t ra
s m e t t i tori, ecc.). La legge quadro sull’elettrosmog (n.36 del fe b b raio
2001), pr e v e d e v a
che
entro 60 giorni dalla sua pubblicazione dovessero essere varati i decreti
attuativi della medesima, in
particolare
in relazione all’individuazione dei limiti di esposizione (limiti da non
superare in qualsiasi
condizione
espositiva, ovvero limiti per i cosiddetti effetti acuti), dei valori di
attenzione (ovvero limiti da
non
superare ovunque la popolazione risiede, ovvero limiti per la protezione dai
possibili effetti a lungo
termine)
e degli obiettivi di qualità (valori per la minimizzazione delle esposizioni,
quindi limiti per i nuovi
impianti
e per il risanamento degli impianti dove si superano i valori di attenzione).
Tali decreti dovevano,
quindi,
essere emanati entro aprile del 2001. I testi erano già predisposti e
prevedevano per gli elettrodotti
il
valore di attenzione di 0,5 micro tesla e l’obiettivo di qualità di 0,2 micro
tesla (valore 500 volte inferiori
a
quelli vigenti oggi di 100 micro tesla); per le alte frequenze (ripetitori per
telefonia e impianti di
trasmissione
radio tv) si prevedeva l’obiettivo di qualità di 3 volt metro (la metà di
quelli oggi in vigore).
Il governo
di centro sinistra, pur avendone tutti i tempi, non varò i decreti, tradendo
così le attese delle
associazioni
e dei comitati.
Ora
il governo delle destre fa la sua parte (sporca, ovviamente) e annuncia di
voler ritardare ancora il varo
dei
decreti attuativi della legge e sullo sfondo delle dichiarazioni dei vari
ministri si annuncia la volontà di
varare
decreti con limiti più alti di quelli già concordati tanto per non dare alcun
fastidio a quel mondo
delle
imprese assunto come ordinatore della società nel suo complesso.
Il
referendum serve a dare uno strumento operativo per battere questa voglia di
restaurazione che il governo
delle
destre intende perseguire. Il problema che viene posto è quello della
cosiddetta servitù di elettrodotto,
ovvero
l’esproprio coattivo dei terreni per fare passare gli elettrodotti.
Attraverso
l’abrogazione di questa norma da un lato si da uno strumento concreto di
battaglia ai comitati
che
si battono contro la costruzione di nuove linee che non rispettano criteri di
tutela ambientale o che
passano
vicino alle abitazioni, determinando un danno alla salute, dall’altro si da uno
scossone contro la
pretesa
del governo e delle lobbies di affossare la legge sull’elettrosmog approvata
nel 2001.
PIEGATI
D I
R I T T I
APPROFONDIMENTI E SCHEDE
sicurezza alimentare
Una
sana alimentazione per la qualità della vita
Nessuno può
sottovalutare l’importanza di una sana alimentazione nel determinare la qualità
della vita
d’ognuno di noi. Gli
scandali delle epidemie della “mucca pazza”, dei “polli alla diossina”, degli
inquinamenti da
sementi modificati geneticamente o semplicemente del degrado sempre maggiore
del
nostro pianeta (basti
pensare alle falde acquifere) hanno aperto gli occhi a tutti. La produzione
industriale, con
l’utilizzo massiccio di elementi chimici nocivi alla salute dell’uomo e nocivi
per
l’ecosistema, e
funzionali agli interessi delle grandi industrie, è ormai addirittura
controproducente in
termini di qualità
della vita.
Sempre più si
riscoprono metodi di produzione agroalimentare che, riprendendo tecniche e
tecnologia
antiche, vengono
riattualizzati con l’enorme sviluppo delle conoscenze e strumentazioni
scientifiche, e
che si dimostrano non
solo più eco-compatibili e sicuri per chi lavora la terra - che finora paga più
duramente questo modo
di produrre - ma anche più sani per chi ne consuma i prodotti e, questo è
fondamentale,
rispettosi delle culture e delle necessità produttive del Sud del mondo. E che
inoltre
sono sempre più
competitivi.
Convinti che la Terra
e tutte le forme di vita che
l’abitano vadano pr e
s e rvate come patrimonio
collettivo
dell’umanità, che la salute d’ogni singolo
è un bene pubblico,
che dipende dalla qualità della
vita complessiva di
una società, vogliamo abrogare
la parte della legge
(risalente al 1934) che permette
al Ministero della
Sanità di fissare i limiti di
tolleranza dei
residui industriali nel cibo, vietando
che ci siano e basta,
come del resto la legge
prevede poi,
contraddicendosi. La cosa veramente
paradossale è che il
ministro della Sanità può oggi
fissare il limite di
residuo per ogni singola sostanza
nei prodotti
alimentari, ma non fissa il numero di
prodotti inquinanti
che possono essere presenti
negli alimenti. Così
mangiando un frutto possiamo
arrivare a mangiare
decine di sostanze tossiche.
Ognuna però rispetta
il limite di tolleranza!!!
Questa è anche una
battaglia di democrazia, dato
che oggi i prodotti
biologici sono sicuramente non
accessibili ai più,
visti i costi. Vogliamo invece che
tutti possano
mangiare prodotti naturali.
PIEGATI
D I
R I T T I
APPROFONDIMENTI E SCHEDE
rifiuti
No
agli incentivi per l’incenerimento dei rifiuti
Con questo
referendum, si pone un problema emblematico del modo distorto con il quale la
questione
dei rifiuti viene
affrontata.
Il problema posto è
quello degli inceneritori con i quali si intendono bruciare rifiuti solidi
urbani.
Si vogliono abrogare
norme che consentono di incentivare con premi in denaro la costruzione di
inceneritori che
producono diossina (che è un prodotto cancerogeno) e, quindi, hanno una
ricaduta
grave sia per
l’ambiente che per la salute.
Anche in questo caso,
il principio di cautelativo viene violato e si determinano danni molto forti
sia
all’ambiente che alla
salute delle popolazioni, come dimostrano molte indagini epidemiologiche
effettuate.
Si sottopongono a
referendum, quindi, anche le procedure semplificate di autorizzazione esistenti
e che,
spesso, coprono fatti
gravissimi. Anche la norma che parifica il combustibile prodotto dai rifiuti
(il
cosiddetto cdr) a
rifiuto speciale, semplificandone così le procedure di autorizzazione e di
controllo, fa
parte della medesima
logica e, pertanto, va abolita.
Con il referendum si
pone, quindi, un problema prioritario di salvaguardia ambientale e sanitaria
ma,
nel contempo, si
pongono anche questioni più generali e che riguardano la lotta
all’inquinamento.
Si dice, infatti, che
con gli inceneritori si supera il problema delle discariche a cielo aperto e,
quindi,
si diminuisce
l’inquinamento complessivo.
Non è vero: con gli
inceneritori, rimane il problema dello smaltimento dei residui
dell’incenerimento e,
aumenta
l’inquinamento complessivo del territorio, in primo luogo, a causa delle
diossine che,
comunque, si
producono attraverso l’incenerimento e, inoltre, a causa dell’insieme degli
impatti che si
determinano nel
territorio (per esempio, a causa dell’enorme aumento del traffico dei camion
che
trasportano rifiuti
da bruciare e che, spesso, debbono venire da province distanti).
Ma c’è, anche, una
questione più di fondo.
L’Italia è agli
ultimi posti in Europa per il riciclaggio dei rifiuti. Gli stessi obiettivi
posti dal decreto
legislativo 22 del
1997 (il cosiddetto decreto Ronchi) che prevedono obiettivi da realizzare di
riciclo e
riuso sono
lontanissimi dall’essere raggiunti.
Il problema degli
inceneritori, oltre all’inquinamento che producono, è che per la convenienza
economica
dell’investimento,
essi richiedono la produzione di sempre più rifiuti da bruciare. Si crea,
quindi, una
contraddizione
stridente tra ciò che si afferma nella legge (e si propaganda nei convegni) e
quello che
si fa nel territorio.
Il governo delle destre ha l’obiettivo di estendere al massimo il ricorso agli
inceneritori: un
grande business per le imprese che godono di incentivi per inquinare e una ferita
aperta
per il territorio e
le popolazioni residenti, al tempo stesso, una contraddizione stridente con
quanto
richiederebbe una
nuova politica del ciclo dei rifiuti che deve puntare sulla riduzione alla
fonte della
produzione dei
rifiuti medesimi, del loro riciclo e il loro riutilizzo.