Da LA DOMENICA DEL CORRIERE

 

 

Virginia si accorse che ora aveva molto tempo per prepararsi, avrebbe potuto anche pensare al dolce se non l’avesse già portato Erminio con sé. Si vestì di malumore, e non mise neppure la camicetta con gli jabots, ma una polo bianca che era più semplice da lavare e da stirare. Chiuse la luce della camera e andò in cucina. Meno male che non aveva preparato il risotto, altrimenti avrebbero mangiato della colla. Le venne spontaneo spostare la tenda e osservare il quartiere. Quella era l’ora in cui tutti erano a tavola per il pranzo domenicale, a meno che non fossero usciti, come probabilmente i tunisini (le imposte erano tutte chiuse) o non avessero preparato all’aperto, come i Tozzetti che stavano in giardino, mentre il barbecue ancora fumava. Il suo vicino, il signor Franco, aveva ricevuto la visita della figlia, riconosceva la macchina parcheggiata per strada. Magari la settimana seguente sarebbe andata davvero da sua madre, Erminio poteva venire di sera, o nel tardo pomeriggio. Quando stava a casa sua, nella casa che aveva dovuto lasciare perché non era riuscita a pagare il mutuo, andava da sua madre ogni settimana, ma non di domenica: ci andava il venerdì sera o il sabato pomeriggio e si teneva la domenica tutta per sé, per uscire con le amiche o fare una gita al mare. Invece nel quartiere dove abitava ora la gente passava la domenica a casa, se usciva per mangiare da un’altra parte (proprio come i tunisini, era certa che fossero andati via, il loro cane abbaiava come quando i padroni si recavano al lavoro e lo lasciavano solo) ritornava nel primo pomeriggio, a godersi la villetta economica, il proprio cane e quello altrui. Intanto il signor Tozzetti stava maneggiando l’asta del barbecue per smuovere la cenere, chissà come erano venute le bistecche. Virginia controllò l’arrosto e decise che lo avrebbe scaldato un poco a fiamma bassa, giusto per evitare che fosse troppo freddo quando l’avesse servito. Poi si mise sul divanetto e accese la tv, per ingannare l’attesa. Le melanzane potevano aspettare, quelle più le tieni in forno più diventan buone. Sentì che Franco, il suo vicino, usciva per sbattere la tovaglia nel cortiletto. Lui aveva già finito, si sa che gli anziani mangiano presto, anche a mezzogiorno. La figlia uscì un istante dopo, lo salutò frettolosamente e si diresse verso la macchina. Virginia guardò l’oro-logio: erano le due meno un quarto, Erminio sarebbe arrivato alle due, le melanzane erano pronte, l’arrosto era tiepido, il sugo andava spento e le carote le avrebbe scaldate solo all’ultimo momento. Il telegiornale, sullo sfondo, mostrava immagini del Papa che benediceva la folla. Virginia non aveva fame, era stanca, voleva dormire e starsene sul divano tutto il pomeriggio; la stanchezza le era crollata addosso di colpo, all’improvviso aveva voglia di togliersi le scarpe e di mettersi a letto, per lasciare passare anche quella domenica e sperare che non arrivasse il lunedì, che non ci fosse un’altra settimana, che la lista delle case da visitare si azzerasse di colpo e lei non dovesse fare più nulla, che Erminio non venisse da lei, che non venisse più e che la lasciasse in pace. Invece il campanello suonò poco dopo.

 

Erminio si accomodò senza neppure pulirsi le scarpe sullo zerbino, ma tanto quel giorno non pioveva. Aveva con sé un cabaret della Pasticceria Scantullo di Milano, che posò delicatamente sul tavolo della cucina.

Ce l’hai il saldo?” chiese. Virginia estrasse una grossa busta dal frigorifero.

“Li vuoi contare?”

“No, lo sai che mi fido. Ormai fa due anni, sai?” le sorrise.

“Già. Speravo di trovare qualcosa di meglio, nel frattempo. Invece eccomi ancora qui.”

“Noi siamo il meglio” commentò l’uomo, un ghigno di denti bianchi su di un viso abbronzato e curato. “Hai avuto dei problemi?”

“No, altrimenti ti avrei avvisato.” Virginia si chinò davanti al forno, per estrarre la parmigiana. “Però sai anche che non potrò continuare a lungo.

“Beh, finora hai lavorato abbastanza bene, ma ti abbiamo aiutato noi. Ricordi chi ti ha dato questa casa, no?”

“Certo che lo so” rispose Virginia, sempre girata verso i fornelli “però adesso pago l’affitto a seicento euro al mese. E non posso scegliermi una casa come piace a me.

“Sapevi a che cosa andavi incontro, quando hai accettato. Anche noi abbiamo rischiato, sai? Il tuo ex collega ci aveva detto che eri una persona squadrata, precisa. Potevamo cadere male, invece ti abbiamo dato fiducia. Hai una casa dove abitare, un’attività che ti rende qualche soldo, che vuoi di più?”

“Niente, mangiamo” disse Virginia, rivolta più a se stessa che a lui. La parmigiana era ottima, l’arrosto pure e non restò niente per la sera. Erminio era soddisfatto.

“Ho mangiato veramente bene, devo farti i complimenti. Prendi le paste.”

Virginia prese il pacchetto della pasticceria dal tavolo della cucina, e una vaschetta di plastica. Intanto Erminio aveva estratto dalla tasca della giacca un foglio:

“Queste sono le consegne della settimana. Ci sono i soliti, più due nuovi. Mi è sembrato che siano dei poveri diavoli, ma eventualmente passa prima da Enrico e fatti accompagnare. Stai attenta a fare la consegna alle persone indicate, ricordati che molti universitari condividono l’appartamento e non vorrei che ci fossero casini.

“Stai tranquillo, non succederà. Allora non prendi il caffè con me neanche questa volta?”

L’uomo rise: “Lo sai che non mi piace il caffè della moka, sei un’ottima cuoca ma il caffè lo prendo al bar. Mangiati pure le paste, io sono pieno.”

Virginia aprì il pacchetto, e mise su un piatto alcune cannoli. Nella vaschetta di plastica ripose invece una cinquantina di bustine, e subito ritirò la vaschetta dentro l’armadietto del soggiorno. Il foglio che Erminio le aveva consegnato lo ripose invece in frigorifero, nello scomparto dei medicinali.

“Erminio, senti” esitò “non è che domenica posso andare da mia madre, per farle visita e mangiare da lei?”

 “Ma certo che puoi. Meglio che tieni i contatti con la famiglia, altrimenti potrebbero sospettare qualcosa. Potrei venire domenica alle cinque del pomeriggio, che ne dici?”

“Si, va bene, sarò di ritorno per quell’ora.

“Porto le paste così ci prendiamo un the” ghignò ancora. Virginia annuì, poi lo accompagnò fuori. Erminio uscì salutando distrattamente il signor Franco, che stava appoggiato allo stipite della porta per fumare la sua pipa e non capiva, nemmeno questa volta c’era riuscito, come mai quel tipo venisse a trovare la sua vicina tutte le domeniche. Era una donna antipatica, una zitella acida, ecco che cos’era; quello lì non poteva che essere un parente, ma certo, il solito parente che viene a pranzo per tenere un po’ di compagnia, per parlare del più e del meno, per fare un’opera buona. Guardala lì che rientra in casa senza neppure salutarmi... e non va a Messa la domenica. Questo quartiere è uno schifo, tra terroni, africani e rompiscatole vari non c’è un cristiano con cui si possa parlare. Ci manca solo lo spacciatore e poi stiam freschi.

 

 

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Copyright Paola Comelli 2006