“Ogni volta che muore un vecchio, è come se bruciasse una biblioteca”.
Qualcuno ha scritto questa frase pensando all'Africa, ma la si potrebbe
applicare, in scala ridotta, anche alla Sardegna. Una memoria/biblioteca è
stato Antonio Sau da Tonara, Antoneddu per gli amici, scomparso tempo fa
all'età di 92 anni. Il nome potrebbe non significare niente per la maggioranza
dei lettori, ma pure il suo viso da placida volpe dei cartoni animati è
apparso anche in un film francese che fu presentato a Cannes nel 1971: si
intitolava «Fusil chargé» e fu girato da un regista franco-italiano, Carlo
Lombardini, probabilmente suggestionato dai romanzi della Deledda e dal mito
di Graziano Mesina. Era una sorta di western, con scontri tra allevatori,
agguati/cavalcate maestose alle pendici del Gennargentu e nelle valli di
Atzara, Sorgono e Tonara. Antoneddu fece da guida geografica, prestò arredi,
litigò con lo scenografo che voleva reinventare la Sardegna, comparve in
alcune sequenze come figurante. Fu invitato assieme alla moglie ad assistere
alla prima, a Parigi, ma non ci andò; e non perché avesse timore di varcare le
colline che circondavano il suo paese. La sua vita era stata ben più
avventurosa ed eccitante di una finzione cinematografica. Infatti, la storia
di Antoneddu Sau fa parte di una saga di famiglia che ha come tema la
conoscenza del mondo e la coscienza del cambiamento, anche nei villaggi della
Sardegna.
Il
padre, alla fine dell'ottocento, gestiva la mensa degli operai che costruivano
la ferrovia. Quando l'addetto alle paghe fuggì con il malloppo, s'incaricò di
rintracciarlo: come in un vero western vagò a cavallo, per circa due mesi,
alla ricerca del fuggiasco. Si fermò a Terranova, cioè nell'attuale Olbia: il
colpevole era già in Corsica. Sapeva leggere e scrivere e fece una relazione
per la compagnia ferroviaria che i figli e poi i nipoti conservarono
gelosamente. Con la sua attività non si arricchì ma riuscì a provvedere
all'avvenire dei figli: fece venire da Thiesi «unu maistru'e ferru» ad
insegnare il mestiere di carpentiere a Nanni, il figlio maggiore. Lo ospitò
per alcuni mesi, pagandogli ovviamente il disturbo. Da un paese più vicino,
arrivò in voce il «maestro'e pannu» per un altro figlio. In questa Sardegna a
metà strada tra le «corporazioni medievali» e l'arrivo dirompente della
modernità, Nanni aveva però deciso di vedere il mondo: nel 1912 era in
Argentina. Per circa un anno guidò un tram a cavalli a Rosario di Santa Fé,
poi fece il «gauchio» nelle immense pianure del sud, e quindi, sempre a
Rosario, gestì un bar, affollatissimo e non sempre tranquillo.