Il caso Sarno
 

Gian Marco CHIOCCI
Coop e camorra, un'inchiesta annegata nel Sarno
tratto da Il Giornale, 1.4.2006, p. 7.

"Forse non tutti sanno che il Parlamento ha istituito una commissione d'inchiesta sulle cause di inquinamento di un fiume, il Sarno, fra i più malridotti e maleodoranti d'Europa. E in pochissimi sono a conoscenza del fatto che quest'organismo presieduto dal senatore Carmine Cozzolino (An) ha concluso i suoi lavori di recente con una relazione, di prossima approvazione, che se non ha ancora messo d'accordo maggioranza e opposizione, evidenzia un primo dato agghiacciante: dal 1973 ad oggi, per interventi di bonifica e risistemazione del fiume che abbraccia le province di Napoli, Avellino e Salerno, sono stati sperperati esattamente 1.527 miliardi di vecchie lire. A questa cifra vanno però aggiunti altri mille miliardi stanziati per il completamento dei lavori in corso. Il totale supera, e di molto, i 2.500 miliardi. Un fiume di soldi. Che non sono serviti a evitare i 137 morti nel fango del 5 maggio 1998.

Un fiume di scandali
La commissione s'è spaccata sulle risultanze investigative e peritali legate al ruolo delle coop e della camorra nello scandalo del «Canale Conte Sarno», un corso d'acqua parallelo al Sarno, oggetto della famosa inchiesta evocata da Berlusconi conclusa con un'assoluzione per prescrizione degli imputati. L'oggetto del contendere è, di fatto, il documento di 25 pagine elaborato dai consulenti della commissione, Pietro Paolo Elefante e Antonio Sicignano, che il Giornale ha visionato in anteprima. Lo studio dei due superesperti rifà la storia della progettazione e realizzazione della sistemazione di questo canale affidata (dalla Regione Campania) a un consorzio temporaneo di imprese formato dal Consorzio cooperative costruzioni (Ccc) di Bologna e dal Consorzio cooperative di produzione e lavoro (Coonscoop) di Forlì. La concessione - si legge nel documento - prevedeva un importo iniziale di 15 miliardi di lire lievitato a quasi 249 miliardi dopo alcune trattative fra il concedente (il Cipe) e il concessionario (le coop rosse).

Coop e cosche
Sul progetto redatto dalle cooperative il ministero dell'Ambiente espresse parere favorevole sull'intero tracciato del collettore a condizione, però, che il canale venisse realizzato a cielo aperto. Cosa puntualmente non avvenuta anche perché il medesimo progetto prevedeva, incredibile a dirsi, l'attraversamento degli scavi archeologici di Pompei. Le coop rosse concessionarie erano poi obbligate a eseguire il tutto mediante appalto: stando alle ferree regole della convenzione di concessione, il 25 per cento del valore complessivo dell'importo dei lavori doveva essere realizzato da imprese che avevano sede in Campania in epoca precedente al 23 novembre 1980, mentre il 40 per cento doveva essere affidato ad imprese di costruzioni aventi sede legale e/o operanti nella Regione Campania alla data di pubblicazione della legge 14 maggio 1981, n. 219. Cosa, anche qui, puntualmente non avvenuta secondo i periti della procura di Nola che indagarono sulle coop rosse poiché le stesse cooperative Coop «avevano organizzato la gara in modo tale da renderla poco appetibile ad imprese esterne». E difatti la gara andò deserta. L'affidamento dei lavori venne così girato a proprie cooperative consociate, tra le quali era già stata costituita una società consortile denominata Canal Sarno s.a.c.r.l. che con il metodo del subappalto affidò il 70 per cento dei lavori del 1° e 2° stralcio alle ditte Tecnoter s.r.l. (il cui amministratore unico era stato tratto in arresto in esecuzione di ordinanza cautelare emessa dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli per partecipazione all'organizzazione camorristica capeggiata da Carmine Alfieri); alla Jandolo Costruzioni e alla coop la Boschese (i cui titolari, secondo il R.O.S., erano sospettati di agire come prestanomi di Angelo Visciano, noto camorrista della zona). Per le forniture di calcestruzzo, invece, le coop rosse si affidarono all'impresa Calcestruzzi Terracciano di tal Francesco Terracciano (in cui erano soci, sempre stando alle informative dei carabinieri del Ros, i boss Marco Cordasco e Pasquale Galasso, poi diventato pentito). Ecco cosa si legge sul punto a pagina 94 della sentenza numero 378/97: «(...) In effetti i rapporti con le subappaltatrici o fornitrici, spesso in odore di camorra, il sistema di procacciamento dei fondi per il pagamento (delle tangenti) attraverso la sopraffatturazione, sono tutti effetti di quel momento che non può privare del suo “imprinting” l'intera vicenda».

Pompei blocca tutto
Il 13 ottobre 1995 il prefetto di Napoli, commissario Cipe, dispose l'immediata sospensione dei lavori alle coop per il «rinvenimento di reperti archeologici all'imbocco della galleria degli scavi di Pompei». Fino ad allora il costo complessivo dei lavori ammontava a 146 miliardi ma dopo lo stop forzoso - dovuto all'«improvvisa» scoperta dei millenari scavi di Pompei - le cooperative iniziarono a battere cassa per un immediato risarcimento dovuto alla mancata ultimazione del loro progetto: ottennero 115 miliardi mediante un primo lodo. Tra lavori, transazioni, giudizi arbitrali e revisioni di prezzi i conti schizzarono alle stelle. Rispetto al totale iniziale dell'appalto di quasi 249 miliardi di lire, l'importo percepito dalla coop CCC per lavori eseguiti a dicembre 2004 ammontava a 152 miliardi e rotti miliardi di lire, per lodi oltrepassava i 116, per transazioni arrivò alla cifra record di 664.345.081. La somma - senza conteggiare l'ultimo lodo vinto da 37 miliardi - fu di 281 miliardi e 464 milioni. «Più di quanto doveva percepire se l'opera fosse stata completata».

Fatture gonfiate
Altro capitolo affrontato dai consulenti è quello dei riscontri, trovati dalla magistratura, su una serie di presunti illeciti delle coop: fatture false, illegittimo passaggio dalla contabilità a misura alla contabilità a forfait, costi gonfiati, illegittimi espropri, illegali sovrapprezzi nella costruzione di paratie e pali, illegali sovrapprezzi sui solai, illegali sovrapprezzi per le casserature. Ma il dato più eclatante della consulenza riguarda una presunta truffa ai danni dello Stato attraverso un sistema di fatture false realizzato dalle società subappaltanti dello stesso ammontare della richiesta di tangente camorristica ricevuta dalle cooperative, pari al 4 per cento o 5 per cento dell'affare (come è emerso dall'indagine della magistratura). Quindi - secondo i consulenti - in merito al «Canale Conte di Sarno» lo Stato italiano sembra essere il soggetto che di fatto ha pagato, per via indiretta, la tangente alla camorra. A fronte dei 336 miliardi spesi, con le sovraffatturazioni sono finite nelle tasche del clan Alfieri ben 13 miliardi e 442 milioni di lire (pari al 4 per cento della torta). La riprova della mazzetta statale è nelle parole del pm della Ddda di Napoli, Filippo Beatrice, ascoltato dalla commissione il 10 novembre 2004: «Da parte delle cooperative vi era un esborso superiore rispetto alla prestazione ricevuta. La differenza, di fatto, veniva restituita sottobanco alle cooperative e, in base alle risultanze emerse, parte di quei soldi rimanevano nell'ambito dei soggetti che svolgevano attività imprenditoriale e parte finivano nelle mani dei camorristi che ottenevano così un doppio guadagno: da un lato, facevano lavorare imprese di loro fiducia, che venivano o imposte o scelte in base ad un accordo con le imprese delle cooperative; dall'altro ricevevano denaro attraverso il sistema della sovraffatturazione».

Dimenticanze in procura
Se le coop non sono state perseguite penalmente in ogni fattispecie di reato è solo perché, nel processo, i cosiddetti reati minori (false fatturazioni, prezzi gonfiati eccetera) sono stati inglobati nel procedimento più corposo dove si contestava l'associazione per delinquere di stampo mafioso. Cadendo il 416 bis, è caduto anche ciò che doveva restare in piedi in tutt'altra inchiesta"