Gualdo d'Engri |
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Nome: Igor Bianco Levrin Socio fondatore |
Rango: Armato Combattente Tesoriere | |
Motto: Seunsa Patrun (Senza Padroni) | |
Armi preferite: Spada bastarda (Mietitrice), Spada ad una mano (Vecchia Gloria), Roncola (Orrido), Bastone, Daga. |
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Storia: Gualdo d’Engri o Gualdo Pie Lunc (piedi lunghi), come era chiamato in paese, nacque nel 1324 ad Engri (ora nota come Ingria), un piccolo paese addossato sul crinale ovest della Val Soana (nel territorio ora noto come Canavese. Figlio di Aicardo e Matelda visse la sua infanzia nella stentatezza come la maggior parte dei bambini della valle. Nel 1338 gli uomini del paese, in accordo con gli altri valligiani, decisero che i soprusi subiti dai nobili dei San Martino e dei Valperga andavano puniti. S’accordarono quindi per andare a saccheggiare Pont, il paese a fondo valle, così da dare una lezione ai nobili e nel frattempo riprendersi quello che gli era stato tolto tramite le tasse. Gualdo avrebbe voluto partecipare ma Aicardo, che era uno dei fautori della rivolta non ne volle sapere. Il giovane quindi seguì di nascosto il gruppo di contadini armati di roncole e forconi fino davanti alle mura della Ferranda, una delle due torri che dominano Pont e in cui vengono custoditi il cibo e le ricchezze prelevate con le tasse. Quando i valligiani attaccarono si unì a loro nel saccheggio. Quel gesto gli costò una sonora punizione da parte del padre, ma dimostrò anche che il ragazzo era decisamente portato per il combattimento. Questi venne quindi ammesso a pieno titolo nelle schiere di uomini che scendevano periodicamente a valle per altre scorrerie. Per quattro anni il ragazzo fece la vita del Tucin (villici delle montagne del Canavese che dal XIV al XVI secolo si ribellarono contro i soprusi dei nobili locali al grido di “tuc in”: tutti in uno, Tucin in italiano viene tradotto in tuchino), saccheggiando Pont e difendendo Engri dagli esattori e dai soldati inviati a sedare le rivolte, riuscendo sempre nell’intento. Nel novembre del 1342 però, durante una scorreria a Pont Gualdo venne catturato. Conscio del fatto che se fosse stato portato nelle prigioni sarebbe stato torturato ed ucciso, il giovane Tucin approfittò di un attimo di distrazione dei miliziani e con una buona dose di fortuna fuggi. Nella foga di scappare dai soldati si diresse però verso sud allontanandosi dalla valle ed addentrandosi nella pianura. Allo sbando Gualdo vagò fino a raggiungere Caluxeno (oggi Caluso), lì venne coinvolto nell’assedio della città da parte di soldati di ventura al soldo dei conti di Valperga. Quando i soldati riuscirono ad entrare nella città presero ad uccidere gli uomini e a prendere in ostaggio donne e bambini. Gualdo rimase nascosto finché un soldato non cercò di uccidere un bambino poco distante. Il Tucin raccolse una spada caduta a terra e arrivandogli alle spalle lo colpì uccidendolo. Subito un altro soldato gli fu addosso. Lo avrebbe ucciso se non fosse sopraggiunta la cavalleria di Caluxeno a cacciare i mercenari fuori dalle mura. L’assedio terminò con la vittoria degli assediati. Il caso volle che il bambino salvato da Gualdo fosse il figlio di un cavaliere. Questi offrì al valligiano una ricompensa a sua scelta. Il valligiano chiese di essere addestrato nell’uso della spada. Passò a Caluxeno sei mesi guadagnandosi da vivere come stalliere e venendo addestrato ad usare la spada che aveva raccolto per difendere il figlio del cavaliere. Durante la sua permanenza gli abitanti di Caluxeno s’interrogarono sulle origini del giovane ma lui rimase schivo e non soddisfò mai la loro curiosità. Finché un giorno un conciatore giunto da Pont non lo riconobbe come il criminale fuggito durante l’ultimo saccheggio. Il giovane Tucin partì quindi su due piedi verso sud portando con sé Vecchia Gloria, la spada che aveva raccolto per difendere il figlio del cavaliere. Decise di farsi chiamare Belisario per evitare di essere riconosciuto. Vagabondò per il territorio vivendo di stenti e piccoli lavori fino a raggiungere La Spezia. Dove trovò lavoro come servo presso l’alchimista della casata dei Bracelli. Lì Gualdo si appassionò all’arte alchemica e si dimostrò portato per essa. All’alchimista giovane casata necessitava un aiutante, ragion per cui decise di spendere del tempo ad insegnare a quel giovane a leggere e scrivere così che potesse aiutarlo nel suo lavoro. Passarono 6 anni, durante i quali Gualdo apprese i segreti dell’alchimia, anche se mai smise di allenarsi con la spada. Mi raccontò che quel periodo fu uno dei più felici della sua vita. Si invaghì anche di Matilde, la figlia dai lunghi capelli cremisi del suo maestro. Purtroppo un giorno l’alchimista venne a mancare per un malore. Visti gli scarsi risultati che aveva ottenuto il suo maestro, la famiglia non accettò Gualdo come sostituto e Matilde perse il suo sostentamento. Il giovane raccontò allora alla donzella chi era in realtà e le chiese di seguirlo al suo paese natale, al quale non aveva mai smesso di pensare. Lei accettò le rivelazioni del ragazzo come una dimostrazione d’amore e di fiducia e acconsentì a seguirlo. Durante il loro viaggio per Engri i 2 passarono nel territorio di Cherium (Chieri) dove conobbero una compagnia mercenaria nota come l’Ordine del Leone. Poiché non avevano più denaro Gualdo si fece assoldare come mercenario. Nelle battaglie combattute Gualdo riuscì ad accumulare un buon bottino di guerra così che 3 anni dopo possedeva un equipaggiamento di tutto rispetto, compresa una nuova spada che chiamò Mietitrice. Nel 1352 nacqui io. Fui una sorpresa dal momento che ormai i miei genitori avevano una certa età. Matilde mi chiamò Edmondo e mi accudì mentre mio padre era impegnato nella battaglia di Alghero contro i Veneziani. Qualche tempo dopo l’Ordine del Leone si sciolse. Gualdo e altri 5 compagni d’arme fondarono una nuova compagnia d’arme: la Compagnia dell’Orso Nero. In onore ad un loro compagno d’armi caduto in battaglia.
Gualdo restò al servizio della compagnia fino all’età di 36 anni. Quando trovandoci in territorio francese, il richiamo della sua patria lo portò a lasciare, anche se con rammarico, la Compagnia. Percorremmo le montagne e passando dalla valle di Champorcher arrivammo in Val Soana e quindi ad Engri dove ci stabilimmo ripristinando la vecchia casa di mio padre ormai abbandonata dopo la morte di Aicardo e di Matelda. Qui i Tucin ancora combattevano. La maggior parte di coloro che li avevano creati era morta e questi ristagnavano senza una vera organizzazione, si limitavano ad impedire agli esattori di raggiungere il paese. Grazie all’esperienza militare accumulata in battaglia Gualdo prese il comando dei Tucin del paese, li addestrò all’uso delle armi e alle tattiche di guerriglia. Sfruttando la conoscenza del territorio i Tucin d’Engri presero il controllo della strada impedendo ad esattori e miliziani al soldo dei nobili, non solo di raggiungere il paese, ma anche di proseguire lungo la valle verso gli altri paesi. Aumentando la reputazione dei Tucin d’Engri in tutta la valle, tanto che dall’anno seguente non vi fu scorreria a fondovalle senza di loro.
Il 1367 fu un triste anno per me e mia madre, poiché fu l’anno in cui mio padre morì. Era appena iniziata la stagione estiva quando si sparse la voce che Gualdo praticava magia nera. La verità era che all’insaputa anche di mia madre, Gualdo aveva ripreso a fare esperimenti alchemici, ma la malignità della gente non ha confini. Venne chiamato un prete che seguito da quattro soldati giunse in paese. Mio padre temeva che accusassero anche me e mia madre di averlo aiutato, quindi fece quello che Matilde non gli perdonò mai. Davanti al prete finse di volerci uccidere, prese Vecchia gloria e fuggì per le montagne inseguito dal prete e dai 4 soldati. Il suo corpo venne ritrovato alla base della pietra di San Besso accanto a quello del prete. Sulla cima vennero ritrovati i corpi dei soldati.
Ormai sono passati anni. Io e mia madre viviamo ancora ad Engri. Ho scritto queste memorie perché l’altro giorno ho trovato degli scritti di mio padre tra i quali ho trovato uno stemma e alcuni commenti che riporterò qua sotto. Mio padre era un sognatore, non essendo nobile non ha mai potuto sfoggiare un suo stemma ma ne aveva comunque creato uno. Magari non passerà alla storia ma riportandolo qui qualcuno potrà ritrovarlo. Gualdo d’Engri non fu un grande eroe, ma un segno nella storia lo lasciò comunque.
“La vita è già difficile per conto suo, per questo occorre viverla da uomini liberi. Che tu stia coltivando un campo, costruendo una casa o combattendo una battaglia ricorda che devi farlo da libero! Per questo io mi sono sempre lanciato in battaglia con il grido dei Tucin: SEUNSA PATRUN!”
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