Celeberrimo musicista,
compositore, librettista, autore di opere monumentali, e anche
pensatore, filosofo, scrittore.
Nelle sue opere suggerì il ritorno alla Natura e delineò
una "Dottrina della Rigenerazione" dove il Mitleid (=
sofferenza delle
sofferenze altrui, compassione) è il mezzo
necessario e
sufficiente per la redenzione dell’individuo.
L’amico e concittadino di Wagner, Ernst Heinrich Weber,
fisiologo e
psicologo, professore di anatomia comparata e di fisiologia
all'Università di Lipsia, autore de “Le camere di tortura della
scienza”, chiese a Wagner un contributo filosofico per la
battaglia da
lui energicamente intrapresa contro la vivisezione.
Seguono alcuni stralci tratti dalla “Lettera
aperta a Ernst von Weber”
di Richard Wagner, pubblicata nel 1879.
“…….Ciò che fin ora
mi ha trattenuto dall’entrare in uno dei gruppi esistenti per la
protezione degli animali è stato il fatto di vedere che tutti
gli appelli e le istruzioni da essi emanati si fondavano quasi
esclusivamente sulle ragioni dell’utilitarismo.
………Siamo ridotti quasi a porci il problema proprio di quanto sia valido
il principio di utilità, perché, qualora esso fosse
dimostrato infallibile, finirebbero proprio per essere le
società di protezione degli animali quelle che, con la tendenza
fin ora seguita, spianerebbero la strada alle più indegne
crudeltà contro i loro protetti.
Secondo tale principio potrebbe giovare alla causa zoofila soltanto una
prova riconosciuta dallo stato dell’inutilità di quelle forme di
torture scientifiche: e vogliamo sperare di giungere a tanto.
Ma, se anche i nostri tentativi in tal senso raggiungessero il
più completo successo, se cioè le torture venissero
eliminate soltanto sulla base della loro utilità, non si sarebbe
con ciò ottenuto niente di buono e duraturo per gli uomini, e
l’idea che ha fatto sorgere le nostre associazioni per la protezione
degli animali resterebbe perciò deformata e vilmente occultata.
Chi ha bisogno, per rinunciare spontaneamente a infliggere prolungate
sofferenze a un animale, di un motivo diverso da quello della pura
COMPASSIONE, non può in realtà essersi sentito mai
veramente in diritto di opporsi a torture inflitte ad animali da parte
di un suo simile.
Chiunque infatti si rivolta alla vista di tormenti imposti ad animali
è indotto a ciò solo dalla compassione, e chi si unisce
ad altri per la loro protezione viene sospinto solo dal sentimento
della compassione, anzi più precisamente da una compassione per
sua natura indifferente ai calcoli dell’utile e dell’inutile.
Ora, la maledizione della nostra civiltà consiste nel fatto che
noi non abbiamo il coraggio di porre quest’unico motivo determinante
della compassione alla testa di tutte le esortazioni e istruzioni che
rivolgiamo al popolo; e questa è una prova di quanto siano
sconsacrate le nostre religioni ufficialmente autorizzate.
I nostri tempi hanno bisogno dell’insegnamento di un filosofo che ha
combattuto validamente tutto quanto di impuro e di falso esiste intorno
a noi con spietata sincerità, per riconoscere nella compassione,
fondata nella più profonda natura della volontà umana,
l’unico fondamento di ogni eticità.
Ma si ride di ciò perché la virtù sembra potersi
giustificare soltanto in base ad argomenti di ragione. E con gli
argomenti della ragione si è giunti perfino a spiegare la
compassione come un egoismo potenziato: il fatto che la vista
dell’altrui dolore produce in noi stessi dolore, costituirebbe il vero
motivo della compassione, non il dolore altrui in sé stesso, che
appunto noi cercheremmo di eliminare unicamente per causa dell’effetto
dolorifico che esso produce in noi.
Siamo divenuti così intelligenti, da riuscire addirittura a
proteggerci con il più basso egoismo dalle emozioni collettive!
………………
Sentiamo dire che un congresso di medici pratici si è lasciato
trascinare dalla paura della “scienza” a farsi schiavo della pratica
torturatrice degli animali, dichiarando che senza l’esercizio
continuato degli studenti sugli animali vivi il medico pratico non
potrà mai più guarire in futuro un malato.
Fortunatamente le poche nozioni che abbiamo potuto raccogliere intorno
a quanto c’è di giusto e di vero in questa affermazione, sono
così convincenti, che la viltà di quei signori non
può riuscire più a destare in noi entusiasmo per le
torture inflitte agli animali per amore dell’uomo, ma al contrario ci
autorizza a considerare un medico che si lasci imporre simili dottrine,
come un uomo completamente digiuno di compassione e una nullità
nel suo mestiere, a cui non affideremmo mai la nostra salute e la
nostra vita.
Dato dunque che abbiamo avuto modo di formarci delle idee molto chiare
sulla pessima qualità di quella “scienza” raccomandata con
grande prestigio al favore del grosso pubblico, non possiamo non
sentirci autorizzati a ritenere e sperare che il fantasma
dell’utilità della vivisezione cesserà di impressionarci
nei nostri ulteriori tentativi di occuparci della faccenda; mentre
d’ora in poi ci dovrà importare soprattutto che si costituisca
una salda base alla Religione della Compassione, con dispetto dei
sostenitori del dogma dell’utilità.
Purtroppo, considerando le umane cose, ci accade di vedere la
compassione bandita dalla legislazione della nostra civiltà, e
di constatare come i nostri istituti di medicina, con il pretesto delle
necessità della salute umana, si siano trasformati in veri
istituti della spietatezza, che certamente finirà per rivolgersi
un giorno anche agli uomini non protetti dai loro esperimenti.
Ma non sarà proprio questa nostra indignazione contro i tormenti
inenarrabili inflitti agli animali a mostrarci, se ci lasceremo guidare
dalla spinta irreprimibile dei nostri sentimenti, la via atta a
condurci alla soglia dell’unico Regno, che veramente è
liberatore: quello della compassione verso tutti gli esseri viventi,
quasi un paradiso perduto finalmente ritrovato?
Quando in tempi lontani la saggezza umana cominciò ad avvertire
che nell’animale e nell’uomo respira la stessa vita, era ormai troppo
tardi per eliminare la maledizione che ci aveva messi sullo stesso
piano delle bestie feroci, inducendoci a nutrirci di carne animale, e
procurandoci malattie e miserie di ogni genere, alle quali non vediamo
esposti quegli esseri che si nutrono unicamente di frutti vegetali.
……………
I popoli sospinti verso climi inclementi, costretti a ricorrere per la
loro esistenza all’alimentazione animale, conservarono per lungo tempo
la coscienza che l’animale non apparteneva a loro ma a una
divinità, e sapevano di rendersi colpevoli di empietà
uccidendo un animale, e per tale atto ricorrevano all’espiazione
davanti a Dio.
………. La fede attuale è questa: l’animale è utile,
particolarmente quando, fiducioso nella nostra protezione, si mette
nelle nostre mani; facciamo pertanto di lui ciò che è
giovevole per l’uomo: noi abbiamo il diritto di martirizzare per giorni
interi mille cani fedeli.
……………. Dopo aver tanto impiegato gli animali non solo per nutrirci e
servirci, ma anche per indagare, mediante le sofferenze artificialmente
in essi indotte, ciò che manca a noi stessi quando il nostro
corpo è colpito da malattie derivanti da una vita innaturale e
da eccessi e vizi di ogni sorta, dovremmo invece finalmente imparare a
“usarli” in senso positivo, ai fini della nostra vita morale e come
testimonianze infallibili della sincerità profonda della natura.
……………. Agli animali, che sono stati i nostri maestri in tutte le arti
mediante le quali riusciamo a catturarli e a renderceli schiavi, l’uomo
non è mai stato superiore in nulla, se non nell’inganno e
nell’astuzia; non certo nel coraggio e nel valore.
Voler fondare la dignità umana sull’orgoglio umano di fronte
agli animali è vano; noi possiamo attribuire la nostra
supremazia su di essi e il fatto di esserceli resi schiavi soltanto
alla nostra maggiore capacità di simulazione.
Di quest’arte meniamo alto vanto; la chiamiamo “ragione” e crediamo di
poterci distinguere per essa orgogliosamente dagli animali dato che
essa, fra l'altro, ci renderebbe simili a Dio.
Nella sua grande sincerità e schiettezza l’animale non sa
valutare ciò che vi è di moralmente abietto nell’arte
mediante la quale noi lo abbiamo sottomesso; comunque vi sente qualcosa
di demoniaco, a cui timido si piega.
Se tuttavia l’uomo che lo domina esercita mitezze e cordiale
bontà verso il timido animale constatiamo che questi riconosce
nel suo padrone qualcosa di divino e ne ha tanta venerazione e amore da
impiegare le sue virtù naturali di coraggio, unicamente e
interamente al servizio della fedeltà fino alla morte più
dolorosa.
Un viaggiatore lasciò la cagna che lo accompagnava nella stalla
di una locanda, dove aveva messo al mondo dei piccoli, e si
incamminò da solo per la lunga via verso il proprio paese
distante tre ore di cammino; al mattino seguente trovò sullo
strame del cortile di casa sua i suoi quattro poppanti e accanto ad
essi la madre morta, la quale aveva portato uno alla volta a casa i
piccoli, facendo ben quattro volte in fretta angosciosa il cammino
avanti e indietro; solo dopo aver deposto l’ultimo dei piccoli nei
pressi del suo padrone, si era ripiegata nella morte dolorosamente
tenuta a bada fino ad allora.
Un comportamento di questo genere naturalmente il libero cittadino
della nostra civiltà lo chiama “fedeltà da cani”
sottolineando con disprezzo il “da cani”.
Ma non sarebbe meglio, in un mondo nel quale l’adorazione è
completamente scomparsa o è soltanto un’ipocrita parata, trarre
esempio dagli animali da noi domati, che possono indurci a compassione?
Là dove fra uomini si riscontri fedeltà e offerta di
sé fino alla morte, non è proprio il caso di considerare
umiliante questo legame con il mondo animale; molte ragioni inducono
anzi ad ammettere che quella virtù si manifesti negli animali in
forma più pura, più divina che negli uomini,
poiché l’uomo è capace di avvertire nella sofferenza e
nella morte una spiritualizzante espiazione, mentre l’animale si
sacrifica tutto e interamente solo per amore e fedeltà.
……………. Non basta forse a questo punto l’orrore certamente avvertito da
ognuno per l’impiego dei più incredibili tormenti sugli animali
(in supposto beneficio per la nostra salute), a produrre in noi una
tale conversione, o è necessario aggiungere che tale
utilità costituisce un errore, se non addirittura un inganno,
dato che si tratta soltanto di virtuosismi e di pura soddisfazione di
una stupida curiosità??
..………… Potesse oggi
lo Stato gettar fuori a pedate dai loro laboratori i signori
vivisettori, che costituiscono un’onta per l’umanità!
Ci informano che, mentre lo Stato e la Chiesa si rompono la testa per
decidere se entrare nel nostro ordine di idee o temere al contrario le
ire della “scienza” offesa, vi è stata un’irruzione violenta in
una sala di vivisezione a Lipsia, con immediata uccisione di animali
ivi distesi e destinati a tormenti di settimane, nonché un buon
tratto di legnate all’accurato custode di tali orribili stanze di
tortura.
E’ proprio di Abolizione Incondizionata
che si deve parlare, non di “opportune limitazioni”
sotto “vigilanza dello Stato”; giacché per “vigilanza dello
Stato” si intenderebbe naturalmente solo l’assistenza di un gendarme
istruito all’uopo ad ogni conferenza di fisiologia dei signori
professori davanti ai loro “spettatori”.
…………… Qualora dovessimo vederci derisi per questi nostri ragionamenti e
respinti dall’intelligenza nazionale, volentieri ci sentiremmo disposti
ad uscire da un mondo nel quale non potrebbe vivere “neanche un cane”,
anche se in nostra commemorazione non dovesse venire eseguito alcun
Requiem tedesco!”