Conversazione con l’autrice PAOLA COMELLI, a cura del prof. PAOLO BILONI*

 

*direttore culturale della casa editrice LA RIFLESSIONE

 

Ricordati di santificare le feste è la tua seconda prova narrativa. Ce ne vuoi parlare brevemente?

Si tratta di sette racconti, ognuno dei quali parla, a suo modo, di una festa. Può trattarsi di quelle “comandate” (la domenica, Natale, Pasqua) o di occasioni avvertite come momenti di festeggiamento (l’ultimo giorno di lavoro, il dolce far niente del dopo-laurea, il giorno dello stipendio, la candidatura a sindaco): ma tanto più la festa lo impone tanto meno i protagonisti hanno motivi per rallegrarsi, in una sorta di esortazione rovesciata. Insomma, dietro ogni festa c’è un aspetto malinconico se non rabbioso, e io ho voluto metterlo in evidenza.

 

In effetti il tono dei tuoi racconti è spesso dolente, anche se non triste.

Hai usato la parola giusta, dolente: sono racconti dove il dolore è presente anche se non immediatamente individuabile, nascosto dietro le facciate di maniera (Pranzo di Natale), dentro il ricordo che si fa speranza (Torta Pasqualina), in mezzo alla quotidianità mezzo disperata e mezzo ottusa di un giovane lavoratore precario (Il Puzzamiciu). Solo che io questo dolore non lo faccio gridare: non alzo il volume, non scelgo tinte forti, non descrivo situazioni paradossali. Molta parte della narrativa contemporanea mette invece in evidenza il disagio mediante l’urlato, il sovraesposto, il deforme, persino il patologico. Io al contrario scelgo storie e personaggi apparentemente insignificanti, ma in questo apparente grigiore basta grattare la superficie delle cose e dei personaggi per cogliere il risvolto che dà senso alla narrazione.

 

Vorrei soffermarmi ancora su questo aspetto, per chiederti che senso ha raccontare della mediocrità di un giovane neolaureato o delle vicende di una impiegata che si avvia alla pensione…

Messa così stai semplificando un po’ troppo le vicende relative ai due racconti. Bisognerebbe chiedersi: che senso ha raccontare questa storia? Che senso ha raccontarla così? Io cerco di scrivere mettendo in evidenza quello che non vogliamo vedere, quello che diamo per scontato, convinta che non è necessario farsi accecare dalle luci di un rave party per trovare qualcosa di interessante. Cerco di andare a fondo, di cogliere un aspetto trascurato e/o dimenticato (anche volutamente dimenticato).

 

E in questo non segui le tendenze della narrativa contemporanea.

No, in questa scelta dell’understatement no (potrei usare la parola sottotono, ma il termine inglese è più pregnante). Una volta, durante un incontro pubblico,  mi sono confrontata con uno scrittore che nei suoi libri narra  di persone con tic e manie estreme, di individui bizzarri, affetti da pedofila o pornofilia: intendiamoci, uno scrittore divertente e di successo, ma la sua scelta è antitetica alla mia. A suo parere questi contenuti ben si adattano alla nostra società. Io invece sono convinta che in questo modo si barocchizza la letteratura contemporanea: nel600 c’era l’horror vacui, oggi c’è l’horror vitae, l’orrore della vita così com’è, con i suoi limiti, le sue miserie, i suoi misteri e persino le sue indecifrabili interazioni, e si devono descrivere personaggi e situazioni deformi ed esagerati a tutti i costi per dare spessore alla pagina scritta.

 

 

 

Leggi un brano tratto dal volume

Usi anche uno stile piuttosto sobrio…

Ai contenuti viene affiancata da una scelta stilistica analoga, quindi a sua volta understated: eppure se leggi con un po’ più di attenzione troverai delle spie linguistiche che si alzano dal tono standard.

 

La tua scrittura denota un’ottima proprietà di linguaggio.

Questo dipende dal lavoro sulla pagina più che dal possesso di una presunta vocazione alla scrittura. Io scrivo molto lentamente, e invidio gli scrittori che in un pomeriggio stendono storie di dieci cartelle senza quasi necessità di revisione. Io invece torno e ritorno su ciò che ho scritto,  tolgo, aggiungo, mi pento e poi riprendo: le versioni dello stesso racconto si accumulano, si depositano, e se non fosse per il computer avrei la casa invasa da fogli e brogliacci.

 

Nel libro precedente, Fuori dal comune, alcuni hanno colto una vis eccessivamente polemica. Io credo invece, soprattutto alla luce di questa tua seconda prova narrativa, che si tratti di una sottesa tensione morale.

Sono felice che si colga questo aspetto, che se vogliamo si collega a quella domanda di poco fa: che senso ha questo o quel racconto? Credo che non si scriva e non si legga (sono le due facce della stessa medaglia) solo per svago, per passare il tempo o per sentirsi bravi. La letteratura, quale essa sia, racchiude in sé il mistero di essere altro e oltre: di cercare di vedere più in fondo, di diventare migliori, di cambiare, almeno un poco, le cose. Quanto alla vis polemica, diciamo che “l’accusa” è venuta da qualche dirigente o politico che si è sentito colto sul vivo di fronte alle vicende di alcuni racconti. Se mi consentite il paragone con uno scrittore affermato, è come dire che i libri di Camilleri mettono in ridicolo l’Arma dei Carabinieri. Il fatto poi che nella narrativa italiana le ambientazioni all’interno del coté comunale siano una scelta originale e peculiare, non può che farmi piacere. Nessuno dei fatti che racconto è reale, ma tutti, e ribadisco tutti, sono senz’altro verisimili. O vogliamo parlare sempre solo di sesso, droga e rock and roll?

 

L’ironia non ti manca…

Meno male, altrimenti non riuscirei a scrivere.

 

Però, per tornare a Ricordati di santificare le feste, l’accento ironico è meno marcato.

Sì e no, nel senso che forse, proprio per quel tratto “dolente” di cui parlavamo, l’aspetto ironico passa in secondo piano. Però lo trovi sempre, come nel finale di La domenica del corriere, o nei pensieri del protagonista di Pranzo di Natale, o nella morale di La signorina Rampini: l’ironia non deve essere sarcasmo, e non deve essere necessariamente pungente; l’ironia è una forma di dissimulazione del proprio pensiero mediante la sua apparente negazione, e quindi è senz’altro un libro anche ironico, ma meno del primo.

 

Veniamo all’aspetto editoriale: come mai la scelta dei tipi di La Riflessione, casa editrice di Cagliari?

Se pensate che passi le mie vacanze in Sardegna vi sbagliate! Ho conosciuto le edizioni La Riflessione di Davide Zedda, in occasione del mio primo libro, ma avevo già avviato contatti con l’editore che mi pubblicò Fuori dal comune. Una volta terminato Ricordati di santificare le feste, ho chiamato il dottor Zedda e gli ho chiesto che ne pensasse: e così abbiamo deciso di lavorare insieme.

 

Ma il sogno di ogni scrittore è il “grande” editore…

Guarda, io quando vado per presentazioni e conferenze ripeto sempre che mi sento un narratore indipendente, e così è quando hai in mano il tuo libro e ti proponi senza avere alle spalle la pubblicità e la promozione dei grandi nomi. Se poi vogliamo innestare la polemica, possiamo parlare delle falle della grande editoria, che si lascia scappare, tanto per fare un esempio, un Federico Moccia costretto a pubblicare a pagamento presso un piccolo editore. Il povero Moccia intanto rimane senza un soldo, anche perché le copie a pagamento non vengono distribuite e quindi non si vendono. Finalmente “il grande editore” che aveva gettato nel cestino il suo manoscritto, e potrei dire con assoluta certezza senza leggerlo, si accorge di Tre metri sopra il cielo perché l’opera comincia a circolare nei licei romani attraverso fotocopie clandestine. Quanti Federico Moccia ci sono in giro?

 

E uno potresti o vorresti essere tu?

Questo no, lo escludo. I miei racconti non vanno certo nella direzione del best seller, la mia narrazione richiede un approccio decisamente meno immediato, e quindi sono contenta se posso contare su di un discreto pubblico di lettori. Per fare i grandi numeri bisogna scrivere altro, non lo nego. Non so se potrei esserne capace o meno, ma di sicuro non ho voglia di farlo ora.

 

E perché bisognerebbe leggere proprio il tuo libro?

E perché non bisognerebbe leggerlo? E’ scritto bene, non è noioso, parla della vita e di quello che è intorno a noi, non è autoreferenziale, vuole portare un contributo per cambiare in meglio le cose. E’ un libro migliore di molti volumi che trovi sullo scaffale e che hanno alle spalle maggiori investimenti pubblicitari. Piuttosto, perché penalizzarlo solo perché non può permettersi una promozione diffusa e costosa?

 

Bene, a questo punto siamo al termine della chiacchierata, e quindi non ci resta acquistare il tuo volume.

Beh, visto che questa intervista verrà pubblicata anche sul Web, a questi lettori consiglio di linkare i siti seguenti:

http://www.lariflessione.com/
www.ibs.it

www.libreriauniversitaria.it

www.webster.it
www.unilibro.it
www.boxerlibri.it

Naturalmente potete recarvi in libreria: ce ne sono alcune, soprattutto in Sardegna, dove il volume è immediatamente disponibile. Comunque se non lo trovate potete ordinarlo dal vostro librario di fiducia. Infine potete anche richiederlo direttamente alla casa editrice, con una telefonata al numero 070.389321.

 

Hai un indirizzo a cui i lettori possono rivolgersi per dialogare con te?

Sto cercando di organizzare un sistema di posta elettronica dedicata: chi vuole parlare con me può contattarmi all’indirizzo ricordatidisantif@libero.it. . Assicuro che risponderò personalmente a tutti, solo chiedo un po’ di pazienza per coloro che aspettano la risposta.

 

Allora, al prossimo libro.

Bene, grazie dell’intervista e a tutti i lettori… buona lettura!