Lise Meitner |
Un giorno del 1938, in Svezia, Lise Meitner
scrisse una lettera che avrebbe potuto cambiare il mondo. Era
un’anziana signora viennese dallo sguardo vago dietro le lenti da
miope; e un genio della fisica che per seguire la sua strada aveva
lottato con i genitori perplessi, con gli studenti della facoltà ostili
all’unica ragazza ammessa al corso (e la prima in Austria a ottenere
il dottorato); poi con i colleghi del gruppo berlinese di Max Planek,
tutti indisponibili a condividere il laboratorio con una donna. Tranne
il giovane e brillante Otto Hahn. Strano team, lei che, ebrea di origine
anche se di religione protestante, dovrà lasciare l’Austria dopo
l’annessione alla Germania, lui che finirà a lavorare per il Terzo
Reich. Lungo gli anni raggiungono insieme fama e risultati in un campo
dove si sfidano le migliori menti dell’epoca, la fisica delle
particelle; spesso è Lise a dare una svolta alla ricerca, Quella decisiva arriverà alla vigilia della
guerra, mentre i massimi fisici sono impegnati a individuare il nuovo
elemento che sono convinti si debba formare con il bombardamento
dell’uranio. Non lo trovano, si ostinano a cercarlo. Lise, detective
eccelsa, conclude invece che se il prevedibile continua a non
realizzarsi, bisogna riconsiderare l’impossibile. Intuisce così che
è lo stesso nucleo dell’uranio a spaccarsi in un processo che chiamerà
fissione, e da cui si sprigiona una quantità di energia enormemente
maggiore di quella liberata dalla semplice radioattività. È quel che
scrive nella lettera indirizzata a Nature, rivista scientifica ma non
specialistica, rompendo (fatto inaudito) la prassi di prudenza e
segretezza in vigore nella comunità scientifica. Resa pubblica la
scoperta, anche altri si rendono conto della spaventosa distruttività
di una reazione nucleare a catena. Ma all’orizzonte c’è Hitler, e tutti,
persino il pacifico Einstein, caldeggiano la costruzione di un’arma
fondata su quel principio. Solo lei rifiuta di partecipare, anzi augura
ai colleghi di fallire; e abbandona per sempre gli studi sulla fissione.
Quando nel luglio 1945 gli uomini del progetto Manhattan festeggiano con
una danza di gioia la prima esplosione sperimentale, il primo vagito
dell’ordigno-figlio lungamente covato, la Madre è assente. Anche in
seguito verrà esclusa dai riconoscimenti più alti: fra guerra fredda e
delirio di onnipotenza degli scienziati, non è il tempo per capire che
il suo ripudio è importante come la sua scoperta, e molto più
difficile. Lo riconoscerà, anni dopo, uno degli
apprendisti stregoni: anche quando l’impresa aveva perso la sua
impellenza (la Germania sicuramente lontanissima dall’ottenere la
bomba, il Giappone allo stremo) l’eccitazione restava tale che nessuno
era stato sfiorato dall’idea di sospendere, ritardare, riconvertire,
perché “smetti di pensare, semplicemente smetti”. Lise no. Ma ci voleva un grande della fantascienza, e
illustre studioso come Isaac Asimov, per rendere onore alla donna che
molti decenni prima delle riflessioni sulla coscienza del limite,
l’aveva raggiunta, praticata e sbattuta in faccia agli altri. |