*direttore
culturale della casa editrice LA RIFLESSIONE
Ricordati
di santificare le feste è la
tua seconda prova narrativa. Ce ne vuoi parlare brevemente? Si
tratta di sette racconti, ognuno dei quali parla, a suo modo, di una festa.
Può trattarsi di quelle “comandate” (la domenica, Natale, Pasqua) o di
occasioni avvertite come momenti di festeggiamento (l’ultimo giorno di
lavoro, il dolce far niente del dopo-laurea, il giorno dello stipendio, la
candidatura a sindaco): ma tanto più la festa lo impone tanto meno i
protagonisti hanno motivi per rallegrarsi, in una sorta di esortazione
rovesciata. Insomma, dietro ogni festa c’è un aspetto malinconico se non
rabbioso, e io ho voluto metterlo in evidenza. In effetti il tono
dei tuoi racconti è spesso dolente, anche se non triste. Hai
usato la parola giusta, dolente: sono racconti dove il dolore è presente anche se non immediatamente individuabile,
nascosto dietro le facciate di maniera (Pranzo di Natale), dentro il
ricordo che si fa speranza (Torta Pasqualina), in mezzo alla
quotidianità mezzo disperata e mezzo ottusa di un giovane lavoratore precario
(Il Puzzamiciu). Solo che io questo dolore
non lo faccio gridare: non alzo il volume, non scelgo tinte forti, non
descrivo situazioni paradossali. Molta parte della narrativa contemporanea
mette invece in evidenza il disagio mediante l’urlato, il sovraesposto,
il deforme, persino il patologico. Io al contrario scelgo storie e personaggi
apparentemente insignificanti, ma in questo apparente grigiore basta grattare
la superficie delle cose e dei personaggi per cogliere il risvolto che dà
senso alla narrazione. Vorrei
soffermarmi ancora su questo aspetto, per chiederti che senso ha raccontare della mediocrità di un giovane neolaureato o
delle vicende di una impiegata che si avvia alla pensione… Messa
così stai semplificando un po’ troppo le vicende relative ai due racconti.
Bisognerebbe chiedersi: che senso ha raccontare questa storia? Che senso ha
raccontarla così? Io cerco di scrivere mettendo in evidenza quello che non
vogliamo vedere, quello che diamo per scontato, convinta
che non è necessario farsi accecare dalle luci di un rave
party per trovare qualcosa di interessante. Cerco di andare a fondo, di
cogliere un aspetto trascurato e/o dimenticato (anche volutamente
dimenticato). E in
questo non segui le tendenze della narrativa contemporanea. No, in
questa scelta dell’understatement no
(potrei usare la parola sottotono, ma il termine inglese è più pregnante).
Una volta, durante un incontro pubblico, mi sono confrontata con uno
scrittore che nei suoi libri narra di
persone con tic e manie estreme, di individui bizzarri, affetti da pedofila o pornofilia:
intendiamoci, uno scrittore divertente e di successo, ma la sua scelta è
antitetica alla mia. A suo parere questi contenuti ben si adattano alla
nostra società. Io invece sono convinta che in questo modo si barocchizza la letteratura contemporanea: nel ‘600 c’era l’horror vacui, oggi c’è l’horror vitae,
l’orrore della vita così com’è, con i suoi limiti, le sue miserie, i suoi
misteri e persino le sue indecifrabili interazioni, e si devono descrivere
personaggi e situazioni deformi ed esagerati a tutti i costi per dare
spessore alla pagina scritta. |
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Usi anche uno stile piuttosto
sobrio…
Ai
contenuti viene affiancata da una scelta stilistica
analoga, quindi a sua volta understated:
eppure se leggi con un po’ più di attenzione troverai delle spie linguistiche
che si alzano dal tono standard.
La tua
scrittura denota un’ottima proprietà di linguaggio.
Questo
dipende dal lavoro sulla pagina più che dal possesso di una presunta vocazione
alla scrittura. Io scrivo molto lentamente, e invidio gli scrittori che in un
pomeriggio stendono storie di dieci cartelle senza quasi necessità di
revisione. Io invece torno e ritorno su ciò che ho scritto, tolgo, aggiungo, mi pento e poi
riprendo: le versioni dello stesso racconto si accumulano, si depositano, e se
non fosse per il computer avrei la casa invasa da fogli e brogliacci.
Nel libro
precedente, Fuori dal comune, alcuni
hanno colto una vis eccessivamente polemica. Io credo invece,
soprattutto alla luce di questa tua seconda prova narrativa, che si tratti di
una sottesa tensione morale.
Sono
felice che si colga questo aspetto, che se vogliamo si collega a quella domanda
di poco fa: che senso ha questo o quel racconto? Credo che non si scriva e non
si legga (sono le due facce della stessa medaglia) solo per svago, per passare
il tempo o per sentirsi bravi. La letteratura, quale essa sia, racchiude in sé
il mistero di essere altro e oltre: di cercare di vedere più in
fondo, di diventare migliori, di cambiare, almeno un poco, le cose. Quanto alla vis polemica, diciamo che “l’accusa” è venuta da
qualche dirigente o politico che si è sentito colto sul vivo di fronte alle
vicende di alcuni racconti. Se mi consentite il paragone con uno scrittore
affermato, è come dire che i libri di Camilleri
mettono in ridicolo l’Arma dei Carabinieri. Il fatto poi che nella narrativa
italiana le ambientazioni all’interno del coté
comunale siano una scelta originale e peculiare,
non può che farmi piacere. Nessuno dei fatti che racconto è reale, ma tutti, e
ribadisco tutti, sono senz’altro verisimili. O
vogliamo parlare sempre solo di sesso, droga e rock and roll?
L’ironia non ti manca…
Meno male,
altrimenti non riuscirei a scrivere.
Però, per
tornare a Ricordati di santificare le feste, l’accento ironico è meno
marcato.
Sì e no, nel senso che forse, proprio per quel tratto “dolente” di cui
parlavamo, l’aspetto ironico passa in secondo piano. Però lo trovi sempre, come
nel finale di La domenica del corriere,
o nei pensieri del protagonista di Pranzo di Natale, o nella morale di La
signorina Rampini: l’ironia non deve essere sarcasmo, e non deve essere
necessariamente pungente; l’ironia è una forma di dissimulazione del proprio pensiero
mediante la sua apparente negazione, e quindi è senz’altro un libro anche
ironico, ma meno del primo.
Veniamo
all’aspetto editoriale: come mai la scelta dei tipi di La
Riflessione, casa editrice di Cagliari?
Se pensate che passi le mie vacanze in
Sardegna vi sbagliate! Ho conosciuto le edizioni La Riflessione di Davide Zedda, in occasione del mio primo libro, ma avevo già
avviato contatti con l’editore che mi pubblicò Fuori
dal comune. Una volta terminato Ricordati di
santificare le feste, ho chiamato il dottor Zedda
e gli ho chiesto che ne pensasse: e così abbiamo deciso di lavorare insieme.
Ma il
sogno di ogni scrittore è il “grande” editore…
Guarda, io quando vado per presentazioni e conferenze
ripeto sempre che mi sento un narratore indipendente, e così è quando hai in
mano il tuo libro e ti proponi senza avere alle spalle la pubblicità e la
promozione dei grandi nomi. Se poi vogliamo innestare la polemica, possiamo
parlare delle falle della grande editoria, che si lascia scappare, tanto per
fare un esempio, un Federico Moccia costretto a
pubblicare a pagamento presso un piccolo editore. Il povero Moccia
intanto rimane senza un soldo, anche perché le copie a pagamento non vengono distribuite e quindi non si vendono. Finalmente “il
grande editore” che aveva gettato nel cestino il suo
manoscritto, e potrei dire con assoluta certezza senza leggerlo, si accorge di Tre
metri sopra il cielo perché l’opera comincia a circolare nei licei romani
attraverso fotocopie clandestine. Quanti Federico Moccia ci sono in giro?
E uno
potresti o vorresti essere tu?
Questo no, lo escludo. I miei racconti non vanno certo nella direzione
del best seller, la mia narrazione richiede un approccio decisamente meno
immediato, e quindi sono contenta se posso contare su di un discreto pubblico
di lettori. Per fare i grandi numeri bisogna scrivere altro, non lo nego. Non
so se potrei esserne capace o meno, ma di sicuro non ho voglia di farlo ora.
E perché
bisognerebbe leggere proprio il tuo libro?
E perché non bisognerebbe leggerlo? E’ scritto bene, non è noioso,
parla della vita e di quello che è intorno a noi, non è autoreferenziale,
vuole portare un contributo per cambiare in meglio le cose. E’ un libro
migliore di molti volumi che trovi sullo scaffale e che hanno alle spalle
maggiori investimenti pubblicitari. Piuttosto, perché penalizzarlo solo perché
non può permettersi una promozione diffusa e costosa?
Bene, a
questo punto siamo al termine della chiacchierata, e quindi non ci resta
acquistare il tuo volume.
Beh, visto che questa intervista verrà
pubblicata anche sul Web, a questi lettori consiglio di linkare
i siti seguenti:
http://www.lariflessione.com/
www.ibs.it
www.webster.it
www.unilibro.it
www.boxerlibri.it
Naturalmente potete recarvi in libreria: ce ne sono alcune, soprattutto in Sardegna, dove il volume
è immediatamente disponibile. Comunque se non lo trovate potete ordinarlo dal
vostro librario di fiducia. Infine potete anche richiederlo direttamente alla
casa editrice, con una telefonata al numero 070.389321.
Hai un
indirizzo a cui i lettori possono rivolgersi per
dialogare con te?
Sto cercando di organizzare un sistema di posta elettronica dedicata: chi
vuole parlare con me può contattarmi all’indirizzo ricordatidisantif@libero.it. . Assicuro che
risponderò personalmente a tutti, solo chiedo un po’ di pazienza per coloro che
aspettano la risposta.
Allora, al
prossimo libro.
Bene, grazie dell’intervista e a tutti i lettori… buona lettura!