Dorothy Parker |
Nella New York dei ruggenti anni Venti, dove
è di rigore parlare con leggerezza delle cose gravi e con serietà
delle cose leggere, brilla la stella fredda della giovane Dorothy Parker,
ex ragazzina ribelle e strepitosa Donna Nuova. Cronista culturale per il
New Yorker e Vanity Fair, poetessa, scrittrice, nessuno come lei sa
distruggere con breve eleganza un brutto spettacolo e un gesto
inautentico, o smascherare il ricco tracotante e l’ipocrita senza pietà.
Nessuno come lei sa raccontare e vivere l’ironico, alcolico, crudele e
segretamente disperato mondo del dopoguerra. Con i suoi immensi occhi
miopi e il corpo minuscolo addobbato in mises fatali, con le sue battute
sussurrate e le tante sigarette e notti bianche, ne diventa a tal punto
il simbolo che il personaggio mette in ombra l’opera. Solo alla fine
del decennio verrà riconosciuta per quel che è, una meravigliosa
scrittrice di racconti. Con la fama letteraria arriva il regolamentare
ricco ingaggio a Hollywood, triviale magia da cui resta affascinata e
inorridita; e arrivano i guai politici. Perché Dorothy, che giudica la
carità un assassinio e la gratitudine il più lagnoso dei sentimenti,
in pieno New Deal si dichiara repentinamente comunista. Ridono di lei
amici e nemici, stampa politica e tabloid; non gli studios, che la
allontanano e le tolgono il lavoro; non il governo, che nel ‘43 le
nega il visto per andare in Europa come inviata di guerra, negli anni
Cinquanta la indaga e la condanna. Ma a spezzarle la vena e la vita è
il crollo del suo mondo. Dalla seconda metà degli anni Quaranta tace e
scompare. Muore nel 1967, sola nonostante abbia sposato un uomo molto più
giovane, povera dopo aver visto scorrere fiumi di denaro, e dimenticando
vari assegni in un cassetto. Di lì a pochi anni, sarà riscoperta come
un classico del Novecento. La leggenda vuole che scrivesse negli
intervalli fra amori infelici, tentati suicidi, sbronze e mondanità, e
che per questo abbia prodotto poco; eppure sapeva chiudersi giorni e
giorni in una stanza, cercando e scartando parole fino a portare un
testo alla perfezione. Nasce così, a fiotti luminosi e minuziosi, la
biografia di un’epoca vista da una donna che ha teorizzato con molto
anticipo che le brave ragazze vanno in paradiso, le cattive dappertutto.
Ma che, a differenza delle odierne compilatrici di best seller non pecca
certo di trionfalismo. Se il paradiso è una stia con i gerani alle
sbarre, dappertutto può rivelarsi un posto insidioso e grottesco, dove
allignano orride dame benefiche, conformisti di tutte le ortodossie,
razzisti per eccesso di zelo paritario, ma anche giovanotti che non
telefonano mai e fanciulle che non smettono di aspettare, buone
samaritane specialiste nello spezzare il cuore alla migliore amica,
madri che a nessun costo rinunciano a sperare nella rovina delle figlie.
Come succede ai grandi moralisti, il bestiario di Dorothy Parker è solo
in parte da aggiornare.
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