Nei campi dall’alba al tramonto

Cariddi e Giovanna abitavano una grande casa colonica con il portico, sul limitare del comune di Ormelle al confine con la parrocchia di Colfrancui. Con loro, altre tre coppie con figli. In tutto quarantotto persone, una sessantina di braccia da lavoro ed una nidiata di bambini. Il ruolo della donna, impegnata in casa e nei campi, passava in ombra. La parità dei sessi avrebbe richiesto altri decenni.

Vita dura, giornata lunghe, dall'alba alla sera. Per falciare l'erba, ci si alzava alle tre. Alle sette, le donne portavano sul campo la colazione che spandeva a distanza odore di uova strappazzate e cipolla. A mezzogiorno, l'avemaria chiamava i contadini a casa.

Le campane scandivano il ritmo delle giornate. L'ora di notte decretava il diritto al riposo dopo la fatica. La cena, a base di radicchi e fagioli, proponeva un abbondante ''contorno'' di polenta per lo più gialla. Il pane bianco era riservato ai malati, che dovevano sorbirsi qualche oncia di olio di ricino. Nei giorni migliori si mangiava cotechino o salame. Il companatico era misurato perché - raccomandava il «paron de casa» -  c'erano più giorni che ''luganeghe''.

Dopo cena iniziava il filò, nella stalla dove si stava più caldi. Gli uomini impagliavano sedie, confezionavano scope di sorgo o zoccoli. Le donne rammendavano e raccontavano storie. Dalla tela di sacco si ricavavano cartelle per la scuola: altro che zainetti firmati. «Si cantava. Ci si divertiva anche senza televisione», ricordano i figli di Cariddi e Giovanna, ex mezzadri dei conti Giol.

Non mancava nelle famiglie più religiose la recita del rosario nelle sere d'inverno, completo dei quindici misteri la sera della festa dei santi in cui ognuno stava a casa propria.

A volte, il capofamiglia prendeva il registro dai bordi rossi e leggeva il resoconto delle spese e delle entrate. Al padrone toccava la metà dei raccolti, senza contare le ''onoranze'', il resto alla famiglia patriarcale.

In primavera, si allevavano i bachi da seta. Voracissimi nelle ultime settimane, impegnavano per venti ore al giorno e davano ossigeno alle magre casse.

Altri momenti significativi erano la trebbiatura, la vendemmia, l'uccisione del maiale.

Alla domenica, le donne si recavano presto alla messa prima, gli uomini si concedevano la messa grande. Per gli affari si andava in piazza ad Oderzo, un privilegio ancora del ''paron de casa''. Il vespero del pomeriggio richiamava tutti. Dopo, c'era la partita bocce o di carte nell'osteria annebbiata dal fumo dei toscani e del trinciato forte.

La nascita e la morte facevano parte dell'esperienza quotidiana. Si andava a chiamare la ''comare'' per assistere al parto e la camera veniva riscaldata con una fiammata di alcool versato in un catino. Le malattie infantili falciavano molti bambini.