(.....) E mi misi finalmente a cercare la città.
Allontanatami ancora un poco dalla stazione, arrivai a una strada, che da un solo lato era
fiancheggiata da vecchie case, e dallaltro costeggiava un precipizio. In quel
precipizio è Matera. Ma di lassù dovero io non se ne vedeva quasi nulla, per
leccessiva ripidezza della costa, che scendeva quasi a picco. (.....)(.....) La
forma di quel burrone era strana; come quella di due mezzi imbuti affiancati, separati da
un piccolo sperone e riuniti in basso in un apice comune, dove si vedeva, di lassù, una
chiesa bianca, Santa Maria de Idris, che pareva ficcata nella terra. Quei coni rovesciati,
questi imbuti, si chiamano Sassi: Sasso Caveoso e Sasso Barisano. Hanno la forma con cui,
a scuola, immaginavamo linferno di Dante. E cominciai anchio a scendere
per una specie di mulattiera, di girone in girone, verso il fondo. La stradetta,
strettissima, che scendeva serpeggiando, passava sui tetti delle case, se così quelle si
possono chiamare. Sono grotte scavate nella parete di argilla indurita del burrone: ognuna
di esse ha sul davanti una facciata; alcune sono anche belle, con qualche modesto ornato
settecentesco. Queste facciate finte, per linclinazione della costiera, sorgono in
basso a filo del monte, e in alto sporgono un poco: in quello stretto spazio tra le
facciate e il declivio passano le strade, e sono insieme pavimenti per chi esce dalle
abitazioni di sopra e tetti per quelle di sotto. Le porte erano aperte per il caldo. Io
guardavo passando, e vedevo linterno delle grotte, che non prendono altra luce e
aria se non dalla porta. Alcune non hanno neppure quella: si entra dallalto,
attraverso botole e scalette. Dentro quei buchi neri, dalle pareti di terra, vedevo i
letti, le misere suppellettili, i cenci stesi. Sul pavimento stavano sdraiati i cani, le
pecore, le capre, i maiali. Ogni famiglia ha, in genere, una sola di quelle grotte per
tutta abitazione e ci dormono tutti insieme, uomini, donne, bambini e bestie. Così vivono
ventimila persone. Di bambini ce nera uninfinità. In quel caldo, in mezzo
alle mosche, nella polvere, spuntavano da tutte le parti, nudi del tutto o coperti di
stracci. Io non ho mai visto una tale immagine di miseria: eppure sono abituata, è il mio
mestiere, a vedere ogni giorno diecine di bambini poveri, malati e maltenuti. Ma uno
spettacolo come quello di ieri non lavevo mai neppure immaginato. Ho visto dei
bambini seduti sulluscio delle case, nella sporcizia, al sole che scottava, con gli
occhi semichiusi e le palpebre rosse e gonfie; e le mosche gli si posavano sugli occhi, e
quelli stavano immobili, e non le scacciavano neppure con le mani. Si, le mosche gli
passeggiavano sugli occhi, e quelli pareva non le sentissero. Era il tracoma. Sapevo che
ce nera, quaggiù: ma vederlo così, nel sudiciume e nella miseria, è unaltra
cosa.Altri bambini incontravo, coi visini grinzosi come dei vecchi, e scheletriti per la
fame; i capelli pieni di pidocchi e di croste. Ma la maggior parte avevano delle grandi
pance gonfie, enormi, e la faccia gialla e patita per la malaria. Le donne , che mi
vedevano guardare per le porte, minvitavano a entrare: e ho visto, in quelle grotte
scure e puzzolenti, dei bambini sdraiati in terra, sotto delle coperte a brandelli, che
battevano i denti dalla febbre. Altri si trascinavano a stento, ridotti pelle e ossa dalla
dissenteria. ne ho visti anche di quelli con le faccine di cera, che mi parevano malati di
qualcosa di ancor peggio che la malaria, forse qualche malattia tropicale, forse il Kala
Azar, la febbre nera. Le donne, magre, con dei lattanti denutriti e sporchi attaccati a
dei seni vizzi, mi salutavano gentili e sconsolate: a me pareva, in quel sole accecante,
di esser capitata in mezzo a una città colpita dalla peste. (.....)
Carlo Levi
(dal libro Cristo si è fermato
ad Eboli)