DESCRIZIONE DEL BLOCCO



Il "blocco ascellare" è, probabilmente, la tecnica oggi più usata per eseguire il blocco del plesso brachiale, verosimilmente in quanto la zona in cui viene eseguito è lontana dal polmone e dal nervo frenico e, quindi, sono minime le possibilità di avere complicazioni polmonari. Inoltre, vi sono certamente più modificazioni e variazioni tecniche nei riguardi del blocco ascellare che con ogni altra tecnica. Mentre alcuni di questi "trucchi del mestiere" possono fortemente aumentare l'efficacia e l'estensione dell'anestesia ottenuta col blocco ascellare, alcuni riducono, in realtà, l'efficacia di tale blocco. L'autore esegue il blocco del plesso brachiale con la tecnica perivascolare sul lato sinistro nel modo seguente: il paziente deve essere posto in posizione supina con il braccio abdotto a circa 90°, l'avambraccio flesso a 90° e ruotato esternamente in modo che il dorso della mano si trovi sul tavolo. Alcuni pazienti ed alcuni anestesisti preferiscono avere la mano del paziente posta dietro alla nuca; ma tale posizione rende l'esecuzione della tecnica più difficile in quanto il primo passo è l'individuazione del polso ascellare ed è stato ampiamente dimostrato da Wright che l'iperabduzione del braccio oblitera la pulsazione dell'arteria brachiale nell 83% dei soggetti normali. Ciò deriva dal fatto che quando il braccio è iperabdotto vi è stiramento, torsione e pinzettamento dei vasi ascellari-succlavi e del plesso in tre punti: al punto in cui i vasi succlavi ed i tronchi del plesso passano tra la clavicola e la prima costa; al punto in cui i vasi ascellari ed i rami passano attorno all'inserzione tendinea del piccolo pettorale al processo coracoideo; infine al punto in cui passano attorno alla testa dell'omero iperabdotto. L 'iperabduzione, quindi, dovrebbe, ovviamente, essere evitata in quanto rende più difficile l'identificazione del polso. A riprova di quanto affermato, negli individui molto muscolosi, se il grado di abduzione viene ridotto a meno di 90°, l'identificazione del polso arterioso, a volte difficile in tali pazienti, sarà più facile. L'identificazione del polso arterioso deve essere eseguita dove esso è più facile da palpare, cioè a livello dell'arteria brachiale, nella parte alta del braccio, o più prossimalmente, a livello dell'arteria ascellare, nell'ascella. In ogni caso, dopo aver identificato l'arteria, il polso deve essere seguito il più possibile in senso prossimale, teoricamente fino al punto in cui scompare sotto il muscolo grande pettorale. Può essere utile, a questo punto, un assistente che, riducendo il grado di abduzione del braccio e facendo rilasciare i muscoli pettorali, permette di portarsi, con la palpazione, ancora più prossimalmente. Ciò, come vedremo, è importante in quanto l'ago potrà essere inserito più in alto nell'ascella e l'iniezione potrà essere fatta oltre il livello della testa omerale, che tende ad ostacolare, al di sotto di essa, la diffusione dell'anestetico iniettato. Con il dito indice ancora sull' arteria ascellare, viene inserito, appena sopra la sua punta, un ago 22G di 1-1,5 pollici a smusso corto, diretto verso l' apice dell'ascella, in modo che, durante l'avanzamento, possa "viaggiare" , quasi nella stessa direzione del fascio neurovascolare. Per eseguire un blocco ascellare destro le fasi di lavoro sono le stesse, ma la palpazione dell'arteria si esegue meglio con l'indice della mano destra, mentre con la sinistra si tiene l'ago. L'ago viene fatto avanzare lentamente, avvicinandolo al fascio neurovascolare con un angolo di 10°-20°, finche uno dei tre segni seguenti non indica che è entrato nello spazio perivascolare ascellare.
I) Se si impiega un ago a smusso corto (45°) l'anestesista sente, in genere, un "click fasciale" quando la punta dell'ago penetra nella guaina. Se viene impiegato un ago a smusso convenzionale (17°) non si potrà sentire alcun "click", in quanto la punta di tale ago sarà tagliente ed inciderà la guaina senza provocare il "click". Gli studi condotti in Svezia da Selander, inoltre, indicano che con un ago a smusso molto corto vi è minor pericolo di danno alle strutture nervose.
2) Comparsa di parestesie nell'area di distribuzione di uno dei nervi del fascio: ciò indica che la punta dell'ago ha incontrato un nervo e che, quindi, si trova all'interno del compartimento peri-vascolare. Gli studi di Selander sembrano indicare che ciò aumenta l'incidenza di neuropatia post-anestetica; se ciò fosse vero, l'evocazione di parestesie dovrebbe essere il più possibile evitata. Gli stessi studi, però, indicano che quando un anestesista tenta di eseguire un blocco ascellare senza evocare parestesie, incontrerà inavvertitamente un nervo e produrrà parestesie nel 40% dei casi. Pur tuttavia, anche quando le parestesie non vengono ricercate, se compaiono indicano che la guaina è stata penetrata, che l' ago deve essere immobilizzato e che la soluzione deve essere iniettata.
3) Se sul cono dell'ago compare sangue rosso vivo significa che la sua punta è in arteria. Quando si verifica ciò l'anestesista non deve ritirare l'ago ma farlo avanzare il più rapidamente possibile attraverso la parete posteriore del vaso ed iniettare il contenuto della siringa. La cosiddetta "tecnica trans-arteriosa' , consiste nel trapassare deliberatamente l'arteria: si afferma che l'entrata in arteria è il segno più certo di penetrazione nel compartimento perivascolare ascellare. Se, volontariamente o involontariamente, si impiega questa tecnica, si deve iniettare l'intero contenuto della siringa subito dopo aver oltrepassato la parete posteriore dell' arteria.

Per completare l' anestesia, e questo accade spesso anche se si utilizzano 40cc., occorre bloccare separatamente il n. muscolo-cutaneo (vedi: anatomia) e i due nervi sottocutanei: intercosto-brachiale e cutaneo-mediale del braccio (come da figura sulla sinistra). Questi ultimi, se trascurati, lascierebbero scoperta la parte mediale del braccio, un area da anestetizzare nel caso si utilizzasse un tourniquet per l'ischemia dell'arto.

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