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Riassunti di

“Istituzioni di diritto privato”

Riassunto del libro “Linguaggio e regole di diritto privato” – Iudica, Zatti – Quarta edizione, CEDAM

Facoltà di Economia – Università degli Studi di Firenze

Agosto 2005

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INDICE

CAPITOLO 1 9

L’ORDINAMENTO GIURIDICO 9

LE PAROLE DEL DIRITTO 9

LE FONTI DEL DIRITTO ITALIANO 10

ENTRATA IN VIGORE 10

ABROGAZIONE DELLE NORME 11

ILLEGITTIMITÀ DELLE NORME 11

FONTI DI COGNIZIONE 11

CAPITOLO 2 11

LA STRUTTURA DELLA NORMA GIURIDICA 11

IL TESTO NORMATIVO. NORMA E DISPOSIZIONE 12

CAPITOLO 3 13

L’AMBITO DEL DIRITTO PRIVATO 13

LA CODIFICAZIONE 13

USI E COSTUMI 13

EQUITÀ 13

IL DIRITTO PRIVATO E LE RELAZIONI TRANSNAZIONALI. 13

CAPITOLO 4 14

LE SITUAZIONI GIURIDICHE 14

SITUAZIONE E RAPPORTO GIURIDICO 14

DOVERE OBBLIGO, FACOLTÀ, POTERE 14

SOGGEZIONE E ONERE 14

DIRITTO SOGGETTIVO 14

INTERESSE LEGITTIMO NEL DIRITTO PRIVATO 15

UFFICIO E POTESTÀ 15

DIRITTI ASSOLUTI E RELATIVI 15

DIRITTI POTESTATIVI 15

OBBLIGAZIONE 15

TITOLARITÀ 16

SUCCESSIONE 16

ESTINZIONE DI DIRITTI E OBBLIGHI. LA RILEVANZA NEL TEMPO. 16

ASPETTATIVE 16

ABUSO DEL DIRITTO 16

CAPITOLO 5 17

FATTI E ATTI GIURIDICI 17

FATTI E ATTI NEL DIRITTO PRIVATO. ATTI GIURIDICI NEL SENSO AMPIO 17

GLI ATTI ILLECITI. L’ILLECITO CIVILE. 17

GLI ATTI (LECITI) NEL CODICE CIVILE 18

L’IDEA DI AUTONOMIA PRIVATA 18

DISTINZIONI TRA ATTI GIURIDICI 18

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NEGOZIO GIURIDICO 18

EFFICACIA E VALIDITÀ DEGLI ATTI GIURIDICI 18

LEGITTIMAZIONE 19

RAPPRESENTANZA 19

RAPPRESENTANZA ORGANICA 19

CAPITOLO 6 19

I SOGGETTI 19

LA DETERMINAZIONE DEI SOGGETTI 19

LA PERSONA FISICA 20

CAPACITÀ GIURIDICA 20

SCOMPARSA, ASSENZA, DICHIARAZIONE DI MORTE PRESUNTA 20

I LUOGHI DELLA PERSONA: DOMICILIO, RESIDENZA, DIMORA 20

CAPACITÀ DAGIRE 20

LA POSIZIONE DEL MINORE. LA POTESTÀ DEI GENITORI. 21

INTERDIZIONE E INABILITAZIONE 22

PERSONE GIURIDICHE E SOGGETTI COLLETTIVI 22

AUTONOMIA PATRIMONIALE 22

TIPI DI PERSONE GIURIDICHE PRIVATE 23

CONNOTATI GENERALI DELLE PERSONE GIURIDICHE 23

PERSONE GIURIDICHE PUBBLICHE 23

CAPITOLO 7 23

I BENI 23

CONCETTO DI BENE NEL CODICE CIVILE 23

RELAZIONI TRA COSE 24

DIVERSE CATEGORIE DI COSE 24

COSE E VALORI. IL CORPO UMANO 24

OLTRE LE COSE 25

BENI IMMOBILI E BENI MOBILI 25

LE UNIVERSALITÀ. IL PATRIMONIO 25

I FRUTTI 25

BENI PUBBLICI 25

CAPITOLO 8 26

LA TUTELA DELLE SITUAZIONI GIURIDICHE 26

STRUMENTI DI PUBBLICITA’ 26

NOZIONI GENERALI 26

PUBBLICITÀ IMMOBILIARE E FORME ANALOGHE 26

LE PROVE 27

PRINCIPIO DISPOSITIVO E ONERE DELLA PROVA 27

I MEZZI DI PROVA 27

PROVE DOCUMENTALI 27

LA PROVA PER TESTIMONI 28

CONFESSIONE E GIURAMENTO 28

LE PRESUNZIONI 28

GLI ATTI DELLO STATO CIVILE 29

LA CERTEZZA NEL TEMPO 29

PRESCRIZIONE 29

LA DECADENZA 29

www.uniappunti.com 4

LA LITE 29

DIRITTO E AZIONE 29

AZIONE, INTERESSI QUALIFICATI, INTERESSI DIFFUSI 29

L’ECCEZIONE 30

CAPITOLO 9 30

I DIRITTI DELLA PERSONA 30

PERSONALITÀ E DIRITTI INVIOLABILI 30

VITA, INTEGRITÀ FISICA E SALUTE 30

AUTODETERMINAZIONE, GESTIONE DEL PROPRIO CORPO, LIBERTÀ FONDAMENTALI 31

DIGNITÀ E INTEGRITÀ MORALE 31

LA TUTELA DELLIDENTITÀ 31

DIRITTO ALLA VITA PRIVATA E ALLA RISERVATEZZA 31

CAPITOLO 10 31

UGUAGLIANZA E DIFFERENZE 31

STATUS PERSONALI 31

CITTADINANZA 32

CAPITOLO 11 32

IL DIRITTO DI PROPRIETA’ 32

IL CONTENUTO DELLA PROPRIETÀ: PROBLEMI E FONTI NORMATIVE 32

LA PROPRIETÀ PRIVATA NEL CODICE CIVILE 32

LA PROPRIETÀ FONDIARIA 32

RAPPORTI DI VICINATO 33

LA PROPRIETÀ EDILIZIA 33

LA PROPRIETÀ AGRICOLA 34

MODI DI ACQUISTO DELLA PROPRIETÀ 34

MODI DI ACQUISTO DELLA PROPRIETÀ PUBBLICA 35

CAPITOLO 12 36

I DIRITTI SU COSA ALTRUI 36

I DIRITTI REALI LIMITATI” 36

USUFRUTTO, USO, ABITAZIONE 36

SUPERFICIE E PROPRIETÀ SUPERFICIARIA 37

ENFITEUSI 37

SERVITÙ PREDIALI 37

CAPITOLO 13 38

LA COMUNIONE 38

LA COMUNIONE 38

IL CONDOMINIO DEGLI EDIFICI 38

LA MULTIPROPRIETÀ 39

CAPITOLO 14 39

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IL POSSESSO 39

NOZIONE DI POSSESSO 39

I REQUISITI DEL POSSESSO. LA DETENZIONE 39

L’ACQUISTO DEL POSSESSO 39

GLI EFFETTI SOSTANZIALI DEL POSSESSO 39

CAPITOLO 15 40

TUTELA DELLA PROPRIETA’ E DEL POSSESSO 40

AZIONI PETITORIE 40

AZIONI A DIFESA DELLA PROPRIETÀ 40

AZIONI A DIFESA DEI DIRITTI LIMITATI 41

AZIONI POSSESSORIE 41

AZIONI DI NUNCIAZIONE 41

CAPITOLO 16 41

L’OBBLIGAZIONE 41

IL RAPPORTO OBBLIGATORIO E LE SUE FONTI. 41

LA PRESTAZIONE 42

RAPPORTO TRA DEBITORE E CREDITORE 42

CORRETTEZZA E BUONA FEDE 42

OBBLIGO E RESPONSABILITÀ 42

CAPITOLO 17 43

ADEMPIMENTO E INADEMPIMENTO 43

L’ADEMPIMENTO 43

MODALITÀ DELLADEMPIMENTO 43

I SOGGETTI DELLADEMPIMENTO 44

L’INADEMPIMENTO 44

GLI EFFETTI DELLINADEMPIMENTO 44

LA MORA DEL DEBITORE - APPROFONDIRE 44

LA MORA DEL CREDITORE 45

RISARCIMENTO DEL DANNO 45

I MODI DI ESTINZIONE DIVERSI DALLADEMPIMENTO 46

TIPI PARTICOLARI DI OBBLIGAZIONE 47

OBBLIGAZIONI PECUNIARIE 47

OBBLIGAZIONI CON PLURALITÀ DI OGGETTI 47

OBBLIGAZIONI CON PLURALITÀ DI SOGGETTI. LA SOLIDARIETÀ 48

SUCCESSIONE NEL CREDITO E NEL DEBITO 48

LA SUCCESSIONE NEL CREDITO: SURROGAZIONE, CESSIONE 48

LA SUCCESSIONE NEL DEBITO: DELEGAZIONE, ESTROMISSIONE, ACCOLLO 48

CAPITOLO 18 49

LE GARANZIE 49

LA RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE DEL DEBITORE 49

LIMITAZIONI DI RESPONSABILITÀ 49

CAUSE DI PRELAZIONE 49

I PRIVILEGI 49

LE GARANZIE DEL CREDITO 50

IL PEGNO E LIPOTECA 50

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LA FIDEIUSSIONE 51

MEZZI DI CONSERVAZIONE DELLA GARANZIA PATRIMONIALE 51

CAPITOLO 19 52

AUTONOMIA CONTRATTUALE 52

IL CONTRATTO: REALTÀ E DEFINIZIONE 52

FUNZIONE ED EFFICACIA DEL CONTRATTO 52

IL CONTRATTO COME ATTO GIURIDICO 52

IL PRINCIPIO DI BUONA FEDE 52

AUTONOMIA CONTRATTUALE E SUOI LIMITI 52

LA LIBERTÀ DI CONTRARRE 53

CAPITOLO 20 53

GLI ELEMENTI DEL CONTRATTO 53

LA MANIFESTAZIONE DELLA VOLONTÀ CONTRATTUALE 53

LA CONCLUSIONE DEL CONTRATTO 53

TRATTATIVE E RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE 54

CONTRATTO PRELIMINARE 54

CONTRATTI DI SERIE E CONTRATTI DEL CONSUMATORE 54

LA CAUSA DEL CONTRATTO. I MOTIVI 55

CLASSIFICAZIONE DEI CONTRATTI IN BASE ALLA CAUSA 55

L’OGGETTO 55

LA FORMA 55

FORMA SCRITTA E STRUMENTI INFORMATICI 56

GLI ELEMENTI ACCIDENTALI. CONDIZIONE, TERMINE, ONERE 56

CAPITOLO 21 57

L’EFFICACIA DEL CONTRATTO 57

VINCOLO E RECESSO 57

DIVERSI TIPI DI EFFICACIA 57

L’INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO 57

INTEGRAZIONE DEL CONTRATTO 58

EFFICACIA DEL CONTRATTO RISPETTO A TERZI 58

CESSIONE DEL CONTRATTO E SUBCONTRATTO 58

LA RAPPRESENTANZA. LA PROCURA 58

SIMULAZIONE DEL CONTRATTO 59

USO INDIRETTO E FIDUCIA 59

CAPITOLO 22 59

VALIDITA’ E INVALIDITA’ DEL CONTRATTO 59

LE VICENDE DEL VINCOLO CONTRATTUALE 59

NULLITÀ E ANNULLABILITÀ 60

I PRINCIPALI CASI DI NULLITÀ 60

LE CAUSE DI ANNULLAMENTO. L’INCAPACITÀ 60

I VIZI DEL CONSENSO 61

LE AZIONI DI NULLITÀ E ANNULLAMENTO 62

IL CONTRATTO INIQUO. LA RESCISSIONE 62

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CAPITOLO 23 63

LO SCIOGLIMENTO DEL CONTRATTO 63

LO SCIOGLIMENTO DEL CONTRATTO 63

RISOLUZIONE PER INADEMPIMENTO 63

CLAUSOLA PENALE E CAPARRA CONFIRMATORIA 63

RISOLUZIONE PER IMPOSSIBILITÀ SOPRAVVENUTA 64

RISOLUZIONE PER ECCESSIVA ONEROSITÀ 64

CAPITOLO 24 64

I CONTRATTI DI ALIENAZIONE 64

LA VENDITA 64

CAPITOLO 25 66

I CONTRATTI DI UTILIZZAZIONE 66

LA LOCAZIONE 66

IL COMODATO O PRESTITO DUSO 67

MUTUO O PRESTITO DI CONSUMO 67

CAPITOLO 26 67

I CONTRATTI DI PRESTAZIONI D’OPERA O DI SERVIZI 67

IL MANDATO 67

CAPITOLO 27 68

CONTRATTI PER LA RISOLUZIONE DI CONTROVERSIE 68

LA TRANSAZIONE 68

COMPROMESSO 68

CAPITOLO 28 68

ATTI E FATTI DIVERSI DAL CONTRATTO 68

PROMESSE UNILATERALI 68

GESTIONE DI AFFARI 68

PAGAMENTO DELLINDEBITO 69

ARRICCHIMENTO INGIUSTIFICATO 69

CAPITOLO 30 69

FATTI ILLECITI E RESPONSABILITA’ 69

PROBLEMI E FUNZIONI DELLA RESPONSABILITÀ CIVILE 69

LE FONTI DI RESPONSABILITÀ 70

LA REGOLA DELLART. 2043 70

GLI ELEMENTI OGGETTIVI DELLILLECITO: IL DANNO INGIUSTO E IL NESSO CAUSALE 70

GLI ELEMENTI SOGGETTIVI: IMPUTABILITÀ 70

RESPONSABILITÀ OGGETTIVA 71

LA RESPONSABILITÀ PER FATTO ALTRUI 71

www.uniappunti.com 8

IL DANNO 71

IL RISARCIMENTO 71

RESPONSABILITÀ CONTRATTUALE ED EXTRACONTRATTUALE 72

CAPITOLO 44 72

IL GRUPPO FAMILIARE 72

NOZIONE GIURIDICA DI FAMIGLIA 72

I PRINCIPI COSTITUZIONALI 72

LE RELAZIONI FAMILIARI: CONIUGIO, PARENTELA, AFFINITÀ 72

IL SISTEMA MATRIMONIALE ITALIANO 73

IL MATRIMONIO NEL CODICE CIVILE. LA DISCIPLINA DELLATTO 73

GLI EFFETTI DEL MATRIMONIO 74

IL REGIME PATRIMONIALE DELLA FAMIGLIA 74

LA CRISI DELLA FAMIGLIA. LA SEPARAZIONE PERSONALE 75

LO SCIOGLIMENTO DEL MATRIMONIO. IL DIVORZIO 75

LA FILIAZIONE 76

LA FILIAZIONE LEGITTIMA 76

LA FILIAZIONE NATURALE 76

L’ADOZIONE 77

LA FAMIGLIA DI FATTO 78

GLI ALIMENTI 78

CAPITOLO 45 78

LE SUCCESSIONI A CAUSA DI MORTE 78

GLI EFFETTI DELLA MORTE. LA SUCCESSIONE 78

L’OGGETTO DELLA SUCCESSIONE: LEREDITÀ E IL LEGATO 78

APERTURA DELLA SUCCESSIONE. DELAZIONE. VOCAZIONE 79

I TITOLI DI SUCCESSIONE 79

CAPACITÀ DI SUCCEDERE E INDEGNITÀ 79

LA VOCAZIONE LEGITTIMA 79

LA VOCAZIONE TESTAMENTARIA 80

IL TESTAMENTO COME ATTO DI ULTIMA VOLONTÀ 80

I DIRITTI DEI LEGITTIMARI 81

ACQUISTO DELLEREDITÀ E DEL LEGATO 82

IL BENEFICIO DI INVENTARIO. LA SEPARAZIONE DEI BENI 82

PETIZIONE DELLEREDITÀ. EREDE APPARENTE 83

LA DEVOLUZIONE DELLEREDITÀ; I MECCANISMI DI SOSTITUZIONE 83

LA COMUNIONE EREDITARIA E LA DIVISIONE 83

CAPITOLO 46 84

LE LIBERALITA’ TRA VIVI 84

DONO E LIBERALITÀ 84

DISCIPLINA DELLA DONAZIONE 84

Alcune parti del libro non sono state riassunte. Molti capitoli sono stati tolti direttamente dal

professore, altri gli ho tolti io perché non avevo molto tempo. Il criterio di selezione degli

argomenti che ho seguito va in base al fatto se gli argomenti li ritroviamo anche in “Diritto

Commerciale”… e quindi ecco che ho saltato la parte dell’imprenditore e tutti i contratti tipici e

atipici più caratteristici per l’esercizio dell’impresa (Franchising, Leasing ecc…). Speriamo bene!

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CAPITOLO 1

L’ORDINAMENTO GIURIDICO

Le parole del diritto

La parola diritto deriva dal latino medioevale directus.

Lo scopo ultimo del diritto è di perseguire in una certa comunità organizzata, un ideale di giustizia. In

negativo, il diritto serve a impedire che ognuno si faccia giustizia da solo; serve quindi ad evitare violenza e

vendetta.

La parola legge può essere intesa con tre connotazioni diverse:

- Legge inteso come insieme, come universo di regole. In questo caso equivale al diritto, anche se si

può intendere uno specifico universo di regole come la “Legge morale”.

- legge intesa come testo legislativo, prodotto secondo determinate procedure.

- legge intesa come regola o come descrizione della regolarità fattuale (leggi della fisica).

Come già detto il diritto è un universo di regole. Una regola impone a qualcuno un dovere e di conseguenza

viene riconosciuto un potere o una libertà ad altri. Quindi si dice che la regola riconosce e attribuisce un

diritto. Ecco che si distinguono:

- diritto oggettivo come insieme di regole legali

- diritto soggettivo come una libertà, una posizione di vantaggio.

Una regola è una proposizione la cui funzione è quella di prescrivere un comportamento, cioè di qualificarlo

obbligatorio (deve essere tenuto), vietato (non deve essere tenuto) o lecito (può essere tenuto). La regola non

descrive ma prescrive. Ecco i tipi di prescrizione:

- individuale: riguarda il comportamento di uno o più individui determinati

- concreta: la prescrizione riguarda una o più situazioni determinate

- generale: riguarda il comportamento di chiunque di trovi in una determinata situazione

- astratta: prescrizione valida in ogni situazione che sia uguale a quella prevista.

Ad esempio una sentenza è una prescrizione individuale e concreta (il giudice condanna Tizio a risarcire

Caio), l’ordinanza è una prescrizione generale e concreta (il sindaco impone a tutti – generale – gli abitanti di

spalare la neve in caso di nevicate –concreta-)

Per regola di diritto intendiamo prescrizioni legali che prescrivono in modo generale ed astratto, cioè ciò che

si può o si deve fare nelle varie situazioni tipo previste. (Art. 927 chi trova una cosa mobile deve restituirla

al proprietario).

Hanno quindi carattere generale ed astratto le regole contenute nei codici, nelle leggi o nei decreti e nei

regolamenti.

Norma è sinonimo di regola.

La prescrizione di un comportamento può essere resa efficace dal collegamento con una regola strumentale

che prevede conseguenze negative per chi viola la prescrizione. Queste conseguenza sono appunto le

sanzioni:

- sanzioni civili, risarcimento di un danno provocato ad altri

- sanzioni penali, detenzione

- sanzioni amministrative, ammenda

Fonti del diritto: qualsiasi atto o fatto idoneo a produrre norme giuridiche in un sistema dato.

Una prima distinzione si può fare tra fonti scritte e fonti non scritte, anche se nei sistemi contemporanei si fa

la distinzione fra precedente giudiziario e atto legislativo.

Il precedente giudiziario consiste nella decisione già avvenuta su un caso analogo. Da una decisione (o da

una serie) si ricava una regola che vale per i casi analoghi

L’atto legislativo è il procedimento con cui un’autorità che ha il potere di legiferare produce un testo che

contiene regole di diritto.

L’art. 1 delle Disposizioni preliminari al Codice Civile elenca le fonti del diritto italiano,mentre l’art. 70

della Costituzione stabilisce che la funzione legislativa spetta alle camere. Queste norme, dette di

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produzione, servono a stabilire come una legge può essere prodotta. Anche queste sono prodotte, ma non si

può risalire all’infinito ovviamente; all’origine di tutto c’è sempre un fatto storico.

Ecco che attraverso il sistema delle fonti si costituisce un ordinamento giuridico, che è un universo di

regole di diritto che formano un insieme unitario e ordinato perché sono prodotte in conformità ad un

apparato di fonti legittimato da un unico fatto costitutivo, che ha dato vita all’organizzazione di un gruppo

sociale.

A far parte dell’ordinamento giuridico entrano a far parte solo quelle regole che superano la selezione delle

fonti e, dato che le fonti sono indicate dall’ordinamento, è “diritto” solo ciò che l’ordinamento definisce

diritto.

Per l’ordinamento dello stato, “diritto” è solo il diritto dello Stato italiano. Il diritto degli altri stati

rappresenta solo un fatto.

Il diritto internazionale ha proprie fonti (principalmente consuetudini internazionali e trattati) e proprie

norme, che ogni membro della comunità internazionale è tenuto a rispettare. Anche se ciò che è illecito a

livello internazionale può essere lecito a livello nazionale. Solo attraverso la ratifica di una Convenzione

internazionale questa avrà efficacia a livello nazionale. Tuttavia nel nostro ordinamento il diritto

internazionale ha un canale preferenziale poiché l’art. 10 della Costituzione dice che l’ordinamento giuridico

italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Quindi rende le norme

generali del diritto internazionale efficaci nell’ordinamento interno.

Generalmente gli ordinamenti tendono a separare il potere legislativo da quello giudiziario. La separazione è

meno netta in quegli ordinamenti dove la giurisprudenza è fonte di diritto (cioè dove parte delle regole

originano dal precedente giudiziale).

Comunque sia un ordinamento completamente chiuso non è realizzabile poiché la regola di diritto,

comunque prodotta, è formulata in una proposizione prescrittiva che dovrà quindi essere interpretata. Ecco

che entrano in gioco idee, influenze e giudizi del singolo giudice che si trova a dover decidere.

Esistono poi finestre che il sistema lascia aperte per opportunità. In molti casi il legislatore sfrutta concetti

indeterminati come il dovere di buona fede, di correttezza o il comportamento di buon costume, o il metro

del comune senso del pudore, che possono essere concretizzati al momento dell’interpretazione da parte del

giudice in base alla realtà sociale.

Le fonti del diritto italiano

1) Costituzione (e leggi costituzionali)

2) Il Trattato, i regolamenti e le direttive Cee

3) Le leggi dello stato e delle regioni – intese come leggi in senso formale o come atti legislativi che

hanno la stessa forza della legge (decreto-legge; decreto legislativo delegato).

4) I regolamenti – che possono essere emanati dal governo, dalle regioni, dalle province e dai comuni. I

regolamenti governativi intervengono a disciplinare l’esecuzione delle leggi.

5) Le norme corporative ancora in vigore (o le norme poste da contratti collettivi con efficacia erga

omnes)

6) Gli usi – vale come fonte del diritto se richiamati da altre fonti (ad esempio l’art. 1374) o in materie

non regolate da altre fonti. L’uso deve avere come requisito una generale e costante uniformità di

comportamento e la convinzione di osservare un obbligo giuridico.

Questo non è precisamente l’elenco riportato dall’articolo 1 delle Disposizioni preliminari.

Entrata in vigore

Una volta che la disposizione normativa è stata prodotta, affinché divenga parte dell’ordinamento, è

necessario pubblicarla sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica (se si tratta di una legge statuale) o sul

Bollettino Ufficiale della Regione (se si tratta di un atto regionale) o affissarla all’albo (se si tratta di norme

comunali).

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In questo modo si garantisce la conoscibilità della norma prima della sua entrata in vigore. Dopodichè deve

trascorrere un periodi di vacanza che normalmente è di 15 giorni (art. 73, comma 3 Cost – art.10 comma 1,

disp. Prel.)

Normalmente vale il principio di irretroattività della legge, cioè la legge non dispone che per l’avvenire.

Fuori dal campo penale il principio è derogabile dal legislatore, in ambito penale il principio è garantito dalla

costituzione.

Abrogazione delle norme

Nel caso in cui due norme siano in conflitto tra loro è necessario cancellare una delle due. Il criterio è quello

cronologico: se le norme derivano dalla stessa fonte o da fonti di pari forza prevale la norma più recente.

Altrimenti prevale la norma che deriva dalla fonte più forte (principio gerarchico)

L’art.15 delle disposizioni preliminari indica tre ipotesi di abrogazione di una norma:

- per dichiarazione espressa dal legislatore (abrogazione espressa)

- per incompatibilità tra le vecchie e le nuove disposizioni (abrogazione tacita)

- perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore (abrogazione tacita)

L’art.75 della costituzione prevede il referendum popolare abrogativo indetto su richiesta da 500mila

elettori o da 5 consigli regionali.

La desuetudine, cioè la costante disapplicazione della regola, non costituisce causa che porta all’abrogazione

della legge.

Una volta abrogata una legge questa non scompare definitivamente, bensì perde vigore dalla data

dell’abrogazione mantenendo la forza prescrittiva per i casi avvenuti in data precedente all’abrogazione.

Nel caso in cui il legislatore provveda a raccogliere ed a riordinare le leggi in unico atto normativo (testo

unico o codici) si ha un’applicazione interessante dell’abrogazione.

Il diritto transitorio regola il passaggio da una disciplina all’altra, nel caso in cui situazioni sorte sotto il

vigore della vecchia disciplina non siano risolte al sopravvenire della nuova.

Illegittimità delle norme

Dire che una norma è illegittima significa rilevare un vizio nella sua formazione, che la rende inidonea alla

sua funzione regolatrice (contrasto con le fonti di ordine superiore, violazione di criteri di competenza). Il

giudice a cui è richiesto di applicare la norma può effettivamente rilevare la sua illegittimità costituzionale,

ma non può risolverla. Solo la corte costituzionale può giudicare la norma incostituzionale. Una norma

illegittima, fino a che non viene eliminata, continua ad avere effetto.

Fonti di cognizione

Si chiamano fonti di cognizione quei documenti in cui si raccolgono i testi delle norme giuridiche formate

attraverso le fonti di produzione e sono:

- Costituzione

- Codici (codice civile, procedura civile, penale, procedura penale, navigazione)

- Leggi speciali, individuate dalla data, dal numero e dal titolo.

CAPITOLO 2

La struttura della norma giuridica

Lo schema logico della norma giuridica è costante, la formulazione testuale varia da caso a caso. E quindi: se

si verificano certi fatti, allora si dovrà comportarsi in un certo modo. Per indicare la situazione a cui una

norma collega certe conseguenze si usa il termine fattispecie. La situazione tipo descritta dalla norma è la

fattispecie astratta, la situazione pratica a cui viene applicata la norma è la fattispecie concreta.

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Per ogni fattispecie la norma definisce un determinato comportamento come lecito, obbligatorio o vietato;

questo collegamento viene descritto dicendo che un determinato fatto ha certi effetti o conseguenze

giuridiche.

Si parla di fattispecie complessa se è composta di elementi di fatto tra loro distinti. Ne è un esempio gli art.

927-929 che riguardano l’acquisto della proprietà in caso di invenzione.

Si parla di fattispecie a formazione progressiva quando una fattispecie complessa non si forma

istantaneamente, ma gradualmente. Ad esempio l’art. 922 per l’acquisizione della proprietà mediante

contratto può prevedere una fattispecie a formazione progressiva se si inserisce nel contratto una clausola

che subordina gli effetti del contratto al momento in cui verrà approvato il progetto di costruzione già

presentato.

La sussunzione è un aspetto molto importante nel lavoro del giudice: riconoscere nel caso concreto i

connotati della fattispecie astratta.

Il testo normativo. Norma e disposizione - Struttura dei codici �� pag. 24

La disposizione normativa, cioè il testo scritto, non è che un complesso di parole a cui si deve attribuire un

significato. L’operazione con cui gli si attribuisce il significato si chiama interpretazione. La norma

giuridica è il significato (il risultato dell’interpretazione) della disposizione normativa. L’art. 12 delle

disposizioni preliminari disciplina l’attività di interpretazione delle leggi. STUDIARE

Si possono distinguere due tipi di interpretazione:

- interpretazione logica

- interpretazione letterale

Può capitare che considerando la ratio (ragione pratica, scopo, logica) della norma si attribuisca alle parole

un significato più ampio o più ristretto rispetto a quello che deriverebbe dall’interpretazione letterale e quindi

abbiamo:

- interpretazione estensiva

- interpretazione restrittiva

Abbiamo poi l’interpretazione giudiziale, cioè fatta dal giudice nel caso in cui è chiamato a giudicare. Nel

nostro sistema questa decisione non è vincolante per gli altri decisori, a meno che non si formi un

orientamento costante, ovvero eguali interpretazioni ripetute dai giudici. Questi orientamenti sono formati

principalmente dalle decisioni della Corte di Cassazione.

L’interpretazione dottrinale deriva dalle proposte di interpretazione avanzate dagli studiosi del diritto. In

altri sistemi le proposte degli studiosi sono considerate una fonte da cui i giudici possono attingere per

prendere le decisioni; non è così da noi, dove però una buona proposta ha buone probabilità di essere accolta.

L’interpretazione autentica invece è quella effettuata dallo stesso legislatore mediante nuove disposizioni

normative che indicano come devono essere interpretate le disposizioni vigenti.

Nel caso in cui non sia possibile risolvere un caso, nemmeno ricorrendo all’interpretazione estensiva, e dato

che non è permesso al giudice di creare una regola di diritto, è necessario seguire il postulato della

completezza dell’ordinamento (che non è espressamente riportato nell’art.12 disp. prel., ne è solo la

premessa logica del 2° comma) che indica due criteri:

- analogia: è un criterio logico che prevede soluzioni simili per problemi simili. Si utilizzeranno

disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe. L’analogia non porta ad applicare al caso

non previsto la regola che disciplina il caso simile (interpretazione estensiva), ma avendo riguardo

alla disposizione che vale per la situazione analoga, il giudice stabilirà una regola concreta adatta

alla questione che deve risolvere. Le leggi penali non possono essere applicate per analogia, visto il

carattere “creativo” di questo sistema.

- Principi generali dell’ordinamento giuridico: la parte finale dell’art. 12 disp.prel. prescrive di

ricavare dall’ordinamento italiano delle linee di tendenza e di formulare da queste dei principi, che

spesso risultano essere impliciti. Importante è non confondere i principi con le clausole generali

(regole di ampio contenuto) come ad esempio “secondo buona fede” ecc…

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CAPITOLO 3

L’ambito del diritto privato

Il diritto privato è il diritto degli interessi particolari (che riguardano singoli individui e gruppi), che sono

trattati come interessi disponibili: bisogni, esigenze, finalità, valori dei quali gli stessi interessati possono

decidere, in certi limiti, se e come cercare la soddisfazione o accettare il sacrificio.

Il diritto pubblico è il campo degli interessi generali che non sono disponibili da un singolo interessato né

da un gruppo di interessati: essi riguardano tutta la collettività e perciò la loro concreta realizzazione (ed il

controllo) è affidata alla pubblica autorità

La diversa considerazione degli interessi giustifica la diversità degli strumenti.

Il diritto privato lascia molto spazio alla possibilità dei singoli di regolare da sé la soddisfazione dei propri

interessi. Lo strumento di questa autonomia privata è il contratto.

Nel diritto pubblico invece è richiesto l’esercizio dell’autorità, per cui almeno uno dei due soggetti risulta in

posizione di supremazia nei confronti dell’altro.

La codificazione

I grandi codici dell’800, come quello Napoleonico o quello tedesco, hanno vita lunga. Il corpo principale,

attraverso continue modificazioni ed aggiornamenti (novellazione), si ritrova infatti ancora oggi.

Un altro metodo per mantenere aggiornato un codice è quello di affiancare via via nuove leggi che regolano

materie nuove o stabiliscono nuove soluzioni a problemi già considerati.

Usi e costumi

Si distinguono tre diversi usi:

- usi normativi: consuetudini usate come fonti diritto se espressamente richiesto dalla norma o in

mancanza di disposizioni scritte

- usi contrattuali: è la prassi contrattuale diffusa nel traffico economico. E’ il modo in cui

normalmente si regolano particolari questioni negli accordi contrattuali. L’art. 1340 considera le

clausole d’uso inserite nel contratto, anche nel silenzio delle parti.

- Usi interpretativi: il modo in cui normalmente viene inteso un certo termine o una certa clausola.

Viene usato come criterio per stabilire il significato di clausole ambigue.

Il costume è il criterio cui il giudice deve fare riferimento per precisare il contenuto di norme volutamente

generiche come ad esempio quando si parla di “buon costume” o “fedeltà”.

Equità

L’equità non può essere considerata una fonte del diritto. Il motivo è semplice: il giudice, nelle sue decisioni,

deve attenersi alla legge e ai principi reperibili nel sistema delle fonti. Se applicando la legge ad un caso

particolare risulta una punizione troppo dura o non adeguata il giudice non può comunque far prevalere un

criterio empirico per cambiare o disapplicare la norma.

Tuttavia può essere la norma a richiedere al giudice di risolvere il caso secondo equità, cioè secondo quello

che lui giudica un criterio di giustizia. Per questo l’equità viene considerata una fonte secondaria del diritto.

La legge 21 novembre 1991, n°374 ha istituito il giudice di pace; per le cause relative a beni mobili di

valore inferiore ai 2 milioni di lire, la causa deve essere decisa secondo equità con sentenza non appellabile.

Il diritto privato e le relazioni transnazionali.

L’obiettivo comune è quello di uniformare i diritti nelle singole materie. Fra i numerosi tentativi ricordiamo

le varie convenzioni (Ginevra 1930, Vienna 1980).

In Italia, fino al 1995, gli art. 17-31 delle disp.prel. si occupavano del diritto internazionale privato. In

seguito sono stati abrogati e sostituiti dalla legge 31 maggio 1995, n. 218 con lo scopo di rendere più chiare

le relazioni tra il nostro sistema e sistemi internazionali.

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Le linee guida di questa legge indicano che in rapporti contrattuali con paesi stranieri prevale la legge

nazionale sui rapporti di famiglia, sulla protezione degli incapaci, sullo stato e le capacità delle persone

fisiche e i diritti della personalità, sulla successione a causa si morte, sulle donazioni. (quindi sui rapporti in

cui prevale il riferimento alla persona).

Prevale invece la legge del luogo sul possesso, proprietà e diritti reali sui beni mobili, immobili e

immateriali, sulle obbligazioni non contrattuali, sulle questioni di forma degli atti giuridici.

Le obbligazioni contrattuali sono invece regolate dalla volontà delle parti.

Il limite a questa “importazione” del diritto straniero è rappresentata dal rispetto dell’ordine pubblico, intesi

come i principi fondamentali di carattere etico-sociale che sono alla base del nostro ordinamento. Si parla dei

principi espressi nella costituzione e di quei principi riguardanti matrimonio monogamico, adozione non per

contratto ecc…

CAPITOLO 4

LE SITUAZIONI GIURIDICHE

Situazione e rapporto giuridico

La regola pone due soggetti in una situazione giuridica, stabilendo così un rapporto giuridico tra i soggetti.

Il rapporto giuridico è una relazione disciplinata dalla legge che prevede due situazioni giuridiche soggettive:

- situazione giuridica attiva, cioè quella della parte avvantaggiata

- situazione giuridica passiva, cioè quella della parte svantaggiata

Lo schema tracciato si ripropone in maniera più o meno complessa in ogni norma giuridica

Dovere – obbligo, facoltà, potere

La funzione primaria della norma giuridica è quello di imporre un determinato comportamento. La

situazione soggettiva della persona che è tenuta ad un certo comportamento si chiama obbligo. L’obbligo di

non fare è un divieto. Il linguaggio in uso è “deve, è tenuto a, ha l’obbligo di, è vietato, non è lecito, non

può”. Il primato della categoria dovere-obbligo è dovuto al carattere liberale del diritto secondo cui tutto ciò

che non è vietato o obbligatorio è lecito. Non occorre una norma per dire che si può fare qualcosa.

Anche se in realtà le norme stabiliscono quali comportamenti si possono tenere. E in questo caso il

linguaggio usato è “può, ha il diritto di, ha la facoltà”… Si distingue infatti facoltà da potere:

- facoltà: quando un individuo è autorizzato a fare qualcosa, compiere lecitamente un atto

- potere: quando un individuo è in grado di fare qualcosa, compiere efficacemente un atto

Soggezione e onere

Si usa il termine soggezione per indicare la situazione di un soggetto che senza essere obbligato a un

determinato comportamento, subisce le conseguenze dell’esercizio di un potere altrui.

La situazione del soggetto si chiamerà onere (e non obbligo) quando la norma si limita a stabilire che un

certo risultato può essere ottenuto solo da chi terrà un certo comportamento. Ad esempio l’art. 2697, l’onere

della prova, dice che chi vuole far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il

fondamento.

Diritto soggettivo

Si intende quando una o più norme assicurano la possibilità di soddisfare un certo interesse economico e

morale; diritto di voto, diritto di credito, diritti reali, diritto di proprietà, diritto all’immagine…

Si parla quindi di diritto soggettivo quando la legge attribuisce ad un soggetto un potere per la tutela primaria

e diretta del proprio interesse.

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Interesse legittimo nel diritto privato

Si intende l’attribuzione di un potere ad un soggetto non per la protezione immediata e diretta dei propri

interessi, ma per una protezione mediata, dipendente cioè dalla coincidenza dell’interesse particolare con

quello generale.

Il soggetto può far valere il proprio potere solo se la propria volontà coincide con l’interesse pubblico. Chi

agisce per la tutela dell’interesse legittimo deve rivolgersi alla giurisdizione amministrativa anziché al

giudice ordinario. La lesione di un interesse legittimo può dar luogo alla pretesa di un risarcimento del danno

a norma dell’art. 2043, pretesa che in questo caso si fa valere davanti al giudice ordinario.

Ufficio e potestà

Ben distinte dal diritto soggettivo sono quelle situazioni in cui si combinano potere e dovere, dando l’idea di

funzione o ufficio di diritto privato.

Ad esempio secondo l’art. 320 viene attribuito al genitore il potere di curare gli interessi del figlio minore. Al

contempo però il titolare del potere deve curare gli interessi del minore. E’ quindi l’attribuzione di un poteredovere.

Inoltre il potere è vincolato esclusivamente allo scopo, cioè ogni esercizio del potere che si discosti

dallo scopo viene considerato un abuso.

Nello specifico caso dei genitori, quella della potestà è meglio definibile con autorità, anche se si è preferito

mantenere il termine potestà per indicare il complesso poteri-doveri dei genitori.

Diritti assoluti e relativi

I diritti assoluti si possono far valere verso chiunque, i diritti relativi si possono far valere solo nei confronti

di determinati soggetti.

Tra i diritti assoluti troviamo il diritto di proprietà e tutta la categoria dei diritti reali in genere (diritti su cose

altrui, usufrutto, uso, abitazione, servitù…) Abbiamo inoltre tutti diritti che proteggono la persona come il

diritto alla vita, all’integrità fisica (art. 5) al nome (art. 6-9), all’immagine, alla vita privata.

Per quanto riguarda i diritti relativi abbiamo invece i diritti di credito, ma anche i diritti non patrimoniali ed

alcuni diritti della personalità quando si fanno valere all’interno di un rapporto tra soggetti particolari, come

tra marito e moglie..

Diritti potestativi

Vi sono casi in cui ad un soggetto è attribuito un potere a cui non corrisponde un obbligo, ma una

soggezione. Cioè il titolare, esercitando il suo potere, non fa valere una pretesa, ma determina direttamente

una modificazione a proprio vantaggio nella situazione giuridica della controparte.

Ad esempio il proprietario di un fondo che chiede la comunione del muro di confine (art. 874) ecc…

Non esiste analogia tra potestà e diritti potestativi. La somiglianza nel nome deriva dal fatto che il titolare del

diritto ha il potere di determinare un mutamento nella situazione giuridica che l’altra parte subisce, ma la

potestà è in realtà un rapporto di autorità.

A volte per esercitare il diritto potestativo c’è un onere da adempiere per ottenere il risultato e, nell’interesse

di chi subisce l’esercizio del diritto, si stabiliscono dei limiti all’arbitrio come la giusta causa o un criterio di

effettiva necessità.

Obbligazione

Gli art. 1174 e 1175 ci dicono che si parla di obbligazione quando un soggetto è tenuto ad una prestazione,

cioè ad un comportamento diretto a soddisfare un altro soggetto. La prestazione deve essere suscettibile di

valutazione economica anche se l’interesse da soddisfare è di natura non patrimoniale.

Quindi l’obbligazione è una specie di obbligo che si caratterizza per l’oggetto. Il termine obbligazione è

voluto per evidenziare ampliamente la posizione del debitore la quale comprende anche dei poteri, come il

diritto alla quietanza (art. 1199) o il potere di rifiutare la remissione del debito (art. 1236) e per evidenziare

in generale l’intero rapporto tra debitore e creditore, comprendendo ambedue le posizioni complesse.

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Titolarità

La relazione di appartenenza di un diritto o di un obbligo ad un soggetto si esprime con il concetto di

titolarità del diritto o dell’obbligo. Il soggetto è detto il titolare. Queste espressioni si capiscono meglio a

partire dal concetto di titolo d’acquisto. Titolo è infatti la fonte d’acquisto e si distingue:

- acquisto a titolo originario: il diritto si costituisce in capo ad una persona senza dipendere dalla

posizione di un precedente titolare. In certi casi non c’è nemmeno un precedente titolare (art. 923

comma 2°) oppure c’è ma il diritto si costituisce senza connessione con questi (artt. 1158 e ss.)

- acquisto a titolo derivativo: il diritto dell’acquirente ha fonte nel diritto del precedente titolare, e

perciò la sua esistenza e i suoi limiti dipendono dall’esistenza e dai limiti di questo. Valgono due

principi base: nessuno può trasmettere a un’altra persona più di quello che ha e se viene meno il

diritto dell’alienante viene meno anche il diritto dell’acquirente.

Il dante causa è colui che trasmette il diritto, l’avente causa è colui che acquista un diritto.

Successione

E’ in generale ogni sostituzione di un soggetto a un altro come titolare di un diritto o di un obbligo; essa

indica la continuità del rapporto giuridico attraverso il mutare dei titolari.

Quando si parla al plurale di successioni si intende a causa di morte; si parla invece di successione fra vivi

ogni volta che, per atto fra vivi (contratto) una persona succede ad un’altra in un rapporto giuridico.

La successione può essere:

- a titolo universale: si verifica in caso di morte o di fusioni fra società (artt. 2501 e ss.), con la

successione dell’erede nell’universalità di diritti e obblighi del defunto.

- A titolo particolare: riguarda uno o più rapporti giuridici determinati

Estinzione di diritti e obblighi. La rilevanza nel tempo.

L’estinzione di un diritto o di un obbligo possono essere determinati da vari eventi; un diritto (e l’obbligo

correlativo) può cessare di esistere per rinunzia del titolare (purché diritto sia disponibile).

Oppure si parla di estinzione funzionale allo scopo per cui il diritto nasce: il diritto di credito si estingue

quando ricevo il pagamento.

Un altro fattore che può determinare l’estinzione di una situazione giuridica è il tempo. Vi sono diritti che

durano quanto la persona a cui sono attribuiti, come i diritti fondamentali (acquisiti con la nascita e si

estinguono con la morte).

Alla proprietà è riconosciuto un carattere perpetuo. Altri diritti sulle cose possono invece avere carattere

temporaneo, come ad esempio l’usufrutto.

Per quanto riguarda le obbligazioni, la durata del rapporto dipende dal titolo d’acquisto.

Aspettative

L’acquisto di un diritto soggettivo si collega talvolta ad una fattispecie complessa a formazione progressiva.

Si distinguono due tipi di aspettativa:

- aspettativa legittima: quando ad esempio una persona subordina il lascito testamentario ad una

condizione ben precisa, il beneficiario acquisterà il diritto soltanto se la condizione prevista si

avvererà. Alla morte del testatore quindi ci sarà una aspettativa legittima da parte del beneficiario,

poiché parte della fattispecie è già accaduta (la morte del testatore e l’esistenza di un testamento a

favore di quel soggetto).

- Aspettativa di fatto: si fonda su eventualità future rispetto alle quali nessun elemento della fattispecie

si è definitivamente formato. E’ il caso della persona che avrebbe titolo a succedere un’altra in caso

di morte. Queste aspettative non hanno tutela giuridica.

Abuso del diritto

Come già detto in precedenza è abuso di un diritto ogni atto non giustificato o deviante dallo scopo. Ma se

una persona titolare di un diritto compie atti non compresi tra quelli che ha la facoltà o il potere di fare,

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(uscendo dai confini del proprio diritto) commette un illecito o compie atti inefficaci, ma non un abuso

poiché il diritto di compiere quegli atti non c’è affatto. Abuso è usare male qualcosa che c’è.

L’abuso del diritto non è un istituto perché non si può determinare una regola generale per stabilire i confini

legittimi di un diritto.

CAPITOLO 5

FATTI E ATTI GIURIDICI

Fatti e atti nel diritto privato. Atti giuridici nel senso ampio

L’espressione fatto giuridico indica in generale ogni fatto al quale una norma giuridica collega un qualsiasi

effetto.

Con la parola fatto indichiamo qualsiasi accadimento come la nascita, il crollo di un edificio o la

dichiarazione fatta davanti ad un notaio.

Con l’aggettivo giuridico indichiamo che il fatto è previsto da una regola di diritto che collega al suo

accadere determinate conseguenze attribuendogli rilevanza giuridica.

È comunque bene distinguere tra fatti in senso stretto, considerati in modo oggettivo (come la nascita o il

crollo di un edificio) e atti, cioè le azioni umane, delle quali è importante l’aspetto soggettivo, cioè la

consapevolezza e la volontarietà dell’azione (come il contratto, matrimonio, testamento, confessione)

In generale si può parlare di atto giuridico per ogni comportamento, lecito o illecito, che la legge prende in

considerazione in quanto imputabile ad una persona come sua propria azione.

Gli atti illeciti. L’illecito civile.

Una condotta umana è giuridicamente illecita quando viola una regola di diritto, cioè quando corrisponde ad

un comportamento vietato, o quando non corrisponde ad un comportamento dovuto, e perciò lede gli

interessi protetti dalla norma.

Per valutare l’illiceità bisogna confrontare la condotta tenuta con la prescrizione normativa, e vedere se

sussiste quel contrasto che rende il comportamento illecito.

La valutazione di illiceità di una condotta concreta si presenta quindi come una risposta alla seguente

domanda: se il comportamento tenuto si possa ritenere lesivo degli interessi protetti dalla norma.

Si possono distinguere diverse specie di illecito:

- l’illecito penale: comprende tutti quei comportamenti che la legge considera lesivi di un bene la cui

tutela è di interesse generale a cui si collega una pena a carico dell’autore dell’illecito

- l’illecito amministrativo: comprende i comportamenti che violano norme poste a tutela di quegli

interessi di ordine generale, la cui soddisfazione è affidata alla Pubblica Amministrazione

- atto illecito in senso ampio: viola una norma giuridica e perciò lede gli interessi (generali e

particolari (generali e particolari) da essa protetti

- illecito civile: è un comportamento che lede direttamente un interesse particolare protetto da una

norma giuridica e provoca quindi un pregiudizio per il soggetto leso. L’illecito civile è fonte di

responsabilità, e cioè l’obbligo di risarcire il danno cagionato.

- Illecito contrattuale: la condotta del debitore che non adempio la prestazione dovuta al creditore

viola la norma che lo obbliga ad adempiere e lede l’interesse del creditore, da quella norma protetto

(artt. 1218 e ss.)

- Illecito extracontrattuale: qualunque fatto doloso o colposo che cagioni ad altri un danno ingiusto.

Questa non è una violazione di un obbligo precedentemente imposto all’interno di un rapporto

preesistente. La lesione dell’interesse di un soggetto avviene al di fuori di ogni relazione

precostituita. (artt. 2043 e ss.)

La responsabilità civile non è l’unica forma di tutela per gli interessi particolari: tutela inibitoria (cioè

l’ordine giudiziale di terminare l’attività lesiva, prevista da artt. 7,10,949,2599) sta assumendo molta

importanza e si discute se applicabile anche nei casi in cui non è espressamente citata dalla norma. In effetti

la tutela inibitoria può avere anche funzione preventiva, e quindi applicabile prima che il danno venga

commesso.

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Gli atti (leciti) nel codice civile

Nel codice civile la parola atti assume diversi significati. Ci sono atti dovuti e atti illeciti per i quali non è

richiesta la maggiore età, ci sono altri atti per cui è richiesta la maggiore età (art. 2) tra cui il contratto, il

testamento o il matrimonio, che sono manifestazioni della volontà. Altri atti come la confessione o il

riconoscimento di un figlio naturale sono dichiarazioni di coscienza o verità.

Comunque sia, ogni atto per cui è richiesta una specifica età consente a chi lo compie di disporre dei propri

interessi. E quindi ecco che l’atto giuridico è lo strumento con cui si esterna e si attua una decisione circa la

sorte dei propri interessi

L’idea di autonomia privata

Autonomia significa dare regole a se stessi, farsi da se le proprie regole. Art. 1324

L’ampiezza dell’autonomia privata dipende dagli interessi che si tratta di regolare: l’autonomia non è quasi

mai una soluzione pura, ma quasi sempre parziale e combinata con elementi più o meno forti di eteronomia

(regolazione dall’esterno). Ad esempio nel testamento abbiamo l’autonomia di destinare il nostro patrimonio

a nostro piacimento, ma se abbiamo moglie e figli non possiamo escluderli dall’eredità. Lo stesso vale per i

contratti i cui effetti sono stabiliti da norma inderogabili.

Distinzioni tra atti giuridici

Abbiamo diversi tipi di atti giuridici. Per la struttura si distinguono:

- atti unilaterali: dichiarazione proveniente da una sola parte (procura, diffida, disdetta, voto)

- atti bi/plurilaterali: dichiarazioni provenienti da più parti (contratto)

- atto unipersonale: testamento

Abbiamo poi gli atti collegiali, che sono manifestazioni di volontà che si forma attraverso la dichiarazione di

più soggetti riuniti in un collegio.

Per l’oggetto si distinguono:

- atti patrimoniali: diretti a regolare interessi economici (contratto)

- atti non patrimoniali: diretti a regolare interessi di natura personale (matrimonio). Gli effetti di

questi atti possono essere patrimoniali

Gli atti non patrimoniali non vanno confusi con gli atti personalissimi, cioè compiuti direttamente e

personalmente dall’interessato.

Per la funzione si distinguono:

- atti fra vivi, che regolano rapporti tra viventi

- atti a causa di morte, che regolano la successione di diritti e obblighi del defunto (testamento)

Negozio giuridico

E’ una definizione simile per ampiezza e significato a quella di atto di autonomia. Negozio giuridico è

definito come una manifestazione di volontà diretta a costituire, regolare o estinguere rapporti giuridici.

La nozione di negozio è quindi utile per:

- individuare e raccogliere in una sola categoria i diversi strumenti dell’autonomia negoziale

- riconoscere una certa omogeneità di problemi nel campo degli atti di autonomia, sfruttando

l’interpretazione sistematica e l’analogia per risolverli

Efficacia e validità degli atti giuridici

Nel caso dell’illecito, l’atto che cagiona il danno è preso in considerazione come condizione per ascrivere al

danneggiante una responsabilità. Nello schema dell’art. 2043 si tracciano gli elementi per identificare un

illecito: il fatto illecito deve essere stato commesso con dolo o colpa da un soggetto capace di intendere e di

volere ed abbia causato in modo diretto e immediato un danno ingiusto.

Nel campo degli atti di autonomia il discorso è più complesso, ad esempio l’art. 1325 in tema di contratto

stabilisce i requisiti affinché un contratto sia valido, cioè sia in grado di produrre i suoi effetti giuridici.

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Un atto può essere valido ma inefficace; ad esempio se chi ha compiuto l’atto non aveva il potere di disporre

dei beni o degli interessi a cui l’atto faceva riferimento.

Se un atto presenta dei vizi in uno dei requisiti si dice che è invalido.

Si distinguono gradi diversi di invalidità:

- nullità: mancanza di un requisito essenziale o illiceità dell’atto

- annullabilità: vizio di uno dei requisiti che permette di ottenere una sentenza di annullamento che

toglie di mezzo l’atto in modo retroattivo. L’atto annullabile è efficace fino all’annullamento.

Legittimazione

Si chiama legittimazione il potere di compiere efficacemente un atto giuridico con riguardo a un determinato

rapporto. Un atto giuridico è efficace solo se compiuto da un soggetto legittimato a compierlo. Se vendo una

cosa che non è mia, il compratore non acquista la proprietà, perché io non sono legittimato a vendere.

Rappresentanza

E’ una fonte particolare di legittimazione. E’ il potere conferito ad un soggetto (rappresentante) di compiere

atti giuridici che producano direttamente i loro effetti nei confronti di un altro soggetto (rappresentato).

L’art. 1387 distingue la rappresentanza volontaria (conferita dall’interessato) e la rappresentanza legale

(conferita dalla legge). Lo stesso articolo regola anche la procura, che è l’atto mediante il quale una persona

conferisce il potere di rappresentanza ad un’altra.

La procura è un atto unilaterale, diretto ai terzi. Il rappresentante ha dei doveri: se usa la procura deve

comportarsi in modo da fare gli interessi del rappresentato.

Quando il sostituto ha solo il potere di trasmettere una dichiarazione dell’interessato si chiama messo. Il

rappresentante invece è colui che ha qualche margine di discrezione nel concludere il contratto.

Si usa dire che il rappresentante è la parte formale dell’atto (è sua la dichiarazione di volontà), mentre il

rappresentato è la parte sostanziale (titolare dei rapporti regolati dall’atto o destinatario degli effetti).

Si usa distinguere (con linguaggio improprio) tra:

- rappresentanza diretta: quando un soggetto ha potere di agire in nome e per conto di un altro

- rappresentanza indiretta: quando un soggetto agisce per conto di altri ma in nome proprio. L’atto

compiuto ha effetti immediati nella sfera del rappresentante indiretto e non in capo all’interessato, il

quale se ne potrà riappropriare in seguito ad un atto di ritrasferimento.

Si parla di sostituzione in senso stretto quando la legge conferisce ad un soggetto il potere di agire con

effetti diretti nei confronti di un altro soggetto, ma non nel suo interesse (curatore fallimentare).

Rappresentanza organica

Si parla di rappresentanza organica quando il potere attribuito ad un organo consiste nel compiere atti

giuridici in nome e nell’interesse della collettività o dell’ente. La differenza con la rappresentanza ordinaria è

che nella organica c’è un solo soggetto, l’ente, che agisce tramite l’organo.

CAPITOLO 6

I SOGGETTI

La determinazione dei soggetti

Nel libro I del Codice civile si distinguono persone fisiche (esseri umani) da persone giuridiche (enti

pubblici, società ed organizzazioni in genere).

Le persone fisiche sono dotate di capacità giuridica fin dalla nascita, e cioè l’attitudine ad essere titolari di

diritti e obblighi (art. 1). L’articolo 2 definisce la capacità d’agire, ovvero l’attitudine a compiere

validamente atti giuridici che producano effetti per l’agente.

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LA PERSONA FISICA

Capacità giuridica

L’art. 1 del C.C. enuncia che la capacità giuridica si acquista con la nascita; la prova della nascita viene fatta

coincidere tradizionalmente con la prova dell’autonoma respirazione. L’art. 22 della costituzione dice che

nessuno può essere privato della capacità giuridica.

Capacità giuridica è dunque l’attitudine ad essere titolari di diritti e obblighi, ovvero di rapporti giuridici.

La situazione dello straniero in Italia prevede che questo goda di una situazione di reciprocità di diritti con

quelli che il suo paese di origine offrirebbe ad un italiano, in caso di mancanza di permesso di soggiorno (art.

16 disp.prel.). Nel caso invece vi sia un regolare permesso di soggiorno vengono riconosciuti tutti i diritti

civili.

Si parla di capacità giuridica speciale quando si tratta di stabilire se una persona è idonea o meno ad essere

titolare di un determinato tipo di rapporto giuridico. Ad esempio art. 2 comma 2° fa riferimento all’età

minima per prestare lavoro. Art. 84 e 250 fanno riferimento all’età minima per contrarre matrimonio e per

riconoscere il proprio figlio naturale.

La legge 29 dicembre 1993, n. 578 disciplina la materia riguardante la fine della vita umana, secondo il quale

la morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo (morte celebrale)

Se per un evento particolare (naufragio, incidente o terremoto) non è necessario stabilire il momento esatto

della morte, ma un effetto giuridico (come un testamento) richiede di sapere se Tizio è morto prima di Caio,

si applica la regola della commorienza (art. 4), ovvero tutte le persone si considerano morte nello stesso

momento.

Scomparsa, assenza, dichiarazione di morte presunta

Sono dettate norme speciali per le persone scomparse in incidenti aerei, terremoti, naufragi o in guerra.

Non potendo provare che la persona esiste non si può ad esempio far valere il diritto di eredità (art. 70). Per

quanto riguarda i rapporti che fanno capo allo scomparso abbiamo tre fasi:

- nella prima e immediata il Tribunale può nominare un curatore che amministri i beni dello

scomparso (art. 48); il titolare del patrimonio rimane la persona scomparsa.

- Dopo due anni si può chiedere la dichiarazione di assenza (art. 49) che consente l’apertura di un

eventuale testamento, ma non scioglie il matrimonio.

- Dopo dieci anni si può chiedere la dichiarazione di morte presunta (art. 58 e ss.). Dal punto di

vista patrimoniale la sentenza produce gli stessi effetti della morte; si verifica l’apertura della

successione.

I luoghi della persona: domicilio, residenza, dimora

L’argomento è trattato dal Titolo III del Libro I.

L’art. 43 comma 1° regola il domicilio, e lo definisce come il luogo in cui una persona ha stabilito la sede

principale dei suoi affari e interessi (non solo di natura economica, ma anche personale, sociale e politica).

Da questo si distingue il domicilio speciale o elettivo che viene esplicitamente dichiarato dal soggetto come

domicilio per una serie determinata di affari.

L’incapace di agire ha un domicilio legale: il minore ha domicilio nel luogo di residenza della famiglia.

Il 2° comma dell’art. 43 dice che la residenza è il luogo in cui la persona ha dimora abituale. Non definisce

la dimora, per cui si intende il luogo in cui una persona abita.

La residenza è un fatto giuridico oggetto di pubblicità nei registri anagrafici.

L’art. 46 dice che per le persone giuridiche si parla di sede.

Capacità d’agire

L’art. 2 dispone che con la maggiore età si acquista la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non sia

stabilita un’età diversa. E’ dunque l’attitudine a compiere validamente atti giuridici. Un atto compiuto da una

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persona che manca di capacità d’agire non è nullo ma solo annullabile, finche non è annullato produce i suoi

effetti.

Esistono due tipi di correttivi per abbracciare tutte le cause che possono influire sulla capacità reale di

provvedere ai propri interessi:

- interdizione, inabilitazione: si prevedono ipotesi in cui la capacità di agire può essere perduta o

limitata

- si attribuisce una limitata rilevanza alla concreta capacità di intendere o di volere del soggetto

capace di agire

La sentenza di interdizione (giudiziale) mediante provvedimento di un giudice priva totalmente una persona

della capacità di agire. Presuppone una permanente infermità mentale che impedisce al soggetto di

provvedere ai propri interessi (art. 414)

L’interdizione legale invece prevede la privazione della capacità di agire per gli atti patrimoniali tra vivi per

effetto di una condanna penale (ergastolo o reclusione superiore a 5 anni)

In entrambi i casi un tutore è responsabile della rappresentanza legale dell’incapace.

L’inabilitazione pone il soggetto in una situazione di limitata capacità d’agire, fondata su un infermità

mentale meno grave.

La minore età, a differenza dall’interdizione e dall’inabilitazione, non è una incapacità dichiarata, ma una

incapacità legale di agire.

L’art. 1389 prevede che mediante procura un soggetto può attribuire il potere di rappresentanza ad un

incapace legale, purché sia capace di intendere e di volere.

L’art. 428 dice che è causa d’annullamento degli atti giuridici l’incapacità di intendere o volere, anche

transitoria (alcool, stupefacenti, infermità mentale, stato confusionale ecc…), se sussiste al momento in cui

l’atto è compiuto. L’incapacità non è causa sufficiente: occorre che l’atto sia gravemente pregiudizievole per

l’incapace.

Per incapacità di intendere e di volere si intende incapacità di capire natura e contenuto dell’atto e di

decidere autonomamente.

La posizione del minore. La potestà dei genitori.

La posizione del minore è definita dall’art. 316. Il figlio, fino alla maggiore età, è soggetto alla potestà dei

genitori. La potestà dei genitori comprende:

- diritto-dovere di mantenere, educare ed istruire i figli (art. 30 cost.) tenendo conto delle loro capacità

ed inclinazioni naturali (art.147)

- potere-dovere di amministrare i beni di cui i figlio siano titolari (art. 320)

- potere di rappresentanza legale (art. 320)

- usufrutto legale sui beni del figlio, che consente ai genitori di percepirne i frutti affinché siano

destinati al mantenimento della famiglia. Non sono soggetti ad usufrutto i beni acquistati dal figlio

con i proventi del proprio lavoro.

L’art 334 afferma che i genitori possono essere privati del diritto di usufrutto e del potere di rappresentanza

nel caso di mala amministrazione, pur mantenendo la potestà sui figli.

La potestà si esercita di comune accordo fra i genitori (Art. 316). In caso di conflitto tra genitori possono

rivolgersi al tribunale per i minorenni; il giudice cercherà una soluzione concordata, se non ci riesce può

decidere al posto dei genitori o affidare il potere al genitore che ritiene più idoneo a curare gli interessi del

figlio (art. 316 ultimo comma).

Per decadenza (cioè per effetto di una sentenza del tribunale per i minorenni) il genitore perde la potestà nei

casi di abuso di potere o violazione di doveri che rechino grave pregiudizio al figlio (art. 330)

Se entrambi i genitori muoiono o decadono dalla potestà il minore è soggetto a tutela. I poteri del tutore

sono simili a quelli del genitore, è però soggetto ad un più intenso controllo da parte del giudice tutelare e del

Tribunale.

Il minore non è del tutto incapace:

Dopo i 15 anni può avere regolare contratto di lavoro e quindi acquista la capacità di esercitare i diritti e le

azioni che dipendono dal contratto di lavoro (sciopero, pretendere la retribuzione, agire in giudizio contro

licenziamento ingiustificato…).

Inoltre il minorenne con più di 16 anni e con l’autorizzazione del Tribunale per i minorenni può contrarre

matrimonio (art. 84) e può dare il consenso ad essere riconosciuto da un genitore naturale (art. 250). Nel caso

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del matrimonio si parla di minorenne emancipato (artt. 390 e ss.) ed è capace di compiere tutti gli atti di

ordinaria amministrazione ed è seguito da un curatore per quelli di straordinaria amministrazione. Se il

minorenne emancipato è autorizzato all’esercizio di un’impresa commerciale diventa pienamente capace di

agire.

La donna minore ha capacità di interrompere la gravidanza, purchè ci sia l’assenso di chi esercita la patria

potestà.

Con un procura tacita dei genitori si spiega perché i figli fanno acquisti, vanno in treno o al cinema: tutti

contratti considerati validi.

Interdizione e inabilitazione

Presupposto all’interdizione giudiziale è un’abituale infermità di mente tale da rendere l’infermo incapace

di provvedere ai proprio interessi (art. 414). Tale situazione è accertata dal giudice tramite un esame

all’interdicendo, senza necessità di una perizia psichiatrica (art 419).

Sono autorizzati a chiedere l’interdizione di un soggetto il coniuge, i parenti fino a l quarto grado e gli affini

fino al secondo (art 417). Una volta pronunciata l’interdizione l’incapace – in quanto tale - non può più

richiederne la revoca (art. 429).

La perdita della capacità è totale, con eccezione della donna interdetta che può richiedere l’interruzione della

gravidanza (con assenso del tutore).

L’attività giuridica dell’interdetto è affidata al tutore i cui poteri sono determinati dall’art. 424 per la tutela

dei minori. I poteri del tutore non si estendono agli atti personalissimi come il testamento o atti di diritto

familiare, che quindi rimangono totalmente preclusi all’interdetto. Gli atti che eccedono l’ordinaria

amministrazione richiedono l’autorizzazione del giudice tutelare (art. 374), pena l’annullabilità dell’atto.

I provvedimenti che ruotano attorno all’interdizione sono soggetti a doppia pubblicità:

- iscrizione nel registro delle tutele presso la cancelleria del tribunale

- annotazione a margine sull’atto di nascita

L’interdizione legale colpisce automaticamente chiunque sia condannato all’ergastolo o a un periodo di

reclusione superiore a cinque anni. E una misura punitiva accessoria alla sanzione primaria, anziché

protettiva come nel caso dell’interdizione giudiziale.

L’interdetto legale può sposarsi, riconoscere un figlio naturale e fare testamento; non è quindi limitato negli

atti di natura personale.

L’inabilitazione ha conseguenze molto meno pesanti rispetto all’interdizione. Prevede un’infermità di mente

non così grave da richiedere l’interdizione oppure la patologica prodigalità, l’abuso di sostanze alcoliche o

stupefacenti (ma solo se espongono la famiglia a gravi pregiudizi economici).

La cecità non è causa di incapacità legale, anche se è una condizione che può dar luogo all’interdizione o

all’inabilitazione.

L’inabilitato è capace di fare tutti gli atti di ordinaria amministrazione e gli atti personali (per il testamento

solo se è provvisto di concreta capacità di intendere e volere). L’inabilitato non è sostituito, ma è assistito da

un curatore che deve dare il suo assenso (art 392).

Procedimenti e mezzi di pubblicità sono analoghi a quelli visti per l’interdizione.

PERSONE GIURIDICHE E SOGGETTI COLLETTIVI

Autonomia patrimoniale

Le persone giuridiche godono di autonomia patrimoniale che ci consente di parlare di beni e debiti della

persona giuridica e beni e debiti dei soci. Si potranno inoltre instaurare rapporti tra la persona giuridica e i

suoi soci.

Il codice ci vile si occupa delle persone giuridiche nel libro V (che regola le società) e nel libro I (che regola

quegli enti che non hanno scopo di lucro).

Quindi la prima distinzione tra le organizzazioni (persone giuridiche e non) avviene in base allo scopo:

- enti a scopo di profitto (organizzazioni profit) come le società di persone e di capitali

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- enti che non hanno scopo di profitto (organizzazioni non profit) come le associazioni, le fondazioni,

i comitati, società cooperative

Il secondo criterio di classificazione è tra enti provvisti di personalità giuridica (associazioni riconosciute,

fondazioni e società di capitali) ed enti non personificati (associazioni non riconosciute, comitati, società di

persone)

Tipi di persone giuridiche private

Abbiamo tre tipi di persone fisiche private:

- associazioni

- fondazioni

- società (per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata)

Le associazioni nascono da un accordo tra più persone e la volontà degli associati rimane determinata (artt.

20 e ss.); le fondazioni nascono da un atto unilaterale e l’attività dell’istituzione rimane legata al rispetto

della volontà del fondatore (artt. 25 e ss.).

Connotati generali delle persone giuridiche

In ogni persona giuridica si ritrovano due elementi costitutivi:

- un elemento materiale

soggetti: caratterizzate dalla presenza si una pluralità di individui

patrimonio: la persona giuridica ha sempre una base patrimoniale

scopo: nell’atto costitutivo è specificato lo scopo a cui l’attività delle persone e l’impiego dei

mezzi sono diretti. Si distinguono p.g. con scopo di profitto e senza scopo di profitto.

organi: l’ordinamento interno segue un modello tipico nelle società, le quali devono avere certi

organi stabiliti dalla legge

nome e sede

- un elemento formale: gli elementi materiali non bastano per considerare le organizzazioni come

persone giuridiche. Per le persone giuridiche del libro I l’elemento formale è rappresentato

dall’iscrizione nel registro delle persone giuridiche; per le società (contemplate nel libro V) è

previsto il registro delle imprese (art. 2200) presso la Camera di commercio. Queste sono inoltre

forme di pubblicità che consentono ai terzi di conoscere la dotazione patrimoniale, l’identità degli

amministratori ecc…

Persone giuridiche pubbliche

Non si parla solo di Stato o altri enti territoriali (regioni, province e comuni). L’art. 11 fa riferimento ad altri

enti pubblici riconosciuti come persone giuridiche per dire che essi godono dei diritti secondo le leggi del

diritto pubblico. Si differenziano dalle persone giuridiche private poiché queste si costituiscono tramite un

atto dell’autonomia privata e perseguono interessi particolari. Gli enti pubblici invece sono costituiti

direttamente dalla legge o da un atto dell’autorità amministrativa. Hanno uno scopo di carattere pubblico,

devono cioè operare in funzione della collettività.

Negli ultimi anni c’è stata la tendenza a perseguire fini pubblici con strumenti privatistici, come nei casi di

ENI ed ENEL.

CAPITOLO 7

I BENI

Concetto di bene nel codice civile

Secondo l’art. 810 (titolo I del libro III) sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti. Possiamo

scomporre la definizione in tre parti ed analizzarle:

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a) il bene è una cosa. Nel linguaggio giuridico si ritiene che la parola “cosa” si riferisca alle realtà

materiali, inteso come tutto ciò che è empiricamente verificabile e quantificabile. Quindi avremo

senz’altro solidi, liquidi e gas, ma anche le energie (art. 814) sono beni mobili.

b) Il bene è una cosa che può formare oggetto di diritti. E quindi non sono beni le cose sulle quali non

può sussistere un diritto; il mare, l’aria e l’acqua sono cose ma non sono beni, sono cose comuni a

tutti. Le energie naturali sono beni solo se hanno un valore economico (e quindi se c’è scarsità)

c) Il bene è una cosa che può formare oggetto di diritti. Ci sono cose che non sono oggetto di diritti, ma

che possono diventarlo. Come il pesce prima della cattura, o la cosa abbandonata dal proprietario.

Relazioni tra cose

L’art. 817 considera il rapporto di pertinenza di cosa a cosa. E’ un rapporto in cui si individua una cosa

principale ed un’altra, chiamata pertinenza, che è destinata in modo durevole al servizio o all’ornamento

della prima.

Il rapporto di pertinenza può essere stabilito tra beni mobili, tra un bene mobile e uno immobile o tra

immobile e immobile.

La conseguenza più importante del rapporto di pertinenza è che gli atti e i rapporti che hanno per oggetto la

cosa principale comprendono anche le pertinenze se non è diversamente disposto (art. 818, 819) (villagarage,

quadro-cornice).

Diverso è il rapporto che si stabilisce fra varie cose che formano una cosa composta. Eliminando le

pertinenze la cosa principale non perde la sua identità, mentre l’integrità della cosa composta necessita di

tutti gli elementi essenziali (ruote-automobile, vele-barca).

Diverse categorie di cose

Nei contratti che trasferiscono la proprietà di beni o nelle obbligazioni di dare è importante stabilire se si

tratta di cose generiche o specifiche.

- cose generiche: non interessa alle parti l’identità, ma solo l’appartenenza ad un genere definito da

certi connotati (tipo di cosa, funzione, qualità….) ad esempio 100 litri di gasolio, 50 magliette blu,

10 pneumatici Pirelli ecc…

- cose specifiche: vengono considerate per la loro particolare identità. Quel quadro, quel mobile ecc…

Nel rapporto tra un debitore e un creditore di cosa generica c’è un momento, chiamato individuazione, in

cui viene determinata l’identità della cosa generica, che diventa quindi specifica.

Il denaro, come da tradizione dei tempi in cui aveva valore intrinseco, viene considerato una cosa generica.

Abbiamo poi la distinzione fra beni fungibili (sostituibili l’uno all’altro, come il denaro o le cose prodotte in

serie) e beni infungibili (non sostituibile). La cosa generica è sempre fungibile, la cosa specifica non è

sempre infungibile (vendo una la coste blu, XL, nuova, è specifica ma fungibile).

Infine c’è la distinzione fra cose consumabili (il cui utilizzo ne implica l’estinzione come il carburante o il

cibo) e cose in consumabili (il cui utilizzo non implica alterazioni, come i gioielli, o ne implica solo il

deterioramento, come un’automobile.)

Cose e valori. Il corpo umano

Una disciplina speciale è riservata alle cose sacre, al sepolcro e ai ricordi familiari, poiché hanno per

l’uomo un valore che va al di là dell’utilità pratica ed economica.

Uno statuto ancora più particolare va riservato al corpo umano. Il corpo farebbe parte degli oggetti di

diritto, ma non sempre è disponibile: l’art. 5 vieta gli atti di disposizione da cui derivi una lesione

permanente o che siano contrari all’ordine pubblico e al buon costume. Il sangue e altri organi trapiantabili

da vivi (rene, parti di fegato) non sono commerciabili, si parla bensì di donazione.

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Oltre le cose

In passato si usava chiamare beni anche l’opera dell’ingegno che è soggetta ai diritti d’autore o di brevetto;

oggi si parla invece di utilità economiche che pure possono formare oggetto di diritti.

L’art. 813 dispone che le regole relative ai beni mobili si applichino a tutti i diritti che non hanno per oggetto

beni immobili, ad esempio il diritto di credito. Questa nozione più ampia si ritrova nell’art. 2740 che dice che

il debitore risponde con tutti i suoi beni presenti e futuri, intendendo appunto tutti i cespiti attivi del suo

patrimonio, compresi i crediti.

Beni quindi equivale a sostanze, che è il termine usato in altre norme, come l’art. 587 sul testamento.

In definitiva si può parlare di beni in due sensi:

- come qualsiasi utilità che può formare oggetto di diritti (art. 810)

- come ogni diritto che abbia ad oggetto una utilità economica (art. 813)

Beni immobili e beni mobili

Il legislatore definisce beni immobili con un breve elenco: il suolo, le sorgenti e i corsi d’acqua, gli alberi,

gli edifici, le costruzioni anche se unite al suolo a scopo transitorio, e tutto ciò che naturalmente o

artificialmente è incorporato al suolo (art. 812)

I beni mobili sono tutti gli altri beni.

La differenza principale tra i due tipi di beni si ritrova al momento dell’alienazione; per i beni mobili è

sufficiente possedere il bene per poterlo vendere, per i beni immobili sono richieste maggiori formalità come

la pubblicità nei registri immobiliari (art. 2643 e ss.)

Ad alcune categorie di beni mobili, come autoveicoli, motoveicoli e aerei, si applicano alcune regole tipiche

dei beni immobili. Si parla quindi di beni mobili registrati. Per la loro circolazione è previsto un sistema di

pubblicità in appositi registri. Tuttavia dove non specificato si applicano le regole per i beni mobili: la

vendita di un auto non richiede forma scritta.

Le universalità. Il patrimonio

Le universalità di mobili sono una pluralità di cose che appartengono ad una stessa persona ed hanno

destinazione unitaria (gregge, collezione, biblioteca…); sono soggette ad alcune norme dei beni immobili.

Tra le universalità si annovera anche l’azienda, che l’art 2555 definisce come il complesso di beni

organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa. In effetti, ai fini del sequestro, dell’usufrutto e

dell’affitto, l’azienda viene considerata come un’universalità di mobili.

Il patrimonio del defunto, l’eredità, è considerata come universalità di diritto. Il patrimonio della persona

vivente non viene considerato come unico oggetto.

I frutti

Gli art. 820 e 821 trattano il tema dei beni fruttiferi e dei loro frutti.

Abbiamo due tipi di frutti:

- frutti naturali: che provengono direttamente dalla cosa, che vi concorra o no l’opera dell’uomo

(prodotti agricoli, legna, prodotti delle miniere ecc…) Per un certo tempo sono parte della cosa, in

seguito diventano cose distinte.

- Frutti civili: corrispettivo (solitamente in denaro) che ricava da una cosa in cambio del godimento

che si cede ad altri (interessi su somme prestate, canone di locazione ecc…)

Beni pubblici

I caratteri comuni a tutti i beni pubblici sono:

- di essere di proprietà dello Stato o di altri enti pubblici

- di essere destinati all’utilità pubblica o a un pubblico servizio

Un bene di proprietà dello Stato che non ha utilità pubblica non è un bene pubblico. Un bene di proprietà

privata può avere utilità pubblica.

Tra i beni pubblici distinguiamo:

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- beni demaniali: abbiamo il demanio naturale (lido del mare, spiaggia, rade e porti, fiumi, torrenti e

laghi) e il demanio artificiale (strade, strade ferrate, autostrade, aeroporti, immobili di interesse

artistico o archeologico, archivi….) (art. 822)

- beni del patrimonio indisponibile dello Stato, delle Province e dei Comuni come le foreste, le

miniere, le cose mobili di interesse storico, archeologico o artistico, le caserme, gli armamenti, la

dotazione della Presidenza della Repubblica, tutti gli edifici appartenenti agli enti indicati e destinati

ad uffici pubblici.

- Beni del patrimonio disponibile: sono oggetto di un diritto di proprietà regolato dalle norme

comuni del codice civile.

CAPITOLO 8

LA TUTELA DELLE SITUAZIONI GIURIDICHE

STRUMENTI DI PUBBLICITA’

Nozioni generali

Caratteristica dei diritti moderni è di tendere ad una circolazione dei beni semplice e veloce; è per questo che

si sente l’esigenza di un sistema che permetta la conoscibilità legale dei vari atti e di conoscere la condizione

delle persone coinvolte negli atti. E’ questo lo scopo del sistema di pubblicità dei fatti e atti giuridici.

Questi mezzi si dividono in tre categorie, in base alle loro conseguenze giuridiche:

- strumenti di mera pubblicità-notizia. Strumento per assicurare la conoscibilità legale di determinati

fatti per esigenze di carattere pubblico; non hanno effetto sull’efficacia dell’atto. Ad esempio la

sentenza di interdizione o inabilitazione viene annotata a margine dell’atto di nascita con lo scopo di

rendere noto a tutti lo stato di incapacità del soggetto.

- Strumenti di pubblicità dichiarativa. La conoscibilità non è fine a se stessa, ma condiziona

l’efficacia dell’atto: gli atti di trasferimento della proprietà su beni immobili sono immediatamente

efficaci fra le parti, ma sono opponibili a terzi solo se regolarmente iscritti nei registri immobiliari.

- Strumenti di pubblicità costitutiva. E’ il grado più forte della pubblicità, poiché l’atto non produce

effetti se non quando è stato reso pubblico. Ad esempio la concessione di ipoteca diventa efficace

solo con l’iscrizione nei registri immobiliari, o l’iscrizione al registro delle imprese per una società

Pubblicità immobiliare e forme analoghe

La trascrizione è lo strumento predisposto per gli atti relativi all’acquisto della proprietà e di diritti reali sui

beni immobili (artt. 2643 e ss.) e su alcune categorie di beni mobili (registrati, artt. 2683 e ss.). Consiste nel

riportare il contenuto essenziale dell’atto in appositi registri rendendolo così legalmente conoscibile.

La trascrizione tende a ridurre i rischi che qualcuno possa vendere lo stesso immobile a più di un

compratore, garantendo la certezza dell’acquisto. Per far valere il proprio diritto di proprietà su immobile

non si considera la data dell’acquisto, bensì la data di trascrizione sul registro (art. 2644).

E’ chiaro però che con la trascrizione non si assegna la proprietà, ma è solo un modo per risolvere i conflitti

tra i soggetti. L’effetto giuridico della trascrizione è l’opponibilità degli atti trascritti ai terzi che vantino un

diritto sullo stesso bene in base ad un atto non trascritto o trascritto in data posteriore.

Secondo l’art. 2657 la trascrizione non si può eseguire se non in forza di sentenza, di atto pubblico o di

scrittura privata autenticata, con lo scopo che sia legalmente certa la provenienza dell’atto.

La parte che richiede la trascrizione deve fornire una nota che indichi gli elementi essenziali del contratto

(identità delle parti, estremi del titolo, identità del pubblico ufficiale rogante, natura e situazione dei beni).

La certezza dell’acquisto di ha solo sulla base della continuità delle trascrizioni, cioè di una sequenza

ininterrotta di trascrizioni (art. 2650) che risalga fino ad un acquisto a titolo originario.

Gli atti soggetti a trascrizione sono elencati nell’art. 2643 e si tratta degli atti unilaterali, dei contratti e dei

provvedimenti giudiziali con cui:

- si trasferisce la proprietà di beni immobili

- si trasferiscono, si costituiscono, si estinguono diritti reali limitati

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- si costituiscono rapporti di locazione ultranovennale

- si conferiscono immobili per una durata ultranovennale in società, associazioni ecc..

- divisioni (art. 2646)

- accettazioni di eredità (art. 2648)

Per la circolazione dei beni mobili registrati è previsto un sistema analogo alla trascrizione. I registri sono

organizzati su base reale (in base al numero di targa) e non in base personale come per i registri degli

immobili.

Per alcuni territori annessi all’Italia dopo la prima guerra mondiale (Bolzano, Trento, Gorizia e Trieste) vige

il sistema tavolare, una forma di pubblicità costitutiva che prevede l’iscrizione in registri a base reale. E’ un

sistema introdotto dall’impero Austriaco.

LE PROVE

Principio dispositivo e onere della prova

Il principio dispositivo dice che spetta alle parti interessate di promuovere la difesa dei propri diritti. Nel

processo civile dove siano coinvolti interessi particolari non è il giudice a dover ricercare le prove dei fatti

rilevanti per la causa; è interesse di ciascuna parte dimostrare l’esistenza dei fatti che fondano le sue ragioni.

Quando sono in gioco interessi della generalità tende a prevalere il processo inquisitorio: il giudice deve

cercare la verità e il compito delle parti può essere quello di suggerire o di offrire prove (ad esempio il

procedimento per l’interdizione)

La regola sull’onere della prova (art 2697) dice che chi vuol far valere un diritto in giudizio, ha l’onere di

provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, mentre chi eccepisce che il diritto si è modificato o estinto

deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda.

Per facilitare la tutela di un interesse si può verificare l’inversione dell’onere della prova: ad esempio il

conducente di un auto che abbia causa danni a tenuto a risarcire il danno se non prova di aver fatto tutto il

possibile per evitarlo (art. 2054)

I mezzi di prova

Non si arriverà mai a dimostrare la certezza assoluta di un fatto, ma è sufficiente ridurre l’incertezza a

margini di poco rilievo per provare un fatto.

I mezzi di prova si dividono in due categorie:

- prove documentali: se la funzione di prova è affidata ad un mezzo materiale che serve da

documento di un fatto o di un atto. Sono dette anche precostituite perché ne è possibile la

predisposizione ai fini di una futura necessità. Per documento si intende un pezzo di carta, una

fotografia, un cd, una tela (ammessi quindi anche documenti magnetici ed elettronici)

- prove semplici: prove non precostituite che possono formarsi in corso di causa come la

testimonianza, il giuramento, la confessione, l’ispezione, la perizia e diciamo anche la presunzione

semplice (quell’argomentazione con cui il giudice trae la convinzione da fatti accertati della

sussistenza di altri fatti non direttamente verificabili)

Il giudice può dare alle prove il valore che ritiene più giusto (scrittura privata e testimonianza), ma non nel

caso delle prove legali le quali non possono essere valutate liberamente. E’ il caso dell’atto pubblico, della

confessione e del giuramento, della scrittura privata autenticata.

Prove documentali

L’atto pubblico è il documento redatto da un notaio o altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuire

all’atto pubblica fede (art. 2699). Ne sono esempi il rogito notarile o il verbale di una commissione

elettorale. L’atto pubblico è piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento nonché

delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da

lui compiuti (art. 2700)

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La scrittura privata è un semplice documento scritto, sottoscritto dalle parti. L’art. 2702 dice che la

scrittura privata fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha

sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione. Il motivo di questa

regola è dato dal fatto che la sottoscrizione (firma) è imitabile.

Il telegramma viene trasmesso a distanza e quindi non è sottoscritto; vale però come una scrittura privata se

l’originale (il modulo) è stato sottoscritto (art. 2705,2706)

Anche i libri contabili degli esercizi commerciali sono prive di sottoscrizione.

La scrittura privata autenticata consiste in un documento redatto dalle parti e sottoscritto davanti ad un

pubblico ufficiale il quale attesta che la firma è autentica. Il documento assume quindi valore legale poiché è

certa l’identità del sottoscrittore e la data di sottoscrizione. La scrittura non autenticata ma sottoposta a

verificazione assume lo stesso valore di prova legale.

Il documento sottoscritto con firma digitale ha la stessa efficacia probatoria della scrittura privata

autenticata (art. 10 comma 3) Ha la stessa funzione dell’antico sigillo, poiché è sufficiente possedere la

chiave elettronica per apporre la firma digitale.

La prova per testimoni

Consiste nelle dichiarazioni rese al giudice durante l’interrogatorio del testimone sui fatti di cui egli abbia

avuto diretta conoscenza. Il problema della prova per testimoni è la sua ammissibilità (art. 2721 e ss.) infatti

il legislatore non la vede di buon occhio, data la sua deformabilità.

La prova per testimoni è comunque sempre ammessa per i contratti di vendita internazionale di merci e in

quei casi dove c’è un principio di prova (ad esempio la ricevuta di un pagamento che fa menzione di un

contratto del quale manca la prova scritta)

Per la transazione (art. 1967) e l’assicurazione (art 1888) non sono ammesse prove per testimoni, ma sono

richieste prove per iscritto.

La prova testimoniale non è mai prova legale: il giudice ne apprezza liberamente l’attendibilità.

Confessione e giuramento

La confessione è la dichiarazione che una parte fa della verità dei fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli

all’altra parte (art. 2730). Secondo l’art 2733 la confessione resa in giudizio è prova legale dei fatti dichiarati,

se verte su fatti relativi a diritti disponibili. L’art 2734 contempla i casi in cui può venire a mancare

l’efficacia della prova legale: se una parte confessa un fatto che gli è sfavorevole, ma al contempo aggiunge

altri fatti che tolgono efficacia al primo, la confessione continua a far piena prova a meno che l’altra parte

non contesti la verità. In questo caso la prova legale viene meno su tutta la confessione.

Il giuramento è l’ultima spiaggia delle prove. Se una parte non dispone di prove sufficienti può chiedere

all’altra di giurare la loro posizione. E’ il giuramento decisorio (art. 2736) poiché se l’altra parte giura, vince.

Se si rifiuta di giurare perde. Il giuramento è prova legale.

Le presunzioni

La presunzione è ammessa solo nei casi in cui è ammessa la prova testimoniale (Art. 2729 comma 2)

Si parla di presunzione semplice se si valutano i risultati delle prove certe per trarre delle conclusioni su

altri fatti che non sono certi, ma solo presunti. E’ bene rispettare il criterio della prudenza, poiché il giudice

deve ammettere solo presunzioni fondate su circostanze gravi, precise e concordanti.

La presunzione è legale se è la legge stessa a prevedere che un fatto si debba considerare per accaduto senza

necessità di prova. Abbiamo due tipi di presunzione legale:

- presunzione assoluta: se non ammette prova in contrario (valutando i giorni, la nascita di un figlio

durante il matrimonio non ammette prove in contrario)

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- presunzione relativa: se è ammessa prova in contrario; si risolve con l’inversione dell’onere della

prova (si presume che il padre sia il marito madre, si può però provare il contrario)

Gli atti dello stato civile

Gli atti dello stato civile, di nascita, di matrimonio e di morte, devono essere registrati nei registri dello

stato civile. Ciascuno di essi dà prova legale dei fatti documentati.

L’atto dello stato civile funziona come un titolo dello stato cioè come un elemento necessario per far valere

la condizione che l’atto stesso attesta (soggetto, figlio, coniuge).

L’altra funzione di questi atti è quella di pubblicità.

LA CERTEZZA NEL TEMPO

Prescrizione

Secondo l’art 2934 ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo

determinato dalla legge.

La prescrizione non opera su tutti i diritti. L’art. 2934 esclude dalla prscrizione:

- diritti indisponibili come i diritti di carattere personale e personalissimi e alcuni diritti patrimoniali

come il mantenimento

- altri diritti come quello di far valere la nullità del contratto (art 1422) o il diritto di proprietà (anche

se in realtà non ci sono leggi che dichiarano imprescrittibile questo diritto)

La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (2935). L’art 2942

contempla la sospensione del periodo di prescrizione nel caso in cui il titolare sia impedito ad esercitare il

diritto (militari in guerra e incapaci legali privi di rappresentante).

La prescrizione si interrompe quando cessa il periodo di inerzia del titolare (art. 2943) e il periodo di

prescrizione riparte da zero. Il termine ordinario di prescrizione dei diritti è di dieci anni (2946)

Gli art 2947 e ss. Prevedono una serie di prescrizioni brevi in cui il termine è ridotto:

- risarcimento derivante da fatto illecito, 5 anni

- risarcimento danni derivanti da circolazione di veicoli, 2 anni

- crediti per prestazioni periodiche (interessi), 5 anni

- diritti derivanti da contratto di trasporto e assicurazione, 1 anno

La decadenza

Nella decadenza, a differenza della prescrizione, l’esigenza di certezza è assoluta: il diritto deve essere

esercitato entro un breve termine altrimenti è inevitabile la decadenza. Non hanno rilievo nemmeno gli

impedimenti soggettivi che nella prescrizione giustificano l’inerzia.

LA LITE

Diritto e azione

Il nostro ordinamento prevede la possibilità di far valere in giudizio il proprio diritto, cioè di proporre al

giudice una domanda che egli debba prendere in considerazione, tramite un giudizio che si concluda con una

sentenza che dia torto o ragione a chi l’ha avviato: questa è l’azione. Il potere di agire in giudizio. L’art 100

cod. prod. Civ. dispone che per proporre una domanda in giudizio è necessario avervi interesse.

Azione, interessi qualificati, interessi diffusi

L’azione non è uno strumento di tutela dei soli diritti. Ci sono situazioni in cui è attribuito un potere di

iniziativa ad un soggetto anche se non è titolare di un diritto specifico, ma che vanta interessi qualificati,

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come nel caso dell’azione di interdizione o inabilitazione, l’azione per promuovere la decadenza della

potestà dei genitori (110), le opposizioni al matrimonio (117).

Ci sono casi in cui la legge prevede l’azione da parte di chiunque vi abbia interesse:

- nullità del contratto (1421)

- simulazione del contratto

- annullamento delle disposizioni testamentarie (624)

Si parla di interessi diffusi l’azione è volta alla tutela di interessi che fanno capo alla generalità o a

collettività che non si identifichino come soggetti di diritto.

L’art. 1469 sexies, in materia di contratti del consumatore, prevede che le associazioni rappresentative dei

consumatori e dei professionisti possano agire in giudizio contro il professionista che fa uso nei contratti di

clausole vessatorie (azione inibitoria)

La legge 30 luglio 1998, n.281 attribuisce alle associazioni dei consumatori e degli utenti un generale potere

d’iniziativa giudiziale per la tutela di interessi di categoria. Le associazioni hanno il potere di chiedere al

giudice di inibire atti e comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e di ordinare la pubblicazione

del provvedimento su uno o più quotidiani a tiratura nazionale nel caso in cui la pubblicità del

provvedimento possa contribuire a correggere o ad eliminare gli effetti delle violazioni accertate.

L’eccezione

Il giudizio civile ha due protagonisti: l’attore, che esercita l’azione, e il convenuto, che si difende negando la

pretesa dell’attore ovvero sollevando eccezioni. Per esempio ad una richiesta di rimborso di un prestito io

posso eccepire l’avvenuto pagamento, cioè opporre il fatto che io ho già pagato.

CAPITOLO 9

I DIRITTI DELLA PERSONA

Personalità e diritti inviolabili

L’art. 2 della costituzione contiene il fondamento di tutti i rapporti tra la persona, i gruppi sociali e lo Stato:

la repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni

sociali ove si svolge la sua personalità….

Si stabilisce una correlazione tra il valore della personalità individuale e la gamma dei diritti inviolabili

dell’uomo. I diritti inviolabili sono garantiti non solo guardando all’uomo come singolo ma anche nelle

formazioni sociali come la famiglia, le associazioni ecc…

L’art 2 della costituzione è perciò la base normativa di un’ampia gamma di diritti che hanno in comune la

funzione di garantire lo svolgimento della personalità: i diritti della personalità.

Vita, integrità fisica e salute

Il diritto alla vita è talmente ovvio che non viene nemmeno menzionato nella nostra costituzione. Nella

legge ordinaria il bene della vita è protetto da norme penali che sanzionano i delitti contro la vita e

l’incolumità individuale (575 e ss).

La lesione all’integrità fisica è considerata danno ingiusto e fondamento di responsabilità civile (2043).

L’art 5 vieta gli atti di disposizione del proprio corpo se ne consegue una diminuzione permanente

dell’integrità o che siano altresì contrari alla legge (sperimentazioni mediche, schiavitù, offesa al pudore).

Il diritto alla salute è protetto da norme di carattere pubblicistico che riguardano la sanità pubblica, l’igiene

e l’ambiente.

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Autodeterminazione, gestione del proprio corpo, libertà fondamentali

Un esempio di autodeterminazione è la libertà sessuale (non riconosciuta però sotto i 14 anni) oppure la

possibilità che il paziente rifiuti le cure mediche. Le basi di questo principio sono ancora l’art 2 e 13 della

costituzione che garantiscono l’inviolabilità della libertà personale.

Per prelievi e trapianti di organi e tessuti da cadavere la legge 1 aprile 1999, n.91 disciplina che ogni

cittadino è tenuto a dichiarare la propria volontà in ordine di donazione dopo il decesso. In caso di mancata

dichiarazione vale il silenzio-assenso.

L’autodeterminazione si articola anche nelle libertà fondamentali: libertà personale, libertà di circolazione,

di riunione, di associazione, di fede religiosa, di manifestazione del pensiero (artt 13-21 cost)

Dignità e integrità morale

La dignità della persona è un diritto ampio che impone sotto diversi aspetti comportamenti di rispetto della

persona. Ne sono esempi il rispetto dei soggetti vulnerabili come i malati in ospedale, i detenuti in carcere, i

militari nelle caserme ecc… Ma si parla anche del rispetto dell’autonomia, dell’intimità, del pudore,

dell’onore ecc…

L’integrità morale è un bene oggetto di tutela penale nei casi di ingiuria e diffamazione, considerati delitti

contro l’onore.

La tutela dell’identità

Vedere pagina 159 e 160

Diritto alla vita privata e alla riservatezza

La tutela della vita privata e delle riservatezza consiste nella difesa dell’intimità e al controllo delle

informazioni che riguardano la nostra persona.

Per il primo punto di vista prevale lo strumento di tutela del divieto o dell’inibitoria; per le informazioni il

discorso è più complesso.

La convenzione di Strasburgo del 1981, ratificata poi nel 1989, ebbe effettiva attuazione con la legge 31

dicembre 1996, n.675 intitolata Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati

personali. Ecco che al garante (art 30) è affidata l’applicazione della legge. Per trattamento si intende ogni

operazione che può essere fatta sulle banche dati; dati personali è inteso come qualsiasi informazione

relativa a persona fisica, giuridica, ente o associazione. All’interno dei dati personali si delimita il cerchio

più delicato dei dati sensibili (art 22) che riguarda informazioni concernenti l’origine razziale, adesione a

partiti, convinzioni religiose, stato di salute, vita sessuale ecc…

Il trattamento dei dati viene autorizzato solo con il consenso scritto dell’interessato, salvo che si tratti di dati

anonimi a fini statistici o che risultino da pubblici registri.

Infine colui che cagiona danno ad altri per effetto del trattamento dei dati personali deve risarcire il danno

stesso (2050) – responsabilità civile –

CAPITOLO 10

UGUAGLIANZA E DIFFERENZE

Status personali

Se con la rivoluzione del 1789 si era visto abolire il particolarismo giuridico, fatto di diverse giurisdizioni in

base allo status del soggetto (nobile, plebeo, schivo, uomo libero, commerciante, laico, chierico ecc…) in

questi anni si sta verificando un inversione di tendenza, anche se in direzione opposta.

Purtroppo l’idea di status si porta dietro il concetto di privilegio, anche se i codici moderni hanno come

principio base l’uguaglianza di tutti di fronte alla legge e che la legge è uguale per tutti.

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Il concetto di status oggi non è inteso come privilegio, bensì come tutela di alcune categorie con l’intento di

giungere all’uguaglianza. Ecco che quindi si distingue lo status di piccolo imprenditore, di lavoratore

subordinato, di consumatore, di donna in maternità ecc…

Cittadinanza

L’acquisto dello stato di cittadino è regolato dalla legge 5 febbraio 1992, n.91

Si è cittadino per nascita:

- dovunque si sia nati, se figli di padre o madre cittadini

- se nati nel territorio della repubblica da genitori ignoti o da genitori stranieri (cui la legge dei loro

stati non preveda che il figlio abbia la cittadinanza dei genitori)

Inoltre si acquista cittadinanza per:

- adozione da parte di cittadino italiano

- matrimonio con cittadino italiano, dopo sei mesi di residenza in Italia o 3 anni di matrimonio

- concessione con decreto del Presidente della Repubblica

CAPITOLO 11

IL DIRITTO DI PROPRIETA’

Il contenuto della proprietà: problemi e fonti normative

Il titolo II del libro III del cod. civ. denominato della proprietà, si apre con l’art 832: il proprietario ha il

diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli

obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico.

Questa definizione, che ha storicamente rappresentato un cardine dell’ordinamento giuridico, oggi non ha

rango costituzionale. E’ facile capire come sia differente essere proprietario di una bicicletta o di un palazzo,

non tanto per il valore economico, quanto per le diverse leggi che regolano la proprietà dei beni in base al

tipo di bene. Anche l’identità del proprietario influisce sui poteri che questo ha sull’oggetto di cui è

proprietario:

l’incapace legale (interdetto o minorenne) non ha facoltà di libero godimento o potere di libera disposizione

del bene; se la proprietà è in capo ad un gruppo o a una persona giuridica le prerogative dei singoli individui

si allontanano da quelle del singolo proprietario.

La proprietà privata nel codice civile

L’art. 832 si concentra nei concetti di godere, disporre, piena ed esclusiva.

Godere significa trarre utilità della cosa sia con l’uso diretto, sia ricavandone i frutti. Disporre si intende in

senso materiale e in senso giuridico (vendere, donare, costituire diritti altrui ecc..). Entrambe le prerogative

spettano al proprietario in modo pieno, cioè completo. Anche se in realtà ci sono norme che ne stabiliscono

dei limiti. Esclusivo nel senso che il proprietario ha il diritto di escludere gli altri.

L’art. 833 vieta gli atti emulativi, ovvero atti con il solo scopo di nuocere agli altri. In realtà basta una

minima utilità dell’atto per chi lo compie a renderlo lecito.

La proprietà è un diritto perpetuo a cui non si applica la prescrizione.

La proprietà fondiaria

La proprietà immobiliare ha un’evidente importanza economica e giuridica. L’utilizzo di un bene immobile

può incidere sugli interessi individuali di altri proprietari confinanti e sugli interessi della collettività. Ecco

che quindi l’art. 845 ha un carattere costituzionale: la proprietà fondiaria è soggetta a regole particolari per

il conseguimento di scopi di pubblico interesse.

Non si fa distinzione tra interesse pubblico e privato poiché l’art.873 ad esempio stabilisce che si deve

rispettare una distanza minima tra un edificio e l’altro, difendendo l’interesse del vicino (non gli possono

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costruire troppo vicino alla sua proprietà) e l’interesse della collettività (non si creano intercapedini troppo

strette fra gli edifici). Abbiamo quindi le norme che tendono a risolvere i rapporti di vicinato e le norme

che riguardano l’urbanistica e la proprietà agricola. Le prime sono rivolte alla tutela dei diritti dei

proprietari e più in particolare ai residenti, le secondo alla tutela di interessi pubblici.

La proprietà del suolo è disciplinata dall’art. 840 e considera di proprietà tutti gli oggetti di diritto che

presentano una utilità per il titolare: la proprietà si estende al sottosuolo e allo spazio sovrastante, ma il

diritto di escludere attività altrui cessa quando la profondità o l’altezza sono tali che manca l’interesse ad

escludere. Non posso oppormi al transito di aerei a quota di volo, ma posso oppormi al transito di aerei a

bassa quota in fase di atterraggio, poiché provocano rumore e vibrazioni intollerabili.

Il diritto di godere e di escludere viene a mancare anche nei casi di miniere, cave, reperti archeologici ecc..

Uno dei poteri caratteristici del proprietario è quello di vietare l’accesso al fondo. L’art 841 prevede che si

possa chiudere il fondo in qualsiasi momento. L’accesso deve essere consentito al vicino per costruire o

riparare nella sua proprietà o a colui che deve recuperare un oggetto che vi si trovi accidentalmente.

Rapporti di vicinato

I limiti di vicinato sono:

- automatici (nascono direttamente dall’esistenza di un vicino)

- reciproci (quel che vale per uno vale anche per l’altro)

- gratuiti (non c’è compenso dato che non esiste squilibrio di vantaggi)

Il divieto di immissioni (844) è un limite generale della proprietà fondiaria. La norma vuole risolvere il

problema dei fastidi che si propagano da un fondo all’altro: immissioni di fumo o calore, le esalazioni, i

rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni. Il criterio di equilibrio è la normale tollerabilità, che si adatta

alla condizione dei luoghi (zona residenziale, zona industriale ecc…)

Per le attività produttive si tiene di conto che non è possibile eliminare del tutto le immissioni.

Sono legittimati ad agire non solo i proprietari, ma anche i detentori (inquilini). I rimedi sono l’ordine di

cessare l’abuso, provvedere alle misure necessarie per ridurre le immissioni e (se vi sono i presupposti) il

risarcimento del danno (ex 2043)

La seconda forma di limiti di vicinato è data dalle norme sulle distanze nelle costruzioni, piantagioni, scavi,

muri ecc.. (873 e ss)

La distanza minima fra le costruzioni è di 3 metri, salvo eccezioni dove sono previste distanze maggiori. Il

proprietario che costruisce per primo può farlo anche sul confine, l’altro o costruisce in aderenza o in

posizione arretrata nel proprio fondo. Se il primo proprietario non costruisce sul confine, ma una distanza

inferiore alla metà di quella prescritta dal codice, l’altro ha un diritto potestativo di ottenere la comunione

forzosa del muro (la proprietà della striscia di terra dal confine al muro, di cui dovrà pagarne il valore).

Se sul muro che fronteggia il fondo vicino si vogliono aprire delle finestre sono previste delle distanze fra il

muro e il confine. Le finestre si distinguono in vedute (che permettono di affacciarsi e guardare di fronte,

obliquamente e lateralmente) e luci che danno solo passaggio a luce e aria (900). La distanza tra vedute e

confine deve essere la metà della distanza prevista tra le costruzioni.

La violazione delle norme in materia di distanze, luci e vedute può determinare il diritto del proprietario leso

alla riduzione in pristino (abbattimento della costruzione, chiusura di pozzi o cisterne, chiusura di vedute o

luci, o opere necessarie a rendere la luce conforme alla legge) o al risarcimento del danno (azioni

cumulabili).

La proprietà edilizia

Le norme di edilizia sono atte a tutelare uno sviluppo razionale dell’edilizia come evitare la devastazione

dei paesaggi, la crescita incontrollata delle città, la scomparsa del verde urbano, la speculazione edilizia, la

confusa mescolanza di aree industriali e residenziali ecc… Le fonti di queste norme sono:

- codice civile (873 e ss.)

- leggi speciali (norme antisismiche, tutela ambientale)

- piano regolatore: approvato da comuni e regioni

- regolamenti edilizi comunali (871)

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Il piano regolatore offre una sintesi di tutte le fonti determinando quali aree possono essere destinate ad

edificazione, quali devono essere mantenute a verde, quali destinate a servizi pubblici. Inoltre stabilisce le

caratteristiche delle zone edificabili con criteri e vincoli quali l’altezza, il volume, l’area a giardino ecc…

Per poter edificare sul proprio terreno è necessario richiedere il permesso di costruire alla pubblica

amministrazione, a meno che non siano opere di manutenzione ordinaria o alcuni interventi atti ad eliminare

barriere architettoniche.

Inoltre il comune dispone dell’espropriazione delle aree edificabili, quando l’inerzia del proprietarioostacoi

l’attuazione dei piani di sviluppo.

La proprietà agricola

Lo sfruttamento razionale del suolo e gli equi rapporti sociali sono alla base della normativa sulla proprietà

agricola. Il codice civile affronta così l’argomento:

- fissa la minima unità colturale, cioè l’area minima da non dividere nemmeno in caso di successione

(846 e ss)

- prevede l’obbligo di esecuzione di opere di bonifica e di difesa fluviale nei terreni che lo richiedono

(art. 857 e ss.) Allo scopo i proprietari si possono riunire in consorzi (persone giuridiche pubbliche,

857, 868)

Modi di acquisto della proprietà

L’art. 922 elenca i vari modi di acquisto della proprietà.

I modi di acquisto a titolo derivativo sono i più frequenti ed importanti e sono:

- contratto (1321 e ss.)

- successione a causa di morte (gran parte del Libro II)

Esiste una relazione di dipendenza tra il diritto del dante causa (alienante) e dell’avente causa (acquirente)

per cui:

a) l’avente causa acquista il diritto così com’era in capo al dante causa

b) se il titolo del dante causa viene meno, viene meno anche il diritto dell’acquirente.

I modi di acquisto a titolo originario sono:

- occupazione

- invenzione

- accessione

- unione o commistione

- specificazione

- usucapione

- acquisto del possesso di buona di cose mobili

L’occupazione riguarda le cose mobili che non sono proprietà di alcuno. Si acquistano prendendone

possesso (923). Si parla di cose abbandonate (non smarrite) o ad esempio di pesci. La selvaggina invece è

parte del patrimonio indisponibile dello Stato e può essere acquistata dal cacciatore solo nel rispetto delle

norme sulla caccia.

Se un immobile viene abbandonato questo diventa proprietà dello stato (827).

Invenzione riguarda le cose mobili smarrite. Chi le trova ha il dovere di restituirle al proprietario o di

consegnarle al sindaco (all’ufficio comunale delegato) (927). Dal ritrovamento può derivare o l’acquisto

della proprietà (dopo un anno) o il diritto ad un premio se il proprietario si presenta a reclamare la cosa.

Nel caso di ritrovamento di un tesoro (cosa mobile di valore, nascosta o sotterrata di cui nessuno può

provarne la proprietà) questo spetta per metà al trovatore e per metà al proprietario del fondo in cui è stato

trovato (932).

L’accessione si verifica tra una cosa mobile e una immobile. E’ come se il bene mobile venisse attratto dal

bene immobile (per gravità) cosicché il proprietario del bene principale diventa proprietario di un tutto. Le

piante e i materiali da costruzione sono attratti nella proprietà del suolo (934).

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L’art. 938 prevede il caso di accessione invertita: ovvero se il costruttore, iniziata la costruzione sul suolo di

sua proprietà, costruisce erroneamente anche in parte sul fondo altrui può chiedere al giudice di trasferire il

diritto di proprietà sulla superficie occupata, corrispondendo un pagamento al proprietario del doppio del

valore nominale.

Altre forme di accessione di immobile a immobile si possono avere in seguito a mutamenti spontanei della

conformazione territoriale (alluvioni, deviazioni di corsi d’acqua ecc…) (941)

Si parla di unione o commistione tra cose mobili (939) cioè di mescolanza di cose che non possono poi

essere separate senza deterioramento. E’ importante vedere se c’è una cosa principale o molto superiore di

valore: in questo caso il proprietario della cosa principale acquista la proprietà del tutto (qualcuno vernicia la

macchina di un altro) e deve pagare il valore della cosa unita o mescolata; se non c’è cosa principale la

proprietà diventa comune in proporzione al valore delle cose unite (939) (unione di due vini)

Anche la specificazione è una forma di accessione di mobile a mobile. Una persona adopera materiale non

suo per formare una cosa nuova (con legname non mio costruisco un tavolo). Il lavoro prevale sulla proprietà

dei materiali: chi ha compiuto l’opera diventa il proprietario della cosa nuova, e dovrà pagare i materiali. Se

il valore della cosa supera di molto il valore della mano d’opera la cosa spetta al proprietario della materia,

il quale deve pagare il prezzo della mano d’opera (940)

Usucapione e acquisto del possesso di buona fede di cosa mobile – vedi il capitolo 14 sul possesso.

Un altro modo per acquisire la proprietà è esercitando il diritto di riscatto, cioè il diritto riconosciuto ad un

soggetto di acquistare o riacquistare la proprietà di una cosa mediante una dichiarazione unilaterale di

volontà. E’ un diritto potestativo in cui il precedente proprietario si trova in posizione di pura soggezione. Si

distinguono due fonti del diritto:

- contrattuale: diritto spettante al venditore in caso di vendita con patto di riscatto

- legale: è il caso del diritto di prelazione in cui è riconosciuto ad un soggetto il diritto di

essere preferito ad altri acquirenti in caso di alienazione di un bene (coltivatore diretto di

fondo agricolo, coerede)

Modi di acquisto della proprietà pubblica

Innanzitutto l’acquisizione di beni al patrimonio dello Stato può avvenire secondo le norme di diritto

comune: lo Stato e gli altri enti possono comperare beni sul mercato.

In altri casi prevale l’autorità dello Stato. E’ prevista quindi l’espropriazione per motivi di interesse

generale. L’art 834 statuisce:

a) la necessità di una causa di pubblico interesse

b) il pagamento di una giusta indennità

Il d.p.r. 8 giugno 2001, n. 327 (testo unico in materia di espropriazione) determina i presupposti di pubblica

utilità e l’indennizzo.

La costituzione stabilisce che solo attraverso una legge formale si possano stabilire le cause di

espropriazione (principio di legalità dell’espropriazione), e quindi vale nei casi in cui il proprietario abbia

abbandonato la conservazione o la coltivazione di beni che interessano la produzione nazionale, o il caso in

cui lasci a deperimento un bene nocendo al decoro della città ecc….

L’art 835 prevede in caso di urgenti necessità pubbliche, militari o civili (terremoti) la requisizione di beni

mobili e immobili, sottraendo temporaneamente al proprietario il godimento e la disponibilità della cosa.

Anche qui è prevista una giusta indennità

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CAPITOLO 12

I DIRITTI SU COSA ALTRUI

I diritti reali “limitati”

Sono diritti esercitati su cose che appartengono ad altri e presuppongono una limitazione dei poteri del

proprietario. Al proprietario permangono soltanto alcune facoltà come il potere di disposizione, mentre il

potere di godimento risulta limitato. Si ha per così dire una scomposizione del contenuto della proprietà nella

varie facoltà di cui è costituita con attribuzione di talune di esse a soggetti diversi dal proprietario.

In forza del carattere dell’elasticità, una volta in cui il diritto altrui viene meno, il contenuto del diritto di

proprietà riprende automaticamente la primitiva ampiezza.

Si distinguono i diritti reali di godimento dai diritti reali di garanzia.

GODIMENTO GARANZIA

- usufrutto

- uso

- abitazione

- superficie

- enfiteusi

- servitù

- pegno

- ipoteca

Sono detti di godimento perché assicurano in varia

misura l’utilizzazione della cosa da parte del titolare

del diritto limitato.

Assicurano al creditore pignoratizio o ipotecario la

possibilità di soddisfarsi sul bene a preferenza di

altri creditori.

Da non dimenticare gli usi civici, diritti che spettano ai membri di comunità locali, che garantiscono il

godimento limitato di proprietà altrui, come il diritto di raccogliere legna nel bosco pubblico, il diritto di

pascolo in un comune montano, o il diritto di raccogliere tartufi.

Usufrutto, uso, abitazione

L’usufruttuario ha il diritto di godere della cosa e può trarre dalla cosa ogni utilità che questa può dare

(981). Per poter realizzare il godimento l’usufruttuario ha il diritto di possedere la cosa. L’usufruttuario ha di

regola (se non escluso dall’atto costitutivo) il potere di disporre del proprio diritto (980).

L’usufruttuario non può cambiare la destinazione economica della cosa (981), ma può apportarvi delle

migliorie (985) avendo in tal caso diritto ad un indennizzo da parte del proprietario (pari alla somma minore

tra quanto ha speso l’usufruttuario e l’aumento di valore della cosa)

Se l’usufrutto comprende cose deteriorabili (impianti di riscaldamento…) l’us ha il diritto di servirsene e può

restituirle nello stato in cui si trovano (996).

Si parla di quasi-usufrutto se sono ad oggetto cose consumabili (denaro, alimenti ecc…). L’us ha il diritto

di servirsi delle cose dovendone poi pagare il valore al termine dell’usufrutto (è come se ne acquistasse la

proprietà).

Tra gli obblighi dell’us troviamo:

- restituire la cosa alla cessazione del diritto

- usare la diligenza del buon padre di famiglia (diligenza media) nel godimento (1001)

- fare l’inventario e prestare garanzia (1002)

- pagare le spese per l’ordinaria manutenzione e amministrazione della cosa

- pagare le imposte, canoni, rendite e tutti i pesi che gravano sul reddito

Durante l’usufrutto il proprietario viene detto nudo proprietario poiché non ha la facoltà di godere, ma

conserva il potere di disporre della nuda proprietà (tanto più è vicina la fine dell’usufrutto tanto più varrà la

nuda proprietà).

L’usufrutto nasce per volontà privata (contratto, testamento), per usucapione o per legge (978) ed è

caratterizzato da durata limitata: non può eccedere la vita dell’usufruttuario (980) o essere superiore a 30

anni se in capo a persona giuridica. I casi di estinzione (1014) sono:

- prescrizione, 20 anni

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- riunione di usufrutto e proprietà nella stessa persona (confusione)

- totale perimento della cosa (se perisce un edificio l’usufrutto permane sull’area)

- provvedimento del giudice in caso di abuso del diritto (alienando i beni o deteriorandoli)

L’uso attribuisce al titolare il diritto di servirsi della cosa e quello di goderne i frutti, ma limitatamente ai

bisogni suoi e della famiglia (1021). L’uso è personalissimo e non può essere ceduto (come invece può

accadere per l’usufrutto). Si estingue con la morte dell’usuario. (1024)

Il diritto di abitazione ha un contenuto più specifico: attribuisce al titolare e alla sua famiglia la facoltà di

abitare nell’immobile in oggetto (1022). Anche questo diritto è incedibile.

Superficie e proprietà superficiaria

La superficie è il diritto di fare o di mantenere una costruzione al di sopra o al di sotto del suolo altrui (952-

956). E’ una deroga al principio dell’accessione immobiliare. La situazione è dunque a due facce: sul suolo

c’è il diritto di superficie che si esaurisce nella facoltà di edificare; sull’edificio c’è proprietà superficiaria

(cioè piena ma limitata all’edificio e non estesa all’area).

Enfiteusi

Si realizza quando il proletario di un fondo concede ad un’altra persona (enfiteuta) il diritto di goderne, con

l’obbligo di migliorarlo e di pagare un canone annuo in denaro o in natura (958, 960).

L’istituto nasce per risolvere il problema dell’abbandono dei terreni agricoli, quindi l’obbligo della miglioria

è essenziale. La durata minima è ventennale, necessaria per poter impiegare lavoro e capitale con prospettiva

di goderne i risultati. C’è anche la possibilità di concessioni perpetue, anche se molto rare. L’enfiteuta può

disporre del suo diritto per atto tra vivi o per testamento (965) e ha il diritto di affrancazione, ovvero il

diritto ad acquistare il fondo pagando una somma pari a 15 volte l’ammontare del canone annuo.

Servitù prediali

La servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente ad un

diverso proprietario (1027). La servitù determina quindi un obbligo a carico del proprietario del fondo

servente e una reciproca pretesa a favore del proprietario del fondo dominante.

L’obbligo deve essere dell’ordine di non fare qualcosa o lasciar fare qualcosa (non sopraelevare, lasciar

passare…) (1030).

Anche se la proprietà dei fondi passa ad altri soggetti le servitù permangono, rappresentando quindi un limite

della proprietà. Il proprietario del fondo dominante si arricchisce di un vero diritto su cosa altrui.

Prediale indica il doppio legame tra i fondi (peso sul servente, utilità sul dominante).

I fondi devono essere vicini, ma non necessariamente confinanti (se acquisto il diritto di attingere acqua da

una sorgente con una condotta, saranno gravati di servitù tutti i fondi che stanno tra il mio e la sorgente).

L’art 1031 dice che le servitù prediali si possono costituire in 4 modi:

- coattivamente

- volontariamente (contratto o testamento)

- per usucapione, 20 anni

- per destinazione del padre di famiglia

Ecco che si distinguono quindi servitù coattive e servitù volontarie.

Le servitù coattive sono elencate dall’art 1032 e prevedono una serie di situazioni in cui la piena

utilizzazione di un fondo esige che sia imposto un peso ad altri fondi, per esempio per condurre acqua,

elettricità, o per mettere di accedervi (passo). La parola coattivo significa che la situazione prevista crea il

diritto di ottenere la servitù, che dovrà poi essere ottenuta per contratto con il proprietario del fondo che sarà

il servente, o per sentenza di un giudice se questi si rifiutasse di concedere la servitù.

I limiti di vicinato sono reciproci, automatici e gratuiti, le servitù legali sono unilaterali, nascono per

contratto o per sentenza, e suppongono un’indennità.

Le servitù volontarie sono quelle servitù la cui costituzione non è obbligatoria.

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Un modo di costituzione della servitù è per destinazione del padre di famiglia. Il padre non c’entra nulla,

se non nei ricordi dell’antichità. E’ il caso di un fondo unico che viene poi diviso: elementi prima comuni

(come sorgenti) diventano oggetto di servitù.

I modi di estinzione delle servitù sono per confusione (1072) e per prescrizione in caso di non uso

prolungato per 20 anni.

CAPITOLO 13

LA COMUNIONE

La comunione

Le norme dedicate alla comunione regolano le situazioni in cui la proprietà o altro diritto reale spetta in

comune a più persone (1100)-

Comunione equivale a con titolarità di un diritto reale (comproprietà, cousufrutto, cosuperficie) o di un

diritto di credito o riguardo a diritti di beni immateriali (co-autori o co-inventori).

Si distinguono quattro possibili origini alla situazione di comunione:

- comunione volontaria

- comunione incidentale: si attua indipendentemente dalla volontà delle parti (comunione tra

gli eredi)

- comunione forzosa: imposta dalla legge (comunione del muro, nel condominio delle parti

comuni)

- comunione legale fra coniugi, riguarda i beni acquistati dopo il matrimonio (159 e ss).

Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purchè non alteri la destinazione e impedisca agli altri

partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto (1102). Ciascun partecipante inoltre può disporre

della sua quota, cioè una frazione ideale, matematica, dell’intero, e chiedere in ogni momento lo

scioglimento della comunione (1111). Se gli altri non acconsentono la domanda va rivolta al giudice che

procederà alla divisione. Non si può chiedere lo scioglimento quando si tratta di cose che, se divise,

cesserebbero la loro utilità (1112).

Per poter disporre sulla cosa comune è necessario il consenso di tutti i partecipanti all’unanimità. Per

l’amministrazione del bene comune prevale invece il principio della maggioranza: per l’ordinaria

amministrazione a maggioranza semplice calcolata in base al valore delle quote, per la straordinaria

amministrazione con la maggioranza dei due terzi.

Potere della maggioranza semplice è di stabilire il regolamento per l’ordinaria amministrazione e delegare

l’amministrazione ad un partecipante o ad un estraneo

Il condominio degli edifici

E’ una particolare forma di proprietà degli edifici che combina la proprietà piani o porzioni di piano alla

comunione forzosa della parti comuni (1117). Per parti comuni si intendono le parti dell’edificio necessarie

all’uso comune: scale, ascensore, impianti, muri maestri, suolo, portineria, cortili, tetti, fondazioni ecc… La

quota di parte comune può essere ceduta solo insieme alla proprietà esclusiva del piano o della porzione di

piano. L’amministrazione è regolata in modo dettagliato dall’art. 1120 e ss.:

- atti di ordinaria amministrazione: la delibera richiede un numero di voti che rappresenti la

maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio

- atti di straordinaria amministrazione: due terzi dei condomini per la validità dell’assemblea e

la maggioranza per l’approvazione degli atti

- innovazioni: due terzi dei condomini per la validità dell’assemblea e una maggioranza

qualificata (oltre la metà dei condomini, ma i due terzi del valore) per l’approvazione degli

atti

Se i condomini sono più di 4 si deve nominare un amministratore; se sono più di 10 si deve formare un

regolamento.

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La multiproprietà

Un immobile viene venduto con atti separati ad una pluralità di acquirenti. Il contratto prevede che ciascun

acquirente abbia il diritto ad una utilizzazione esclusiva dell’unità prescelta solo per un determinato periodo

di tempo.

Si parla di multiproprietà azionaria quando l’immobile in questione è di proprietà di una S.p.A. e il

multiproprietario acquista solo la posizione di socio azionista nella società, posizione caratterizzata da un

diritto d’uso esclusivo, per il turno stabilito, del bene oggetto di proprietà sociale.

La multiproprietà alberghiera si ha nei casi in cui il godimento turnario del bene (stanza, cottage,

bungalow) sia assicurato attraverso la cooperazione di un gestore cui l’acquirente si lega con un contratto

misto.

CAPITOLO 14

IL POSSESSO

Nozione di possesso

Il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o

di altro diritto reale (1140). Nella fattispecie non è indicato se il potere sulla cosa sia esercitato in modo

lecito o meno; la parola potere non indica una situazione giuridica di potere per cui il soggetto è legittimato a

compiere certi atti. Indica invece il controllo di fatto che il possessore ha sulla cosa.

Si può parlare di possesso non solo in relazione all’esercizio della proprietà, ma anche ad altri diritti reali

come l’usufrutto, la comunione, la servitù.

I requisiti del possesso. La detenzione

Si ritiene che per aver possesso di una cosa debbano ricorrere due elementi:

- un elemento materiale, consistente nell’avere la disponibilità materiale della cosa

- un elemento psicologico, che si concreta nell0intenzione di tenere la cosa quale titolare del diritto

La mancanza dell’elemento psicologico dà luogo alla detenzione, ovvero la semplice disponibilità materiale

della cosa sulla quale si riconosce il diritto di altri.

Sulla base dell’elemento psicologico è possibile distinguere tra possesso di buona fede, quando il

possessore ignora senza colpa grave di ledere il diritto altrui (1147), e possesso di mala fede quando il

possessore sa di ledere l’altrui diritto oppure ignora per colpa grave (incauto acquisto di cose che per la loro

qualità o per il prezzo, si abbia motivo di sospettare che provengano da reato).

La buona fede del possesso viene presunta dalla legge, quindi il possessore è sempre considerato in buona

fede. Starà a chi vi ha interesse l’onere di dimostrare la mala fede.

L’acquisto del possesso

Il possesso si acquista in modo originario per apprensione (impossessamento d’iniziativa di chi diviene

possessore) e in modo traslativo per consegna, che può essere anche simbolica (consegna delle chiavi, dei

documenti ecc…)

Il possesso attuale non fa presumere il possesso anteriore; il possesso remoto fa presumere il possesso

intermedio (1142); se una persona possiede in base ad un titolo (compravendita) si presume il possesso dalla

data del titolo.

Gli effetti sostanziali del possesso

L’art. 1153 stabilisce che la persona a cui è alienato un bene mobile non registrato ne diventi proprietaria,

anche se l’alienante non era proprietario della cosa, purché vi sia stato acquisto del possesso in buona fede.

La regola non si applica alle universalità e ai beni mobili registrati (1156).

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Effetto del possesso prolungato nel tempo è l’usucapione, che vede premiata l’attiva utilizzazione delle cose

facendo poi coincidere una situazione di diritto con una situazione di fatto consolidata nel tempo. E’

sufficiente che il possesso sia pacifico e pubblico (non acquistato in modo violento o clandestino); deve

essere continuato e non deve essere stato interrotto dal proprietario o da terzi che ne abbiano privato il

possesso per oltre un anno (1167).

Tutti i diritti reali a titolo di cui si può esercitare il possesso possono essere acquistati per usucapione.

Il termine ordinario di usucapione è di 20 anni sia per gli immobili, sia per l’universalità di mobili, sia per i

beni mobili.

Il termine si riduce a 10 anni per i beni mobili se c’è buona fede, la trascrizione dell’atto e un titolo idoneo a

trasferire la proprietà. Con gli stessi requisiti si riduce a 3 anni per i beni mobili registrati (1162). Termini

più brevi valgono per la piccola proprietà rurale (1159-bis)

Il decorso del termine può essere sospeso o interrotto per le stesse cause che valgono per la prescrizione.

CAPITOLO 15

TUTELA DELLA PROPRIETA’ E DEL POSSESSO

Azioni petitorie

Le azioni petitorie sono le azioni con sui si fanno valere proprietà e diritti reali limitati in giudizio. Le azioni

personali sono invece a disposizione dei titolari di diritti relativi, che possono chiamare in giudizio solo la

persona obbligata, e non si possono far valere verso tutti.

Azioni a difesa della proprietà

La prima azione a tutela del diritto di proprietà è la rivendicazione (948). Si chiede la consegna o la

restituzione del possesso, che il proprietario ha perduto o non ha mai avuto. L’azione si rivolge contro

chiunque tiene presso di sé la cosa.

Chi agisce in rivendicazione deve dare prova di essere proprietario, secondo la regola generale sull’onere

della prova che impone a chiunque vuol far valere un diritto in giudizio di provare i fatti che ne sono a

fondamento.

La prova della proprietà è considerata diabolicamente difficile; infatti sarà necessario risalire a tutti i vari

passaggi di proprietà fino ad un titolo d’acquisto a titolo originario. Ma se il proprietario ha interesse solo

alla restituzione della cosa e non anche all’accertamento del suo diritto di proprietà, può ricorrere ad azioni

dove non è richiesta la prova della proprietà. Si parla quindi di azioni possessorie o all’azione che deriva da

un contratto per il quale egli abbia diritto alla restituzione o alla consegna (compravendita, comodato,

deposito).

Come il diritto di proprietà, neanche l’azione di rivendicazione è prescrittibile.

L’azione negatoria è diretta a far dichiarare l’inesistenza dei diritti affermati da altri sulla cosa, quando il

proprietario ha motivo di temerne pregiudizio (949).

Le ultime due azioni riguardano il problema dei confini:

Azione di regolamento dei confini (950): si può chiedere che un confine sia stabilito giudizialmente nel

caso questo sia incerto o contestato. L’azione spetta ad entrambi i proprietari e quindi i ruoli di attore e

convenuto sono intercambiabili: per questo non valgono le regole sull’onere della prova. Se le prove fornite

non sono sufficienti a fare chiarezza il giudice può decidere in base alle mappe catastali, che normalmente

non costituirebbero un mezzo di prova.

Apposizione di termini (951): se le parti non si accordano per mettere i segni di delimitazione dei fondi (i

confini sono quindi definiti), ciascuno dei proprietari può richiedere che i termini siano collocati a spese

comuni.

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Azioni a difesa dei diritti limitati

L’art. 1079 elenca le azioni a disposizione del titolare di una servitù, il quale può:

- farne riconoscere in giudizio l’esistenza contro chi ne contesta l’esercizio (confessoria)

- far cessare le turbative e gli impedimenti

- chiedere la rimessione in pristino, cioè che sia ricostituito lo stato di cose preesistente alle

turbative

- il risarcimento dei danni

Per gli altri diritti su cosa altrui non è prevista un’eguale azione, si applica però per analogia la norma

relativa all’azione confessoria (che è in realtà l’immagine speculare dell’azione negatoria, dove il

proprietario vuole far dichiarare l’inesistenza di un diritto limitato, mentre in questo caso è il titolare di un

diritto reale su cosa altrui a farne dichiarare l’esistenza).

Azioni possessorie

Si distinguono due gradi diversi di protezione del possesso:

a) qualunque possessore (in buona o mala fede) è protetto contro lo spoglio, cioè la privazione violenta

o clandestina del possesso; egli può chiedere al giudice, entro un anno dallo spoglio, di essere

reintegrato nel possesso (reintegrazione, 1168). Se un ladro è entrato in possesso di una cosa

mediante un furto, e il proprietario tollera la situazione per un anno, perde la possibilità di agire in

reintegrazione; se decidesse di rubare a sua volta la cosa, sarebbe il ladro a questo punto a poter

agire reintegrazione perché ha subito lo spoglio. Nella situazione possessoria ha ragione il ladro, il

proprietario dovrà fare un’azione petitoria per rivendicare la proprietà della cosa.

b) L’azione di manutenzione (1170) protegge il possessore dalle molestie e dalla privazione del

possesso non violenta né clandestina (una persona a cui si è concesso gratuitamente l’uso di un

appartamento e non se ne vuole andare). L’azione può essere esperita solo entro un anno dalla

turbativa e il possesso deve avere i requisiti già visti per l’usucapione.

Azioni di nunciazione

Queste due azioni spettano sia al possessore che al proprietario, o titolare di altro diritto reale.

La denunzia di nuova opera può essere esperita quando si ha ragione di temere che una nuova opera

(costruzione, scavo ecc) intrapresa sul fondo altrui, possa derivare come diretta conseguenza un danno alla

propria cosa. L’opera non deve essere terminata (1171).

La denunzia di danno temuto si riferisce al pericolo di un danno grave e prossimo, ma derivante da uno

stato di cose già esistente, cioè da un edificio, albero o altra cosa siti nel fondo altrui (1172)

CAPITOLO 16

L’OBBLIGAZIONE

Il rapporto obbligatorio e le sue fonti.

La parola obbligazione indica un rapporto tra un debitore ed un creditore; il primo obbligato verso il

secondo a dare o fare o non fare qualcosa: in sintesi ad una prestazione suscettibile di valutazione

economica.

L’art. 1173 indica le fonti delle obbligazioni: contratto, fatto illecito e ogni altro atto o fatto idoneo a

produrle in conformità dell’ordinamento giuridico (testamento, matrimonio, filiazione, provvedimenti del

giudice.

Tutte le obbligazioni nascono da un titolo, cioè da un fatto o da un atto a ciò idoneo secondo la legge.

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La prestazione

Il codice civile non dà una definizione di obbligazione ma stabilisce i caratteri essenziali della prestazione

che forma oggetto dell’obbligazione, dicendo che deve essere suscettibile di valutazione economica e deve

corrispondere a un interesse, anche non patrimoniale, del creditore (1174).

Analizzando i contenuti della prestazione si distinguono obbligazioni di dare, di fare e di non fare.

L’obbligazione di dare è quella in cui il debitore è tenuto alla consegna di una cosa specifica o di un certo

numero di cose determinate solo nel genere. Il dare non va inteso solo in senso materiale, ma anche come

trasferimento della proprietà.

Obbligazione di fare è quella in cui il debitore è tenuto a svolgere un’attività, il cui compimento soddisfa un

interesse del creditore. La stessa obbligazione di dare comprende un obbligazione di fare, cioè di custodire

la cosa (1177).

Le obbligazioni di non fare richiedono al debitore una omissione, cioè di astenersi da un’attività. Si tratta

quindi di un divieto.

La prestazione deve essere suscettibile di valutazione economica, cioè deve essere possibile determinarne un

corrispondente valore in denaro (valore di mercato oppure rilevanza economica nel rapporto tra debitore e

creditore). Quel che conta è che la prestazione sia caratterizzata da un indice di patrimonialità, anche se

l’interesse da soddisfare può essere non patrimoniale.

Rapporto tra debitore e creditore

Il creditore non è il soggetto più forte in senso assoluto. Il nostro sistema tende a tutelare il creditore perché

un sistema dove il credito è sicuro permette una miglior circolazione delle ricchezze. In questo senso il

creditore è più forte del debitore, a patto che si sia cautelato della solvibilità del debitore e delle garanzie del

credito.

L’art. 1175 impone a entrambe le parti un dovere di correttezza che assume contenuti diversi per il debitore

e per il creditore. Il debitore deve usare una media diligenza nell’adempiere l’obbligazione (1176); il

creditore ha un dovere di collaborazione col debitore perché questi possa adempiere e usare ordinaria

diligenza in caso di adempimento.

Correttezza e buona fede

Tutti i rapporti di obbligazione sono governati dalla regola fondamentale dell’art 1175, il dovere di

correttezza. Un dovere strettamente collegato alla condotta di buona fede. Si distingue la buona fede

soggettiva dalla buona fede oggettiva (di cui abbiamo parlato in precedenza) e consiste in una ignoranza

incolpevole, non dipendente da negligenza o leggerezza. Se ad esempio un debitore paga un soggetto che

sembra essere il creditore, il debitore può considerarsi liberato se prova di essere stato in buona fede. In

realtà la buona fede soggettiva si presume, deve essere il vero creditore a dimostrare che il suo debitore,

pagando un terzo soggetto, non era in buona fede.

Tutte le norme che fanno riferimento alla buona fede (oggettiva e soggettiva) intendono un modello di

persona onesta e leale.

Buona fede oggettiva – dovere di comportamento

Buona fede soggettiva – situazione psicologica

Obbligo e responsabilità

Assumendo un’obbligazione il debitore espone i suoi beni all’azione dei creditori e stabilisce così un

generico vincolo sul suo patrimonio: e questo aspetto è così essenziale che, secondo un certo modo di

vedere, l’obbligazione comprende due elementi, e cioè obbligo e responsabilità.

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CAPITOLO 17

ADEMPIMENTO E INADEMPIMENTO

L’adempimento

L’obbligazione va adempiuta. Adempimento è l’esatta esecuzione della prestazione dovuta (1176);

inadempiente è quel debitore che non esegue esattamente la prestazione (1218).

Nell’adempiere il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia, ovvero una persona di buon

senso, che non fa le cose male, ma che non è nemmeno votata alla perfezione. Negligenza ed imperizia

costituiscono colpa del debitore. Nei casi di obbligazioni inerenti attività professionali è richiesta una

diligenza tecnica indicata dalla natura dell’attività esercitata.

L’art 1178 dispone che se l’obbligazione ha per la prestazione di cose generiche il debitore deve prestare

cose di qualità non inferiore alla media.

Non è detto che l’interesse del creditore sia soddisfatto dalla sola condotta diligente del debitore; in molti

casi il creditore ha la pretesa dell’effettivo risultato della prestazione e può non dare importanza

all’impegno del debitore. L’esatto adempimento richiede la produzione del risultato. Ad esempio un

avvocato non è tenuto a vincere una causa, ma è tenuto a svolgere al meglio la sua attività (diligenza); un

trasportatore si obbliga a trasferire un oggetto in luogo, è importante in questo caso il risultato. Ecco quindi

fatta la distinzione fra obbligazioni di diligenza o di mezzi e obbligazioni di risultato.

Modalità dell’adempimento

Se il debitore offre un adempimento parziale il creditore può rifiutarlo, anche se la prestazione è divisibile

(denaro, 1181) a meno che la legge o gli usi dispongano diversamente (1258).

L’art. 1182, riguardo al luogo dell’adempimento, dice di guardare nell’ordine a:

1- accordo tra le parti

2- usi

3- natura della prestazione

4- altre circostanze dell’adempimento

Infine si può far ricorso a tre regole suppletive:

a) consegna di cosa determinata: va fatta nel luogo in cui era la cosa quando è sorta l’obbligazione

b) pagamento somma di denaro: al domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza

c) altre prestazioni: al domicilio che il debitore ha al tempo della scadenza

I debiti che devono essere pagati al domicilio del creditore si dicono portabili, quelli che devono essere

pagati al domicilio del debitore si dicono chiedibili.

In riferimento al tempo l’art. 1183 usa gli stessi riferimenti dell’art. 1182, ma in caso non si stabilisca una

termine il debito deve essere pagato immediatamente. Se il debitore ha è divenuto insolvente o ha diminuito

le garanzie, il creditore può esigere immediatamente la prestazione, anche se il termine era fissato in tempi

futuri (1186, decadenza del beneficio del termine)

Se un debitore ha più di un debito della stessa specie con lo stesso creditore, la legge dà al debitore la facoltà

di dichiarare quale debito intende soddisfare al momento della prestazione, di imputare cioè il pagamento

all’una o all’altra prestazione (1193). Se il debitore non dichiara quale debito vuole estinguere si segue il

seguente ordine:

- debito scaduto

- tra i debiti scaduti quello meno garantito

- a parità di garanzie il più oneroso per il debitore

- il più vecchio

Il debitore non si libera dell’obbligazione con una prestazione diversa da quella dovuta, nemmeno se di

valore uguale o maggiore (1197).

Il debitore che paga ha diritto di ricevere a sue spese una quietanza, cioè una dichiarazione del creditore con

cui questo attesta l’avvenuto pagamento (1199), e di vedere liberati i beni dalle garanzie reali date per il

credito (1200)

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I soggetti dell’adempimento

I protagonisti sono il debitore e il creditore. Chi può pagare? Chi può ricevere il pagamento? Consideriamo i

problemi più importanti.

L’art. 1191 prevede che il debitore che ha eseguito la prestazione non possa impugnare il pagamento, cioè

chiedere la restituzione di quanto pagato, a causa della propria incapacità. La norma si presta a diverse

interpretazioni: il dubbio è se per incapacità è riferito solo agli incapaci legali, oppure anche agli incapaci

momentanei di intendere e di volere, ma dato che il pagamento è un atto dovuto e il creditore non può essere

obbligato a restituire, si considera una norma riferita verso qualsiasi forma di incapacità.

Anche il creditore che riceve il pagamento deve essere capace di agire, di intendere e di volere, poiché deve

essere in grado di accettare la prestazione (verificare che corrisponda a quella dovuta), rilasciare quietanza,

liberare i beni dalle garanzie ecc..

Il creditore ha il diritto di rifiutare la prestazione nel caso questa venga eseguita da un terzo che non sia il

debitore; di contro però il debitore si libera anche se paga al rappresentante del creditore o alla persona

indicata dalla legge o dal creditore (1188). Come già detto il debitore si libera anche in caso in cui paghi un

creditore apparente, ma lo abbia fatto in buona fede, cioè convinto e senza colpa di aver pagato il vero

creditore (1189).

L’inadempimento

Non è detto che l’inadempienza dipenda da una condotta biasimevole del debitore. Possono accadere vari

fatti, fuori dal controllo del debitore, che portano a non onorare un’obbligazione.

L’art. 1218 sembra stare dalla parte del creditore: il debitore che non esegue esattamente la prestazione

dovuta deve risarcire il danno subito dal creditore se non prova che l’inadempimento o il ritardo sono stati

determinati da impossibilità della prestazione, derivante da causa a lui non imputabile. La diligenza, anche

se massima, non è sufficiente a liberare il debitore in caso di inadempimento. Mentre la negligenza è

sufficiente a far rispondere il debitore.

L’impossibilità deve essere oggettiva (non dipendente da una particolare situazione del debitore) e assoluta

(tale da escludere la minima possibilità di eseguire la prestazione).

Il debitore deve provare l’esistenza di una causa a lui esterna, cioè il caso fortuito o la forza maggiore.

Per determinate categorie di obbligazioni la liberazione per impossibilità è esclusa. E’ il caso di obbligazioni

che hanno per oggetto la consegna di denaro o di cose determinate solo nel genere (generiche).

Gli effetti dell’inadempimento

La prima conseguenza è che il debitore che non esegue esattamente la presatazione dovuta è tenuto a

risarcire il danno (1218). Si parla di inadempimento sia in caso di ritardo, che di difetto che di mancata

prestazione.

Il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri (2740). Si

tratta di responsabilità patrimoniale (garanzia generica) che si distingue dalle garanzie reali o personali.

Per soddisfare il proprio interesse contro un debitore che non collabora, il creditore può ricorrere al giudice

perché disponga l’esecuzione coattiva o forzata. L’art. 2910 prevede l’espropriazione dei beni che, messi in

vendita, procureranno i mezzi per soddisfare l’interesse economico del creditore. Per altre obbligazioni, che

non prevedono di pagare somme di denaro, ci sono forme diverse di esecuzione in forma specifica: la

distruzione di quanto fatto in violazione di un obbligo di non fare (2933), la sentenza costitutiva che tiene

luogo di un contratto non concluso (2932), la consegna e il rilascio forzati di una cosa determinata (2930),

l’esecuzione a spese dell’obbligato di obblighi di fare (2931).

In questi casi si perpetua l’obbligazione poiché il creditore può ancora pretendere l’adempimento e il danno

per il ritardo.

La mora del debitore - approfondire

Mora è una parola che viene dal latino e significa ritardo.

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L’art. 1219 dice che il debitore che manca di adempiere nel tempo dovuto deve essere costituito in mora

mediante intimazione o richiesta di adempiere fatta per iscritto dal creditore. La costituzione in mora non è

necessaria in tre casi:

1) quando il debito deriva da fatto illecito

2) quando il debitore ha dichiarato per iscritto di non voler adempiere

3) quando è scaduto il termine, se la prestazione deve essere eseguita al domicilio del creditore

(debiti portabili)

Gli effetti della mora sono:

a) il debitore è tenuto a risarcire i danni provocati dal ritardo nell’adempimento (1218, 1223)

b) il debitore sopporta il rischio della impossibilità sopravvenuta anche per causa a lui non imputabile.

La mora del creditore

Può capitare che il debitore sia pronto ad adempiere, ma il creditore non collabori. Questo può dipendere da

un dissenso tra creditore e debitore sulla prestazione. In tale situazione l’interesse del debitore è quello di

evitare la propria mora, agirà quindi con una semplice offerta alla buona della prestazione (1220).

Il creditore può tutelarsi provocando la mora del creditore.

Se si tratta di obbligazioni di dare il debitore farà un’offerta formale o solenne della prestazione tramite un

pubblico ufficiale. I requisiti dell’offerta indicati nell’art. 1208 sono diretti ad assicurare la corrispondenza

tra prestazione offerta e prestazione dovuta, nonché il rispetto delle regole sul tempo, sul luogo (1207

ult.comma). Se l’obbligazione ha per oggetto danaro, titoli di credito o cose mobili portabili l’offerta deve

essere reale. Se il creditore accetta l’offerta il debitore è libero, altrimenti occorre un controllo del giudice

che accerti i requisiti dell’offerta e la dichiari valida con sentenza. A questo punto il creditore è considerato

in mora.

Se il debitore ha fatto un’offerta secondo gli usi gli effetti della mora si verificano dal giorno in cui egli

esegue il deposito che consente un controllo pari a quello dell’offerta formale.

Nelle obbligazioni di fare le conseguenze della mora si producono senza le solennità previste dall’art 1208.

L’art. 1207 indica gli effetti della mora del creditore:

a) è a suo carico l’impossibilità della prestazione avvenuta per causa non imputabile al debitore

b) non sono più dovuti gli interessi né i frutti non percepiti dal debitore

c) il creditore è tenuto a risarcire i danni derivati dalla sua mora e a sostenere le spese per la

custodia e la conservazione della cosa dovuta

Se il debitore vuole liberarsi dall’obbligazione deve reagire con il deposito, che può essere accettato dal

creditore o dichiarato valido con sentenza (1210). Il deposito riguarda cose mobili e si esegue con le forme di

un sequestro. Se l’obbligazione è di fare non si può ovviamente ricorrere al deposito quindi il debitore non si

libera finchè:

- la prestazione diviene impossibile

- il creditore non ha più interesse ad esigere l’adempimento o non può più essere richiesto in

base al titolo dell’obbligazione

- interviene la prescrizione

Risarcimento del danno

Danno non è solo la perdita, ma anche il mancato guadagno (1223). Il danno risarcibile è delimitato secondo

tre criteri:

1- il danno deve essere conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento

2- il danno deve essere prevedibile al in cui è sorta l’obbligazione (salvo che l’inadempimento sia

doloso, 1225)

3- il danno non deve essere collegato ad un fatto colposo del creditore (1227), cioè se ha concorso a

determinarlo o se avrebbe potuto evitare o limitare l’entità del danno con ordinaria diligenza

(concorso di colpa).

Il primo criterio è il più discusso: il nesso di causalità.

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Quando un evento si verifica, possiamo ricostruire una catena casuale di eventi collegati a questo, senza i

quali non si sarebbe verificato. Causa è quindi qualsiasi condizione necessaria alla storia dell’evento. Però è

richiesto dalla norma che il danno sia conseguenza immediata (cioè senza passaggi intermedi) e diretta

(senza il concorso di altri elementi causanti) dell’inadempimento.

La valutazione del danno da risarcire non è sempre semplice; quando il danno non può essere provato nel suo

preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa (1226).

Quando il debitore è in mora per debiti di denaro, se erano stati previsti interessi in misura superiore al

tasso legale, gli interessi moratori si applicano nella stessa misura (1224). Se non erano previsti o erano stati

esclusi, sono comunque dovuti interessi legali dal giorno della mora. Il creditore per ricevere gli interessi non

deve provare il danno, può tuttavia provare un danno ulteriore derivante dalla perdita di potere d’acquisto.

Nei contratti esistono delle clausole di esonero da responsabilità (1229) con le quali una delle parti viene

esonerata da responsabilità in caso di adempimento, a meno che la responsabilità non derivi da dolo o colpa

grave, o da violazione di norme di ordine pubblico.

I modi di estinzione diversi dall’adempimento

Ci sono due tipi di modi di estinzione, che si distinguono in base al fatto che l’interesse del creditore sia

soddisfatto o meno:

- satisfattori: compensazione, confuzione

- non satisfattori: novazione, remissione, impossibilità sopravvenuta

Si è già parlato di impossibilità sopravvenuta (1256 e ss). Si parla di impossibilità temporanea, ovvero

quando l’impossibilità viene meno la prestazione ritorna possibile. L’obbligazione potrebbe estinguersi

comunque se l’impossibilità è durata fin quando:

- in relazione al titolo o alla natura dell’obbligazione il debitore non è obbligato ad eseguire la

prestazione

- il creditore non ha più interesse

Con impossibilità parziale il debitore si libera prestando la parte rimasta possibile (1258). Non si dimentichi

l’inesigibilità della prestazione in cui l’obbligo si estingue perché è contrario a correttezza pretenderne

l’adempimento (pretendere prestazioni da chi non è impossibilitato, ma in evidente difficoltà – militare in

guerra, madre che va all’ospedale dal figlio…)

Si ha novazione quando le parti si accordano per sostituire all’obbligazione esistente (che si estingue) una

obbligazione nuova. Nuova si intende necessariamente diversa, dal punto di vista o del titolo, o dell’oggetto

o dei soggetti:

- novità nel titolo: padrone di casa e inquilino che deve pagare un anno di canone arretrato si

accordano per la restituzione a titolo di mutuo

- novità nell’oggetto: un antiquario che mi deve 1000€ si obbliga invece a consegnarmi un tavolo

antico di una certa misura e certa qualità.

- Novità nei soggetti: si parla di novazione soggettiva in cui un nuovo soggetto è obbligato al posto

di un vecchio debitore

Una dichiarazione del creditore al debitore di remissione dei debiti, se non opposta dal debitore, provoca

l’estinzione dell’obbligazione (1236), come se fosse un patto unilaterale.

Si ha compensazione quando due persone sono obbligate reciprocamente l’una verso l’altra; i due debiti si

estinguono per compensazione per le quantità corrispondenti. La compensazione è legale (senza necessità di

accordo o di intervento del giudice) se:

- i due debiti sono omogenei, cioè abbiano per oggetto denaro o cose fungibili dello stesso

genere

- i debiti siano esigibili, cioè non sottoposti a condizione o termini.

La compensazione non è automatica, ma avviene per effetto di dichiarazione unilaterale della parte che vuole

la compensazione.

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Un sistema particolare i estinzione di crediti e debiti legato alla compensazione è il contratto di conto

corrente.

L’obbligazione si estingue per confusione se si riuniscono nella stessa persona le condizioni di creditore e

debitore (1253).

TIPI PARTICOLARI DI OBBLIGAZIONE

Obbligazioni pecuniarie

Pecunia significa denaro in latino. Obbligazioni pecuniarie appunto hanno per oggetto una somma di denaro.

La prestazione in se non è la consegna di qualcosa (pezzi monetari o banconote) bensì il trasferimento di

unità ideali contabilizzate (moneta bancaria, moneta contabile, moneta elettronica).

Secondo il principio nominalistico, l’art 1277 stabilisce che i debiti pecuniari si estinguono con moneta

avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale. Non si tiene quindi di

conto di eventuali perdite di potere d’acquisto dovute all’inflazione.

I debiti di valore hanno però per oggetto un certo valore preciso e quindi al momento del trasferimento si

traduce in una somma di denaro, per cui se varia il potere d’acquisto varia anche la somma di denaro. Questo

non accade, come già detto, con i debiti di valuta. Quando il debito di valore viene liquidato (determinato

nell’ammontare) allora diventa un debito di valuta.

Per evitare problemi con il potere d’acquisto (evitando il principio nominalistico) si può inserire la clausola

oro stabilendo che sia dovuta una somma di denaro sufficiente a comprare una certa quantità d’oro, oppure

esprimere il debito in moneta straniera (1278).

Il denaro è un bene fruttifero: i suoi frutti sono gli interessi, la cui disciplina è regolata dagli art. 1282 e ss. E

1224 e ss. Viene fatta distinzione fra interessi corrispettivi e interessi moratori. I primi sono i veri frutti

del denaro, gli altri fungono da riparazione del danno derivante dal fatto di non aver potuto disporre della

somma per ritardo nel pagamento.

Producono interessi corrispettivi tutti i debiti di denaro liquidi ed esigibili (non sottoposti a condizione, o a

termine non scaduto). L’obbligazione di interessi è accessoria rispetto a quella di pagare una somma di

denaro; in caso di interessi si applicano quelli legali, se si vuole applicare un tasso diverso è necessaria la

forma scritta, tenendo di conto dei limiti all’usura. Gli interessi scaduti diventano un normale debito in

denaro, ma queste somme non producono a sua volta interessi (anatocismo) anche se la legge autorizza in

base agli usi. E’ previsto ad esempio dagli usi bancari l’anatocismo bancario.

Gli interessi moratori sono dovuti a titolo di risarcimento del danno per il ritardo nel pagamento di un

debito in denaro (1224) In mancanza di accordo tra le parti in tema di interessi, a partire dal giorno della

mora, si applicano gli interessi legali. Il creditore può provare di aver subito un danno maggiore, ad esempio

per mancato guadagno.

Obbligazioni con pluralità di oggetti

Spesso un debitore è obbligato a più prestazioni; questo deriva da più obbligazioni distinte, ma collegate

(come nell’obbligazione di consegnare qualcosa si esegue anche l’obbligo di custodire).

Talvolta una stesso rapporto obbligatorio ha ad oggetto due o più prestazioni, quando ad esempio il debitore

è obbligato in alternativa all’una o all’altra prestazione (1285, obbligazioni alternative). Ad esempio il

contratto di un impresa con un dipendente che gli assicura un alloggio con certe caratteristiche o un hotel. IL

debitore si libera eseguendo una delle prestazioni e la scelta spetta al debitore.

L’obbligazione facoltativa invece prevede che il debitore sia obbligato ad eseguire una certa prestazione,

ma è prevista una facoltà di liberarsi con una prestazione diversa. Ad esempio un erede è obbligato a dare

una certa quantità di argento ad un legatario, ma si può liberare con una somma di denaro.

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Obbligazioni con pluralità di soggetti. La solidarietà

Il rapporto obbligatorio può avere più debitori e più creditori insieme. Quando più debitori sono obbligati ad

una medesima prestazione che sia divisibile si distinguono due diverse situazioni (1292, 1314):

1- Solidarietà nel debito. Quando ciascun debitore può essere costretto all’adempimento per la totalità.

L’adempimento di uno libera gli altri, che può poi rivalersi sugli altri.

2- Obbligazione parziaria. Ciascuno dei debitori è tenuto a pagare solo la sua parte.

I condebitori sono tenuti in solido se dalla legge o dal titolo non risulta diversamente (1294). In alcuni casi è

la legge a prevedere la solidarietà, come nel risarcimento del danno (2055). In questo modo il creditore è più

garantito e può scegliere la parte da cui esigere l’intero adempimento.

Anche dal lato attivo si presenta la divisione tra obbligazione parziaria e solidale, cioè quando più creditori

hanno diritto a una medesima prestazione. In questo la solidarietà esiste solo se prevista. In caso di

successione un credito solidale si trasmette agli eredi come credito parziario.

Se l’obbligazione è indivisibile non si pone il problema di solidale o parziaria: verrà considerata come

solidale (1317).

SUCCESSIONE NEL CREDITO E NEL DEBITO

La successione nel credito: surrogazione, cessione

La prima forma di successione nel rapporto di credito si ha per surrogazione (sostituzione) di una terza

persona nei diritti del creditore. Tre ipotesi previste:

- surrogazione per volontà del creditore. Il debito di A verso B viene pagato da C (1180). B riceve

il pagamento e surroga C nei suoi diritti verso A. La surrogazione deve essere fatta in modo

espresso e contemporaneo al pagamento.

- Surrogazione per volontà del debitore. A debitore verso B di denaro o cos fungibili si fa prestare

da C quanto necessario a pagare il debito. Anche senza il consenso di B, A può dichiarare di

surrogare nel credito C.

- Surrogazione legale. Quattro casi previsti dall’art. 1203

La cessione del credito (1260) è un contratto con cui si trasferisce il diritto dal creditore, cedente, ad un

cessionario. Il creditore, che è titolare del bene, lo può cedere senza il consenso del debitore, al quale non si

riconosce un interesse ad essere debitore di B anziché di A. La cessione è esclusa quando il credito è

strettamente personale (per alimenti) o il quando il trasferimento è vietato dalla legge.

Il trasferimento del credito ha effetto verso il debitore quando a questi viene notificato il trasferimento

(onere del cessionario)

La successione nel debito: delegazione, estromissione, accollo

L’identità del debitore non è indifferente per il creditore. Se il debito è in denaro è importante che il debitore

sia solvente, o puntuale e diligente se è un’obbligazione di fare. La sostituzione del debitore non può quindi

avvenire per successione a titolo particolare, senza la volontà del creditore: se questa manca si aggiunge al

vecchio debitore (che non si è liberato) un nuovo debitore.

Delegazione, estromissione e accollo funzionano secondo questo principio e si dicono privative se libera il

vecchio debitore o cumulative se aggiungono il nuovo debitore a quello vecchio. Solo nel primo caso si

parla di cessione del debito.

La delegazione (1268) prevede che un debitore assegni al creditore un nuovo debitore, il quale si obbliga

verso il creditore. Il creditore può rifiutare o accettare la promessa decidendo o meno se liberare il vecchio

debitore (delegazione privativa o cumulativa). Il rapporto tra delegante e delegato è detto rapporto di

provvista, il rapporto tra il delegante e creditore è detto rapporto di valuta.

Se un terzo estraneo al rapporto tra debitore e creditore promette al creditore, di sua iniziativa, di pagare il

debito, si ha l’espromissione: in pratica un terzo si obbliga a pagare dando vita ad un rapporto obbligatorio.

Anche in questo caso si ha l’effetto privativo o cumulativo in base alla volontà del creditore.

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L’accollo è un contratto tra debitore e un terzo (accollante) per cui questi si assume il debito. Secondo

l’accollo interno (non è previsto dal codice). l’accollante si obbliga verso il debitore e il creditore non

acquista alcun diritto nei suoi confronti. Con l’accollo esterno (1273) si stipula un contratto che obbliga

l’accollante verso il creditore.

CAPITOLO 18

LE GARANZIE

La responsabilità patrimoniale del debitore

Gli istituti di tutela del creditore si possono considerare nati non come aspetti della patologia

dell’inadempimento, ma come normali aspetti del funzionamento del credito, poiché influiscono sulle

valutazioni se dare o non dare credito ad un soggetto.

Principio della responsabilità illimitata: il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i

suoi beni presenti e futuri (2740).

Principio della pari condizione dei creditori: ciascuno ha un eguale diritto di soddisfarsi sui beni del

debitore, salvo cause legittime di prelazione (2741).

Limitazioni di responsabilità

Chi si immette nel traffico economico espone a rischio tutto il suo patrimonio, eccetto alcuni beni che non

sono soggetti ad espropriazione come oggetti di primaria necessità, crediti per alimenti e altri beni indicati

nel cod. proc. Civ.

A volte alcuni beni del patrimonio sono destinati alla garanzia di determinati debiti (patrimonio di

destinazione); oppure si parla di patrimonio separato di un soggetto come quella parte di patrimonio

distinta dal patrimonio generale. E’ questo il caso dell’eredità accettata con beneficio di inventario (470,

484) che non prevede la confusione dei patrimoni, ma mantiene distinti il patrimonio del defunto da quello

dell’erede.

Si parla di patrimonio autonomo come di un complesso di rapporti attivi e passivi che fanno capo a più

soggetti e che rimane distinto dai patrimoni individuali. I beni del patrimonio autonomo sono al sicuro

dall’azione dei creditori personali di ciascun contitolare. In questo caso si parla si autonomia patrimoniale

che si può realizzare ad esempio dalla comunione legale tra coniugi, alle società di persone, ai fondi

patrimoniali co-intestati ai coniugi ecc… L’autonomia patrimoniale perfetta è caratteristica delle società di

capitali.

Cause di prelazione

Principio della pari condizione dei creditori: ciascuno ha un eguale diritto di soddisfarsi sui beni del

debitore, salvo cause legittime di prelazione (2741). Si parla di prelazione quando un creditore ha diritto di

soddisfarsi a preferenza degli altri. Le cause di prelazione sono: privilegi, pegno e ipoteca.

I creditori sprovvisti di cause di prelazione si dicono chirografari. Se ci sono più creditori con diritto di

preferenza la legge stabilisce un ordine di preferenza.

Se la cosa soggetta a privilegio, pegno o ipoteca va distrutta o deteriorata, le somme di denaro dovute dagli

assicuratori come indennità sono vincolate al pagamento dei creditori con diritto di preferenza (2742,

surrogazione dell’indennità della cosa come oggetto del diritto di prelazione)

I privilegi

Il privilegio è accordato in considerazione della causa del credito (2745). Per causa si intende titolo. Sono

privilegiati i crediti riguardanti i bisogni di primaria necessità per il debitore (2751), il credito di alimenti,

crediti per retribuzioni o provvigioni. In generale la valutazione dei crediti privilegiati spetta al legislatore.

E’ comunque necessario un ordine di preferenza, che vede al primo posto i crediti derivanti da rapporto di

lavoro (2777,2778).

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Si distingue il privilegio generale (riguarda tutti i beni mobili del debitore) dal privilegio speciale (riguarda

determinati beni sia mobili che immobili, 2741). Esempi di privilegio speciale sono: il credito del

trasportatore ha il privilegio sulle cose trasportate, finchè non consegnate (2761), il locatore ha il privilegio

sugli arredi dell’immobile del locatario (2764).

Eventuali conflitti tra cause di prelazione sono così risolti (2748):

- il pegno prevale sul privilegio speciale mobiliare

- il privilegio sugli immobili prevale sull’ipoteca

Le garanzie del credito

Sono mezzi di sicura soddisfazione del credito nel caso di inadempimento. Si distinguono garanzie

personali e garanzie reali (diritti reali di garanzia).

Nelle garanzie personali si affianca al debitore un garante, cioè un altro obbligato, a cui il creditore possa

chiedere l’adempimento del debito, e i cui beni offrono un’ulteriore garanzia patrimoniale.

Nel caso delle garanzie reali (pegno e ipoteca) la garanzia fatta è specifica, cioè al creditore è attribuito il

potere di espropriare un determinato bene, e di soddisfarsi con diritto di preferenza sul ricavato della vendita,

anche se la proprietà è passata ad altri (2808)- Le garanzie reali attribuiscono al creditore prelazione e diritto

di seguito.

I diritti reali di garanzia si possono costituire anche su bene di proprietà di persona diversa dal debitore.

Il pegno e l’ipoteca

Il pegno è un diritto di garanzia su cose mobili, su universalità di mobili, su crediti o su diritti aventi per

oggetto beni mobili (2784), che si costituisce tramite un contratto di pegno. E’ un contratto reale, la cui

perfezione richiede la consegna della cosa o del documento che ne conferisce la disponibilità (2786).

La cosa può essere tenuta in custodia da entrambe la parti, l’importante è che il debitore non possa disporne

senza l’autorizzazione del creditore. Il creditore che riceve la cosa deve custodirla e non può disporne (2790)

a meno che non si tratti di denaro o cose fungibili; in questo caso il ricevente è solo obbligato a restituire

altrettante cose della stessa qualità o specie.

I diritti del creditore pignoratizio sono

o far vendere la cosa secondo la procedura dell’art 2797

o farsi pagare con prelazione sulla cosa ricevuta in pegno che sia ancora in suo possesso; la

restituzione fa perdere la prelazione

o chiedere al giudice che la cosa gli venga assegnata in pagamento fino a concorrenza del debito, a

seguito di stima (2798)

o far suoi i frutti (2791)

o nel pegno di crediti, il creditore pignoratizio può riscuotere il credito (2803)

L’ipoteca ha per oggetto beni immobili, usufrutto di beni immobili, superficie, enfiteusi, beni mobili

registrati e rendite dello stato (2810).

L’iscrizione nel pubblico registro costituisce il vincolo, si parla di pubblicità costitutiva (2808).

Il titolo (diritto) ad iscrivere ipoteca può nascere da:

- ipoteca legale, 2817: la divisione dà diritto ai coeredi o soci di iscrivere ipoteca sugli

immobili assegnati agli altri condividenti a garanzia del pagamento dei conguagli

- ipoteca giudiziale, 2818 e ss.: ogni sentenza di condanna al pagamento di una somma a al

risarcimento danni

- ipoteca volontaria, 2821: può consistere in un contratto o in una dichiarazione unilaterale tra

vivi con forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata o verificata giudizialmente.

L’ipoteca nasce con l’iscrizione al pubblico registro ed ha una durata di 20 anni.

L’ipoteca prende grado dal momento della sua iscrizione (2852), ovvero un numero d’ordine assegnato ai

creditori ipotecari: chi sta davanti ha preferenza su chi sta dietro. E possibile una permuta del grado tra i

vari creditori.

L’ipoteca attribuisce un diritto di espropriare i beni anche se la proprietà è passata a terzi. La posizione del

terzo acquirente è regolata dall’art 2858 e ss. Ed ha tre possibilità:

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1) pagare i creditori

2) rilasciare i beni stessi

3) liberare il bene da ipoteca secondo la procedura dell’art. 2889 e ss.

Le cause di estinzione dell’ipoteca sono (e del titolo a costituirla)

- estinzione del credito garantito

- conclusione dell’esecuzione forzata

- se viene ordinata la cancellazione dell’ipoteca

- se il creditore rinuncia all’ipoteca

Regola comune a pegno e ipoteca è il divieto di patti commissori, ovvero è nullo ogni patto in cui si

conviene che la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi di proprietà al creditore in caso di

inadempienza del debitore. La ratio della norma serve ad evitare abusi nei confronti del debitore in difficoltà.

La fideiussione

Il contratto di fideiussione prevede che un soggetto (fideiussore) garantisca l’adempimento di

un’obbligazione altrui obbligandosi personalmente verso il creditore e quindi rispondendo con tutti i suoi

beni presenti e futuri (1936).

Sono parti del contratto il creditore e il fideiussore. Non è prevista forma particolare, anche se la fideiussione

deve essere una dichiarazione espressa (non sono valide quindi lettere di presentazione ecc…)

Se il titolo dell’obbligazione garantita è invalido, è invalida anche la fideiussione.

L’effetto della fideiussione è di rendere il fideiussore e il debitore obbligati in solido verso il creditore

garantito. Le parti però possono pattuire il beneficio di escussione, cioè il creditore deve prima agire contro

il debitore per ottenere la soddisfazione degli interessi, e il fideiussore ha l’onere di indicare i beni del

debitore da sottoporre a esecuzione (1944).

Il fideiussore che ha pagato è surrogato nei diritti del creditore verso il debitore, subentrando oltre che nel

credito anche nelle garanzie.

Il mandato di credito è un contratto con cui un soggetto incarica un altro (ad esempio una banca) di far

credito ad un terzo. La dichiarazione del mandante è detta lettere di credito; il soggetto che ha dato

l’incarico assume gli obblighi di un fideiussore.

Mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale

Il creditore è tutelato quando il debitore mette in pericolo le garanzie tentando di sottrarre i beni all’azione

dei creditori. I rimedi che la legge offre per conservare la garanzia patrimoniale sono: l’azione surrogatoria,

l’azione revocatoria, il sequestro conservativo.

Per evitare un pregiudizio per le garanzie del creditore derivante dall’inerzia del debitore, il creditore si può

surrogare in diritti e azioni che spetterebbero al debitore ma che questi trascura di esercitare (2900). Ad

esempio il debitore trascura di riscuotere dei crediti.

L’art. 2901 attribuisce al creditore il potere di chiedere che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli

atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni (azione

revocatoria). E’ quindi il caso di donazioni, vendite a prezzo molto basso, remissioni del debito ecc…

I requisiti per agire in revocatoria sono:

- la c.d. frode del debitore, ovvero la conoscenza del pregiudizio che l’atto arrecava ai creditori. Se l’atto è

anteriore al sorgere del credito occorrerà dimostrare che l’atto era stato dolosamente preordinato allo scopo

di sottrarre il bene alla garanzia (2901).

- se l’atto è a titolo oneroso, anche il terzo deve essere stato partecipe alla frode

L’effetto della revocatoria è di rendere inefficace l’atto nei confronti del creditore che agisce: l’atto resta

efficace tra le parti e per gli altri creditori che non agiscono. Il creditore che ha agito può far valere le sue

ragioni nei confronti dei terzi acquirenti.

Questa trattata è la revocatoria ordinaria (pauliana). La revocatoria fallimentare varia sotto certi aspetti.

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Il sequestro conservativo è una misura preventiva che il creditore può chiedere al giudice se esistano

ragioni per temere la perdita delle garanzie del credito (2905). Il sequestro ha lo scopo di impedire la

disposizione dei beni; eventuali atti di disposizione sono inefficaci ed hanno conseguenze penali sul debitore.

CAPITOLO 19

AUTONOMIA CONTRATTUALE

Il contratto: realtà e definizione

E’ l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale

(1321). Ogni operazione che compiamo ogni giorno, che abbia un contenuto patrimoniale, è un contratto

(comprare il giornale, andare al cinema….). Non è un contratto il matrimonio perché gli aspetti personali

sono prevalenti su quelli economici.

Ogni contratto è caratterizzato da dei requisiti essenziali che sono: accordo, oggetto, forma, causa (1325).

Funzione ed efficacia del contratto

Il contratto è lo strumento con cui si realizza l’autoregolazione degli interessi in campo patrimoniale: tutto

quanto avviene nel mercato avviene per contratto.

L’art. 1372 determina l’efficacia del contratto: il contratto ha forza di legge tra le parti. E quindi effetto del

contratto è di regolare (come una legge stabilita dalle parti) certi interessi patrimoniali e i rapporti giuridici

che li realizzano.

Le funzioni elementari si possono identificare in funzione/efficacia traslativa e obbligatoria. Nella

compravendita si ritrovano entrambe poiché trasferisce la proprietà delle cose e fa nascere obbligazioni a

carico del venditore e del compratore.

Il contratto come atto giuridico

Il contratto è un accordo. Si compone di manifestazione di volontà concordi (parole, gesti, comportamenti).

L’accordo non è l’incontro di due interne volontà, ma la convergenza di dichiarazioni o manifestazioni di

volontà.

L’elemento dell’accordo fa de contratto un atto giuridico bi/plurilaterale e si distingue quindi dagli atti

unilaterali come procura, disdetta, diffida, rinuncia e voto. La distinzione si fa in base alle parti (come centri

d’interesse) e non alle persone.

Il principio di buona fede

Nelle trattative e nella formazione dell’accordo le parti sono tenute a comportarsi secondo buona fede

(1337). E’ un dovere di correttezza che la legge impone, in particolare la legge prevede un dovere reciproco

di informazione con riguardo ad eventuali vizi del contratto (1338).

La condotta di mala fede di per sé non incide sulla validità del contratto, è però fonte di responsabilità per i

danni eventualmente cagionati all’altra parte, che abbia confidato nella validità del contratto (responsabilità

precontrattuale).

La buona fede è anche il criterio fondamentale per l’interpretazione del contratto (1366), per stabilire il

significato delle manifestazioni di volontà che formano l’accordo contrattuale. Le dichiarazioni vanno intese

così come le intenderebbe una persona onesta e leale.

Buona fede è richiesta anche in fase di esecuzione del contratto (1375).

Autonomia contrattuale e suoi limiti

Autonomia contrattuale è una traduzione in linguaggio giuridico di liberalismo economico. Questo principio

vuole che lo stato non intervenga a dettare autoritariamente gli obiettivi dell’attività economica (libertà dei

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fini). In realtà ci sono delle limitazioni alla libertà in questo senso, con lo scopo di garantire interessi generali

o collettivi.

L’art. 41 della costituzione tutela la libertà di iniziativa economica, ma dispone che essa non possa svolgersi

in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

Prevalgono poi sull’autonomia contrattuale interessi come lo sviluppo ordinato delle aree urbane, la sanità, i

trasporti, l’utilizzazione appropriata delle fonti di energia, la protezione di settori produttivi…

Il libero mercato in senso assoluto non è possibile e quindi ecco le norme a limitare la concentrazione delle

imprese, a vigilare sui comportamenti (antitrust) ecc.. E’ un dato di fatto poi la tutela delle parti più deboli,

come il prestatore di lavoro o il consumatore. In definitiva sono tutte limiti all’autonomia contrattuale,

positivi o negativi che siano.

La libertà di contrarre

Aspetto essenziale dell’autonomia è la libertà di concludere o non concludere un contratto. Ci sono però

delle eccezioni in cui una persona è obbligata a contrarre o per determinazione di legge o per un vincolo

assunto in base ad un precedente contratto. La prima ipotesi si verifica per le imprese che esercitano l’attività

in regime di monopolio legale, o per le imprese di trasporto pubblico. Il contratto preliminare invece

costituisce la seconda ipotesi: le due parti si obbligano a concludere un contratto definitivo.

Nel caso di rifiuto di una delle parti, il giudice può emettere una sentenza costitutiva che produce gli effetti

del contratto non concluso.

Violare il divieto di contrarre invece ha come conseguenza solo il risarcimento del danno.

CAPITOLO 20

GLI ELEMENTI DEL CONTRATTO

La manifestazione della volontà contrattuale

La manifestazione di volontà può essere espressa o tacita.

Si ha manifestazione espressa quando la volontà è dichiarata con parole (per iscritto o oralmente) o con

gesti (alzare la mano ad un’asta).

Si ha manifestazione tacita quando non si impiegano segnali che abbiano lo scopo di comunicare la volontà,

ma ci si comporta in un modo che implica la volontà di contrarre (al supermercato mettere le cose nel

carrello ed andare alla cassa significa che voglio comprare; se salgo su un treno intendo accettare l’offerta di

trasporto). La manifestazione tacita richiede una condotta che secondo i comuni criteri di interpretazione (o

per previsione legislativa) possa essere intesa come segno di consenso. Non va quindi confusa con il puro

silenzio.

La conclusione del contratto

Il legislatore usa questo schema per lo studio del contratto. Accordo come scambio di due dichiarazioni di

volontà:

- proposta: dichiarazione con cui la parte che assume l’iniziativa offre all’altra la conclusione

del contratto

- accettazione: dichiarazione con cui la parte che riceve la proposta dà il suo consenso al

contratto così come risulta l’offerta

La proposta deve contenere tutti gli elementi essenziali del contratto, altrimenti si tratta solo di un invito a

proporre (come se vedo un’auto con cartello vendesi, senza specificato il prezzo. E’ un invito a proporre).

L’accettazione deve corrispondere esattamente alla proposta, altrimenti si parla di controproposta.

A volte l’accordo risulta da una dichiarazione congiunta o contestuale e non è possibile distinguere tra chi

prende l’iniziativa e chi accetta.

L’art. 1326 stabilisce il momento della conclusione: il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto

la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte.

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Ne deriva il principio di cognizione per il quale un atto diretto ad una persona determinata ha effetto nel

momento in cui quest’ultima ne ha conoscenza (1335). Sono in realtà accolti altri principi come il principio

della spedizione (il contratto è concluso quando l’accettazione è spedita).

Lo schema studiato è valido per i contratti consensuali, che si concludono con il solo consenso. Vi sono poi

contratti che si concludono solo con la consegna della cosa a cui il contratto si riferisce (contratti reali,

mutuo, comodato, deposito, pegno). Il consenso delle parti è necessario ma non sufficiente.

Nel diritto il silenzio non vale l’accettazione: non è vero che chi tace acconsente.

Nel caso in cui una parte proponga all’altra un contratto che prevede obbligazioni solo per il proponente, non

è necessaria l’accettazione a concludere il contratto (offerta di fideiussione). Il contratto si conclude se la

parte che ha ricevuto la proposta non rifiuta entro i termini stabiliti nel contratto (1328)

La proposta può essere irrevocabile, per volontà stessa del proponente. In questo modo anche in caso di

morte o sopravvenuta incapacità del proponente l’efficacia della proposta non viene meno (a parte i casi di

contratti di lavoro, d’opera, di mandato ecc…). In caso di morte il contratto si concluderebbe vincolando gli

eredi.

Trattative e responsabilità precontrattuale

L’art. 1337 impone alle parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, il dovere di

comportarsi secondo buona fede, cioè con correttezza e lealtà reciproca. La violazione di questi obblighi

costituisce un illecito le cui conseguenze – risarcimento del danno – sono indicate come responsabilità

precontrattuale. Un danno causato da una parte in mala fede può riguardare il mancato guadagno per le

occasioni perdute, le spese sostenute per viaggi, stime, studi di fattibilità ecc….

Contratto preliminare

Con il contratto preliminare le parti assumono l’obbligo l’una verso l’altra di stipulare entro un dato termine

un contratto definitivo. In questo modo si assicurano che l’affare sia in porto anche se in realtà non erano

pronti a concludere il contratto.

Per la compravendita di immobili spesso si fa uso di un preliminare improprio (compromesso): è una

scrittura privata del contratto già concluso tra le parti, che non ha però la forma per essere trascritto. E’

quindi una promessa a riprodurlo di fronte ad un notaio.

Un contratto preliminare è nullo se non è nella stessa forma in cui sarà poi il contratto definitivo (1351). Se

una delle parti si rifiuta di stipulare il contratto definitivo, l’altra può richiedere una sentenza che produca gli

effetti del contratto non concluso (2932, esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre). E’ una sentenza

costitutiva.

Da ricordare la differenza tra contratto preliminare e contratto normativo, il quale non obbliga le parti a

contrarre, ma ad inserire nei futuri contratti che si trovino a stipulare determinate clausole.

Contratti di serie e contratti del consumatore

La realtà quotidiana è piena dei c.d. contratti standard, con lo scopo di velocizzare le transazioni e dare

uniformità alla massa di rapporti contrattuali. Il codice civile chiama condizioni generali di contratto le

clausole che caratterizzano questi contratti. La norma (1341) prevede che queste clausole abbiano efficacia

se l’altra parte ne è a conoscenza o se avrebbe potuto conoscerle con ordinaria diligenza. Sarà quindi

sufficiente esporre uno stampato in un luogo dove il cliente possa trovarlo.

Per alcune clausole che stabiliscono particolari oneri per il cliente (dette vessatorie) si prevede che non

abbiano effetto se non sono state specificatamente approvate per iscritto.

Se le norme non sono chiare si devono interpretare nel senso più favorevole all’altra parte (1370).

Nessuna clausola può ritenersi vessatoria se è stata oggetto di trattativa individuale. (1469!)

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La causa del contratto. I motivi

Per causa si intende la funzione giuridica del contratto. La causa deve essere lecita ed è un elemento

essenziale del contratto (1325). Un contratto dove manchi la causa è nullo: è nullo infatti un contratto di

assicurazione se il rischio non è mai esistito (assicuro contro l’incendio una casa appena distrutta da un

terremoto).

La causa è quindi la funzione costante tipica del contratto; il motivo è invece la ragione individuale

soggettiva che spinge la parte ad usare quel preciso schema contrattuale. Ad esempio la funzione del

contratto di compravendita è chiara, il motivo per cui l’acquirente decide di comprare e il proprietario di

vendere sono soggettivi. I motivi non influiscono sulla validità ed efficacia del contratto.

Classificazione dei contratti in base alla causa

Contratti unilaterali: le prestazioni sono a carico di una sola parte e sono soggetti a regole particolari (ad

es. 1333).

Contratti a prestazioni corrispettive: (vendita, locazione, appalto ecc…) la causa sta nella funzione di

scambio tra due prestazioni, che si giustificano quindi l’una con l’altra. Questo rapporto di reciprocità è detto

sinallagma, da qui contratti sinallagmatici. Può capitare che il sinallagma manchi fin dall’origine, si parla

allora di difetto genetico della causa (una persona che acquista un bene che aveva già acquistato ad altro

titolo). Se il rapporto tra le prestazioni si altera in un momento successivo si parla di difetto funzionale della

causa. Esistono poi contratti di collaborazione (società) che non possono dirsi a prestazioni corrispettive.

Tra i contratti sinallagmatici si distinguono:

- contratti aleatori: una parte è gravata da una prestazione mentre l’altra rimane incerta se

una prestazione dovrà o meno essere eseguita; lo scambio è caratterizzato da un rischio o

alea (scommesse autorizzate, lotterie e giochi autorizzati, vendita di cosa futura ecc…)

- contratti commutativi: lo scambio ra prestazioni è previsto sulla base di un rapporto di

corrispettività economica

Un’altra distinzione è:

- contratti a titolo oneroso: ciascuna parte, mentre ricava un vantaggio dal contratto,

sopporta anche un sacrificio

- contratti a titolo gratuito: il sacrificio è di una sola parte, mentre l’altra riceve solo un

vantaggio (prestito gratuito di cose, comodato, deposito gratuito)

L’oggetto

Il codice non ne dà una definizione, ma dà i requisiti: deve essere possibile, lecito, determinato o

determinabile (1346). Per questi requisiti ci si può riferire alla prestazione come all’intera operazione, cioè il

contenuto complessivo del contratto.

Possibile: possibilità della prestazione (trasferire proprietà di cose inesistenti…). Il contratto può avere ad

oggetto l’alienazione di cose future o a cessione di diritti futuri, salvo particolari casi vietati dalla legge

(1348). Il trasferimento di proprietà si verifica automaticamente quando la cosa viene ad esistenza (1472).

Lecito: non contrario alle norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume.

Determinato o determinabile: dovrà essere definita la prestazione dedotta in obbligazione (contratti

obbligatori), dovrà essere identificata la cosa (contratti traslativi) e se generica il numero, misura, quantità

(qualità, 1178). Se l’oggetto non è determinato è sufficiente che sia almeno determinabile, con vari criteri di

volta in volta più idonei (1474)

La forma

Nessun contratto può essere privo di forma, in questo caso si dà alla parola un senso ampio: quindi anche un

comportamento conclusivo, la parola o dei segni rappresentano forma. La forma dei contratti è di regola

libera. Questo potrebbe sembrare contrario alla certezza ei rapporti giuridici e fonte di litigiosità, ma è la

chiave per la velocità di circolazione nel c.d. traffico contrattuale.

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L’art. 1350 prevede comunque forme determinate per specifici casi: gli atti che hanno ad oggetto diritti reali

o diritti reali di godimento ultraventennali su beni immobili richiedono la forma scritta; donazione,

costituzione di società di capitali e convenzioni matrimoniali richiedono l’atto pubblico.

In altri casi la forma scritta non è richiesta a pena di nullità, ma solo per la prova in giudizio. E’ il caso

dell’assicurazione e della transazione (1967). Il contratto non può essere provato né per testimoni né per

presunzione. Il contratto è comunque valido e la parte interessata a farlo valere potrebbe deferire all’altra il

giuramento.

Da non confondere poi la forma richiesta per la validità del contratto e per la trascrizione nei registri

immobiliari (atto pubblico, scrittura privata autenticata o giudizialmente verificata).

Forma scritta e strumenti informatici

Il documento informatico è la rappresentazione informatica di atti, fatti, o dati giuridicamente rilevanti. Il

documento da chiunque formato, la registrazione su supporto informatico e la trasmissione con strumenti

telematici sono validi e rilevano a tutti gli effetti di legge (equiparazione del documento informatico al

documento materiale).

Il documento informatico sottoscritto con firma elettronica è equiparabile alla scrittura privata, poiché

soddisfa il requisito legale della forma scritta.

Il documento informatico sottoscritto con firma digitale è equiparabile alla scrittura privata autenticata, e fa

piena prova fino a querela di falso della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritto.

Gli elementi accidentali. Condizione, termine, onere

Si accosta agli elementi essenziali del contratto gli elementi accidentali: condizione, termine, modus o

onere. Sono in realtà clausole contrattuali e fanno parte del contenuto dell’accordo se espressamente

richieste dalle parti.

Con la condizione (1353) le parti possono subordinare l’efficacia o la risoluzione del contratto o di un

singolo patto a un avvenimento futuro e incerto. Si distinguono quindi la condizione sospensiva (sospende

gli effetti del contratto sino a che non si verifica l’avvenimento) e la condizione risolutiva (quando si

verifica l’avvenimento il contratto si scioglie). Inserendo clausole di questo tipo un soggetto può far

diventare rilevante il suo motivo personale, che come sappiamo altrimenti non avrebbe influenza.

Gli effetti della condizione retroagiscono di regola al momento della conclusione del contratto (1360). Se

vendo una casa con clausola sospensiva, nel momento in cui si verifica la condizione la proprietà passa

all’acquirente e si considera proprietario dal momento della stipula del contratto. La legge chiama il periodo

di incertezza pendenza della condizione (1356). E’ una situazione di aspettativa che la legge tutela,

riconoscendo a queste parti il potere di compiere atti conservativi della cosa. Inoltre chi ha alienato sotto

condizione sospensiva o chi ha acquistato sotto condizione risolutiva è tenuto a comportarsi secondo buona

fede per non pregiudicare le ragioni dell’altra parte. Se l’evento previsto non si verifica per causa imputabile

a quella parte che avesse interesse ad evitarne gli effetti, la condizione si considera avverata (1359).

La condizione impossibile rende il contratto nullo se sospensiva, se risolutiva si considera come mai apposta

(1354). La condizione illecita rende il contratto nullo in entrambe le situazioni.

Se la condizione non dipende dalla volontà delle parti, ma dal caso o dalla volontà di terzi, si dice causale.

La condizione è invece mista se a realizzare l’evento concorrono sia la volontà delle parti che il caso (o un

terzo). Se la condizione dipende dalla volontà di una parte sola si dice potestativa, poiché attribuisce a

questa parte il potere di influire sugli effetti del contratto (se mi trasferisco a Roma, se cambio lavoro ecc…)

Non deve però trattarsi di puro arbitrio (se mi piace, se vorrò, se mi parrà opportuno… 1355). Si parla di

condizione legale quando è la legge ad imporre una condizione ed a subordinarne l’efficacia.

Il termine è la clausola con la quale si fissa nel tempo l’inizio o la cessazione degli effetti del contratto. Il

termine può essere quindi iniziale o finale e può riguardare nel complesso tutti gli effetti o solo una parte. La

scadenza del termine non ha efficacia retroattiva. Il periodo di pendenza si tratta di attesa di un evento certo.

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L’onere è un obbligo imposto al beneficiario di un contratto di donazione modale. Il beneficiario è tenuto ad

adempierlo nei limiti del valore della cosa donata. L’atto di donazione può prevedere la risoluzione in caso di

inadempimento (793). L’onere impossibile o illecito si considera non apposto.

CAPITOLO 21

L’EFFICACIA DEL CONTRATTO

Il contratto ha forza di legge fra le parti (1372)

Vincolo e recesso

Le parti non possono sciogliersi con decisione unilaterale dagli impegni derivanti dal contratto. Può però

essere attribuito dalla legge o dal contratto un diritto di recesso. E’ un diritto potestativo il cui esercizio

provoca lo scioglimento del vincolo contrattuale. Ne sono esempi la revoca del mandato da parte del

mandante o la rinuncia del mandatario. La facoltà di recedere può richiedere l’esistenza di gravi motivi o di

giusta causa (come per il licenziamento).

Il recesso si deve esercitare prima che il contratto abbia avuto un principio di esecuzione (1373), tranne che

per i contratti di durata, cioè ad esecuzione periodica e continuata (fornitura di elettricità, gas, accesso ad

internet, lavoro subordinato…) In questi casi il mancato esercizio del diritto di recesso può costituire

rinnovazione tacita del contratto.

Il recesso può essere collegato ad un corrispettivo, in tal caso il recesso ha effetto solo con il pagamento di

una data somma di denaro da parte del recedente.

In caso di caparra se chi recede è chi ha versato la caparra la perde (caparra penitenziale); se chi recede è

chi ha ricevuto la caparra deve restituirne il doppio. (1386).

La facoltà di recesso riconosciuta al consumatore è un diritto potestativo il cui esercizio non è subordinato ad

alcuna giustificazione. Uniche limitazioni a tutela del commerciante sono la comunicazione entro 7/10 giorni

lavorativi e l’integrità della merce restituita.

Diversi tipi di efficacia

L’art. 1376 definisce i contratti traslativi come quei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della

proprietà di una cosa determinata, la costituzione o il trasferimento di un diritto reale o il trasferimento di

un altro diritto. Sono detti anche ad efficacia reale.

Secondo il principio consensualistico il diritto si trasmette e si acquista per effetto del consenso delle parti

legittimamente manifestato.

Si distinguono contratti ad efficacia istantanea (compravendita, donazione) e contratti di durata, i cui

effetti si prolungano nel tempo o perché l’esecuzione è differita (vendita a termine) o perché l’esecuzione è

continuata (contratto di lavoro) o periodica.

L’interpretazione del contratto

Per determinare gli effetti del contratto è necessario valutare il contenuto dell’accordo. Il contenuto

dell’accordo si determina anzitutto attraverso l’interpretazione del contratto, ovvero attribuire un significato

(1362-1371). Nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e

non limitarsi al senso letterale delle parole (1362). La regola base è che il contratto deve essere interpretato

secondo buona fede (1366). Non si deve dare inoltre peso eccessivo alle parole ma valutarle nel contesto.

Se nonostante tutto alcune clausole del contratto rimangono dubbie si cercherà di attribuirgli un significato

tra quelli possibili, secondo un criterio di buona fede. Così si attribuirà un significato che ha qualche effetto

piuttosto che un significato che non dà effetti; si considerano gli usi interpretativi del luogo; si attribuisce il

significato meno favorevole ha chi ha predisposto la clausola; oppure infine si sceglie il significato che

realizza un equo contemperamento degli interessi delle due parti.

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Se compiuta l’interpretazione le due manifestazioni non convergono in un accordo, il consenso non si è

formato. A questo punto si può procedere con l’accertamento della conclusione del contratto.

Integrazione del contratto

Si definisce come integrazione del contratto quel procedimento che, sulla base dell’accordo manifestato dalle

parti, ne completa il contenuto o ne determina compiutamente gli effetti. Si può avere integrazione

dispositiva (cioè se parti non hanno stipulato diversamente) e integrazione imperativa (si applica anche

contro una diversa stipulazione delle parti). L’art 1340 è un esempio di integrazione dispositiva poiché

considera inserite nel contratto le clausole d’uso a me che siano non volute dalle parti. E’ imperativa invece

quella dell’art. 1339 che prevede che le clausole o i prezzi di beni e servizi, imposti dalle legge siano inseriti

di diritto nel contratto, anche in sostituzione di clausole difformi (clausole che stabiliscono durata del

contratto di locazione inferiore a quella minima sono nulle e sostituite di diritto con quelle imposte).

Inoltre gli effetti del contratto non si limitano a quanto pattuito tra le parti, ma si estendono anche a tutte le

conseguenze che ne derivano secondo la legge, gli usi, l’equità (come nell’ordine). Le norme inderogabili

(1339) sono fonte di integrazione anche contro la volontà delle parti (non solo contro il silenzio); non hanno

questa forza le norme dispositive, che sono pure fonte di integrazione.

L’integrazione nei contratti innominati (atipici) avviene per analogia con casi simili; in mancanza di

analogie il giudice terrà conto degli usi e infine all’equità.

Anche il criterio di buona fede è uno strumento di integrazione del contratto (1375).

Efficacia del contratto rispetto a terzi

Il contratto non produce effetti rispetto ai terzi se non nei casi previsti dalla legge (1372). Principio di

relatività degli effetti del contratto. Il senso è che il contratto non può produrre effetti diretti nella sfera

giuridica dei terzi. Ma indirettamente anche i terzi vengono coinvolti.

Una eccezione al principio di relatività si profila nel contratto a favore di terzi (1411 e ss.). E’ il contratto

con cui una parte, promettente, si obbliga nei confronti dell’altra, stipulante, a eseguire una prestazione a

favore di un terzo (contratto di assicurazione sulla vita, stipulata dall’assicurato e in caso di sua morte la

prestazione è a favore di un familiare).

Cessione del contratto e subcontratto

La cessione di contratto consiste a sua volta in un contratto tra un cedente e un cessionario. E’ un rapporto a

prestazioni corrispettive che richiede il consenso dell’altra parte, del contraente ceduto (1406).

Si parla di subcontratto quando non si ha una sostituzione nel primo contratto, ma si costituisce una nuova

situazione, derivata da quella esistente, tra una delle parti ed un terzo (subappalto, subaffitto) Occorre

stabilire se il contratto originario permetta tale operazione o se sia necessario il consenso dell’altra parte.

La rappresentanza. La procura

Il rappresentante, usando del suo potere di sostituirsi al rappresentato, manifesta una volontà e forma un

accordo che produce effetti nella sfera giuridica di quest’ultimo (che non è un terzo, ma parte sostanziale del

contratto). Ecco perché rappresentanza (e procura che ne è strumento) sono disciplinati nel Capo dedicato

agli effetti del contratto.

La procura è un atto unilaterale rivolto ai terzi, costitutivo del potere di rappresentanza. L’art. 1392

stabilisce che la forma richiesta è quella prescritta per l’atto che il rappresentante dovrà compiere.

La capacità d’agire richiesta per l’atto deve essere del rappresentato, parte sostanziale. La parte formale è il

rappresentante che deve manifestare volontà di contrarre e deve essere capace di intendere e di volere in

misura proporzionata alla natura e all’entità dell’atto (1389). La parte formale risponde di eventuali errori o

comportamenti di male fede nella stipulazione del contratto, a meno che non si limitasse a trasmettere la

volontà altrui (nuncio, messo, 1391).

Il rappresentante può agire solo nei limiti della procura e nell’interesse del rappresentato. Se il rappresentante

eccede i limiti della procura o ne è del tutto sprovvisto (falso procuratore, 1398) siamo nel caso di eccesso

dal potere dove solo la ratifica può determinare l’efficacia del contratto nei confronti del rappresentato.

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Ratifica che può essere espressa (dichiarazione che abbia la forma della procura) o tacita (semplice

esecuzione del contratto). Per mancanza di ratifica il contratto è inefficace e il rappresentante deve

rispondere della sua responsabilità precontrattuale, dovendo risarcire i danni all’altra parte.

La procura è revocabile ma la revoca va portata a conoscenza dei terzi con mezzi idonei.

Simulazione del contratto

E’ il caso in cui le parti, nel concludere il contratto, siano d’accordo per escludere che esso abbia a produrre

effetti tra di loro: intendono far apparire che un contratto è stato da loro concluso, ma non intendono che

regoli effettivamente il loro rapporto (1414 e ss.)

La simulazione richiede la stipulazione di un contratto e un accordo in base al quale quel contratto è solo

apparente (accordo simulatorio). Inoltre si può stipulare un secondo accordo a concludere un contratto vero

che le parti vogliono mantenere nascosto (contratto dissimulato) dietro lo schermo di quello apparente. In

questi casi si parla di simulazione relativa (simulazione assoluta dove non c’è un contratto dissimulato).

Se lo scopo non è lecito la simulazione è fraudolenta; se il contratto dissimulato è in sé lecito è nullo.

Uso indiretto e fiducia

L’uso indiretto del contratto si propone che certi risultati vengano raggiunti indirettamente, cioè usando un

contratto con uno schema causale diverso, che consente però di raggiungere per via traversa il risultato

voluto o un risultato equivalente (donazione indiretta mediante vendita a prezzo simbolico). L’uso indiretto

non è simulazione poiché le parti non si accordano per concludere in apparenza un contratto destinato a non

aver effetto.

Un caso di uso indiretto del contratto è la fiducia: un contratto che ha l’effetto di trasferire la proprietà viene

accompagnato da un patto con cui si impone all’acquirente di conservare il bene per restituirlo all’alienante o

ad altra persona. Uno scopo potrebbe essere quello di mutuo a garanzia reale: gli vendo l’immobile e quando

gli restituisco i soldi mi rende l’immobile. Questo patto è al limite dell’illiceità perché come sappiamo i patti

commissori sono vietati.

CAPITOLO 22

VALIDITA’ E INVALIDITA’ DEL CONTRATTO

Le vicende del vincolo contrattuale

Il contratto crea un vincolo che lega le parti fintanto che il regolamento contrattuale ha per loro forza di

legge. Il vincolo contrattuale può tuttavia:

- non formarsi perché manca uno dei requisiti essenziali del contratto

- formarsi in modo fragile, perché i requisiti del contratto sono presenti ma difettosi

- formarsi ma rompersi successivamente per fatti sopravvenuti

Nei primi due casi si parla di invalidità del contratto poiché il vincolo viene meno per un difetto originario

del contratto, nel terzo caso si parla di scioglimento.

Un contratto è valido se:

- si è formato in modo conforme a quanto prescrive la legge (con requisiti e senza difetti)

- è idoneo a produrre effetti (stabili e resistenti)

Un contratto è invalido se:

- si è formato in modo difforme rispetto a quanto prescrive la legge

- è inidoneo a produrre effetti (nullo) o non è idoneo a produrre effetti stabili (annullabile)

Quindi un contratto invalido può essere efficace (il contratto annullabile finché non viene annullato) e un

contratto valido può essere inefficace (perché sottoposto a termine o a condizione).

Lo scioglimento del vincolo contrattuale fa venir meno gli effetti del contratto e può avvenire per:

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- concorde volontà fra le parti

- recesso di una delle parti nei casi stabiliti dalla legge o previsti dal contratto

- risoluzione del contratto (1453, per inadempimento, onerosità eccessiva sopravvenuta,

impossibilità sopravvenuta)

Nullità e annullabilità

Si parla di nullità quando il legislatore valuta il contratto come assolutamente inidoneo a produrre effetti.

Dispone quindi che non produca alcun effetto sin dall’origine e che questa inidoneità non abbia rimedio,

poiché radicata.

Si parla di annullabilità quando si ritiene opportuno disporre che il contratto produca effetti, ma viene dato a

una delle parti il potere di far annullare il contratto e i suoi effetti. La situazione è perciò sanabile per volontà

della parte che ha il potere di far cadere il contratto, anche se gli effetti prodotti sono fragili.

Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente (1418).

Più precisamente la nullità consegue a:

- mancanza di uno dei requisiti essenziali

- illiceità del contratto (illiceità della causa, dell’oggetto, del motivo -1345-, della condizione)

- altri casi stabiliti dalla legge

La nullità non ha bisogno di essere stabilita di volta in volta, poiché ha un fondamento generale e si produce

ogni volta che tale situazione si realizza.

Il codice prevede singole e tassative cause di annullamento (1425 e ss.)

I principali casi di nullità

Come già detto la mancanza di un elemento essenziale porta alla nullità del contratto.

Accordo: può mancare l’accordo, dal punto di vista dei soggetti, o perché un soggetto manchi del tutto o

quando uno dei contraenti difetti di capacità giuridica. Dal punto di vista delle volontà manca l’accordo se

manca una dichiarazione di volontà attendibile (contratto concluso per scherzo o stipulato per effetto di

violenza). Da non confondere la mancanza di accordo come causa di nullità dalla mancanza radicale che non

porta nemmeno alla conclusione del contratto (dissenso palese).

Causa: ad esempio assicurazione contro rischio inesistente (1895)

Oggetto: mancanza, oggetto impossibile o inesistente

Forma: solo se è richiesta per la validità dell’atto (1350) e non solo per la prova (1967)

Il contratto è illecito quando è illecito uno dei suoi elementi essenziali (causa, oggetto) oppure quando sono

illeciti il motivo comune ad entrambe le parti o la condizione. Illecito significa contrario alle norme

imperative, all’ordine pubblico o al buon costume. Ha carattere imperativo la norma che è inderogabile

dall’autonomia privata perché è posta a tutela dell’interesse pubblico, in prima fila le norme costituzionali.

Per ordine pubblico si intendono i principi non espressamente citati nelle norme (altrimenti sarebbero

norme imperative), ma che si ricavano da tutto il sistema e non possono essere derogati dalla volontà privata.

Per buon costume si intendono i valori della moralità corrente. Quanto al motivo la norma dell’art. 1345

dispone che un contratto è illecito se le parti sono determinate a concluderlo esclusivamente per un motivo

illecito comune ad entrambe.

L’art. 1344 estende l’illiceità della causa anche a quei contratti che costituiscono mezzo per eludere

l’applicazione di una norma imperativa. Le parti si accordano in modo da raggiungere risultati pratici

equivalenti a situazioni espressamente vietate dalla legge (vendita con patto di riscatto per eludere il divieto

di patto commissorio, 2744). Si parla in questi casi di frode alla legge.

Le cause di annullamento. L’incapacità

L’art. 1425 prevede l’annullabilità del contratto per incapacità legale di una delle parti. E quindi si intende

il minore, l’interdetto nonché l’inabilitato e il minore emancipato per gli atti di straordinaria amministrazione

compiuti senza l’assistenza del curatore. La capacità di fatto non ha quindi rilevanza.

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Lo stesso articolo prevede l’annullabilità per incapacità di intendere e di volere (naturale), rinviando

all’art. 428 il quale prevede che un atto giuridico sia annullabile quando sussistano due presupposti:

- l’autore dell’atto sia stato, per qualunque causa anche transitoria, incapace di intendere o di

volere al momento della conclusione del contratto

- dall’atto derivi un grave pregiudizio per l’incapace, il che può risultare dalla malafede

dell’altro contraente.

Nel caso di incapacità naturale di una parte e buonafede dell’altro contraente viene tutelata la posizione di

quest’ultimo, quindi il contratto non si considera annullabile; nel caso di incapacità legale il contratto viene

considerato annullabile perché l’ignoranza dell’altro contraente non è giustificabile.

L’art. 1426 dispone che un contratto concluso da un minore che si faccia credere maggiorenne non è

annullabile; norma a protezione dell’altra parte anche perché il minore dimostra di essere sufficientemente

furbo da poter contrarre.

I vizi del consenso

L’art. 1427 parla di consenso dato per errore, estorto con violenza o carpito con dolo. La parte si trova legata

a un contratto al quale non avrebbe consentito se non si fosse verificato un suo errore, o l’altrui violenza, o

il dolo della controparte.

L’errore viene inteso come falsa rappresentazione della realtà. Ci sono due diversi tipi di errore:

- errore-vizio (che vizia la formazione della volontà) o errore-motivo (che determina a contrarre)

- errore ostativo, errore in cui si inciampa nella manifestazione della volontà (decido di offrire 120€

per un oggetto, ma la segretaria scrive 220€ per errore e io firmo la proposta senza accorgermene).

In casi c’è divergenza tra volontà e dichiarazione.

In entrambi i casi l’errore deve essere essenziale e riconoscibile dall’altro contraente.

L’errore essenziale è un concetto che implica due elementi:

- che l’errore sia determinante per il consenso

- che riguardi certe circostanze previste dall’art. 1429 che sono:

1. errore sulla natura (credo di comprare a rate, invece ricevo in locazione) o sull’oggetto (credo di

essere ingaggiato come attore, invece sono ingaggiato come modello) del contratto

2. errore sull’identità dell’oggetto della prestazione (credo di aver comprato l’appartamento visto con il

mediatore, invece è un altro) o sulla qualità dell’oggetto (olio di semi anziché extravergine). L’errore

di calcolo rende il contratto soggetto a rettifica, ma non annullabile (1430)

3. errore sull’identità o sulla qualità dell’altro contraente. Prevale per i contratti che si basano sulla

fiducia nella persona (mandato, società ecc..) e quindi l’errore di identità è rilevante. Come nel caso

in cui stipulo un pagamento a lunga scadenza, l’identità del debitore è rilevante, vista la sua

solvibilità.

4. errore di diritto che sia stato ragione unica o principale del contratto. L’ignoranza di una norma

giuridica mi permette di annullare un contratto, ma non di sottrarmi all’applicazione della legge.

In generale i motivi erronei per cui viene stipulato un contratto non sono rilevanti; questo è a tutela della

controparte che non è tenuta ad informarsi sulle particolari ragioni per cui il partner si è deciso al contratto.

L’errore si considera riconoscibile quando, in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto e alla

qualità dei contraenti, una persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo (1428, 1431).

L’annullabilità per errore non può essere richiesta dalla parte in errore se l’altra offre tempestivamente di

eseguirlo in modo conforme al contenuto e alle modalità del contratto che la prima intendeva concludere.

Per violenza morale si intende la minaccia portata dall’altra parte o anche da un terzo (1434) per estorcere il

consenso al contratto (1427). La minaccia deve avere alcune caratteristiche:

- deve essere tale da fare impressione ad una persona sensata (in base ad età, sesso, condizioni

della persona)

- deve riguardare un male ingiusto e notevole alla persona o ai beni del minacciato

E’ ingiusto quel male che lede un interesse giuridicamente protetto e che non trova giustificazione in una

norma giuridica. Non sono causa di annullamento del contratto timore personale (non indotto da minacce) e

timore reverenziale verso una persona (1437). Se però una parte si approfitta del timore dell’altra si ha

violazione del dovere di correttezza nelle trattative.

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Per dolo si intende il raggiro usato da uno dei contraenti per carpire il consenso, cioè indurre l’altra parte a

contrarre. Il dolo deve essere determinante, nel senso che senza i raggiri l’altra parte non avrebbe contratto;

se il raggiro ha solo indotto la parte ingannata a contrarre a condizioni diverse (dolo incidente) il contratto è

valido, il contraente in malafede risponde dei danni (1440).

Se l’autore dei raggiri è un terzo il contratto è annullabile solo se la controparte ne era a conoscenza e ne ha

tratto vantaggio.

Le azioni di nullità e annullamento

Di regola la nullità è assoluta, cioè può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, e può essere

rilevata d’ufficio (1421), mentre l’annullabilità è relativa e può essere fatta valere solo dalla parte nel cui

interesse è stabilita la legge (1441)

Nel caso di annullabilità, la parte che la può richiedere può fare richiesta di convalida del contratto con un

atto unilaterale. La convalida può essere tacita se viene eseguito volontariamente il contratto nonostante si

fosse a conoscenza del vizio. Per la nullità non è ammessa convalida perché il vizio è radicato e perché la

situazione supera l’interesse del singolo individuo.

E’ prevista la conversione di un contratto nullo in un altro contratto di cui abbia i requisiti per produrre

effetti (1424). Ci deve essere interesse delle parti in relazione allo scopo del nuovo contratto. Vi casi in cui è

la legge a disporre la conversione, come nel caso dei contratti di mezzadria che non possono essere rinnovati,

ma vengono convertiti in contratti d’affitto.

L’azione di nullità non si prescrive, mentre l’azione di annullamento si prescrive in 5 anni a partire dalla

cessazione dell’incapacità legale, della violenza o dalla scoperta dell’errore o del dolo. Dopo questo periodo

gli effetti diventano definitivi.

Nel caso in cui solo alcune clausole sia affette da nullità si considera nullo tutto il contratto se risulta che i

contraenti non lo avrebbero concluso senza dette clausole (1419), a meno che le clausole nulle non siano

sostituite di diritto da norma imperative.

In un contratto plurilaterale se nullità o annullabilità colpiscono una parte può essere considerato nullo

l’intero contratto se questa parte è considerata essenziale; dipende quindi dalla situazione.

Il contratto iniquo. La rescissione

Per contratto iniquo si intende contratto ingiusto. Dal punto di vista dell’invalidità del contratto, l’iniquità

non ha grande rilievo poiché ogni soggetto capace di agire è considerato di per sé in grado di valutare i

propri interessi e di decidere in proposito. Il diritto privato non può essere troppo rigido nei confronti delle

iniquità altrimenti questo andrebbe a discapito del massiccio e veloce traffico contrattuale che caratterizza la

vita economica. Un limitato rimedio all’iniquità dello scambio è offerto dalla rescissione, solo nei casi in cui

vi sia il presupposto dell’approfittamento dello stato di pericolo o di bisogno in cui si trovi una delle parti.

E’ rescindibile il contratto con cui una parte abbia assunto obbligazioni a condizioni inique per la necessità,

nota alla controparte, di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona (1447) (il

padrone di una barca che chiede 5000€ per uscire in mare a salvare una persona che sta annegando). Lo stato

di pericolo è preesistente quindi si distingue dalla violenza, causa di annullamento.

E’ rescindibile anche il contratto concluso a condizioni inique per stato di bisogno di una parte, del quale

l’altra abbia approfittato per trarne vantaggio. Occorre che la lesione ecceda metà del valore che la

prestazione della parte danneggiata aveva al momento della conclusione del contratto (1448). Per stato di

bisogno si intendo a livello economico

Non è mai rescindibile per causa di lesione un contratto aleatorio.

L’azione di rescissione si prescrive nel breve termine di un anno; il convenuto può evitare la rescissione

offrendo di riportare il contratto a equità (1450).

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CAPITOLO 23

LO SCIOGLIMENTO DEL CONTRATTO

Lo scioglimento del contratto

Il contratto non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge (1372). Si parla

di scioglimento o risoluzione del contratto quando gli effetti del contratto vengono a cessare per cause che

non riguardano il titolo ma chi ineriscono allo svolgimento del rapporto contrattuale.

Il mutuo consenso non è altro che un altro accordo della parti di sciogliere il contratto.

Il contratto può contenere clausole che ne prevedono lo scioglimento come la condizione risolutiva o la

clausola risolutiva espressa (vedi par. successivo). Stessa funzione ha nei contratti di durata la clausola di

recessione per una delle parti. Casi di scioglimenti previsti dalla legge sono quelli in cui è previsto un potere

di recesso, o di revoca o rinuncia.

La risoluzione del contratto (1453 e ss.) è un modo di scioglimento che riguarda i contratti a prestazioni

corrispettive, ovvero di scambio in cui la prestazione di ciascun contraente ha causa nella prestazione

dell’altro. Sono tre i casi di risoluzione contemplati dal Capo XIV del Titolo II:

- inadempimento (1453 e ss.)

- impossibilità sopravvenuta (1463 e ss.)

- eccessiva onerosità (1467 e ss.)

Gli effetti dello scioglimento sono comuni alle tre ipotesi: lo risoluzione ha effetto retroattivo tra le parti, a

meno che il contratto non fosse ad esecuzione continuata o periodica (locazione). La risoluzione è in

opponibile ai terzi e quindi non pregiudica i diritti da loro acquistati (indipendentemente da buona o

malafede, titolo oneroso o gratuito, poiché il contratto è nato validamente).

Per quanto riguarda il contratto plurilaterale la formula è molto simile a quella dell’annullamento e della

nullità: il venir meno del rapporto verso uno dei contraenti non determina la risoluzione dell’intero contratto

salvo che la partecipazione mancata debba, secondo le circostanze, considerarsi essenziale (1459).

Risoluzione per inadempimento

Quando una delle parti è inadempiente l’altra parte può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione

del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno (1453). Quindi l’adempimento di una parte

attribuisce all’altra il diritto potestativo di risolvere il contratto.

Ma la reazione deve essere proporzionata ai fatti: il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una

delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra (1455). E’ richiesto quindi che il

rapporto sinallagmatico non sia più funzionale.

La scelta dell’adempimento è reversibile: anche dopo aver promosso il giudizio per la condanna dell’altra

parte, l’attore può richiedere la risoluzione. La risoluzione è invece irreversibile.

Clausola risolutiva espressa: i contraenti possono prevedere espressamente nel contratto che

l’inadempimento di una o più obbligazioni precisamente indicate sia causa di risoluzione. In tal caso la

risoluzione opera di diritto, senza la necessità di alcun procedimento.

Il diritto di determinare la risoluzione di può esercitare in due modi:

- con domanda giudiziale: chiedere al giudice di risolvere il contratto ed eventualmente condannare

l’altra parte a restituire la prestazione ricevuta, oltre al risarcimento del danno (1453)

- in via extragiudiziale: ottenere l’adempimento attraverso una diffida ad adempiere, cioè un atto

scritto con cui si intima la parte ad adempiere entro un termine, non inferiore ai 15 giorni, con

dichiarazione che scaduto il detto termine il contratto si considera risoluto.

In ogni caso la parte inadempiente dovrà risarcire il danno.

Clausola penale e caparra confirmatoria

Si ha clausola penale quando il contratto prevede che, se una certa prestazione non sarà adempiuta, la parte

inadempiente debba senz’altro pagare una certa somma (1382). E’ intesa quindi come una liquidazione

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anticipata del danno, tanto che il creditore non può pretendere un risarcimento maggiore. AL contempo il

debitore è protetto contro una penale eccessiva: il giudice può inoltre disporre una riduzione della penale.

La caparra confirmatoria è una somma di denaro o una quantità di cose fungibili che viene versata da una

parte all’altra alla conclusione del contratto, a conferma della serietà dell’impegno, e in acconto sul prezzo o

sulla prestazione pattuita (1385). Se chi ha versato la caparra non adempie, l’altra parte ha il diritto di

recedere dal contratto trattenendo la caparra. Se chi ha ricevuto la caparra non adempie, l’altra parte può

recedere esigendo il doppio della somma data in anticipo.

Risoluzione per impossibilità sopravvenuta

L’impossibilità sopravvenuta libera il debitore quando sia dovuta a un fatto a lui non imputabile (1256). In

un contratto a prestazioni corrispettive questo implica il venir meno di una delle prestazioni. Perciò questo

tipo di impossibilità provoca automaticamente la risoluzione del contratto, senza bisogno di alcuna azione.

La parte liberata per effetto dell’impossibilità non può più pretendere la prestazione dell’altra, e se l’ha già

ricevuta (prestazione non dovuta) dovrà restituirla, causa l’effetto retroattivo della risoluzione.

In caso di impossibilità parziale l’altra parte può decidere se chiedere una riduzione della prestazione da lui

dovuta o recedere dal contratto. Anche l’impossibilità temporanea può determinare lo scioglimento del

rapporto, poiché in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura della prestazione il creditore può non

essere più interessato a riceverla. Estinta l’obbligazione il contratto si scioglie.

Risoluzione per eccessiva onerosità

Il sinallagma in un rapporto si può alterare anche nel caso in cui, dopo la conclusione del contratto, una

prestazione diventa eccessivamente onerosa rispetto all’altra. La questione non si pone nei contratti ad

esecuzione immediata, ma nei contratti ad esecuzione differita oppure ad esecuzione periodica e

continuata (1467). La legge considera come causa di risoluzione solo l’onerosità indotta dal verificarsi da

avvenimenti straordinari e imprevedibili, poiché è rischio dei contraenti regolare i loro rapporti sulla base

degli accadimenti ordinari: la sopravvenuta onerosità deve superare quindi la normale alea del contratto.

La risoluzione per eccessiva onerosità è esclusa per i contratti aleatori.

La parte contro cui è domandata la risoluzione può offrire di modificare le condizioni del contratto secondo

equità (1467).

L’eccessiva onerosità in un contratto unilaterale non libera il debitore, ma gli dà il diritto di una riduzione

della prestazione tanto da ridurla ad equità.

CAPITOLO 24

I CONTRATTI DI ALIENAZIONE

La vendita

La vendita è il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un

altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo (1470). Le prestazioni essenziali sono da parte del venditore il

trasferimento del diritto (di proprietà, di credito, di brevetto ecc…) e da parte del compratore il pagamento

del prezzo.

La vendita è sempre destinata a produrre un effetto traslativo, ma non sempre questo effetto è immediato. Il

diritto si trasferisce al momento della conclusione del contratto, se la vendita ha per oggetto cose

determinate, diritti reali su cose altrui o altri diritti (principio consensualistico). L’effetto traslativo non è

immediato se riguarda cose determinate solo nel genere (1378): la proprietà si trasmette in questo caso solo

con l’individuazione.

Anche per vendita di cose future, vendita di cose altrui e vendita con riserva della proprietà l’efficacia reale

non è immediata: è per questo che il venditore, oltre alle normali obbligazioni, deve assumere l’obbligazione

di procurare al compratore l’acquisto della proprietà (vendita obbligatoria o a effetti obbligatori).

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Le obbligazioni del compratore sono di pagare il prezzo nel tempo e nel luogo fissati (1498), corrispondere

eventuali interessi se il prezzo non fosse immediatamente esigibile, e pagare le spese della vendita (se non

diversamente pattuito, 1475).

Il venditore è obbligato:

a) a consegnare la cosa al compratore (vendita ad effetti reali)

b) a fargli acquistare la proprietà della cosa o il diritto (vendita ad effetti obbligatori)

c) a garantire il compratore dall’evizione e dai vizi della cosa

L’obbligo di consegna si adempie trasferendo il possesso della cosa, in modo effettivo o simbolico. La

consegna deve comprendere pertinenze, accessori, frutti maturati dopo la vendita, titoli e documenti relativi

alla proprietà e all’uso della cosa (1477). L’obbligazione di consegnare una cosa determinata include quella

di custodirla fino alla consegna (1177).

Vendita di cosa futura è ad esempio la vendita di un appartamento in un edificio da costruire; la proprietà

passa solo nel momento in cui la cosa viene ad esistenza (1472): il venditore è obbligato a fare quanto

necessario perché la cosa venga ad esistenza. La vendita può avvenire con carattere aleatorio e quindi il

compratore corre il rischio che la cosa non venga ad esistenza, dovendo comunque pagare il prezzo, o con

carattere commutativo dove se la cosa non viene ad esistenza il contratto è inefficace.

Si ha vendita di cosa altrui (1478 e ss.) se una persona vende una cosa di cui non è proprietario. Ha la

funzione di favorire la circolazione dei beni perché consente di anticipare la vendita procurare il capitale

necessario ad acquistare. E’ la prassi nei commerci imprenditoriali (vendita su commessa). Il contratto

produce effetti obbligatori immediati, tra questi l’obbligo per il venditore di procurare l’acquisto della

proprietà.

Se il compratore era a conoscenza dell’altruità della cosa, la vendita di cosa altrui si regola come un comune

contratto obbligatorio; se il compratore ignorava la situazione può richiedere la risoluzione del contratto

senza aspettare l’inadempimento, perché ha comperato senza saperlo da chi non era proprietario (1479)

Si ha evizione quando un terzo fa valere un diritto di proprietà o un altro diritto reale sulla cosa venduta e,

vincendo, sottrae la cosa al compratore o ne limita il godimento. L’evizione si realizza per effetto di

un’azione di rivendicazione del terzo contro il compratore (che ne abbia il possesso) o per un’azione

confessoria. Se al tempo della vendita il compratore ignorava il pericolo di rivendica, è autorizzato a

sospendere il pagamento del prezzo (1481). Se il compratore subisce l’evizione totale, il venditore è tenuto a

risarcirlo del danno (1483,1479). Se la cosa è parzialmente evitta (1484) il contratto si risolve o il prezzo si

riduce.

La garanzia per evizione è un effetto naturale del contratto di compravendita e si applica anche se le parti

non lo prevedono (i contraenti sono liberi di escluderla). La garanzia non è prevista per i contratti aleatori.

La garanzia per i vizi della cosa venduta protegge il compratore contro i vizi materiali della cosa, che la

rendano inidonea all’uso cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore (1490). La

garanzia riguarda vizi occulti (che il compratore non poteva facilmente conoscere) e vizi conoscibili (se il

venditore ha dichiarato la cosa esente da vizi). Anche la garanzia per vizi è un effetto naturale.

L’effetto della garanzia è quello di consentire al compratore la scelta fra la risoluzione del contratto o la

riduzione del prezzo. In ogni caso il compratore ha diritto al risarcimento dei danno derivati dai vizi, se il

venditore non prova di aver ignorato senza colpa i vizi della cosa.

Il compratore decade dal diritto se non denunzia i vizi al venditore entro 8 giorni dalla scoperta: fatta la

denuncia c’è un anno di tempo dalla consegna per esercitare il diritto (1495).

Nel caso di mancanza di qualità promesse ovvero essenziali per l’uso cui la cosa è destinata il compratore

può richiedere la risoluzione del contratto e/o il risarcimento del danno.

La disciplina dettata dagli art. 1490 e ss. (valida per i professionisti) viene meno nel caso di contratti

conclusi dal consumatore (inteso come persona fisica, destinatario finale dell’attività produttiva di beni e

servizi), che sono regolati dagli art. 1519 bis-nonies, riguardo vendita e garanzia di beni di consumo. Per

bene di consumo si intende qualsiasi bene mobile anche da assemblare.

Nel caso il consumatore rilevi un difetto di conformità al momento della consegna del bene (che non è detto

coincida con quello del trasferimento di proprietà) potrà in alternativa e senza spese a suo carico:

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- richiedere il ripristino del bene per renderlo conforme al contratto di vendita (riparazione)

- richiedere la sostituzione

Se la riparazione è troppo onerosa o impossibile il consumatore dovrà accontentarsi della sostituzione, o

viceversa. Se entrambe le soluzioni sono impossibili o troppo onerose il consumatore potrà optare per una

riduzione del prezzo o per la risoluzione del contratto. Se il difetto è di lieve entità non è riconosciuto al

consumatore il diritto alla risoluzione (1455). Il venditore ha responsabilità su eventuali difetti di conformità

entro due anni dalla consegna.

La vendita con patto di riscatto prevede che il venditore si riservi di riacquistare la proprietà della cosa

(diritto potestativo) mediante:

a) dichiarazione unilaterale comunicata al compratore entro un termine fissato (1503), non maggiore di

2 anni per la vendita di mobili e di 5 per la vendita di immobili

b) restituzione del prezzo pagato e rimborso per spese e riparazioni. Ogni patto che preveda la

restituzione di una somma superiore è nullo per la parte eccedente.

Con il patto di retrovendita il compratore e il venditore (o uno solo dei due) assumono l’obbligo di

contrarre una nuova compravendita, che faccia riacquistare al venditore la proprietà della cosa venduta. Non

è un diritto potestativo, è più assimilabile ad un contratto preliminare.

La vendita a rate con riserva di proprietà (1523 e ss.) è così caratterizzata:

- concluso il contratto la proprietà non passa immediatamente al compratore, ma rimane al

venditore fino al pagamento dell’ultima rata di prezzo

- la cosa viene però consegnata al compratore che ne acquista il godimento

- il rischio per il perimento fortuito della cosa è a carico del detentore

- l’inadempimento del compratore determina la risoluzione del contratto; il mancato

pagamento di una sola rata che non superi l’ottava parte del prezzo non è causa di

risoluzione (1525). La risoluzione determina l’obbligo del venditore a restituire le rate, salvo

il diritto ad un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno.

Non tutte le vendite a rate sono con riserva di proprietà.

CAPITOLO 25

I CONTRATTI DI UTILIZZAZIONE

La locazione

La locazione è il contratto con il quale una parte (locatore) si obbliga a far godere all’altra (il conduttore) una

cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo (1571).

Gli obblighi del locatore sono: consegna della cosa in buono stato, manutenzione in buono stato locativo,

garanzia del pacifico godimento.

L’obbligo di consegna in buono stato non è adempiuto se la cosa è affetta da vizi che ne diminuiscono in

modo apprezzabile l’idoneità all’uso. Il conduttore può chiedere la risoluzione o una diminuzione del prezzo.

In questo caso la presunzione di buona fede del locatore non si presume: se non prova di aver ignorato

l’esistenza dei vizi dovrà rispondere dei danni.

L’obbligo di manutenzione impone al locatore di eseguire tutte le riparazioni necessarie, eccettuate quelle

di piccola manutenzione che sono a carico del conduttore (1576).

L’obbligo di garanzia riguardano le molestie provocate da terzi che pretendono di avere diritti sulla cosa e

perciò limitano il godimento del conduttore. Il locatore non garantisce per altri tipi di molestie (vicini

rumorosi).

La prestazione fondamentale del conduttore è il pagamento del corrispettivo (1571), oltre a prendere in

consegna la cosa e osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsene per l’uso determinato

nel contratto (1587). A locazione finita il bene deve essere restituito nello stato iniziale, salvo

deterioramento o consumo dall’uso svolto come da contratto (1590). Il conduttore ha inoltre l’obbligo di

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custodia ed anche la facoltà di dare in sublocazione la cosa (ma non di cedere il contratto senza il consenso

del locatore).

Il limite massimo alla locazione è di 30 anni (1573); la mancata disdetta del contratto vale come

rinnovazione tacita (1597).

Il comodato o prestito d’uso

Il comodato è il contratto col quale una parte consegna all’altra una cosa mobile o immobile, affinché se ne

serva per un tempo o per un uso determinato, con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta (1803). E’

quindi una concessione gratuita dell’uso di una cosa: se non fosse gratuita si tratterebbe di locazione.

L’oggetto del comodato è una cosa infungibile e si suppone inconsumabile.

Il comodato è un contratto reale, che si conclude con la consegna della cosa.

L’obbligo del comodatario è di custodire e conservare la cosa con la diligenza del buon padre di famiglia e di

non servirsene che per l’uso determinato dal contratto. In caso di inadempienza il comodante può chiedere

l’immediata restituzione della cosa, nonché il risarcimento del danno (1804).

Il comodatario risponde della perdita o della distruzione dovuta a sua negligenza.

Mutuo o prestito di consumo

La funzione del mutuo è quella di ottenere la disponibilità di una certa somma di denaro o di altre cose

fungibili, con l’obbligo di restituire altrettanto della stessa specie e qualità (1813). Il mutuo è dunque un

prestito di consumo. Il mutuo è un contratto reale che si perfezione con la consegna della cosa. Chi ha solo

promesso di dare a mutuo, può rifiutare l’adempimento se nel frattempo le condizioni patrimoniali del

contraente sono divenute tali da non garantire la restituzione (1822).

Le obbligazioni che nascono dal mutuo sono di restituire la somma e pagare gli interessi al mutuante (salvo

per i mutui gratuiti). Il mancato pagamento dà diritto al mutuante di chiedere la risoluzione del contratto,

anche per una sola rata di restituzione.

CAPITOLO 26

I CONTRATTI DI PRESTAZIONI D’OPERA O DI SERVIZI

Il mandato

E’ il contratto con il quale una parte (mandatario) si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto

dell’altra (mandante) (1703). L’oggetto della prestazione è quindi compiere uno o più atti giuridici e un

elemento essenziale del contratto è la fiducia tra mandante e mandatario. Per una giusta causa, come la

mancanza di fiducia, il mandante ha il potere di revoca del mandato.

Il mandato è il contratto con cui il mandatario si obbliga al compimento di atti giuridici per conto del

mandante, e il mandante assume i seguenti obblighi:

- fornire i mezzi necessari per l’esecuzione del mandato

- rimborsare le spese e le anticipazioni

- risarcire eventuali danni che derivino al mandatario dall’esecuzione del mandato

Il mandatario agisce perciò in proprio nome e acquista diritti e obblighi che non influiscono nella sfera

giuridica del mandante, come invece avviene nella rappresentanza. Per i beni immobili c’è quindi un obbligo

per il mandatario di trasferire i diritti al mandante; per i beni mobili la legge attribuisce al mandante soltanto

l’azione di rivendicazione, considerandolo proprietario dei beni anche senza il ritrasferimento (1706). Il

mandatario è inoltre obbligato a eseguire il mandato con la diligenza di un buon padre di famiglia, valutata

con maggior rigore se il mandato è gratuito: deve attenersi alle istruzioni ricevute dal mandante e informarlo

di ogni novità rilevante per il mandato. Infine ha il dovere di custodia delle cose che riceve per conto del

mandante.

Il mandatario può estinguere il mandato, ma se è senza giusta causa dovrà risarcire il danno (1727)

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CAPITOLO 27

CONTRATTI PER LA RISOLUZIONE DI CONTROVERSIE

La transazione

E’ un particolare tipo di contratto che svolge la funzione di porre fine a una lite già incominciata fra le parti o

di prevenire una lite che può sorgere tra loro, tramite reciproche concessioni (1965). E’ necessario quindi che

le parti sostengano un reciproco sacrificio per appianare la controversia. Non può transigere un minore e i

genitori che devono chiedere l’autorizzazione a del giudice tutelare (320). E’ nulla una transazione che abbia

ad oggetto diritti indisponibili (relativi allo stato delle persone, diritti tutelati da norme inderogabili –

lavoratore) o che riguardi un contratto illecito.

La transazione richiede la forma scritta se riguarda diritti reali su beni immobili o se deve essere usata come

prova in giudizio. Chiusa la transazione le parti non possono riaprire la controversia davanti al giudice, ma

può essere annullata per errori di fatto sulla questione come la nullità del titolo a cui si riferisce, la falsità di

documenti, l’esistenza di una sentenza passata, l’esistenza di documenti scoperti a posteriori ecc..

Compromesso

E’ l’accordo con cui le parti di una controversia si obbligano a far decidere da arbitri la lite tra loro insorta.

Deve riguardare diritti disponibili e controversie già insorte (anche se nei contratti può essere inserita la

clausola compromissoria che riguarda le eventuali controversie che potrebbero sorgere)

CAPITOLO 28

ATTI E FATTI DIVERSI DAL CONTRATTO

Promesse unilaterali

La promessa unilaterale non produce effetti obbligatori fuori dai casi ammessi dalla legge.

Promessa di pagamento e ricognizione del debito sono due dichiarazioni unilaterali, fonti di obbligazioni

(anche se l’obbligazione in realtà preesisteva) con cui il dichiarante promette di pagare o si riconosce

debitore di una determinata somma. La dichiarazione ha la funzione di dispensare il creditore dall’onere di

provare il diritto di credito.

La promessa al pubblico è una fonte di obbligazione ed è una dichiarazione unilaterale rivolta al pubblico

con cui una persona promette una prestazione a favore di chi si trova in una determinata situazione o compia

una certa azione (1989) (ricompensa per chi dà notizie di uno scomparso, bando per il premio letterario ecc..)

La promessa è vincolante non appena è resa pubblica (giornali, annunci, manifesti ecc..). E’ possibile una

revoca per giusta causa (che deve essere resa pubblica nella stessa modalità della promessa), ma non se

situazione o azione previste si sono verificate.

Gestione di affari

L’art. 2028 prevede che una persona, senza esservi obbligata, assuma la gestione di un affare altrui, e

dispone che questa persona sia tenuta a continuare a condurre a termine la gestione finchè l’interessato non

sia in grado di provvedervi da se stesso.

Un requisito è quindi l’impossibilità dell’interessato a provvedere (lontananza, malattia, incapacità

temporanea di intendere o di volere), oltre al fatto che la gestione deve utilmente iniziare e non contro il

divieto dell’interessato.

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Il gestore è praticamente soggetto alle obbligazioni del mandato, con attenuazione della responsabilità per

danni, in considerazione alle circostanze che lo hanno indotto a ingerirsi (2030). L’interessato dovrà

rimborsare le spese necessarie o utili.

Pagamento dell’indebito

Ogni spostamento di ricchezza deve essere giustificato, la giusta causa dell’attribuzione patrimoniale. Se

questa manca si ha arricchimento a spese altrui, che il diritto non ammette.

Pagamento dell’indebito si riferisce genericamente a quei casi in cui viene eseguita una prestazione non

dovuta. L’art. 2033 e ss. Distinguono:

- indebito oggettivo: eseguo un pagamento non dovuto da nessuno

- indebito oggettivo: eseguo un pagamento dovuto da altri

Si ha indebito oggettivo se avviene un pagamento a favore di chi non ha il diritto di riceverlo (pago un debito

già estinto, o derivante da un contratto nullo, pago Tizio quando il creditore è Caio – se Tizio è creditore

apparente dovrà restituire i soldi a Caio)

Si ha indebito soggettivo se si paga per errore un debito altrui. Se l’errore è inescusabile prevale la tutela

dell’affidamento del creditore e il debito si ritiene estinto. Il creditore non deve restituire e chi ha pagato

subentra nei diritti del creditore (2036).

In entrambi i casi nasce per il percepente l’obbligo di restituzione dell’equivalente che ha ricevuto o la stessa

cosa che ha ricevuto se determinata.

La restituzione non è prevista nei seguenti casi:

- quanto è stato spontaneamente prestato in esecuzione di doveri morali e sociali, salvo che la

prestazione sia stata eseguita da un incapace (2034, obbligazioni naturali)

- tutte le prestazioni avvenute all’interno di una famiglia di fatto

- prestazione contraria al buon costume (2035) come pagare un funzionario comunale per far

passare avanti la mia pratica

Arricchimento ingiustificato

Se una persona, senza una causa che lo giustifichi, si arricchisce a spese di un’altra, è tenuta a indennizzare

chi si è impoverito, nei limiti dell’arricchimento (2041). Arricchimento e impoverimento devono essere

correlati affinché nasca l’obbligazione, che ha ad oggetto un indennizzo e non un risarcimento, poiché la

fattispecie non costituisce un illecito (fidanzato in previsione del matrimonio compie lavori a sue spese sulla

casa di proprietà della fidanzata. Se si rompe il fidanzamento può chiedere un indennizzo pari alla minor

somma tra le spese e l’aumento di valore dell’immobile).

CAPITOLO 30

FATTI ILLECITI E RESPONSABILITA’

Problemi e funzioni della responsabilità civile

I problemi maggiori in tema di responsabilità civile sono:

- determinazione del danno risarcibile, danno ingiusto

- criteri di imputazione dell’illecito, responsabilità oggettiva e soggettiva

- causalità e valutazione del danno

La funzione principale del risarcimento del danno è quella riparatoria che via via è andata a prevalere su

quella sanzionatoria. La responsabilità civile, se ben organizzata, può inoltre avere una funzione

preventiva, di dissuasione dai comportamenti nocivi.

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Le fonti di responsabilità

La fonte primaria di responsabilità è l’illecito civile, ovvero un atto o fatto lesivo di un interesse protetto da

una norma giuridica, e dal quale derivi un pregiudizio per il soggetto leso. Si distinguono due fattispecie

fondamentali di illecito:

1) inadempimento dell’obbligazione (1218 e ss.)

2) il fatto illecito (2043 e ss.), e cioè qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno

ingiusto.

Tradizionalmente le due fattispecie si distinguono come illecito contrattuale e illecito extracontrattuale.

Da considerare anche l’illecito precontrattuale, ovvero la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo

buona fede nelle trattative contrattuali.

La regola dell’art. 2043

E’ risarcibile il danno che sia ingiusto e legato al fato commesso da un nesso di causalità. La responsabilità

del danno è accollata a chi ha commesso il fato con dolo (consapevolezza e volontà) o con colpa

(negligenza), a condizione che fosse capace di intendere e di volere.

I tradizionali elementi dell’illecito sono:

- danno ingiusto e nesso di causalità (elementi oggettivi)

- imputabilità e colpevolezza (elementi soggettivi)

Gli elementi oggettivi dell’illecito: il danno ingiusto e il nesso causale

La definizione che si può dare di danno ingiusto – lesione di un interesse protetto dalla legge – non è che un

sintetico rinvio alle concretizzazioni della giurisprudenza.

Non solo la violazione di diritti soggettivi assoluti (protetti nei confronti della generalità) porta ad un danno

ingiusto. Anche la violazione dei diritti relativi, come il credito, può portare ad un danno ingiusto (oltre alla

disciplina dell’inadempimento).

Si ha danno ingiusto in situazioni extracontrattuali (o aquiliane) come:

- la lesione di un interesse legittimo nei rapporti tra privati (violazione dei limiti di

edificabilità ecc…)

- la lesione di interessi diffusi, come un danno ambientale (abuso edilizio)

- la lesione delle c.d. aspettative legittime dove il danno non consiste nella perdita di una

prestazione dovuta, ma di una prestazione a cui il soggetto potesse legittimamente confidare

(mancanza di sovvenzioni da parte dei genitori)

- la lesione del possesso (richiesta danni del possessore derivanti da immissioni)

In tutti i casi occorre un confronto tra i due interessi, cioè del danneggiante e del danneggiato, poiché

risultano entrambi protetti. E’ il caso della legittima difesa (comportamento lesivo tenuto per difendere sé o

altri da un’aggressione obbiettivamente ingiusta) la cui reazione deve essere proporzionata all’offesa, o dello

stato di necessità. In quest’ultimo caso il comportamento lesivo ha lo scopo di salvare sé o altri dal pericolo

attuale di un danno grave alla persona, non determinato dall’altrui aggressione (rubare una macchina per

portare un ferito all’ospedale).

E’ necessario un nesso di causalità tra il fatto illecito e il danno cagionato (2056, 1223). Nel caso in cui il

danno sia procurato da più soggetti (concausalità) siamo in una situazione di solidarietà del debito: il

danneggiato può chiedere l’intero risarcimento a uno dei danneggianti, saranno poi loro a ridistribuire le

responsabilità (2055).

Gli elementi soggettivi: imputabilità

Per poter addossare delle responsabilità all’autore di un danno ingiusto sono necessari dei requisiti minimi di

coscienza e volontà, tali per cui è possibile imputare al soggetto le conseguenze delle sue azioni

(imputabilità del soggetto). Non risponde delle conseguenze del fatto dannoso l’incapace di intendere o di

volere, salvo che l’incapacità non derivi sa sua colpa (2046). La legge prevede la responsabilità indiretta di

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chi è tenuto a sorvegliare l’incapace. Se il danneggiato non riesce ad ottenere il risarcimento (il responsabile

non può pagare o nessuno era tenuto a sorveglianza) può almeno richiedere un’equa indennità (2047).

Responsabilità oggettiva

Con la responsabilità oggettiva si rende la colpa in varia misura irrilevante; ci sono altri criteri di

imputazione della responsabilità oltre al comportamento doloso o colposo: ad esempio si collega alla potestà

la responsabilità per i danni provocati da minori o interdetti; chi trae vantaggio da un’attività ne sostiene i

rischi; si accollano i danni derivanti dalle cose ai proprietari ecc…

La responsabilità per fatto altrui

Il danneggiato può chiedere risarcimento per i danni derivanti da un fatto illecito non solo all’autore, ma

anche ad un terzo che non risponde di propria condotta illecita, ma porta comunque le conseguenze di

comportamenti altrui. E’ una forma di responsabilità oggettiva legata alla posizione del responsabile: è il

caso del datore di lavoro che risponde per i danni provocati dal fatto illecito dei dipendenti e del

proprietario di un veicolo che risponde per i danni provocati dal conducente.

Il danno

Per danno si intende:

- lesione di un interesse

- pregiudizio (patrimoniale o morale) derivante dalla lesione di un interesse

Il danno patrimoniale si considera come perdita o come mancato guadagno (2056), il danno non patrimoniale

(o danno morale) è risarcibile solo nei casi previsti dalla legge.

Giurisprudenza e dottrina hanno introdotto recentemente il danno biologico, inteso come lesione

all’integrità psicofisica della persona, suscettibile di valutazione medico legale, considerandolo risarcibile

indipendentemente dalla sua incidenza sulla capacità di produrre reddito. In caso di lesione del diritto di

salute quindi il danno risarcibile si compone di tre elementi:

- il danno biologico

- l’eventuale danno patrimoniale

- il danno morale soggettivo

Danno ambientale: qualunque fatto doloso o colposo in violazioni di disposizioni di legge che comprometta

l’ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo o distruggendolo in tutto o in parte. Questo danno impone

il risarcimento nei confronti dello Stato. L’importo del risarcimento è svincolato dall’ammontare del danno,

poiché può divenire una forma di pena esemplare.

Il risarcimento

La funzione della responsabilità è quella di riparare il danno e possibilmente riportare la situazione a quella

che sarebbe stata se la lesione non si fosse mai verificata. Le forme di riparazione del danno sono:

- risarcimento per equivalente: somma di denaro tale da riparare il pregiudizio patrimoniale

risentito dal danneggiato

- risarcimento in forma specifica: ripristinare la situazione così come sarebbe se l’illecito

non si fosse verificato (rendere una cosa uguale a quella distrutta, ricostruire ecc..)

- risarcimento pecuniario in forma specifica: si differenzia dal risarcimento per equivalente

perché non si considera il valore perduto, ma il costo del ripristino

Il risarcimento di carattere pecuniario può essere determinato sulla base di una valutazione del danno,

espressa in una somma di denaro. I criteri di valutazione (2056) sono:

- risarcimento delle perdite patrimoniali e del mancato guadagno

- valutazione equitativa del giudice

- condotta del danneggiato (concorso di colpa o diligenza per evitare il danno)

Per la valutazione del danno biologico e alla menomazione psicofisica si fa riferimento ai punti di invalidità

assegnati dal medico-legale.

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Con la liquidazione del risarcimento (determinazione dell’ammontare pecuniario) il debito di valore diventa

un debito di valuta, che viene poi trattato come un normale debito.

L’indennità (2047) non ha la funzione di integrale riparazione del danno (come il risarcimento), ma di

compensare il pregiudizio patrimoniale non dovendo corrispondere esattamente al danno subito. E’

determinata con criteri di equità che tengono conto anche della condizione delle parti e delle circostanze.

Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale

Situazione contrattuale

INCIDENTE IN TAXI

Situazione Extracontrattuale

INCIDENTE IN MACCHINA DI UN AMICO

-ho l’onere della prova del danno, non della colpa del conducente

-prescrizione decennale

-non ho azione contro il proprietario della vettura (semmai contro il

datore di lavoro se il taxista non è autonomo)

-ho l’onere della prova della colpa

del conducente

-prescrizione biennale

-posso agire contro il proprietario

della vettura

CAPITOLO 44

IL GRUPPO FAMILIARE

Nozione giuridica di famiglia

Il termine famiglia assume diversi connotati in base al contesto giuridico in cui si trova: negli art. 29,30 Cost.

e 143,144 c.c. si intende famiglia nucleare (coniugi e figli). In altri contesti come l’impresa familiare si

intende tutti i parenti fino al 3°, o in tema di successioni fino al 6°.

Si distingue poi la famiglia legittima (fondata sul matrimonio) dalla famiglia di fatto.

I principi costituzionali

I tre articoli fondamentali sulla famiglia sono 29,30 e 31 della Costituzione �� leggere

La famiglia è riconosciuta come società naturale, nel senso che non è un gruppo creato dal diritto dello

Stato, ma una realtà sociale dotata di autonomia della famiglia secondo la quale né il giudice né la pubblica

amministrazione possono decidere al posto dei coniugi come indirizzare la vita familiare.

Si riconosce la parità tra i coniugi e il dovere di questi di verso i propri figli, sia all’interno che all’esterno

del matrimonio.

Tra le formazioni sociali di cui parla l’art. 2 Cost. possiamo anche includere la famiglia di fatto,

Le relazioni familiari: coniugio, parentela, affinità

La parola famiglia indica l’insieme di persone che sono legate da vincoli di coniugio (rapporto stabilito con

il matrimonio) o parentela (vincolo che unisce persone che discendono dallo stesso stipite). Si distinguono

parentele in linea retta (che discendono l’una dall’altra) e in linea collaterale (persone che hanno un

ascendente comune, ma non discendono l’una dall’altra).

E’ importante il grado della parentela: in linea retta ci sono tanti gradi quante sono le generazioni (nonni e

nipoti: 2° grado). In linea collaterale si contano i gradi risalendo da una persona fino allo stipite comune e

poi riscendendo fino all’altro parente (io e mio cugino: 4°. Io��mamma��nonno��zio��cugino). Il limite

legale di rilevanza di parentela è il 6° (77).

Si distinguono parentele legittime (in base ad un matrimonio) e parentele naturali (fuori dal matrimonio).

Con l’adozione di minorenni si stabilisce lo stesso rapporto giuridico esistente tra genitore e figlio e crea un

rapporto di parentela con i parenti degli adottanti.

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L’affinità è il vincolo tra un coniuge e i parenti dell’altro coniuge: io sono affine di 1° in linea retta di mia

suocera, e di 2° in linea trasversale con mio cognato.

L’affinità non dà titolo alla successione ereditaria, ma ha effetti giuridici di ordine personale (impedimento al

matrimonio, 87) e di ordine patrimoniale (diritto e obbligo agli alimenti, 433).

Il sistema matrimoniale italiano

Con il termina matrimonio si intende l’atto che costituisce il vincolo coniugale (matrimonio-atto) e il

rapporto che lega tra loro i coniugi (matrimonio-rapporto).

Da dopo il 1929 con il matrimonio concordatario si affianca al matrimonio civile il matrimonio religioso

con effetti civili. Effetto del matrimonio canonico trascritto è la costituzione di un rapporto di coniugio

civile, tale quale si costituisce per effetto di matrimonio civile; tale rapporto è regolato dalle regole dello

Stato.

Per i matrimoni acattolici la celebrazione può avvenire ad opera del ministro del culto, che però agisce come

delegato del Sindaco e quindi l’atto deve corrispondere ai requisiti stabiliti dalla legge dello Stato (83).

Il matrimonio nel codice civile. La disciplina dell’atto

L’istituto del matrimonio è regolato da norme inderogabili.

Il matrimonio è un atto puro che non sopporta quindi condizioni o termini. Eventuali clausole di questo tipo

sarebbero nulle (108).

Il matrimonio è un atto libero e quindi non sono valide le promesse di matrimonio e clausole contrattuali

che prevedano l’obbligo di sposarsi o non sposarsi.

Il matrimonio è un atto personalissimo che non ammette sostituzione o rappresentanza (né volontaria né

legale). In realtà l’art. 111 permette di celebrare il matrimonio per procura quando uno dei coniugi sia al

seguito delle forze armate o risieda all’estero e per gravi motivi non può essere presente.

E’ un atto solenne per il quale la legge prescrive requisiti inderogabili di forma; si presenta perciò come un

atto pubblico.

La celebrazione del matrimonio può essere provata solo attraverso l’esibizione dell’atto di matrimonio: solo

in caso di smarrimento o distruzione dei registri, la prova può essere data con ogni mezzo ordinario.

La capacità di sposarsi si acquista con la maggiore età.

In tema di matrimonio non si distingue tra annullabilità e nullità, ma si parla in entrambi i casi di

impugnazione e si intende comunque matrimonio dichiarato nullo (117 e ss.)

Vi sono casi in cui il matrimonio nullo può essere impugnato da tutti coloro che abbiano un interesse

legittimo e attuale (117), nullità assoluta:

- matrimonio concluso da persona coniugata

- matrimonio tra parenti in linea retta o in linea collaterale fino al 3° grado (zio-nipote) o tra

cognati o tra legami connessi all’adozione

- matrimonio tra persone di cui un coniuge è condannato per omicidio sul coniuge dell’altra

Si parla di nullità relativa se l’azione spetta ad uno solo dei coniugi.

In alcuni casi l’invalidità è insanabile (soggetti legati da vincoli di parentela ecc..) in altri è sanabile

attraverso la coabitazione dei coniugi per un anno dalla cessazione del vizio (revoca del provvedimento di

interdizione, cessazione della violenza, di incapacità naturale ecc..).

Per l’impugnazione per incapacità naturale è sufficiente la prova dell’incapacità di intendere o di volere al

momento della celebrazione (120).

Tra i vizi del volere come causa di annullamento del matrimonio sono previsti:

- violenza morale

- errore (sull’identità, come lo scambio di persona, o sulla qualità come l’esistenza di malattie

fisiche o psichiche preesistenti)

- timore (per reazioni dell’ambiente, della comunità religiosa ecc..)

Ipotesi di impugnazione è la simulazione, che spesso ha lo scopo di far acquistare la cittadinanza a stranieri,

godere di pensioni o trattamenti assistenziali ecc…

L’annullamento del matrimonio ha effetti retroattivi eccetto che determinate situazioni:

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- matrimonio putativo, cioè celebrato in buona fede in quanto i coniugi (o almeno uno)

ignoravano le cause di invalidità. Gli effetti del matrimonio si producono sui coniugi (o su

quello in buona fede) fino alla sentenza di nullità

- riguardo ai figlio nati o concepiti durante il matrimonio i quali conservano lo stato di figli

legittimi anche nel caso di malafede di entrambi i coniugi (purchè non siano nati da bigamia

o incesto)

- riguardo ai figli nati prima del matrimonio ma riconosciuti dai coniugi, purchè uno dei due

fosse in buona fede

Il coniuge in mala fede è responsabile dell’annullamento del matrimonio ed è tenuto a pagare un’indennità

che corrisponda al mantenimento per tre anni, anche se non è data prova del danno realmente sofferto

dall’altro coniuge.

Gli effetti del matrimonio

Diritti e doveri nascenti dal matrimonio hanno carattere di eguaglianza e reciprocità fra i coniugi. Tra i

doveri personali ricordiamo:

- dovere di fedeltà

- dovere di assistenza morale e materiale

- dovere di collaborazione

- dovere di coabitazione

Tra i doveri economici invece ricordiamo il dovere di contribuire ai bisogni della famiglia in proporzione

alle capacità di lavoro professionale e casalingo.

Da non dimenticare i doveri del genitore verso i figli (144).

Ogni dovere ha una sua correlata sanzione: per i doveri personali non esiste una pratica coazione, ma la

violazione dei diritti coniugali sono il presupposto per ottenere poi la meglio in sede di divorzio.

L’inadempimento di doveri patrimoniali autorizza il coniuge leso a chiedere al giudice la condanna del

partner al pagamento delle somme necessarie.

Il regime patrimoniale della famiglia

Il legislatore ha introdotto nel 1975 la comunione dei beni come regime patrimoniale legale (cioè di regola).

In realtà è una comunione degli acquisti: gli acquisti compiuti dopo il matrimonio cadono in comunione dei

beni, anche se viene acquistato da un coniuge solo, senza la presenza dell’altro.

L’art. 179 elenca però i beni personali del coniuge, che non cadono nella comunione legale:

- beni acquistati prima del matrimonio

- beni acquistati per donazione o successione

- beni di uso strettamente personale

- beni che servono all’esercizio della professione

- beni ottenuti a titolo di risarcimento danni

- beni acquistati con il ricavato dalla cessione di altri beni personali

Quanto al reddito corrente non è considerato bene comune, anche se come già detto i coniugi sono gravati

dell’obbligo di contribuzione. I risparmi diventano bene comune solo nel momento in cui si decide di

sciogliere la comunione.

Per l’amministrazione straordinaria dei beni comuni è necessaria la partecipazione di entrambi i coniugi. Se

un coniuge compie atti senza il consenso dell’altro si verificano due casi:

- se il bene è immobile o mobile registrato l’atto è efficace ma annullabile

- se il bene è mobile l’atto è valido ed efficace, ma il coniuge deve pagare l’equivalente in

denaro all’altro coniuge leso

I beni raccolti in comunione formano un complesso unitario, con una loro autonomia patrimoniale nei

confronti dei patrimoni personali dei coniugi; infatti per i debiti presi da entrambi i coniugi o da uno solo

(ma nell’interesse della famiglia) risponde il patrimonio comune.

La comunione si scioglie per separazione personale, scioglimento del matrimonio per morte o divorzio,

annullamento, per accordo tra i coniugi o per provvedimento del giudice su domanda di uno dei coniugi, per

fallimento di uno dei coniugi (191,193). La fase successiva è la divisione, di regola in parti uguali.

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Il regime patrimoniale legale può essere sostituito o modificato attraverso l’accordo dei coniugi

(convenzioni matrimoniali) da:

- separazione dei beni

- comunione convenzionale

- fondo patrimoniale

Le convenzioni devono essere stipulate in forma di atto pubblico e per essere opponibili a terzi devono

essere annotate a margine dell’atto di matrimonio.

Con la comunione convenzionale i coniugi possono modificare il regime patrimoniale e comprendere nella

comunione dei beni che altrimenti sarebbero esclusi, o viceversa. E’ inderogabile l’esclusione dei beni per

uso strettamente personale, dei beni usati per la professione e dei proventi da risarcimenti per danni: non è

quindi possibile una comunione totale.

Il fondo patrimoniale si costituisce destinando determinati beni immobili, mobili registrati o titoli di credito

ai bisogni della famiglia. E’ un patrimonio autonomo di cui i coniugi sono contitolari.

La crisi della famiglia. La separazione personale

Prima di arrivare al divorzio si passa da una fase intermedia, la separazione di fatto, che pur non cambiando

lo status giuridico ha delle conseguenze giuridiche:

- se uno dei due coniugi se ne va dalla casa coniugale si sospendono i doveri di assistenza morale e

materiale (allontanamento ingiustificato). Se la reazione è conseguenza di violazioni di doveri del

matrimonio da parte dell’altro coniuge l’allontanamento è giustificato

- nella successione al contratto di locazione la separazione di fatto è equiparata alla separazione

legale

Alla pronuncia di separazione si può arrivare in due modi: separazione consensuale e separazione giudiziale.

La separazione consensuale richiede l’accordo tra i coniugi sia sulla separazione, che sulla situazione

patrimoniale, che sull’affidamento dei figli. A questo punto se il giudice accerta che l’interesse dei figli è

tutelato può omologare (rendere efficace) l’accordo tra i coniugi, instaurando la separazione.

Se le parti non riescono ad accordarsi, ciascuna può chiedere la separazione giudiziale, che può essere

chiesta se si verificano fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave

pregiudizio all’educazione della prole (151).

Con la separazione legale il vincolo matrimoniale non si scioglie, ma il rapporto tra i coniugi viene ridotto ai

minimi termini:

- cessa l’obbligo di convivenza e il dovere di assistenza morale e materiale

- si attenua il dovere di fedeltà, nel senso di evitare comportamenti di grave offesa per l’ex

- la moglie separata conserva il cognome del marito, anche se il giudice può autorizzarla a non

farne uso

- si scioglie la comunione legale

- il coniuge che non ha mezzi o capacità concrete di lavoro può chiedere all’altro un assegno

di mantenimento

Questi effetti si possono modificare in sfavore di quella parte che è responsabile con i suoi comportamenti

della separazione.

La potestà sui figli spetta ad entrambi i genitori, ma il suo effettivo esercizio spetta solo al genitore

affidatario (anche se le decisioni più importanti devono essere prese da entrambi). Al genitore non affidatario

spetta comunque il diritto di vigilanza e di visita (155).

Lo stato di vita separata può cessare per volontà dei coniugi con la riconciliazione, che può essere anche

tacita.

Lo scioglimento del matrimonio. Il divorzio

Il giudice può disporre il divorzio quando accerta che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non

può essere mantenuta o ricostituita per l’esistenza di una delle seguenti cause:

- separazione legale durata per tre anni

- diverse cause penali (ergastolo o superiore a 15 anni, o delitti connessi alla prostituzione, o

di incesto o contro il coniuge ecc…)

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- altre cause civili (non consumazione del matrimonio, annullamento del matrimonio ottenuto

all’estero da coniuge straniero, o nuovo matrimonio all’estero ecc…)

Non sarebbe previsto il divorzio consensuale anche se i coniugi possono porre una domanda congiunta di

divorzio; nel divorzio, a differenza che nella separazione consensuale, è il giudice a prendere le decisioni

riguardanti i rapporti patrimoniali e i figli.

Con il divorzio la donna perde il cognome del marito, anche se può ricevere l’autorizzazione dal giudice ad

utilizzarlo; viene meno il diritto successorio anche se il coniuge più debole ha diritto ad un assegno periodico

che può essere confermato anche dopo la morte dell’altro, a carico dell’eredità.

La filiazione

Si distinguono due stati di filiazione (di figlio): filiazione legittima e naturale.

E’ legittimo il figlio generato da padre e madre uniti da un valido matrimonio; è naturale se i genitori non

sono sposati.

Quando nasce un bambino chi assiste la partoriente ha l’obligo di fare una attestazione di avvenuta nascita,

sulla base della quale deve essere rilasciata in comune la dichiarazione di nascita. In seguito verrà redatto

l’atto di nascita, che può contenere o meno il nome dei genitori a seconda delle circostanze. La maternità è

accertata, la paternità viene presunta se la donna non è nubile (sposata, divorziata, separata, vedova da non

più di 300 giorni ecc…), altrimenti la paternità viene indicata solo con dichiarazione del padre.

La filiazione legittima

Se il figlio nasce nel periodo che va da 180 giorni dopo le nozze a 300 giorni dopo la separazione, il

divorzio, l’annullamento, la morte del marito scatta la presunzione legale assoluta che è stato concepito

durante il matrimonio (232), e quindi figlio del marito.

L’azione di disconoscimento della paternità serve a far cadere la presunzione di paternità. Se il figlio è

stato concepito durante il matrimonio il disconoscimento può avvenire solo in casi tassativi:

- se i genitori non hanno coabitato nel periodo legale del concepimento

- se nello stesso periodo il marito era affetto da impotenza

- se la donna ha tenuta nascosta gravidanza e parto o se si può provare che nel periodo del

concepimento ha commesso adulterio

Se il figlio è stato concepito fuori dal matrimonio l’azione è liberamente esperibile dall’attore a cui carico

avrà l’onere della prova.

Il marito può agire fino ad un anno dalla nascita o dal momento in cui è venuto a conoscenza dell’adulterio o

dell’impotenza.

Con la contestazione di legittimità chiunque vi abbia interesse può provare a far venir meno lo stato di

figlio legittimo.

L’azione di reclamo della legittimità serve invece ad accertare l’esistenza dei presupposti dello stato di

figlio legittimo e può essere esperita direttamente dall’interessato.

La filiazione naturale

La Costituzione parla di figli nati fuori dal matrimonio (30 Cost). Il pieno rapporto giuridico di filiazione si

costituisce in questi casi solo per effetto del riconoscimento del figlio naturale o per dichiarazione

giudiziale di paternità/maternità.

Il riconoscimento è un atto unilaterale (ma può essere fatto congiuntamente dai due genitori), è

personalissimo (no rappresentanze) e puro (no condizioni o termini); è irrevocabile. Sulla base della

dichiarazione si forma l’atto di nascita.

E’ possibile riconoscere figli nati da relazioni adultere, è invece vietato riconoscere figli incestuosi (a meno

che non ci fosse ignoranza incolpevole fra i genitori.

Per riconoscere un figlio naturale occorre aver compiuto 16 anni.

Se il figlio da riconoscere ha più di 16 anni è necessario il suo consenso (benché sia un atto unilaterale)

oppure se minore di 16 anni c’è bisogno del consenso del genitore che lo ha riconosciuto per primo.

Quanto alla forma il riconoscimento può avvenire nell’atto di nascita o con dichiarazione apposita o con un

testamento.

Gli effetti del riconoscimento del figlio naturale possono essere eliminati solo con l’impugnazione.

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Dato che mantenere un figlio è anche un dovere esiste la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità

che permette di instaurare un rapporto di filiazione anche contro la volontà del genitore naturale che non

riconosce il figlio.

Il figlio naturale di persona unita in matrimonio non può essere immesso nella casa familiare se non con

autorizzazione del giudice (devono acconsentire i figli legittimi maggiori di 16 anni, il coniuge e l’altro

genitore naturale).

Per la potestà dei genitori ci sono varie situazioni:

- se il figlio è stato riconosciuto da entrambe i genitori e con entrambi convive, allora si

applica la disciplina simile a quella per i figli legittimi

- se è stato riconosciuto da entrambi ma non convivono, la potestà è esercitata dal genitore che

vive con il figlio

- se il figlio è affidato a terzi la potestà è esercitata dal genitore che l’ha riconosciuto per

primo

Con la legittimazione, ovvero con il matrimonio, il figlio diventa legittimo. E’ possibile legittimare il figlio

anche senza matrimonio, ma solo con un provvedimento del giudice.

L’adozione

Si parla di filiazione civile poiché il rapporto è fondato non sulla procreazione ma su un provvedimento di

giurisdizione volontario.

Adozione dei minorenni. Se si trovano in situazione di abbandono, privi di assistenza morale e materiale, il

tribunale li dichiara in stato di adottabilità.

Adottanti possono essere solo due coniugi il cui vincolo sia stabile (uniti in matrimonio da almeno tre anni e

non essersi separati negli ultimi tre anni). I coniugi devono essere effettivamente idonei e capaci di educare e

mantenere i minori che intendo adottare (anche più di uno).

Differenza di età minima tra adottato e adottante è 18 anni, la massima è 45. Una deroga a questo limite

viene fatta nei seguenti casi:

- solo uno dei coniugi ha superato i 45 anni di differenza

- se gli adottanti hanno già figli naturali o adottivi di cui uno sia ancora minorenne

- se l’adozione riguarda un fratello o una sorella minore di un bambino già adottato

Per adottare un bambino con più di 14 anni è necessario il suo consenso.

L’adozione rescinde completamente i legami con la famiglia d’origine, e il minore acquista lo status di figlio

legittimo degli adottanti (e quindi fratello degli altri figli, nipote dei nonni ecc..).

Per regolare la situazione del minore che sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo è stata

introdotta la disciplina dell’affidamento dei minori. L’istituto può fungere come alternativa all’adozione nei

casi in cui quest’ultima risulti difficile.

L’adozione di un maggiorenne ha lo scopo di dare un discendente all’adottante, e non dare una famiglia

all’adottato. I legami dell’adottato con la famiglia d’origine non vengono recisi e conserva per cui i suoi

diritti oltre ad acquisirne di nuovi verso l’adottante (non verso i parenti dell’adottante).

L’adottato antepone al proprio cognome quello dell’adottante.

In casi particolari è consentita l’adozione anche da un solo adottante (con gli effetti dell’adozione di

maggiorenni), ovvero:

- un parente vuole adottare il minore orfano di padre e madre

- minore affetto da handicap

Non è necessario che il minore sia in stato di abbandono.

Il minore deve essere informato della sua condizione adottiva da parte dei genitori; l’identità dei genitori

biologici può essere conosciuta dall’adottato solo dopo il 25° anno di età.

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La famiglia di fatto

Per famiglia di fatto non si intende un istituto, quanto una questione: se una convivenza di tipo coniugale tra

un uomo e una donna non sposati possa far nascere relazioni giuridiche.

Nel caso in cui genitori naturali e figli siano conviventi, il regime della potestà è uguale a quello che

abbiamo per una famiglia di coniugi con figli legittimi. Da questo punto di vista la famiglia di fatto viene

trattata come una famiglia legittima.

La famiglia di fatto è quindi considerata come fonte di obbligazioni naturali (doveri morali e sociali), e

rientra tra le formazioni sociali di cui parla l’art. 2 Cost.

Le conseguenze sono che le erogazioni spontanee tra i conviventi sono irripetibili, oltre al formarsi di

legittime aspettative che possono essere tutelate verso i terzi (diritto al risarcimento del danno per la morte

del convivente provocata da un terzo).

Gli alimenti

Presupposto dell’obbligo e del diritto agli alimenti è lo stato di bisogno, cioè non essere in grado (senza

colpa) di provvedere al proprio mantenimento. La misura degli alimenti dipende dalla gravità dello stato di

bisogno e dalle condizioni economiche dell’obbligato.

Da non confondere alimenti con mantenimento: alimenti (non inteso come solo vitto) per i bisogni essenziali,

mantenimento per i bisogni ordinari. I genitori devono mantenere i figli fino alla maggiore età, dopodichè

hanno solo l’obbligo degli alimenti.

Il coniuge separato che non ha mezzi sufficienti può chiedere un assegno di mantenimento; se la separazione

è a lui addebitata ha diritto solo agli alimenti (156).

CAPITOLO 45

LE SUCCESSIONI A CAUSA DI MORTE

Gli effetti della morte. La successione

Il diritto delle successioni è retto da due principi fondamentali: libertà testamentaria e trasmissione

familiare della ricchezza.

In base al primo principio si riconosce ad ogni persona il potere di stabilire la sorte dei propri beni dopo la

sua morte. Il secondo principio riguarda il caso in cui manchi un testamento e quindi ha luogo la successione

legittima tra i parenti. In realtà un quota dell’eredità spetta per legge ad alcuni stretti congiunti, detti

legittimari (coniuge e figli legittimi/naturali).

Il sistema del diritto successorio è materia di ordine pubblico; gli unici strumenti di autonomia del privato

sono il testamento, accettazione o rinunzia di eredità. E’ per questo che vige il divieto dei patti successori

ovvero:

- qualsiasi convenzione che disponga della propria successione

- qualsiasi atto che disponga beni futuri

L’oggetto della successione: l’eredità e il legato

Oggetto della successione a causa di morte è la totalità dei rapporti trasmissibili, attivi e passivi, di cui una

persona è titolare al momento della morte. L’insieme di questi beni forma l’eredità (asse ereditario). La

successione nell’eredità è successione a titolo universale (nell’universalità dei rapporti che facevano capo al

defunto). Erede colui che succede nella totalità dei rapporti o in una quota matematica.

Una volta acquistata l’eredità questa non si distinguerà più nel patrimonio dell’erede (confusione dei

patrimoni). Alcuni beni possono però essere destinati a una successione a titolo particolare e quindi staccati

dall’eredità. Ciò avviene nel legato, l’attribuzione di un determinato bene fatta nel testamento.

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Apertura della successione. Delazione. Vocazione

Con la morte della persona si verifica l’apertura della successione (456). Prima della morte non si può

nemmeno parlare di aspettativa dei possibili successori, la situazione successoria è inerte.

La vocazione all’eredità è il titolo degli eredi a succedere. SI distingue:

- vocazione legittima (titolo a succedere è una situazione prevista dalla legge)

- vocazione testamentaria (titolo a succedere è il testamento)

La delazione dell’eredità è la messa a disposizione agli eredi dell’eredità, a seguito dell’apertura della

successione, che coincide con l’acquisizione del diritto di accettare. Al titolare di questo diritto viene

attribuito il potere temporaneo di vigilare sull’eredità, senza che ci siano implicazioni sulla sua decisione di

eventuale accettazione.

I titoli di successione

I titoli del diritto a succedere sono anche le fonti della successione e quindi:

- successione legittima

- successione testamentaria

La successione legittima è regolata dalla legge e ci si ricorre se manca del tutto o in parte il testamento

La successione testamentaria è regolata dal testamento, cioè quell’atto revocabile con il quale taluno

dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di esse (587). Dove il

testamento non sia sufficiente si integra con le norme sulla successione legittima.

Il legittimario, come già detto, ha diritto ad una quota del patrimonio. Se non già espressamente citato nel

testamento fa valere il suo diritto ad avere i beni, non viene considerato un erede.

Capacità di succedere e indegnità

L’erede deve essere capace a succedere e quindi:

- aspetti della capacità giuridica: capacità a succedere e capacità di ricevere per

testamento

- aspetti della capacità d’agire: capacità d’accettare l’eredità

Sono considerati capaci di succedere i nati o concepiti al momento dell’apertura della successione.

Un chiamato all’eredità che deve ancora nascere acquisterà definitivamente l’eredità al momento della

nascita. Nel caso di vocazione testamentaria è valida anche l’istituzione di un erede che deve ancora essere

concepito, purchè figlio di una determinata persona.

L’indegnità a succedere colpisce l’erede o il legatario che abbia compiuto azioni particolarmente gravi

contro il defunto (come l’attentato alla vita, denuncia calunniosa, raggiri per influenzare la volontà

testamentaria) ed è causa di rimozione dalla successione. Solo la persona della cui successione si tratta può,

prima della morte e con atto pubblico, riammettere l’indegno alla successione.

La vocazione legittima

I soggetti che hanno titolo a succedere per vocazione legittima sono (565):

- discendenti legittimi e naturali

- coniuge

- ascendenti legittimi

- fratelli e sorelle legittimi

- collaterali dal terzo al sesto grado

- altri parenti (fratelli naturali)

- lo Stato

La posizione dei figli legittimi è parificata rispetto a quella dei figli naturali, anche se i primi hanno il diritto

di commutazione, cioè possono soddisfare la quota dei figli naturali con beni immobili o denaro. Se questi

si oppongono interviene il giudice.

I figli non riconoscibili sono esclusi dall’eredità, anche se gli viene riconosciuto un assegno vitalizio pari alla

rendita che riceverebbe dalla suo eventuale quota di eredità.

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In mancanza di figli il coniuge concorre solo con i fratelli e gli ascendenti legittimi del defunto. Al coniuge

spetta un terzo dell’eredità (un mezzo se ha un figlio solo), il diritto di abitazione nella casa familiare e di

uso dei mobili che la corredano.

Il coniuge separato con addebito ha diritto ad un assegno vitalizio di tipo alimentare, solo se già in

precedenza lo percepiva.

Il coniuge divorziato, benché escluso dalla successione, può chiedere per uno stato di bisogno un assegno

alimentare a carico dell’eredità, che perde se passa a nuove nozze.

Fratelli e sorelle legittimi concorrono con il coniuge, con i genitori e con gli ascendenti. Fratelli naturali

vengono prima solo dello Stato.

I parenti collaterali dal terzo al sesto grado succedono quindi solo in mancanza di figli, genitori o ascendenti,

coniuge, fratelli legittimi.

Nel caso di mancanza di successibili l’eredità è dovuta allo Stato, che non ha bisogno di accettazione ed è

responsabile dei debiti solo nel limite del valore dei beni acquistati.

La vocazione testamentaria

Il testamento è l’atto revocabile con il quale taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di

tutte le proprie sostanze o di parte di esse (587). E’ un atto a contenuto patrimoniale.

Le disposizioni testamentarie che assolvono la funzione di determinare la sorte del patrimonio del defunto

sono:

- istituzione di erede

- legato

- modo o onere

L’istituzione di erede è l’intento di designare una persona (o più di una) come proprio successore, come

titolare del patrimonio per intero o per una sua quota.

Il legato è il lascito testamentario di un singolo cespite patrimoniale e abbiamo:

- legato di specie: ha per oggetto la proprietà di una cosa determinata o di un altro diritto

esistente nel patrimonio del testatore

- legato di genere: ha per oggetto una somma di denaro o una quantità di cose fungibili

Il legato può essere disposto anche a favore di uno degli eredi, si chiama allora prelegato.

Se gli eredi non hanno accettato l’eredità con beneficio di inventario rispondono dei legati anche oltre il

valore dell’eredità.

L’onere o modo è un obbligo imposto al beneficiario di una liberalità, che limita la posizione liberale. Si

può trattare di dare una parte del patrimonio in beneficenza, o costruire un monumento funebre ecc…

L’inadempimento può avere un effetto risolutivo.

L’istituzione di erede può essere sottoposto a condizione risolutiva o sospensiva, ma non a termine. Si

considerano non apposte le condizioni illecite o impossibili.

E’ previsto un contenuto atipico al testamento, che non riguarda interessi patrimoniali. E’ il caso di

decisioni sul diritto morale di autore (non pubblicare gli scritti), riconoscimento del figlio naturale ecc…

Il testamento come atto di ultima volontà

Il testamento è revocabile: fino all’ultimo il testatore può pentirsi delle sue disposizioni e farle decadere o

sostituirle. La revoca può essere espressa (magari in un testamento successivo) o tacita. E’ tacita se ci sono

più disposizioni incompatibili tra loro, oppure per la distruzione di un testamento olografo o il ritiro di un

testamento segreto.

La successione può essere regolata anche da più testamenti e dalla legge.

Si ha revoca di diritto se dopo il testamento, ma prima della morte, si ha la nascita di un figlio o il

riconoscimento di un figlio naturale.

Non è permesso il testamento congiuntivo né il testamento reciproco, poiché è un atto unipersonale.

Sono incapaci legalmente di testare:

- il minore di età

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- l’interdetto per infermità di mente

- l’incapace di intendere o di volere (anche momentaneo, al momento del testamento)

Sono invece legalmente capaci:

- inabilitato

- interdetto legale

La forma più semplice è quella dell’olografo (tutto scritto): è un atto scritto di pugno dal testatore, datato e

sottoscritto. Solo il testatore ne è a conoscenza, ma si presta ad essere distrutto, contestato ecc..

Con il testamento pubblico si evitano questi rischi. Viene redatto dal notaio sotto indicazione del testatore

in presenza di due testimoni.

Il testamento segreto garantisce certezza della data, riservatezza e sicura conservazione. Può essere scritto a

mano o a macchina dal testatore, sottoscritto da lui, e consegnato in busta sigillata al notaio, di fronte a due

testimoni.

Sono ammesse forme diverse per i testamenti speciali redatti in situazioni particolari come malattie

contagiose, calamità pubbliche, viaggio in mare o in aereo, in guerra ecc… I testamenti speciali hanno

efficacia temporanea: 3 mesi.

Anche nel testamento abbiamo la distinzione tra nullità e annullabilità, anche se con qualche differenza.

E’ causa di nullità il difetto di forma (mancanza di firma o autografia nell’olografo). Se un testamento

segreto è nullo per difetto di forma è possibile una conversione formale dell’atto: se il testamento

consegnato al notaio è scritto di pugno dal testatore, datato e sottoscritto, vale allora come testamento

olografo.

Un testamento nullo non è come se fosse inesistente: in effetti anche se nullo può essere spontaneamente

eseguito e quindi non può essere fatta valere la nullità se il testatore conosceva la causa della nullità.

Il testamento può essere nullo anche per illiceità delle disposizioni testamentarie, come motivo, condizione o

onere.

Le cause di annullabilità sono:

- mancanza della data

- incapacità legale o naturale

- errore, violenza e dolo

Nel testamento anche l’errore sui motivi è causa di annullamento poiché risulti chiaramente dal testamento

e che sia detto errore ad aver condizionato le scelte del testatore.

Violenza e dolo acquistano un’estensione maggiore rispetto al contratto, ma seguono gli stessi criteri. Il

comportamento doloso di chi vuole raggirare e guidare la volontà del testatore è detto captazione.

L’annullabilità è assoluta, può essere esperita da chiunque vi abbia un interesse legittimo.

Il testamento diviene efficace al momento dell’apertura della successione; se è un testamento pubblico

diventa anche eseguibile altrimenti, se olografo o segreto, diventa eseguibile solo dopo la pubblicazione da

parte di un notaio.

I diritti dei legittimari

Una quota delle sostanze (da un minimo di 1/3 ad un massimo di ¾) è riservata ai legittimari. Detta quota

indisponibile è chiamata legittima.

La quota indisponibile si calcola su una base data dalla somma (556):

- del valore dei beni che il defunto ha lasciato alla sua morte, meno i debiti

- dal valore dei beni donati durante la sua vita

Se c’è stata lesione i legittimari possono agire in riduzione contro le disposizioni che hanno determinato la

lesione, e quindi:

- istituzioni d’erede o legati fatti con il testamento

- donazioni

Il risultato può essere la restituzione in natura dei beni acquistati o il diritto del legittimario a conseguirne il

valore in denaro.

Le quote di legittima sono così ripartite:

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- genitore lascia un solo figlio: metà dell’attivo

- genitore lascia più di un figlio: 2/3 dell’attivo

- il coniuge, se solo, metà del patrimonio

- il coniuge che concorre con gli ascendenti: metà al coniuge, ¼ agli ascendenti

- il coniuge che concorre con 1 figlio: 1/3 ciascuno

- il coniuge che concorre con più figli: la metà ai figli, ¼ al coniuge

- ascendenti, se soli, 1/3 del patrimonio

Il testatore può estromettere i legittimari dall’eredità, rispettandone i diritti: può disporre in loro favore un

legato in sostituzione di legittima, cioè un lascito a titolo particolare in sostituzione della legittima. Il

legittimario può rifiutare il legato e chiedere la legittima, oppure conseguire il legato e non diventare erede.

Nel caso in cui non ci sia per il legittimario la possibilità di scelta, il legato sarà imputato alla quota di

legittima, andando a ridurre o ad eliminare la lesione del diritto del legittimario.

Acquisto dell’eredità e del legato

La delazione dell’eredità fa nascere nel chiamato il diritto di accettare. Con l’accettazione si consegue

l’acquisto dell’eredità, con effetto retroattivo all’apertura della successione. L’accettazione è un atto

unilaterale, puro ed irrevocabile.

L’accettazione può essere espressa (con un atto scritto) o tacita (compiere atti incompatibili con la volontà di

rinunciare). Il silenzio (3 mesi) vale come accettazione.

La rinunzia all’eredità è un atto solenne (che si fa dal notaio), puro e totale (è nulla la rinunzia parziale) ed è

revocabile fino a che un altro chiamato non abbia accettato.

Tra l’apertura della successione e l’accettazione il patrimonio può essere conservato dal chiamato, che è

anche legittimato nel possesso. Se il chiamato non è nel possesso dei beni ereditari il giudice può nominare

un curatore dell’eredità (situazione di eredità giacente).

Il legato si acquisisce senza bisogno di accettazione, ma si può anche rinunziare.

Il beneficio di inventario. La separazione dei beni

La successione determina la confusione dei patrimoni. Per evitare il rischio di dover rispondere

illimitatamente ai nuovi debiti acquisiti con l’eredità viene concessa l’accettazione con beneficio di

inventario. L’effetto non è quello di riservarsi nella decisione, poiché l’accettazione è definitiva, ma quello

di tenere distinto il patrimonio dell’erede da quello del defunto. In questo modo l’erede risponde dei debiti

ereditari solo con il patrimonio ereditato; i creditori del defunto hanno preferenza sui beni dell’eredità

rispetto ai creditori dell’erede.

Se il chiamato è in possesso dei beni ereditari ha un termine di tre mesi per fare l’inventario: se il termine

trascorre inutilmente viene considerato erede puro e semplice (come anche nel silenzio). Se procede

all’inventario senza aver accettato deve accettare entro 40 giorni.

L’accettazione con beneficio di inventario richiede l’atto pubblico ed è obbligatoria per:

- minore d’età, interdetto o inabilitato, persona giuridica

Nel caso in cui il patrimonio ereditario si confonda con il patrimonio dell’erede che sia in una cattiva

situazione patrimoniale, la legge predispone un rimedio per i creditori del defunto e i legatari, la separazione

dei beni del defunto da quelli dell’erede. In questo modo i creditori e i legatari separatisti hanno diritto di

prelazione sia di fronte ai creditori dell’erede che ai creditori del defunto non separatisti, pur conservando il

diritto di agire sui beni personali dell’erede.

I creditori dell’erede non sono invece protetti contro il rischio di un’eredità dannosa. Però nel caso in cui il

chiamato rinunzi ad una eredità che potrebbe giovare ai suoi creditori, questi possono farsi autorizzare ad

accettare in sua vece. Il chiamato non diventa erede, ma per i suoi creditori è come se lo fosse. E’ una forma

di inefficacia relativa della rinunzia.

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Petizione dell’eredità. Erede apparente

Può succedere che alcuni bene dell’asse ereditario siano in possesso a soggetti che affermano un titolo

d’erede o che ne siano addirittura sprovvisti.

Chi si afferma erede può agire verso questi possessori con la petizione dell’eredità, per ottenere la

restituzione dei beni ereditari. L’attore deve provare di aver titolo di erede, quindi riguarda il complesso

dell’eredità e non il singolo bene.

Può succedere che un soggetto appaia erede anche senza averne il titolo (erede apparente). Se questi aliena il

bene ad un terzo, prevale il principio a protezione dell’affidamento di buona fede (limitatamente agli acquisti

a titolo oneroso) che impone al terzo l’onere della prova della buona fede. Anche l’erede apparente potrà far

valere le regole sul possesso di buona fede.

La devoluzione dell’eredità; i meccanismi di sostituzione

Quando il chiamato all’eredità non può o non vuole accettare, il sistema successorio mette l’eredità a

disposizione di un altro successibile. Questa ulteriore delazione si chiama devoluzione dell’eredità.

Nel caso di vocazione testamentaria il primo criterio di devoluzione è la sostituzione volontaria che può

essere:

- ordinaria: se il testatore nomina un sostituto nel caso il primo chiamato non possa o non

voglia accettare

- fedecommissaria: il primo chiamato riceve l’eredità con l’obbligo di conservarla perché alla

sua morte sia acquistata da un secondo chiamato (ammessa solo per assistenza di incapaci:

primo chiamato è l’incapace, secondo chiamato è l’ente, la persona o l’associazione che si

occupa dell’incapace)

Il secondo sistema di devoluzione è la rappresentazione: se il primo chiamato è figlio, fratello o sorella del

defunto, in caso di impossibilità o di non volontà ad accettare, subentrano nel luogo e nel grado del primo

chiamato i suoi discendenti legittimi o naturali.

Nel caso in cui il chiamato muoia prima di aver accettato l’eredità, il diritto di accettare, che è parte del suo

patrimonio, passa agli eredi (trasmissione del diritto di accettare).

Il quarto sistema di devoluzione è l’accrescimento delle quote: se un coerede rinuncia o non può accettare,

la sua quota viene divisa tra gli altri coeredi. I presupposti per l’accrescimento tra coeredi sono:

- che i coeredi siano stati istituiti nello stesso testamento senza la determinazione delle quote

- che non risulti la volontà del testatore di sostituzione volontaria

- che non esistano i presupposti per la rappresentazione e per la trasmissione del diritto di

accettare

Se mancano questi presupposti la quota del chiamato che non può o non vuole accettare si devolve agli

ulteriori successibili.

La comunione ereditaria e la divisione

Tra i coeredi che abbiano accettato l’eredità si stabilisce una situazione di comunione destinata a risolversi

con la divisione.

L’oggetto della comunione ereditaria non coincide con l’intero asse ereditario. Sono esclusi:

- i beni oggetto di legati di specie

- debiti divisibili (si dividono di diritto tra i coeredi, che sono obbligati parziariamente verso il

creditore

Con la collazione i coeredi (solo per discendenti e coniuge) devono aggiungere alla comunione anche i beni

ricevuti dal defunto per donazione.

Ogni coerede può alienare la sua quota, sulla quale gli altri coeredi hanno diritto di prelazione.

La divisione della comunione può avvenire per contratto tra i coeredi (divisione convenzionale) oppure, in

mancanza di accordo tra i coeredi, si procede alla divisione giudiziale, dove le porzioni formate sono

assegnate per estrazione a sorte.

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Il testatore può pilotare la divisione. Può designare una persona (che non sia erede o legatario) di fiducia che

effettui la divisione oppure può stabilire direttamente le divisioni. Per evitare disguidi può distribuire

direttamente tutti i beni fra gli eredi: in questo caso non sorge la comunione. Per gli eventuali beni

dimenticati si agisce come per il testamento parziale, si apre un successione legittima.

Ciascun erede ha diritto ad ottenere una parte in natura dei beni mobili e immobili che fanno parte

dell’eredità.

La divisione ha efficacia retroattiva: una volta effettuata gli eredi acquistano l’eredità come se la comunione

non ci fosse stata. Inoltre è soggetta ad annullamento per violenza o dolo.

CAPITOLO 46

LE LIBERALITA’ TRA VIVI

Dono e liberalità

La donazione è giuridicamente un contratto. Può sembrar strano dato che un bene passa da un soggetto

all’altro fuori da un contesto di scambio giuridico. Ma la donazione ha un oggetto patrimoniale e c’è accordo

tra le parti.

Il carattere della gratuità non è sufficiente ad identificare una donazione poiché esistono anche donazioni

remuneratorie, ovvero donazioni fatte con lo spirito di sdebitarsi.

Disciplina della donazione

La donazione può avere ad oggetto qualsiasi diritto disponibile di cui il donante sia titolare, oppure

l’assunzione di un obbligazione verso il donatario. E’ vietata e nulla la donazione di beni futuri.

E’ richiesta la forma dell’atto pubblico a pena di nullità. Fa eccezione la donazione di cosa mobile di

modico valore (regalo).

Le caratteristiche della donazione sono:

- l’incapacità naturale è causa di annullamento della donazione

- il tutore del donante non può essere il donatario

- può essere impugnata per errore sui motivi

- vale la possibilità di conferma della donazione nulla

- la donazione può essere revocata per l’esistenza non conosciuta al momento della donazione

di un figlio o discendente legittimo

- sono ammesse sostituzioni con gli stessi limiti che valgono per il testamento