Agnes Gonxha Bojaxhiu Madre Teresa di Calcutta |
Agnès
Gonxha Bojaxhiu nasce a Skopie, oggi in Macedonia, da una benestante
famiglia di origine albanese, il 27 agosto del 1910. La minuta
bambina dai piccoli occhi pensosi e la bocca facile al sorriso trascorre
l'adolescenza tra la scuola, la drogheria del babbo, i giochi in
compagnia del fratello Lazar e della sorella Aga e la parrocchia. Lì
incontra dei padri gesuiti che lavorano nella lontana Calcutta, una città
del Bengala. L'esperienza dei missionari la colpisce
profondamente, tanto che a 18 anni decide di entrare nella Congregazione
delle Suore missionarie di Nostra Signora di Loreto, presente anche in
India. Alla
fine del 1928 parte per Rathfannan, in Irlanda; l'anno seguente viene
mandata in una cittadina ai piedi dell'Himalaya per il noviziato e
inizia così il suo soggiorno a Darjeeling, a pochi chilometri da
Calcutta. Il 24 maggio 1931 pronuncia i primi voti assumendo il nuovo
nome di suor Teresa. Rinnova anno dopo anno i voti temporanei e il
14 maggio 1937 fa la professione perpetua. Inizia la sua attività
di religiosa, per volere dei superiori, come insegnante di storia e
geografia alla Saint Mary of Loreto High School di Calcutta, un collegio
per ragazze cattoliche. Più tardi viene anche nominata
direttrice. Al di là dell'alto muro del convento c'è il misero
quartiere Moti Jheel, con i suoi tuguri e vicoli fangosi. Suor
Teresa dalla finestra della camera vede tanto squallore: bimbi nudi e
sporchi, vecchi sofferenti e moribondi, gente affamata e senza casa.
Si rende sempre più conto che Calcutta non è solo la metropoli dei
mercanti, degli uomini degli affari e della politica, ma che accanto ai
grandi palazzi ci sono i tuguri dove tanti ogni giorno muoiono di fame.
Un
giorno Suor Teresa sale su un treno che la riporta a Darjeeling per gli
esercizi spirituali. Stretta in un cantuccio, faticosamente
conquistato, pensa alla folla di affamati, storpi, ciechi e lebbrosi che
popolano i marciapiedi di Calcutta. Tante scene che l'avevano
sconvolta non può dimenticarle, vede mani che le si tendono per
chiedere aiuto, ode i rantoli dei moribondi in mezzo alle strade.
Per la notte, tanto dura il viaggio, non riesce a dormire e
continuamente ripete «Devo fare qualcosa ... ». Su quel treno ha una
seconda chiamata o, come Madre Teresa in seguito l'ha definita «una
vocazione nella vocazione. Il messaggio fu molto chiaro, dovevo
uscire dal convento e aiutare i poveri vivendo in mezzo a loro».
Ritornata a Calcutta chiede all'arcivescovo monsignor Périer
l'autorizzazione a lasciare la congregazione per lavorare con i poveri.
La prima risposta è un secco «no». Era giusto che rispondesse così -
dirà più tardi la Madre -, perché un arcivescovo non può permettere
alla prima arrivata di fondare una nuova opera, sotto il pretesto che è
stato Dio a chiederlo». Suor Teresa si rende conto che non è
facile lasciare il convento, ma non si scoraggia. Un
anno dopo ripete la sua istanza e finalmente il nell'agosto 1948 le
giunge l'autorizzazione da Roma, con la firma di papa Pio XII, a
lasciare il convento. Così, da sola, senza un tetto, con l'unica
veste che indossa, 5 rupìe in tasca e una fede incrollabile, inizia la
grande avventura. «Lasciare Loreto - confiderà molti anni più tardi
è stato il mio sacrificio più grande, la cosa più difficile che abbia
mai fatto». Adolescente aveva abbandonato la famiglia, la casa
patema, il proprio Paese, la propria cultura per andare in una terra
straniera e lontana; ora Dio la chiama a una totale donazione di sé. E'
serena e si sente libera di raggiungere il mondo dei derelitti. Per 4
rupìe compra un sari di cotone, la veste più comune e povera delle
donne indiane; è bianco bordato di azzurro e sulla spalla si appunta
una piccola croce. Prende un treno per Patna, dove trascorre tre
mesi presso le Medical Sisters per apprendere rudimentali nozioni di
medicina, poi rientra a Calcutta alla ricerca dei più miseri slums di
Tilia e Motijhil. Passa da una baracca all'altra e inizia l'opera
con acqua e sapone: lava i bambini, i vecchi piagati, le donne
sofferenti. Va in giro chiedendo cibo e medicine, mendicando per
curare e sfamare i suoi poveri. Dopo tre giorni apre una scuola,
all'aria aperta, sotto un albero. «Come lavagna - preciserà - avevamo
la terra polverosa dove con un bastoncino disegnavo le lettere». Dopo
la «scuola» comincia a camminare senza sosta per le strade della città.
In pieno centro nelle viuzze di Georgetown è letteralmente assalita da
uno stuolo di mendicanti e di bambini affamati; ai lati, sui
marciapiedi, quelli di cui non si sa se sono ancora vivi o sono già
morti. «La prima persona che tolsi dal marciapiede - racconterà
Madre Teresa - era una donna mangiata per metà dai topi e dalle
formiche. La portai con un carretto all'ospedale, non volevano
accettarla, se la tennero solo perché mi rifiutai di andarmene finché
non l'avessero ricoverata. Poi fu la volta di un'anziana che si
lamentava tra i rifiuti. Nell'indifferenza dei passanti mi sforzai
di tirarla fuori, mentre tra le lacrime continuava a ripetermi: "E
dire che è mio figlio che mi ha gettata qui"». Ogni giorno la
fragile suora dal sari bianco continua la sua opera per le vie di
Calcutta e il suo corpo per gli stenti è tutto dolorante. Quando
è sopraffatta dalla fatica ripensa al convento di Loreto, alla vita
regolare, alla sicurezza. Ma il suo sì ai poveri è deciso, è
convinta che la sua vita sia assieme a coloro che cascano per la strada
consapevoli di morire e accanto ai quali i «vivi» passano volgendo il
capo. La
sua abitazione è una baracca sterrata e lì porta quelli che non sono
accolti negli ospedali. Nel 1949 un funzionario
dell'amministrazione statale, mette a disposizione di suor Teresa un
locale all'ultimo piano di una casa di Creek Lane e lì giunge la prima
consorella. E' Shubashini, una ragazza di famiglia agiata ex alunna di
Loreto, che spogliandosi del suo elegante sari indossa la veste a buon
mercato e prende il nome di Agnese, quello secolare della fondatrice.
Presto le suore diventano 12 e la comunità si va formando. Il 7 ottobre
1950 nasce ufficialmente, con decreto della Santa Sede, la Congregazione
delle Missionarie della carità e suor Teresa diventa Madre Teresa.
In aggiunta ai tre usuali voti di povertà, castità e obbedienza la
nuova comunità ne fa un quarto di «dedito e gratuito servizio ai più
poveri tra i poveri». Inizia la vita secondo la Regola:- alzata
alle 4.45, preghiera fino alle 7.30, colazione e poi il lavoro nelle
bidonvilles. Data la massiccia affluenza dei malati il piccolo locale si
rivela insufficiente. E in più l'esperienza sconvolgente di molti
moribondi rifiutati dagli ospedali rende insofferente la Madre. «E'
inammissibile - dice - che tanta gente muoia senza alcun conforto.
Dei moribondi mi occuperò io». Comincia così l'affannosa
ricerca di un locale dove sistemare delle reti. Dopo varie e
continue richieste il Comune le affida il Dormashalah (casa del
pellegrino), un edificio fatiscente e fetido in cui Madre Teresa si
insedia con le sue suorine. Armata di pennello e calce imbianca le
sudicie pareti. Pone una statua della Madonna all'ingresso,
sistema le brandine... e tutto è pronto per accogliere gli infermi.
La Casa per il moribondo abbandonato, Nirmal Hriday, viene inaugurata:
è il 1954. Madre
Teresa parte con il suo carrettino, ormai famoso nella città, per la «raccolta»
dei moribondi di ogni età. «Per molti che qui arrivano non c'è più
nulla da fare, ma se riprendono conoscenza dopo le nostre cure almeno
muoiono amati. Spesso mi sono sentita dire - sono parole della
Madre "Per tutta la vita ho vissuto come un animale, ora muoio come
un essere umano..."». Oltre
alla vita che si spegne la fondatrice guarda anche alla vita nascente
con l'apertura della Casa dei bambini, dove accoglie i bambini
abbandonati, trovati spesso nei bidoni della spazzatura. La Madre
racconta spesso delle notti insonni passate a cullare i neonati per
farli addormentare. «Li rendiamo molto felici qui - afferma -, ma
niente vale l'amore della famiglia. Un giorno ho visto un bambinetto che
non mangiava: sua madre era morta. Ho cercato allora una suora che
somigliava alla madre e le ho detto di giocare col bambino... il suo
appetito è tornato da quando ha cominciato a chiamare la suora
"mamma"». E' con in mente il loro avvenire che Madre Teresa
cerca di far adottare questi bambini. Molti progetti della Madre si
vanno realizzando ma manca forse quello più ambizioso: togliere i
lebbrosi, i suoi figli prediletti come li definisce, dagli slum.
Va ogni giorno a trovarli e curarli nelle loro misere baracche ma spera
di costruire per loro una città. Sa già che la costruirà sul
terreno di Asansol donatole dal governo, che dovranno abitarci 400
famiglie di lebbrosi e che la chiamerà «Città della Pace», ma le
manca il danaro. Puntualmente però la Provvidenza arriva. E' il
1964, a Bombay si celebra il Congresso eucaristico alla presenza del
Papa. PaoloVI incontra la Madre e constata personalmente il suo enorme e
fruttuoso lavoro. Al momento di partire le lascia un ricordo: una
stupenda, lunga auto americana, decappotabile, tutta bianca con sedili
rosso sgargiante con una dedica: "A Madre Teresa per la sua
universale missione d'amore". Appena la Madre vede la
lussuosa vettura s'immagina seduta in quello splendore e scuote il capo
dicendo: «Chissà quanta benzina consuma! No, meglio il mio carrettino
tirato a mano. La metterò all'asta. Questa è la macchina
dei lebbrosi». E infatti con il ricavato costruisce il primo
lotto, dei 14 previsti, della «città della pace»; la strada più
grande la chiama viale Paolo VI. Due
anni dopo, grazie ad altri aiuti e premi, il villaggio della pace viene
terminato: l'antica speranza è diventata realtà. All'interno
della città ci sono i negozi, i giardini, l'ufficio postale e le
scuole. Ormai il nome di Madre Teresa varca i confini dell'India e
cosi la congregazione: viene aperta a Cocorote, in Venezuela, la prima
casa delle Missionarie della Carità. E' il luglio del 1965. Così
da un angolo dei bassifondi di Calcutta comincia ad irradiarsi per il
mondo l'amore per Cristo attraverso i sofferenti. La minuta figura
di Madre Teresa, il suo fragile fisico piegato dalla stanchezza e
dall'abitudine a curvarsi su ogni sofferente, il suo scarno viso solcato
da innumerevoli rughe sono ormai conosciuti in tutto il mondo. Nel
1979 da Stoccolma arriva il premio Nobel per la pace, nel 1997 Madre
Teresa muore a Calcutta.
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