COMISO E COMISANI
(Accendendo le
casse acustiche,
in sottofondo si può ascoltare il brano musicale "Pasqua
comisana")
Don Cicciu |
Era uno dei nunziatari
acerrimi, cioè uno di quei comisani per i
quali 'u suolu nunziataru era tra le
cose più importanti della vita.
Dall'altra parte, naturalmente, c'erano i matricrisiari
acerrimi.
Suo
fratello Nunzio, che aveva avuto la vocazione
religiosa, era entrato in un convento di
cappuccini, invece che andare in seminario e
diventare così parrinu 'i casa.
Peccato, perché sarebbe potuto diventare parroco
della Basilica della SS. Annunziata; e don Cicciu, di conseguenza,
sarebbe diventato l'eminenza grigia della chiesa.
"Piccatu! Piccatu! Piccatu!"
deve aver detto tra sè don Cicciu chissà quante
volte.
La
maggior parte del tempo libero don Cicciu lo trascorreva a
Nunziata, tra saristia e cuncricazioni, sia
all'interno che fuori.
In quest'ultimo caso, a seconda della stagione e
della posizione del sole, in piedi o seduto, da
una parte o dall'altra del Corso Vittorio
Emanuele.
Il
pomeriggio, di solito, giocava a carte (a
briscola o a scopa) con altri tre "congregati".
Ogni partita era uno spettacolo per gli astanti,
mentre per don
Cicciu e,
soprattutto, per il suo compagno di coppia era un
dramma.
Quando una partita cominciava ad andar male, don Cicciu cambiava espressione e
si dava a tamburellare sopra il tavolo da gioco
con le dita di una mano. Poi, a partita perduta,
mentre gli avversari (ammiccando e con aria
soddisfatta) contavano i punti guadagnati, don Cicciu (lanciando talvolta in
aria le carte che aveva in mano) sbottava
regolarmente in un attacco colorito contro il suo
compagno, che, dopo un breve tentativo di difesa,
sopraffatto, era costretto a tacere e ad
accettare tutta la responsabilità della
sconfitta.
Alcuni
non riuscivano a spiegarsi come mai, se ogni
partita perduta doveva avere una simile
conclusione, don Cicciu riuscisse sempre a trovare un "congregato"
che facesse coppia con lui.
Qualcuno sospettava che si trattasse di "penitenti"
a cui il confessore (patri 'Nsaccu? patri
Ggiustinu?) aveva dato una penitenza
originale per far riparare gravi peccati di
superbia o di orgoglio.
E don
Cicciu,
sicuramente a conoscenza della cosa, faceva del
suo meglio per mortificare il penitente di turno
e rendere la sua anima il più possibile degna
del Paradiso.
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'A missa cantata |
Quando Niculinu compì 5 anni,
don Lucianu pensò che non c'era più
tempo da perdere; altrimenti ddu
matricrisiaru ri so sòggiru, a cui il
bambino era tanto affezionato, l'avrebbe portato a
mala strata.
E
dopo aver riflettuto per qualche giorno,
per far respirare al figlioletto un po' di vera e
buona aria nunziatara, decise che la
domenica successiva, festa di Pentecoste,
l'avrebbe portato alla messa più importante, più
spettacolare e (purtroppo per il bambino) più
lunga: 'a missa cantata.
Alle
9,30 uscirono dalla loro casa vicino alla via
Ippari, no quartieri ra Mmaculata, e
mano nella mano, dentro i loro vestiti più
eleganti, salirono lentamente verso la chiesa
dell'Annunziata.
Attraversarono
tutta la via Bagni Diana e quando arrivarono
all'incrocio con via Regina Margherita (detta 'a calata 'a cina)
ai loro occhi estasiati si offerse la bella vista
della scalinata e della chiesa, splendidamente
illuminate dal sole, che, naturalmente, doveva
essere anch'esso nunziataru.
Mentre
salivano la scalinata don Lucianu, con tono serio e
compiaciuto spiegò al figlio che la loro chiesa
era una "Basilica" e che era anche la
"1^ Insigne Collegiata" del paese.
Queste cose, negli anni seguenti, don Lucianu le ripetè abbastanza
spesso, per convincere il figlio dell'importanza
e della fortuna di essere nunziatari.
*
* * * *
Dopo
essere entrati per la porta vicina all'altare di
S. Nicola, dalla catasta di sedie in fondo alla
chiesa don Lucianu
ne prese
tre e le sistemò nella navata centrale, quasi di
fronte all'organo.
Padre e figlio si sedettero uno di fianco
all'altro. La terza sedia don Lucianu se la mise davanti e
sul sedile depose il cappello; durante la messa Niculinu notò che, quando stava
seduto, suo padre appoggiava le scarpe ai caviggi,
mentre appoggiava le mani alla spalliera quando
si alzava.
Al
suono della campanella, preceduti da don
Suzzu 'u saristanu che portava la croce
affiancato da due parrinieddi, nel coro
entrarono i parrini, nei loro vestimenti
colorati, molto diversi dalle tonache nere con
cui Niculinu
li aveva
visti per strada.
Don Lucianu
spiegò al
bambino che quelli erano canonici, non semplici
preti, e tra loro c'era anche un monsignore. E
indicandoli ad uno ad uno disse i loro nomi:
prima quelli dei tre parrini che stavano
davanti all'altare ('u pàricu Tomasi,
patri Lauretta e patri Schèmmiri) , dopo
quelli dei parrini (patri Liuni,
patri Ricotta, patri Ggiustinu, i rui patri Lo Mònicu...)
che, con le loro belle pellicce bianche, erano
seduti ai lati, sui banchi di legno.
E
le spiegazioni continuavano, tanto che, dopo un
po', Niculinu
si sentì cciù
cunfusu ca pirsuasu; si aggiungeva il fatto
che di tutta quella cantilena dei preti, fatta
per di più in una lingua strana ("Eni
'u latinu, 'a linqua ri l'antichi romani"
gli spiegò suo padre), egli non capiva niente.
Per
tutto questo Niculinu cominciò a distrarsi e si ritrovò a
pensare:
- ai suoi compagni, che, fortunati loro, a
st'ura stanu jucannu ccu l'ossa aruci re
chiricopa;
- a sua madre, che stava preparando i
cassateddi 'i ricotta, che a lui piacevano
tanto;
- alla sua sorellina più piccola, che, miatidda,
non era costretta a sopportare tuttu stu
martuoriu.
Ad
un certo momento, quando ormai si sentiva
disperato, Niculinu
sentì tre
bellissime parole che non dimenticò più;
neanche molti anni dopo che il Concilio Vaticano
II stabilì che la messa dovesse essere celebrata
in italiano.
E ciò perché, dai rumori delle sedie e dai
movimenti delle persone che si verificarono dopo
quelle tre magiche parole (Ite missa est), comprese che stava
per riacquistare la libertà.
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'U figgiu pruòricu |
Don Tatò era un nunziataru
acerrimu; però non era settario.
Infatti dei cillicatori (li chiamava
quasi sempre così) si limitava a parlarne con
bonaria sufficienza; e poi, proprio tra i parrucciani
ra Matrici aveva alcuni dei suoi migliori
amici.
Alla
nascita (ma forse ancor prima della nascita) del
primo figlio, 'n masculu, don Tatò pensò subito che ne
avrebbe fatto un veru nunziataru: lo
mise sotto la protezione ra Bedda Matri
Nunziata e (come avrebbe potuto far
diversamente?) gli diede nome Nunzio.
Poi, per dare risalto all'avvenimento, fece
celebrare il battesimo dal parroco patri Lo Mònicu.
Quando
fu il tempo, anche se abitava o Salacitu,
don Tatò mandò il figlio alla
dottrina ra chiesa 'a Nunziata e
s'interessò per farlo mettere nel gruppo che
aveva come maestra una santoccia sua
lontana parente, a cui raccomandò di curare
particolarmente la formazione nunziatara del
bambino.
Subito
dopo la Prima Comunione, don Tatò portò Nunzieddu, col suo bel vestito
bianco, a tutte le processioni nunziatare del
Corpus Domini; e, dopo avergli messo in mano una
bella cannila, per farlo sentire
importante lo metteva a lato di un giovane che,
in mezzo a due file di bambini, portava uno
stendardo.
Seguirono, come era naturale, molte altre
partecipazioni alle principali funzioni e
processioni.
E così Nunzieddu
cresceva
costantemente immerso in un'atmosfera nunziatara.
*
* * * *
Ma,
mentre tutto sembrava procedere secondo i disegni
di don Tatò, si verificò un fatto
inaspettato.
Tutto cominciò quando Nunzieddu frequentava la scuola
media. Poiché in classe aveva compagni quasi
tutti matricrisiari, il
ragazzo, per stare in loro compagnia anche fuori
della scuola, lentamente e senza accorgersene,
cominciò a frequentare il circolo di Azione
Cattolica della Matrice, prima saltuariamente e
poi sempre più assiduamente.
All'inizio
don Tatò non diede peso alla
cosa; ma quando capì che le cose si stavano
mettendo male fece avvicinare Nunzieddu dal capo dei circolini
dell'Annunziata, che, per invogliarlo, gli
magnificò le attività ed i giochi, tra cui un
nuovo bigliardino, che avrebbe trovato
nel suo circolo.
Siccome
questo approcciò non ebbe l'esito sperato, Don Tatò decise di parlare
direttamente al figlio e, con tono patetico, gli
disse che, dopo tutto quello che aveva fatto per
lui, non si sarebbe mai aspettato di dover essere
ricambiato c'un trarimientu,
che gli aveva procurato dispiaceri e, cosa ancor
più dolorosa, le critiche di alcuni suoi amici
nunziatari.
Ma le frequentazioni del ragazzo non cambiarono.
E
per qualche anno, da parte di don Tatò verso il figlio, fu un
succedersi di promesse e di minacce, che avevano
l'effetto ri pistari l'acqua no murtaru.
Tanto che don Tatò, che aveva perso ormai gran parte del
suo naturale buon umore, appariva rassegnato alla
mala sorte...
*
* * * *
Ma
una sera della Domenica di Pasqua, in piazza
Fonte Diana, mentre le statue della Madonna
Annunziata e di Gesù Risorto si stavano
posizionando l'una di fronte all'altra, Nunzieddu, come spinto da una
forza superiore, lasciò il gruppo dei suoi
compagni e andò a trovarsi un posto sutt' 'a
vara ro Signuri.
E dopo il canto dei due angeli, mentre le
bande musicali attaccavano l'Alleluja, Nunzieddu saltando gridò "Viva
Maria" e poi si mise a correre assieme agli
altri, trascinando avanti e indietro il fercolo
del Salvatore na Paci con la
Madonna Annunziata.
Don Tatò, che era in piazza con
i suoi amici nunziatari don Tanu Baruni e don
Minuzzu Spataru, non si era accorto di nulla. Ma
quando gli amici gli fecero notare la cosa, al
vedere il figlio correre incontro alla Madonna
Annunziata, si sentì battere forte il cuore per
l'immensa gioia.
E dopo aver ringraziato 'a Bedda Matri
Nunziata, mentre due grandi lacrime gli
rigavano le guance, disse tra sè: "Ora
puozzu ciùriri l'uocci tranquillu, picchì Nunzieddu, com' o figgiu pruòricu,
tunnàu a casa, na casa ranni ra Nunziata!".
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