Il tempo scorre lento e non cancella il nome dei morti, a noi cari per la loro fama e la loro nobiltà di sentimenti e d’animo. Il poeta, Salvatore Lay Deidda, che dedicò alla lingua sarda il genio della sua arte, non può essere lasciato nell’oblio della tomba. Nacque a Desulo il 18 maggio 1920. La sua infanzia e la sua giovinezza sono collocate in un presepe che ha per sfondo il Gennargentu. Gli attori sono laboriosi pastori, solerti contadini e industriosi artigiani. In questo ameno panorama della Barbagia appare la povertà impensabile e profonda. Viene evidenziato il rapporto fra natura e uomo, rapporto difficile e severo fino alla durezza. L’arte del Deidda, attraente, ricca di alta spiritualità, riesce a dar tono alle cose più semplici e più umili.Il dott.G.Sulis, suo ammiratore e contemporaneo, scrisse del poeta: “I versi balzano come polle d’acqua montana pervasi spesso di un profondo sentimento umano e religioso, colorandosi di riflessi siderali quando gli viene di cantare la religione e la fede. L’interesse per la poesia prese radice nel Deidda fin dalla sua giovinezza. Scrisse delle liriche nelle quali si poteva intravedere l’ardore dei suoi meriggi. Ancora studente alla facoltà teologica di Napoli, pubblicò, in lingua italiana le “Nenie nuragiche”. Le suddette liriche, il poeta le scrisse all’età di 18 anni. Il professor Tor’Angelo De Villa ne curò la prefazione e scrisse: il poeta le chiama Nenie e Nenie nuragiche, perché nel dettarle egli non ha inteso altro che manifestare — attraverso identiche tonalità poetiche — il suo grande amore per la natia Sardegna. Ultimati gli studi e ordinato sacerdote ( sett. 1947 ) fu viceparroco a Tonara; nel 1948 fu nominato parroco dello stesso paese, dove restò fino alla morte ( 14/01/1951 ). Durante il breve soggiorno tonarese pubblicò in “S’Ischiglia” i “Cantos de monte” in lingua sarda. Col nome di “Cantos si rievoca la sensazione che producono i piccoli quadretti sardi improntati a scene paesisti che e ad amene visione poeti che. Uomini, animali e cose sono ritratti con semplicità e spensieratezza di volo. “Cantos” perché la ristrettezza dell’orizzonte si contenta di annottare un ricordo o un’immagine istantanea che suscita affetti al cuore, come “Sa cantadora”, “S’arbore siccu”, “Ilalà” e “Su pastore solitariu”, cui altri non darebbero interesse. L’autorevole F. Addis scrisse: “Salvatore Lay Deidda da giovane di fervido cuore non ha bisogno di soffietto che metta in mostra le virtù innegabili di autentico umanissimo poeta. Nei “Cantos” appare infatti il sentore di un’alta poesia. Si avvantaggiò di bravura stilistica e di impeccabilità nel l’armonia del verso. Seppe modulare le scene presentate con la malia della musicalità e la suggestività del paesaggio. “Sa cantadora” appare al poeta come una “pizzinnedda a trezzas longas e oghi niedda” ma è solo un’illusione che vive nel cuore del poeta, perché la morte, presto cancellerà tutto e al poeta non resterà che vivere “s’aspru dolu”.