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USANZE
CIVILI

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COMISO E COMISANI





usanze

CAPODANNO

- Una usanza che dura ancora è quella della strina, cioè un regalo in denaro che il giorno di capodanno gli adulti fanno a figli, nipoti e figliocci.

- Un tempo, il 1° gennaio bambini e ragazzi, agli adulti che incontravano per strada, dicevano:

Bon capu r’ ’annu, bon capu ri matina;
m’ ’a faciti ’a strina?

E per convincere la persona fermata le baciavano le mani.

CARNEVALE

- Piu di un secolo fa, il martedì di Carnevale (sdirri marti) i Comisani non lavoravano e si divertivano vedendo passare o andando appresso ai tipici personaggi carnevaleschi: i caccaviecci, il dottore col falso ammalato, il carro del cavadenti, le oche umane, i diavoli danzanti al suono del cutucù, il carro degli spirdati, il carro degli arabi (persone che cantavano con tono lamentoso, coperte da bianchi lenzuoli e con la faccia tinta di nero), l’ingegnere claudicante ed i poeti di carnevale (tra i quali spiccava un certo Nunzio Cipolla), che recitavano verseggiate satiriche.

- Nel periodo di Carnevale si era soliti dire miniminaggi e fare scherzi, in conformità al detto "Carnevale, ogni scherzo vale".

Uno degli scherzi più comuni fatti dai ragazzi era a motti.
Si trattava di una pezzuola di panno di forma circolare, o quasi, del diametro massimo di cm 10, che presentava 4 fori (2 a forma di occhi, 1 a forma di naso e 1 a forma di bocca) in modo da sembrare un teschio.
La pezzuola, un lato della quale era stato cosparso di polvere bianca (in genere gesso di scuola o di sarto), senza farsene accorgere veniva appoggiata sulle spalle di un compagno o di un passante, che aveva una giacca scura; e, dopo che la pezzuola era stata recuperata tirando il sottile filo a cui essa era legata, sulle spalle dell’ignaro rimaneva l’impronta del teschio, a motti.

- Il martedì grasso, verso sera, per le strade del paese si vedeva un uomo, vestito in modo rozzo, che teneva legato ad una lunga corda Cannaluvari (un uomo coperto da pelle di pecora e con una campanaccio al collo).
Cannaluvari, nel cercare di divincolarsi e di scappare, faceva suonare il campanaccio e, a bella posta, andava addosso a tutti quelli che erano nelle vicinanze, provocando la paura e la fuga di donne e bambini.

QUARESIMA

- Sino a circa l’inizio del ’900, tra i tetti delle prime case di qualche stradina della periferia si tendeva una corda a cui veniva appeso un pupazzo vestito da monaca, che intorno alla testa portava a raggiera sette penne di gallina. Il pupazzo rappresentava monna Quaresima e le sette penne rappresentavano le sette settimane di cui la Quaresima è composta.
Per ogni settimana che passava la più giovane o la più vecchia della strada strappava al pupazzo una penna; e questo sino al sabato santo, giorno in cui il pupazzo veniva bruciato.

- Sino a circa l’inizio del ’900, a metà della Quaresima si vedeva per le strade una vecchietta, vestita molto miseramente, che, accompagnandosi con un cembalo, ballava e cantava verseggiate satiriche; tra queste lo Stanganelli riporta la seguente:

A menza quaresima
sunamu ’u tammuru;
cu’ ha cìciri e favi
s’ ’i sbatti ’n cxxx.

- Un tempo, il Sabato Santo, dopo la sciuggiuta a loria, le donne sbattevano con un tralcio di vite i mobili di casa (letti, sedie, armadi, cascitti, casciabbanchi, tavolini…) per scacciare ghisaccammaria ( il demonio) dalle loro case.

Un tempo, nel mese di maggio non si celebravano matrimoni, poiché si credeva che non riuscissero bene. E ciò secondo il detto:

‘A spusa maialina nun si gori ‘a curtina

Un tempo, il 23 giugno (vigilia della festa di S. Giovanni Battista) le mamme del popolo, per conoscere il futuro dei loro piccoli, durante il sonno usavano coprirli con un fazzoletto rosso.
Se il bambino si svegliava con la faccia arrossata, la mamma traeva l’auspicio che il suo piccolo sarebbe vissuto a lungo; invece se si svegliava con la faccia bianca il piccolo sarebbe morto presto.

L’11 novembre, festa di san Martino, si soleva mangiare le frittelle e berci sopra il vino nuovo.

Un tempo, una ragazza per conoscere il suo futuro apriva di scatto un bocciolo di paparina (rosolaccio): se l’interno del bocciolo era bianco la ragazza sarebbe andata in convento, se era rosso si sarebbe sposata.



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