Di
sparse note o d'intere pagine di antropologia culturale in versi,
autonome o interne ad opere di altra natura, è ricca la letteratura
dialettale calabrese, e non mi riferisco soltanto all'ovvio patrimonio
popolare, ma al recupero, talora poeticamente notevole, di modi e forme
di vita operato da autori.
Volendo
esemplare, la mente corre in prima a quei due gioielli poetici con i
quali Ciardullo ha celebrato il porco e l'umile preziosa castagna.
Ma
è raro che la materia si componga, come in questa raccolta di liriche,
in un disegno effuso e organico.
Mi
è capitato alcuni anni addietro d'imbattermi in un poemetto ove la
genialità estrosa aveva addensato in ottave perfette tutti i soprannomi
di un paese nostrano del Cosentino: un nudo elenco al quale, tuttavia,
la disposizione fonica e l'opportuno intervento di termini e locuzioni
collanti conferivano la parvenza suggestiva del racconto continuato. Un
ottimo servizio alla memoria storica, ma niente più.
Questa
raccolta di liriche vuol servire insieme, e lo fa originalmente e
convincentemente, storia, folklore, poesia.
L'
autore non è nuovo al genere, avendone già offerto prova in altra
raccolta, A SARDEDDRA E CRUCUDDRU', che afferra frammenti di un mondo
perduto o in via di estinzione e qualche pezzo d'anima tenacemente
resistente, adottando a titolo quello della prima lirica, nella quale
l'umile ma ricercatissimo alimento, comune ad una vasta zona della
Calabria ionica, ma particolarmente raffinato nel Crucolese da una
secolare tradizione legata all'economia del territorio, amorosamente
indagato nella sua storia e nelle sue virtù, si eleva a significazione
di un paese e di una gente.
In
questa raccolta lo sguardo e la memoria si allargano e, pur non
esaurendo una realtà che più si esplica più riserva angoli e momenti
di preziosa suggestività, compongono un vasto e colorito quadro in cui
i singoli elementi hanno un loro proprio volto e tutti insieme
sviluppano una struttura concentrata, quasi un'anima del tempo e dello
spazio.
L'originalità
del disegno investe insieme i temi e le forme: quelli, pur nella loro
specifica autonomia, denunziano tutti una medesima intensità di
attenzione e un medesimo processo esplorativo, queste fanno fede dell'egual
peso che l'autore ha voluto al temi riconoscere, comprendendoli tutti
alla pari in un'impalcatura metrica di sei quartine di settenari a rima
alternata, sicchè è possibile parlare di una vera e propria collana di
liriche, il cui protagonista unico è il paese. Lo schema metrico è
ovviamente uno dei più popolari e cantabili, ma si deve riconoscere che
l'autore l'amministra con perizia, cioè con un orecchio naturalmente e
a lungo esercitato alla poesia di popolo, complessivamente rispettoso
del numero e consapevole, nei casi di deroga, di interne soluzioni
compensative.
La
tematica, qualunque sia l'ordine in cui i componimenti sono nati, si
raccoglie intorno ad alcuni nuclei essenziali, che procedono dall'estemo
all'intemo, dal vicino al lontano.
Il
primo comprende l'abitato nel suo volto esterno, dalla ruga, che per
essere insieme strada e piazza e vicinato compendia il paese e titola a
buon diritto l'opera, ai vicoli (vineddri, stritti), con le case che si
cercano, si abbracciano, si pigiano, si prendono per mano, gl'intonaci
di umile calce, per larghe pezze sbrindellati e cadenti, le stalle e i
catoi, complementi essenziali delle case, e gli adiacenti orti col pozzo
('na vena a deci metri/druvu ti cci vidi), e un suggestivo campionario
umano, di vecchi raccolti sui gradini e fanciulli alle prese con palle
di pezza nel razzolare delle galline e un gran fiorire di fusi e
telaietti. L'acqua precipita a diluvio (a carafuni) per il selciato
sconnesso dei vicoli filati ccu' nu fusu, litati 'e fezza e vinu, ma
anche odorosi del profumo
del
pane e consolati da un canto alle stelle (cantari 'nda vineddra e sutta
'na finesta/ 'e scuru e senza feddra/ 'na serenata afesta). Un angolo di
questo piccolo mondo antico ride particolarmente al cuore e alla
fantasia dell'autore e ispira una delle liriche più ariose e intense:
è la sua loggetta, dove
l'aspetta
la luna e dalla quale egli può dominare il mondo (guardari 'u munnu 'e
subba/ sutta 'nu celu apertu/ ... jiocari ccu---nagatta/ 'mmenzu a ri
ceramili,/ vulari ... / 'mmenzu a 'ndinni efili).
Con
altro cuore egli guarda alla logora mole del castello feudale: anche se
la memoria romantica vive nel segno della compassione ('ndi rosi tanti
spini) l'immagine dominante è l'ombra lunga della schiavitù e della
miseria, sulla quale si leva il grido della rabbia e della redenzione (casteddru
ti sdirruggiu/ ti cacciu tutt'a traggia/ e doppu ti distruggiu/ mi
cacciu tutt'a raggia).
Poi
la poesia entra nel cuore delle case, percorre, accarezza, interroga le
pareti e le cose, fruga negli angoli, penetra nei fori nascosti, sale e
scende la scala di logoro legno sotto la botola aperta ('u catarrattu),
scopre la stessa capacità di linguaggio nelle grandi e nelle piccole
cose, evoca gli affetti, l'industria, il genio, la fatica, racconta
storie di vita. Il volume delle immagini è ricco e vario e
straordinariamente ferace: l'elementare corredo di arnesi di ordinaria
sussistenza ('a cucchiara, 'a majiddra, 'a pertica, 'u terzaluru, a
vertula, 'u jiestinu, 'a gutta, 'a cerra, 'i cannizzi, 'u vucalu, 'u
varrilu, 'a vertula, 'u vacilu), gli umili strumenti di conforto e di
riparo, che danno anche alla povertà il senso caldo e sicuro del nido
('u focularu, 'u pagghjiunu, 'a naca, 'i pedistaddri---umantu, 'a lampa),
gli arnesi dei lavori artigianali e donneschi, donde escono, insieme ai
frutti giornalieri di utilità domestica, gioielli di amore e d'arte (l'achi,
'u jitalu, u tilaru, 'u tilarettu) le operazioni basilari del governo
della casa, dalla provvista giornaliera delle vivande all'igiene, alla
cura degli animali ('a spisa, 'a vucata, 'i fraschi, a zzimma, 'i
munnizzi), le gioie della mensa, dai prodotti poveri della farina,
gloria della fantasia e della sapienza delle mani femminili, resistenti
ad ogni raffinata invenzione del consumo ('i maccarruni, 'i crustuli, 'i
guanti, 'i mucceddrati) a vere e proprie ricercatezze del palato ('u
sanguinacciu), dalla frutta fresca caratteristica della contrada ('i
fichi, 'i piri, 'i ficuniani) a quella secca ('i passuli) e le diverse
conce dei fichi, ai prodotti spontanei di più larga raccolta ('i
sparici), dalla fiorita varietà delle provviste suine al sapore
generoso della più lodata sardeddra e delle umili sardi pijiati a ra
Turretta/ 'ndu maru 'e stiddri 'e sulu.
Distinte
liriche celebrano la passione e gloria del maiale ('u porceddru) e i
cento servizi degli animali ammessi alla convivenza nel paese ('u
ciucciu, 'a crapa).
Un
nucleo di particolare evidenza, anche fertile di suggerimenti per le
scienze pedagogiche e sociali, raccoglie i trastulli infantili, dal
girello rudimentale ('u jiuriddru), primo veicolo alla conquista del
mondo, ai mezzi poveri e più o meno autarchici di gioco e di diversivo,
alcuni di aderenza stagionale e rituale ('a crita, 'a pirozzula, 'u
frischettolu, 'a toccareddra, 'a tagghjiola, 'a petrancula, 'i
cucuzzeddri).
Poi
lo sguardo spazia fuori del paese, percorre le proprietà di campagna (i
coti) con la vena d'acqua chi scinna 'mmenz'i petri nella parte più
fonda ('u carafunu) e il bosco generoso di legna e di frasche, canta con
letizia le grandi creature: l'aria, il sole, il vento, il mare lontano.
Tutte
queste categorie dell'essere paese non sono puramente enunciate, ma
fatte storia, colore, quadro. Il che non equivale a dire che vivono
tutte nel regno della poesia, non essendo raro lo sforzo del costrutto,
il predominio del dato antropologico, la tirannia del numero e della
rima. Non mancano, tuttavia le liriche che si sottraggono a siffatti
condizionamenti e sono quelle ove più caldamente si fondono il
paesaggio e l'uomo, come, oltre 'A_loggetta citata, A ruga, A vineddra,
'I Stritti, 'U tilarettu, particolarmente ricche di bozzetti e di colori
('na figghjia jianca e russa/ allura a 'nu scalunu/ ricama a punta a
croci/ e sonna nu vasunu/ n'amuru chi ci scoci), o dove più si avverte
il conforto dei focolare domestico, come A naca ('nda naca sutt'a scala/vicinu
'u focularu/ m'annazzicu, m'aggualu,/ mi porta 'mmenzu 'u maru/ 'nu
sonnu ad occhji chjiusi/ e sentu 'nu coscinu/ pannizzi chi su ' 'mbusi,/'
nu linzolicchjiu e linu ... ), 'U,focularu ('nu settu 'e lignu tunnu/'na
vampa tifa vinta/ e megghjiu 'un c'è a ru munnu ... ), A lampa, ove la
tenerezza dei vezzeggiativi ('na vaschetteddra 'e ogghjiu... 'nu
tribbonicchjiu 'e lignu... 'nu scorpuliddru 'e frasca ... ) consola
anche il pensiero della morte (ppé quantu 'a vita campa/ doppu Vurtimu
muru/ volassajie 'na lampa/ lustru all'eternu scuru), o dove più larga
e fraterna risplende la natura, come 'U sulu, in cui i momenti della
luce, dal pieno trionfo (quannu 'u sulu 'ndu celu fa chjiù cavida 'a
terra/ puru i cerzi 'nda Lelu/ fanu pacia e no'guerra ... ) al suo
tramonto si fanno storia e stati d'animo.
Ma
anche quelle che dai predetti condizionamenti appaiono più costrette
trovano modo di riscattarsi con un'immagine gentile, una pennellata di
colore, una metafora idiomatica, un palpito di umanità.
Senza
entrare nelle dotte ricercatezze che alimentano oggi il dibattito sui
dialetti e sulla poesia dialettale, sul quale mi sono più volte, in
momenti opportuni, affacciato anch'io, osservo che gli oggetti e gli
altri elementi che compongono la rassegna sono legati ad un lessico che
si perde ogni giorno perdendosi quelli e comunque si sfilaccia, si
deforma, si trasmuta, per cui l'importanza dell'opera, sul piano
linguistico, è duplice: quella, comune a tanti altri documenti poetici,
di espressione di un momento storico del dialetto e quello di riserva di
vere e proprie nomenclature. Si tratta di un dialetto inconfondibile,
fonicamente interessante, aspro e dolce ad un tempo, complessivamente
armonioso, ma irto di problemi dal punto di vista grafico.
L'autore
li ha risolti secondo criteri che possono essere discutibili, ma che
rispetto, assumendoli nei riferimenti di questa prefazione.
Nel
complesso credo che egli abbia offerto non solo un atto d'amore alla
storia del paese, ma anche una proficua e gradevole lettura, nella quale
dovrebbe insistere, come in genere nel filone dialettale, che mi sembra
la sua direzione più vera.
Giovanni
Sapia