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INTERVENTO DEL COLLETTIVO "STUDENTI DI GIURISPRUDENZA IN LOTTA" AL DIBATTITO PUBBLICO "IL FUTURO LAVORATIVO DEI LAUREATI IN GIURISPRUDENZA" - NAPOLI MARTEDI’ 13 APRILE 1999- FACOLTA’ DI GIURISPRUDENZA, VIA PORTA DI MASSA - AULA 27, PIANO TERRA ORE 16,30.

 

Studentesse e studenti intervenuti, presenti al dibattito,

il Collettivo "Studenti di Giurisprudenza in Lotta" dà inizio a questo dibattito pubblico, organizzato dal Collettivo e dalla "Associazione Praticanti Avvocati" (A.P.A.). Il Collettivo "Studenti di Giurisprudenza in Lotta", nato il 29 dicembre 1997 nel fuoco della lotta studentesca contro la famigerata "bozza Martinotti" e riforme "Folena" e "Mirone" e divenuto Collettivo vero e proprio il 19 febbraio scorso, si propone di combattere per un’Università, pubblica, gratuita e governata dagli studenti. Questo dibattito ha uno scopo preciso, primario: quello di fare informazione sulle famigerate controriforme di questi anni inaugurate con la legge 168/89 e la 341/90 (o meglio conosciuta, quest’ultima, come la "Ruberti", dal ministro socialista che la ha approvata poco prima che il suo partito fosse travolto da Tangentopoli), per finire alle ultime riforme che riguardano in generale tutti gli Atenei italiani (ed è il caso della "bozza Martinotti") e le facoltà di Giurisprudenza nello specifico (ed è il caso qui della "Folena" e della "Mirone"). Non riforme, ma controriforme, a nostro avviso, perché creano una selezione all’interno dell’Università di stampo neoliberista, adattandosi supinamente alle direttive comunitarie e alle esigenze del mercato del lavoro e dell’Europa di Maastricht. È il caso della "bozza Martinotti", che fin dall’inizio appare incomprensibile, a causa del suo linguaggio di tipo nozionistico, infarcito di frasi accattivanti e di alcune parole che ritornano in continuazione: "flessibilità", "competitività", "mobilità", "autonomia", "innovazione", "trasparenza". Le finalità di questa "bozzaccia" sono il rafforzamento della correlazione tra ricerca e didattica universitaria, riduzione della durata dei corsi, costante monitoraggio dalla qualità didattica, curricola che facilitano il costante adeguamento della offerta formativa ai processi sociali ed economici, introduzione di un sistema generalizzato di crediti didattici. Niente centralità studentesca ma una vera e propria subordinazione dello studente alle esigenze del mercato del lavoro, con conseguente svilimento della formazione e della didattica ed un impoverimento della preparazione culturale degli universitari. Con l’autonomia didattica si introduce una concezione privatistica e aziendalistica dell’Università: di particolare rilievo in questo senso è la contrattualizzazione studente-Ateneo, che avvicina la condizione dello studente ad un "utente-cliente-lavoratore" tutto da definire. Martinotti stesso spiegò in un dibattito del 4 febbraio 1998 a Napoli in questa facoltà, che la sua bozza tendeva ad un modello di Università di stampo "anglosassone, più americano". La risposta degli studenti e delle studentesse universitari fu durissima, tanto che alla contestazione il sociologo milanese non riuscì a replicare, rimanendo letteralmente a bocca aperta. La protesta si è poi diffusa in tutta Italia, soprattutto a Firenze dove sono seguite addirittura delle occupazioni, la più clamorosa quella di Scienze Politiche in maggio. La "bozza Martinotti" è già operativa in diverse facoltà di Medicina e, secondo le direttive comunitarie, dovrebbe essere prossima all’attuazione nelle facoltà di Farmacia, Odontoiatria e Veterinaria.

Ma passiamo ora alle riforme di "casa nostra". La peggiore che riguarda la facoltà di Giurisprudenza è sicuramente la "Folena", così denominata perché tra i firmatari c’è l’ex responsabile giustizia del PDS Folena, nonché l’avvocato Siniscalchi, anch’esso eletto nelle liste di sinistra. Una proposta di legge osteggiata non poco dal movimento degli "Studenti di Giurisprudenza in Lotta" che l’anno scorso, un po’ per il fallimento della Bicamerale, un po’ per le continue proteste e sit-in di facoltà, sono riusciti a bloccarla. La "Folena" (presentata il 21 marzo 1997) consiste, cito testualmente l’introduzione, nella "istituzione di una Scuola Nazionale di Giustizia per la formazione di avvocati e magistrati" per frenare "il crescente numero di iscritti negli albi degli avvocati". All’art.5 i firmatari non si fanno scrupoli asserendo che alla "Scuola nazionale di giustizia possono accedere i laureati in giurisprudenza (....) che abbiano conseguito la laurea con votazione non inferiore a 102/110". E all’art.6 la proposta introduce il numero programmato con lo sbarramento del 5% di coloro che riescono a superare l’esame di ammissione. Una vergogna. La "proposta Folena" è attualmente in discussione in Commissione giustizia in sede referente: l’approvazione può avere luogo da un momento all’altro ed è compito degli studenti e delle studentesse, nonché del Collettivo "Studenti di Giurisprudenza in Lotta" bloccarla in qualsiasi maniera. A questa si aggiunge la riforma "Mirone" (Rinnovamento Italiano) dell’avvocatura, fortemente contestata dagli "Studenti di Giurisprudenza in Lotta" al fianco dell’APA, e poi bloccata in parlamento. Questa proposta di legge consiste, tra l’altro, nell’aumento del praticantato da due a tre anni, nello svolgimento degli esami in unica sede a Roma e nel divieto di "portare nella sede degli esami, da parte dei candidati, libri, opuscoli, scritti, e appunti di qualsiasi specie". Il nostro "No" a queste riforme è un "No" anche al ministro, ex-sessantottino pentito, Berlinguer, promotore negli anni’70 della "distruzione della scuola borghese" ed ora alfiere delle controriforme universitarie e dell’autonomia didattica e finanziaria degli Atenei italiani. Il neo ministro Zecchino, tra l’altro docente di questa facoltà, non ha fatto di meglio: si parla di sostituzione della "bozza Martinotti" con un decreto ministeriale per ora ancora misterioso; e poi c’è l’eterna diatriba sul numero chiuso. No al numero chiuso! Il Collettivo "Studenti di Giurisprudenza in Lotta" appoggia risolutamente e senza mezzi termini il C.A.D.S. ("Comitato Autogestito per i Diritti degli Studenti") vittime della legittimazione a dir poco vergognosa del "numero chiuso" prima con la sentenza del 27 novembre 1998 n.383 della Corte Costituzionale e poi con la ordinanza del Consiglio di Stato del 26 febbraio scorso. I dati del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica (nota del 26 marzo 1999) sul numero chiuso parlano chiaro: 20.000 studenti tagliati fuori dopo regolare iscrizione, 6000 ricorsisti di cui solo 2000 riammessi fino alle ultime citate sentenze "tagliagambe". Zecchino parla di "oscillazioni giurisprudenziali" cui il Ministero non può fare altro fuorché demandare il compito di sanatoria agli Atenei e ai Rettori (interrogazione parlamentare del 6 aprile di quest’anno). Cioè a vedersela su questo argomento è il Rettore Tessitore, che tra l’altro si è già dichiarato contrario al numero chiuso nell’inaugurazione dell’anno accademico ed ha quindi il dovere morale di reintegrare gli studenti esclusi.

Il futuro lavorativo dei laureati in Giurisprudenza sembra quindi essere piuttosto negativo, alla faccia delle promesse che i potentati dell’Europa di Maastricht continuano a cianciare da tempo. L’Istat (Istituto Nazionale di Statistica), nei rapporti triennali sull’Università e annuali sul lavoro in Italia, ha dato un quadro ben poco felice della situazione sul fronte occupazione. Siamo in ultima posizione nei paesi OCSE come percentuale laureati con l’11% contro il 19% (quindi ben 8 punti in meno) dell’Olanda (rilevamento fino al 1996). I laureati in Italia tra i 25 e i 64 anni sono appena l’8,7%; nell’ultimo quinquennio le immatricolazioni sono diminuite del 5,7% pari a -26.000 studenti; in Giurisprudenza il calo è stato addirittura di 11.000. Il 25% degli iscritti al primo anno non si riscrivono all’anno successivo mentre quasi il 40% preferisce il ghetto della "minilaurea" alla laurea stessa, sperando di avere maggiori e più veloci opportunità lavorative; per Giurisprudenza il tasso dei fuoricorso laureati è altissimo (88,6%). Dal punto di vista occupazionale il rapporto Istat è chiaro: "il tasso di disoccupazione dei laureati nella fascia di età compresa tra i 25 e i 29 anni è superiore a quello dei giovani di pari età con qualsiasi altro titolo di studio". Su 100 giovani laureati, solo 42 riescono ad avere, a distanza di tre anni dal conseguimento, un lavoro stabile, 25 uno precario e 33 sono disoccupati. Nel Mezzogiorno il lavoro non stabile raggiunge la vetta del 70%; le donne laureate sono le più martoriate con una occupazione stabile di appena il 26%. Nel decennio che va dall’anno accademico ‘86-’87 a quello ‘96-’97, nella nostra facoltà di Giurisprudenza su 57.600 iscritti circa, se ne sono laureati 14.800 pari al 25,7% e non hanno conseguito la laurea ben 42.800 studenti pari alla cifra del 74%. A voi il commento. E c’è chi come l’Udu si permette pure di fare convegni pubblici, sponsorizzando da una parte la precarietà e la flessibilità, da una altra promettendo agli studenti "parcheggiati" alle facoltà di turno una tutela per il loro lavoro parasubordinato, proteggendo, con aria impavida, il futuro dei cubisti e delle cubiste! E a chi la pensa diversamente, come il "CCUN" ("Coordinamento dei Collettivi Universitari Napoletani", di cui è parte il nostro Collettivo), intervenuto a questo fantomatico convegno, viene boicottato l’intervento, alla faccia del tanto decantato pluralismo da loro più volte sbandierato.

E’ chiaro: il ruolo degli organi collegiali, a nostro avviso, non ha più senso. Ce lo ha dimostrato uno studente del Consiglio di Amministrazione dell’Istituto Universitario Orientale che ha votato a favore dell’aumento di circa 300.00 lire di tasse per i suoi "colleghi": i soldi ricavati, come più volte denunciato dagli studenti in lotta contro questo squallido provvedimento, servirebbero per comprare un palazzo a via Marina dove avrà sede il futuro Rettorato dell’Orientale stesso. Una ulteriore dimostrazione è venuta dalla denuncia fatta da un periodico universitario ("Il Corriere dell’Università", dicembre 1998) sull’utilizzo di denaro pubblico dell’Edisu (si parla nell’articolo di De Cardinal, "di tre milioni") per una festa privata al ristorante "Rosolino" da parte del gruppo "Confederazione degli Studenti"; e ancora: di alcuni studenti candidati alle ultime elezioni che il giorno stesso della votazione venivano denunciati dai carabinieri in flagranza di reato, avendo in braccio del materiale propagandistico (fonte: "Il Corriere dell’Università", febbraio 1999), in violazione dell’art.9 l.212/1956. Insomma gli organi collegiali, nati con la riforma del ’74 per frenare l’ondata studentesca del ’68, sono un ricettacolo di carrierismo, completamente delegittimati dalle masse universitarie: a Giurisprudenza a stento si è raggiunto il 10% dei votanti: perciò il Collettivo "Studenti di Giurisprudenza in Lotta" auspica la loro abolizione. Infatti La loro istituzione non ha ribaltato il principio secondo il quale a compiere le scelte politiche, grandi e piccole, siano sempre e comunque i presidi, il ministro dell’Università e il governo: al loro interno gli studenti sono delle comparse, svolgono un ruolo subalterno invece di essere soggetti attivi. In definitiva gli organi collegiali costituiscono solo una forma di organizzazione di consenso che è fonte di corruzione e di controllo degli studenti stessi. Proponiamo, quindi, in alternativa il governo degli studenti. L’Università per noi deve essere concepita come servizio sociale e quindi deve essere controllata da chi ne usufruisce siamo per il rilancio della partecipazione e della centralità studentesca nell’Università. Il prof. Columbis della facoltà di Sociologia di Salerno ha parlato in una trasmissione televisiva di uno "stato attuale di democrazia feudale, che necessita di essere trasformata nella condizione per la quale lo studente deve essere sovrano". Siamo d’accordo e ciò, a nostro avviso, si potrà fare solo con il governo stabile e permanente degli universitari, con la rivendicazione principale della maggioranza in tutti gli organismi che governano e organizzano la vita degli atenei. La maggioranza studentesca sarà quindi espressione genuina della volontà degli studenti e pertanto non può che essere vincolata all’assemblea generale, ossia ispirarsi ai principi della democrazia diretta secondo i quali la stessa assemblea generale è in ogni circostanza sovrana, ha il potere di esprimere e revocare in qualsiasi momento il mandato ai propri rappresentanti nei radicalmente nuovi organi di governo universitario e detta loro la linea, le rivendicazioni, la condotta e la modalità della gestione universitaria. Nei nuovi organi del governo universitario la maggioranza studentesca verrà quindi completata dai rappresentati del personale docente e non docente, eletti con diritto di revoca, dalle rispettive assemblee generali, secondo un uso corretto della democrazia diretta, con esclusione assoluta dei privati. La posizione è quindi netta: tanto che sul CNSU ("Consiglio Nazionale Studenti Universitari"), un organo consultivo in cui gli studenti non decidono nulla ma danno solo pareri non vincolanti, una gabbia studentesca creata appositamente dal ministro Berlinguer per tenere a bada la protesta universitaria, il Collettivo ha invitato gli studenti e le studentesse ad astenersi in massa; per fortuna il Consiglio di Stato ne ha bloccato le elezioni per motivi che sinceramente non ci interessano in questa sede.

Siamo, inoltre, per un’Università pubblica e gratuita. Pubblica perché non possiamo accettare la privatizzazione dell’istruzione sotto qualsiasi forma, compresa quella dell’autonomia", che porterebbe ad un totale asservimento dell’Università alle necessità dei potentati economici e finanziari. Per quanto riguarda la questione delle Scuole di Specializzazione (introdotte con l’art.17, commi 113 e 114, ovvero la cosiddetta "Bassanini 2") esse consistono in una forma preclusiva di accesso al mondo del lavoro svalutando il valore legale della laurea. A nostro avviso la laurea deve essere il punto centrale di formazione, dando gli strumenti necessari per l’accesso immediato alle professioni giuridiche, agendo attraverso una riforma della didattica. Le scuole si specializzazione devono rappresentare, secondo noi, un’ulteriore possibilità dello studente di arricchire il proprio bagaglio culturale pertanto l’accesso ad esse deve essere facoltativo, gratuito e gestito dall’Università pubblica. Siamo contro quindi l’aziendalizzazione dell’Ateneo "Federico II", l’introduzione della flessibilità dell’orario di lavoro, contro il part-time degli studenti, che crea lavoro precario e sottopagato e blocca le assunzioni stabili nell’Università. Vogliamo la gratuità perché l’Università deve essere concepita come servizio sociale e non come fonte di introiti per lo Stato e di profitto per l’imprenditore di turno. In quanto servizio sociale essa va finanziata attraverso le imposte ordinarie, senza chiedere agli studenti tasse specifiche: siamo quindi per l’abrogazione della legge n.537/93 che introduce il sistema di fasciazione. La gratuità va estesa anche ai libri di testo, al materiale di corredo (nello specifico siamo per l’accesso alle bacheche per tutti gli studenti in questa facoltà, la possibilità di potere usufruire più volte durante l’anno accademico di aule per dibattiti, convegni e conferenze che riguardano specificatamente la nostra facoltà o in generale l’Università), ai trasporti, agli alloggi per gli studenti fuori sede. Appoggiamo quindi la lotta del Comitato dei fuorisede contro l’arroganza dell’Edisu Napoli 1, che li vuole trasformare in studenti pendolari decurtando, tra l’altro, le borse di studio già fortemente basse e inique.