La processione del Venerdì Santo

 

             I riti della Settimana Santa hanno conservato, nonostante la caduta verticale della pratica religiosa, un fascino intatto.

            In verità, le Quaranta Ore di adorazione del Santissimo, con tanto di apertura solenne durante il Vespero della festa delle Palme, e di partecipazione programmata per vie e per età, sono ormai un ricordo. Tornano alla memoria dei meno giovani il rintocco delle campane ogni mezz’ora, ad annunciare e a segnare i vari turni di adorazione. I confratelli del Santissimo (i ‘capati’) nell’ampio tunica bianca coperta da una cappa rossa, vegliavano accanto all’altare.

            Con il rito della Via Crucis del Venerdì Santo, la passione e morte di Cristo Gesù riviveva in tutta la sua forza drammatica. La funzione delle ore tre richiamava tutti i piccoli, accompagnati dalla mamme a baciare il Crocefisso con grande devozione.

            A Colfrancui, la processione con la reliquia della Croce ha mantenuto ancora oggi il suo fascino e un enorme effetto, nonostante l’illuminazione sia un po’ scaduta di tono negli ultimi tempi. Qualche casa espone i lampioni veneziani di carta colorata appesi ad ogni finestra ed è davvero uno spettacolo grandioso.

            Dalle palme della domenica precedente, con la benedizione dei rami d’olivo sull’accogliente sagrato in ciottolato, al trionfo del sabato che segna la Risurrezione. La benedizione del fuoco, dell’acqua, del cero: è un ripercorrere la storia del popolo di Dio sottolineato dal Gloria che conclude un triduo intenso, dominato dal silenzio tombale.

            Sono purtroppo scomparse le ‘racoete’ e il ‘racoeon’ che sostituivano indegnamente le campane, per il divertimento dei bambini attratti dalla novità.

            In paese, si è sempre fatto grande festa anche il lunedì dell’Angelo, con la Santa Messa nella chiesetta di Santa Maria del Palù, ed il bagno degli occhi con l’acqua della fontanella che sgorga dietro l’altare ed avrebbe proprietà taumaturgiche.

            L’Ascensione conclude il periodo pasquale ed era un’occasione per consumare la lingua, aromatizzata con le erbe, del maiale ucciso l’inverno precedente.

            In un’economia basata prevalentemente sulla vita dei campi - e ci siamo rituffati nel passato - la grandine rappresentava un grave rischio. I cannoni per squarciare le nubi cupe arriveranno più tardi e dureranno poco. I temporali più minacciosi erano accompagnati dal suono lugubre delle campane a martello. Ci si riuniva a pregare davanti al Sacro Cuore, che non mancava nelle case, mentre il cero pasquale bruciava l’olivo benedetto.

            Contro la siccità, c’erano le funzioni per propiziare la pioggia.

            L’estate veniva annunciata dalle ‘rogazioni’ recitate nelle contrade del paese, all’alba, per chiedere al Buon Dio clemenza ed abbondanza.

            La stessa abbondanza che si era invocata attorno al Panevin, guardando la direzione delle ‘fuibe’ e cantando le litanie dei Santi, tra un boccone di pinza e un sorso di vin ‘brulè’.