Il paradosso americano del terzo incomodo
MARCO BASCETTA
Il Manifesto, 16 Novembre 2000
Chiamatelo come volete, fattore N come Nader o R come rompiscatole, ma
comunque lo si voglia chiamare converrà cominciare a prenderlo in seria considerazione in
tutte le grandi democrazie occidentali. Stabilire leggi oggettive in grado di prevedere i
comportamenti politici è, come tutti sanno, cosa ardua se non del tutto vana. Nondimeno
possono darsi contingenze tali da consentire un discreto grado di oggettività. Pur nella
loro "pazzesca" stravaganza ed eccezionalità, e nonostante l'esotismo
pionieristico del sistema elettorale americano, queste elezioni presidenziali sembrano
indicare, tutt'al contrario, un paradigma politico di valore generale. Tanto semplice ed
evidente da celarsi dietro la sua stessa evidenza e semplicità. E percò stesso al riparo
dalle astuzie dell'ingegneria istituzionale e dalle sirene della propaganda. Chiameremo
questo paradigma "fattore N", avendo tuttavia cura di abbandonare ogni
riferimento concreto alla personalità e alla storia di Ralph Nader, alla sua stessa
scelta di scendere in campo, al meccanismo elettorale statunitense e perfino alla
struttura dell'opinione pubblica in quel paese, di cui tanti hanno sapientemente
disquisito in questi giorni.
Al termine di questo drastico procedimento di riduzione troveremo il risultato, per nulla
sorprendente, che segue. L'ossessione contemporanea per l'idea astratta di governabilità
(ritenuta sinonimo di efficienza, sviluppo economico, sicurezza, competitività e potenza
internazionale) conduce al prevalere di una concezione maggioritaria della democrazia. La
concezione maggioritaria della democrazia comporta, da una parte, una rappresentanza più
omogenea e meno articolata, almeno a livello del potere centrale, e la conseguente
crescita di sacche di delusione o disaffezione tra quanti si ritengono esclusi o travisati
da questa rappresentanza. Dall'altra induce la formazione di grandi schieramenti, la cui
personalità politica tende necessariamente a essere inversamente proporzionale alla loro
estensione. Questi schieramenti sono impegnati, per loro stessa natura, in una corsa verso
il centro, che è anche, con tutta evidenza, convergenza di posizioni.
Ciò significa, in termini astratti, che essi si rivolgono con argomenti molto simili a un
pubblico di elettori il più possibile indifferenziato o trattato artificiosamente come
tale. Dal meccanismo maggioritario e dalla crescente contiguità degli schieramenti che si
contendono il potere consegue che con altissima probabilità (salvo eventi eccezionali o
errori madornali nella scelta dei candidati e dell'immagine) la vittoria dell'uno o
dell'altro dipenderà da un pugno di voti.
Ne consegue che anche un livello minimo di dissidenza nei rispettivi probabili bacini
elettorali può determinare la vittoria o la sconfitta di un vasto e potente schieramento
elettorale. Ciò conferisce alle minoranze radicali, che generalmente raccolgono questa
dissidenza, un grandissimo potere oggettivo, infinitamente superiore al loro peso
numerico. D'altro canto la corsa verso il centro dei grandi schieramenti e la convergenza
delle argomentazioni politiche, escludendo progressivamente aspirazioni e punti di vista
differenziati, alimenta questa dissidenza e la stabilizza come un vero e proprio dato
strutturale. Ne discende che la presenza del "terzo incomodo" dipende in minima
parte dalla sua soggettività, da una scelta politica giusta o sbagliata che sia, e in
massima parte dalla natura oggettiva del processo che abbiamo descritto. Ciò premesso,
potremmo definire il fattore N come il limite oggettivo della "corsa verso il
centro", la soglia oltre la quale la ricerca del consenso si rovescia, anche in
minima misura, nel suo contrario. L'elemento che smentisce nei fatti il dogma dominante,
secondo cui la pura e semplice conquista del centro chiude la partita.
Poiché questa conquista si gioca su un minimo scarto di voti è alla fine la capacità di
non perdere sulle proprie ali estreme a decidere il risultato. Questo limite, che abbiamo
chiamato fattore N, può manifestarsi tanto attraverso la candidatura di un "terzo
incomodo", quanto nell'astensione, ma nell'uno come nell'altro caso ci troviamo di
fronte al medesimo fenomeno. Infatti, per quanto ambigua e muta possa considerarsi
l'astensione, nessuno dovrebbe negare che almeno una sua parte (sufficientemente
determinante) abbia natura politica e sia quindi riconducibile al fattore N. Ma fin qui il
problema si presenterebbe ancora negli stessi termini per entrambi gli schieramenti e, a
parità di intelligenza politica, dovrebbe potersi compensare.
Tuttavia l'esito ancora inconcluso di queste presidenziali americane dimostra
empiricamente anche un'altra cosa e cioè che il fattore N non incide nella stessa misura
a destra e a sinistra. Bush non ha avuto nel suo campo un problema di pari entità a
quello rappresentato da Nader nel campo avverso. Questo squilibrio ha diverse ragioni
storiche, sociali e culturali tutte abbastanza intuitive e altrettanto strutturali.
Malgrado ogni sforzo di cancellarne le tracce, la storia culturale di molti soggetti che
si sono riconosciuti nella sinistra è comunque segnata da una tendenza allo spirito
critico, alla valorizzazione del conflitto come fattore di progresso, a una domanda di
trasformazione dei rapporti sociali.
La sequela di conflitti, scissioni, fratture e svolte che hanno accompagnato la storia
delle formazioni della sinistra in tutto il mondo lo dimostra con sufficiente evidenza.
Tutt'al contrario, a partire dal dopoguerra, lo schieramento della destra (o del
centrodestra, se si preferisce) non ha sofferto di problemi altrettanto seri di
instabilità e le sue frange estreme, oltre ad essere più esigue, sono sempre state più
occultabili e, all'occasione, manovrabili. Nel suo bacino elettorale l'area dello
scontento e della disaffezione è di gran lunga più esigua e malleabile.
Per tornare al "fattore N", questo significa che la destra non incontra alcun
limite significativo nella corsa verso il centro. Il sacrificio richiesto per questo
spostamento è dunque minimo e il costo elettorale irrilevante.
I grandi schieramenti di centrosinistra sono invece erroneamente convinti di poter
procedere alla conquista del centro in condizione di parità con i propri avversari. Di
conseguenza ignorano l'esistenza del fattore N come limite invalicabile oltre il quale la
somma dei consensi comincia a trasformarsi in una sottrazione. Tutt'al più si affannano
nel tentare di neutalizzarlo attrverso appelli e richiami all'unità contro il nemico
comune. Ma poiché la disaffezione costituisce un elemento strutturale e la vittoria
potrebbe giocarsi su un pugno di voti queste petizioni di responsabilità sono votate
all'insuccesso. Per venire ai casi nostri, se questo paradigma ha un qualche fondamento,
allora la sconfitta del centrosinistra in Italia, visto l'andamento della campagna
elettorale e la personalità del candidato, può essere prevista con un sufficiente grado
di oggettività. Non diremo scientifica, ma quasi.