ANNO 2008

 

Ottobre - Novembre - Dicembre
(
Trimestre anno 2008)

 

 

"A r s P o e t i c ae"
(L'Arte della Poesia)

 

 

Foglio periodico letterario - artistico -

 

Qui canit Arte canat...

 

 

Fondato e redatto a cura da:
Sandro Ciapessoni
Via Dignano, 6 - 35135 - PADOVA
Telef. 049612286

 

 

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Tutti i testi qui contenuti sono di proprietà
dei vari Autori;
pertanto sono tutelati a norma di Legge.

 

 

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SOMMARIO:

Articoli:

"Speciale Tremezzina":
"GODWI" ovvero: "La statua della madre". (estratti)
di: "Clemens Wenceslaus Maria von Brentano"
(Seguito del trimestre precedente)

"Anna Katharina Emmerick"
sempre da Clemens Wenceslaus Maria von Brentano)

"Gabriele d'Annunzio": di "Sandro Ciapessoni"
(Seguito del trimestre precedente)

 

Opere Poetiche:

Daniella Pasqua: "Non lasciarmi sola..."
Sandro Ciapessoni: "Nell'orizzonte terso..."
Antonia Migliaresi:
"Ti vedo arrivare..."
Gianna Comelli:
"Tramonto..."
Ilde Andreaggi Petek: "Mare Cielo Terra..."

SITI WEB AUTORI

Sandro Ciapessoni:
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Migliaresi Antonia:
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"Speciale Tremezzina"
(Seguito del trimestre precedente)

Del Poeta e Scrittore Clemens Wenceslaus Maria von Brentano (il cui padre Peter Anton Brentano di origine italiana, nato a Tremezzo - Como - il 19-09-1735), segue la pubblicazione dell'opera "Godwi" cui il precedente trimestre (luglio - agosto - settembre 2008). Dato la consistente corposità dell'Opera, riporterò per il Lettore soltanto alcuni brani intervallati con Poesie con la speranza che il tutto, sia gradito. Buona lettura.

Sandro Ciapessoni.

PREFAZIONE

[...] L' ho terminato all'inizio dell'anno '99 (1799, il Poeta aveva 21 anni: Ndr), a quel tempo non mi ero ancora dedicato all'Arte, e la servivo ingenuamente. La vendicherò in questo libro, seppure andrò in rovina. Non credo questi fogli come un sacrificio, no, essi devono nutrire la fiamma nella quale un giorno le recherò il mio puro sacrificio. [...] Ma continuerò ad andare avanti più velocemente, più artisticamente e più appassionatamente affinché lo spazio che mi separa dalla meta diventi sempre più piccolo e, infine rimanga visibile soltanto al veggente.
1800. Giugno

Maria.(1)

(1) Maria = Da leggersi come "Maria Clemens Wenceslaus von Brentano"

PRIMA LETTERA - Godwi a Roemer.
Castello Eichenwehen

Brr! Questo posto non è affatto accogliente, a ogni tratto di penna si sente riecheggiare, quando la tempesta fa una pausa. E' fresco, la mia luce vacilla su un candeliere di corno montato in argento. Nella stanza in cui mi trovo domina un'atmosfera particolarmente antiquata; è come se durante la costruzione del castello Eichenwehen ci fosse stato murato un pezzo del XV secolo, e il mondo all'esterno, nel frattempo, fosse andato avanti. Tutto ciò che mi circonda mi maltratta e interviene in modo così rude come un guanto di sfida. Le finestre cigolano e fanno fracasso e il vento produce un sibilo così strano attraverso gli angoli del cortile, che già alcune volte ho guardato fuori, credendo che dal portone del castello stessero entrando al galoppo delle carrozze armate.[...] Non desidero fra le altre pareti ricoperte di nero una donna graziosa e spensierata al mio fianco, non desidero percorrere su una carrozza leggera, una bianca strada illuminata dalla luna; non desidero che mi si stia tra le braccia la bellissima Patria che non mi lega mai con catene pesanti, ma con catene di anelli allineati nelle quali c'è al massimo una mobile uniformità; non desidero che davanti a me il vivace corno del postiglione, scintillante attraverso i cespugli , emetta forte i suoni allettanti verso luoghi sconosciuti e che l'eco risuoni da tutte le rocce, e che tutto libero e lieto canti nella notte le vietate parole:

VASTO COME IL MONDO...

e potente è la mente;
tutta la terra sconosciuta
e circondata, avvinta è per lui...
Patria guadagnata.

No, tutto questo no; allora mi pare vadano quasi bene quei ritratti di famiglia, nei quali non c'è corrente d'aria e nessuno beve nella calura, e ogni tosse o raffreddore è nobile e annovera molti antenati.

[...] Il bacio di addio era così significativo, il suo desiderio di farmi restare era tanto chiaramente implicito, anzi, aveva allontanato con gli stessi baci, le lacrime dell'addio, poiché il separarsi non è che una lacrima, e il rivedersi nient'altro che un bacio. Ah se un bacio non avesse fine, Molly mi avrebbe trattenuto volentieri e se una lacrima non si asciugasse, non potrei dimenticarla. Il bacio era molto sincero e poiché era chiaramente di parere diverso da Molly, dovette pur essere qualcosa d'altro, forse proprio il timore, che la costrinse e vedere subito svelata , attraverso la verità sensuale dei baci nell'ebbrezza della passione, la geniale ipocrisia della sua temperanza nell'ebbrezza della vanità.
Dolci erano le sue labbra, un tacito amoroso abbandonarsi vi galleggiava sopra, e mentre avevo la sensazione del passaggio di un altro essere e del suo godimento in me, nella mia estasi provavo il sogno incantevole di un bacio eternamente voluttuoso.

NON SENTI COME MORMORANO LE FONTI...

Non senti come mormorano le fonti
e lo stridor del grillo tu non odi?
Ed è silenzio e noi, taciti... ascoltiamo.
Beato è, chi immerso nei sogni muore.

Beato è colui che su le nubi cullasi,
la ninnananna la luna a lui canta.
Beato è colui che spiccherà il volo
il cui sogno aprirà l'ali disciolte sue.

Nell'azzurra distesa del cielo,
coglierà stelle qual fossero fiori.
Nel sogno lui dorme e nel sogno lui vola;
ti sveglierò presto ricolmo di gioia.

Clemens Wenceslaus Maria Brentano.

Ma all'apice dell'ebbrezza il calice ci cade, fredda scorre la realtà fra le nostre labbra ardenti e il limite del suo piacere strappa l' ultima goccia e ci svegliamo. Così si dissolse il furore del primo e dell'ultimo bacio. Muta stava Molly, intorno a lei le rovine del suo orgoglioso comando; la vergogna colorò le sue guance e subito dopo, il pallore lo vinse.

LA TERRA NULL' ALTRO CHE MORTE...

La terra null'altro che morte.
Solitario vivevo;
corrotto era il sole
ma non tu... non il tuo sguardo.

Da bere tu m'offri
e mai senza guardarmi;
se gli occhi tu reclini
io non saprò salvarmi.

Primavera agita le ali,
e la terra freme di veglia
ma nulla potrà ridarmi
se non te così mite... così mite...
te sola.

Clemens Wenceslaus Maria Brentano.

****

IL MAGICO VASO...

Tu sei il magico vaso
che il mio spirito avvolge
e nel calice di spumante
compiuto si è il mio destino.

Clemens Wenceslaus Maria Brentano.

****

Domani tutte le acque zampilleranno nel parco di Sua Altezza Serenissima, poiché un nuovo fiume di benedizione si è riversato sul paese alla nascita del futuro padre del popolo, senza tener conto dell'acqua nella sua testa e delle lacrime dei suoi sudditi che prosciugandosi alternativamente fanno come le paludi Pontine con il sudore dei pontefici romani. Eppure la sua testa e i suoi sudditi non fanno parte di quelle fontane che come una certa Fontaine sputa sempre e solo acqua in mille raggi di lunga e breve durata noiosi e divertenti, per la gioia di grandi dame e delle loro bambinaie, e di una moltitudine di plebaglia letteraria con relativi pensatoi. Hanno il loro posto nella valle delle lacrime.
[...]

I canti serali degli usignoli si smorzavano sempre di più al rumore degli uomini che si avvicinavano, e la benevola luce lunare impallidiva allo splendore del castello illuminato e dei servitori che con le fiaccole correvano intorno alle carrozze; le grida dei cocchieri, il rumore delle carrozze, i fischi, i canti e il chiacchierio della folla mi svegliarono bruscamente dal mio cielo. Al contrario di quel che spesso mi accade nella mia solitaria stanza dopo il trambusto di una festa da ballo, qui mi colse un'indignazione della quale ora, a dire il vero, io mi vergogno. [...]

Otilie: da "Godwi"
I miei occhi non possono più sopportare la luce del sole. Il vento d'occidente irrigidisce le mie membra, e il canto della mia arpa non risuona più così forte dalle volte della mia casa e troppo patisco vedendo Otilie soffrire con me. La mia veste non è più capace di contenere l'ardore del mio cuore, presto crollerò in me stesso come un mucchio di cenere.

SUSSURRAVANO I VENTI D' OCCIDENTE...

Sussurravano i venti d'occidente,
argentei mi ondeggiavano i riccioli
intorno alla testa.

Qui, attraverso le rocce, più dolci
echeggiano i suoni della mia arpa.
Dall'eterna lontananza,
cenno mi fanno le consolanti stelle.

Gli occhi miei stanchi
volti verso terra, ora cercano quiete.

Presto, ah presto una vita migliore
allieterà questo mio stanco cuore,
e l'ansioso tendere dell'anima
eternamente sarà allora placato.

Negra ombra di tomba sale
intorno al lacrimoso sguardo;
dalla cenere della morte
proromperà una speranza gioiosa.

[...]

Il chiarore della luna
fa risplendere la malinconia
degli occhi miei senza lacrime ormai.

Ombre si librano nella cella
e sospiri sussurrano; un alito spettrale
frulla inquieto attraverso le mie corde,
rimango in ascolto... sollevo ora la mano,
e battono, conforto nella sofferenza...

orologi di morte alla parete.

Clemens Wenceslaus Maria Brentano.

***

Violetta: da "Godwi"
[...]
Notai dei raggi di luce che penetravano dalle imposte, perciò mi vestii, aprii la finestra. Era chiaro di luna ed erano le tre. La mia visuale era molto bella, la finestra dava sul giardino, una vegetazione selvaggia curata, e in mezzo, tra i verdi alberi sognanti, si elevava verso il cielo un blocco di marmo alto e bianco. Capii subito che doveva essere il monumento di Violetta, perchè sopra tutto l'insieme vidi un braccio sollevato, con una lira.
La luna si trovava dietro la lira e mi sembrava che attraverso le sue corde, fluisse una melodia soave e luminosa. Stavo lì e con curiosità cercavo di distinguere la figura nell'oscurità, ma era troppo indeterminata, era per me come fosse una parola che si sente e non si riesce a dire.
I miei occhi sovreccitati dalla veglia, continuando a scrutare la figura splendente alla luna , diventarono allora più confusi, e presto tutto il giardino mi sembrò ondeggiare disordinatamente.
Seduto accanto alla finestra, appoggiai la testa sul braccio, guardai fuori con gli occhi bassi e l'impressione della visuale perse subito la certezza di una visuale, al punto che non sapevo più niente né del giardino, né di me e mi sembrava di essere contemporaneamente tutto questo e di trovarmi in un dolce sogno.
Quando la luna un poco fu calata e si trovava molto al di sotto della lira, vidi dei bei fianchi rotondi e splendenti, e piedi grazioni ed una veste lunga. Guardai con tanto amore i suoi robusti fianchi e i piccoli piedi graziosi, e mi indignai profondamente di non poter vedere il seno. Il braccio con la lira non mi attirava, poiché la forma di una lira è molto scialba; ma nelle forme femminili delicatamente ed energicamente sinuose come quelle che possono farmi risuonare tutte le corde in petto. Mi irritai per il braccio sollevato con la sua lira e nel bramoso sdegno del mio desiderio dissi:

"Il freddo genio ha in sé la divina e nuda vitalità e se ne sta lì a sollevare la lira verso il cielo; ah, come vorrei gettarla a terra: stai lì vecchia lira, poiché vorrei sollevare la donna con amoroso furore, vorrei stringerla tra le braccia come un bambino; la luna dovrebbe trasparire ebbra tra i capelli ricadenti, come se fosse libera. Eppure stava dietro le corde della lira come dietro la finestra di una prigione, ed elevandola, vorrei sacrificarla come sacrifica il sacerdore. Tutta la natura si inginocchierebbe e si batterebbe il petto come il popolo come se lei parlasse come disse il Divino: "Prendi, questo è il mio Corpo". Oh come si scioglierebbe tra i miei baci ardenti in me stesso, ed io in lei".

Era come se stessi guardando il Carnevale di Venezia in piazza San Marco, tutto scorreva disordinatamente, e i colori isolati che ritornavano sempre tra figure diverse confluivano tutti insieme; ombra e luce scorrevano confondendosi in ondeggiante mobilità, e appena seguivo una figura, questa si trasformava in cento altre. In alto sporgente su tutto, come gli zampilli artisticamente sinuosi di una fontana, come fiamme bizzarramente vivaci di un puro fuoco bianco verso il cielo, la figura di Violetta si elevava alta nell'empireo. Al di sopra di tutto questo, quell'oscuro groviglio, l'apoteosi di una fanciulla perduta che pure un tempo aveva vagato là sotto col dolore nel cuore, e nelle membra una voglia frenetica di sbrogliare in un particolare, il fondamento di ogni gioia intricata per vivere... è terribile, ed ora dovevo scendere per rivolgere parole di conforto alle povere fanciulle che forse stavano ancora camminando là. [...] ma Violetta non tornò ad esser lieta, però era come un angelo; tutte le cose eccellenti che lei aveva sacrificato nelle selvagge fiamme della passione, il cielo gliele restituiva in mite e raggiante splendore. Non si allontanava da me, e quando tornò la primavera le porsi la mia mano e le chiesi se voleva essere eternamente mia.
Nessun sacerdote ci unì ma neppure la vita ci unì, fu solo l'amore e quando venne il mattino, non la trovai al mio fianco, la cercai in tutta la casa. Era in giardino tra i fiori e cantava:

VOI GRAZIOSE...

Voi graziose lavande e rosmarini,
voi multicolori roselline,
voi iris superbi
e voi basilichi increspati...

Voi delicate viole
e tu Violetta,
presto sarete colte...
Ricordami, bel fiorellino!

Clemens Wenceslaus Maria Brentano.

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Mia nota: Fin qui ho illustrato per quel poco che mi è stato possibile dell'attività poetica e letteraria, di questo grande Poeta romantico tedesco di origine italiana, poiché suo padre come già scritto nelle precedenti puntate: Pier Antonio BRENTANO (lo ripeto) era italiano; nato a Tremezzo (Como) il 19 settembre 1735, e ci tengo ricordarlo... figlio della nostra Terra!
Ma l'opera maggiore del figlio Poeta: Clemens Wenceslaus Maria Brentano, la più rilevante da lui creata, è stata e rimarrà a imperitura memoria nella storia, la "preziosa", minuziosa e dettagliata raccolta delle "visioni" che la religiosa mistica agostiniana: suora Anna Katharina Emmerick confidò dettagliatamente allo stesso Poeta (il predestinato a ricevere dette confidenze) e che qui di seguito per brevi tratti, mi accingo ad esporre.

Sandro Ciapessoni di Tremezzo (abitante a Padova.)

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Anna Katharina Emmerick
nata a Flamschen
località nei pressi di Duelmen (Germania)
il 8 settembre 1774 e spentasi il 9 febbraio 1824 all'età di 50 anni.


La fama della veggente stigmatizzata intanto si diffondeva e numerose personalità andarono a visitarla. Tra queste - era l'anno 1818 - anche il Poeta Clemens Brentano, una delle figure più rappresentative del romanticismo tedesco, che aveva allora quarant'anni, due matrimoni alle spalle e un passato burrascoso volle farle visita.
Era intenzione sua trattenersi pochi giorni, ma rimase talmente colpito dalla personalità della monaca che si stabilì a Dülmen e vi rimase per quasi sei anni, annotando giorno dopo giorno, ciò che lei gli raccontava: diciassettemila pagine che soltanto in parte sono state pubblicate e che descrivono nei dettagli la vita di Gesù, ampliando e integrando i Vangeli e la vita della Madonna. Così il Poeta descrive il primo incontro con Anna Katharina Emmerick:

"Fui condotto dalla sorella di Anna Katharina nella piccola stanza d'angolo dove ella viveva, per raggiungere la quale bisognava raggiungere la cucina. Lei mi salutò cordialmente. Il suo volto puro e innocente mi commosse allo stesso modo delle sue parole semplici, totalmente prive di tensione ed esaltazione. Ciò che ella dice non assomiglia in alcun modo ad una predica, ma è ispirato a dolcezza. Ogni sua parola è breve, semplice, naturale ma piena d'amore, di profondità, di vita. Io mi sentii subito a casa".

Brentano rimase enormemente colpito da quell'incontro con la monaca, anche perché lei lo riconobbe subito: l'aveva infatti già visto nelle sue visioni. Quando lui fu introdotto per la prima volta nella sua stanza, lei lo accolse festosamente e gli porse subito con grande cordialità la mano stigmatizzata, ma non gli disse niente. In un secondo momento però, quando fra loro fu stabilito un rapporto di fiducia e confidenza, essa gli rivelò di avere subito riconosciuto in lui l'uomo destinato da Dio a mettere per iscritto ciò che le appariva fin dalla primissima infanzia e di cui, con suo grandissimo rammarico, fino a quel momento nessuno dei suoi amici e conoscenti aveva accettato di occuparsi. Nelle sue visioni le era stato mostrato un uomo bruno, dal colorito scuro, seduto accanto al suo letto intento a scrivere. Clemens Brentano era di origine italiana e la descrizione gli si attagliava perfettamente. Anna Katharina gli disse anche di essere convinta che, se era vissuta fino a quel momento, era stato solo per aspettare lui.

Queste parole confermarono a Brentano la decisione che aveva tuttavia già preso: mettere la sua mano e il suo genio al servizio di quella che considerava ormai una missione, fissando sulla carta tutto ciò che la monaca stigmatizzata diceva. E così l'acclamato Poeta romantico, l'uomo ricco e famoso ricercato dalle donne, abituato ai fasti della società e al successo letterario, dimenticò ogni altra cosa e per anni condusse una vita da certosino in un piccolo paese pur di non perdere una sola delle parole della veggente.

"Io sento che qui sono a casa mia e intuisco che non posso abbandonare questa Creatura meravigliosa prima della sua morte. Questo è il compito della mia vita: Dio ha ascoltato la mia preghiera di indicarmene uno in suo onore, adatto alle mie possibilità e alle mie forze. Voglio fare il possibile per custodire e proteggere il tesoro di grazie che ho trovato qui".

Così scriveva Brentano qualche tempo dopo aver conosciuto Anna Katharina Emmerick. Clemens Brentano, che per anni era stato lontano da Dio ma non aveva mai cessato di cercarlo, ritrovò la fede grazie ad Anna Katharina, che lo chiamava "il pellegrino". La collaborazione tra i due avveniva così: di notte Anna Katharina faceva dei "viaggi dell'anima" e si ritrovava in Terra Santa dove assisteva agli episodi evangelici come se stessero avvenendo in quel momento. La mattina dopo li descriveva a Brentano, che prendeva nota di ogni parola e con domande appropriate cercava di far emergere ogni dettaglio alla memoria della veggente. A casa poi dava forma adeguata a ciò che la monaca gli aveva riferito in - plattdeutsch -, il dialetto locale; la sera tornava da lei per leggerle quanto aveva elaborato, correggerlo ed avere la sua approvazione.
Durante il difficoltoso e lungo processo per la canonizzazione della monaca tra gli studiosi sorse allora una diatriba con riferimento agli scritti raccolti da Brentano e alla loro reale provenienza: quanto viene direttamente dalla veggente e quanto è uscito dalla penna del poeta? Non mancò chi sosteneva che Anna Katharina Emmerick, della quale sono state riconosciute le virtù eroiche, sarebbe già stata canonizzata se Clemens Brentano non si fosse assunto il compito di trascrivere le sue visioni. Essendo intervenuto lui, si obiettava, non si sapeva più con sicurezza che cosa veniva da lui e che cosa veniva da lei. Per far si che il processo di canonizzazione procedesse, gli scritti furono stralciati dagli atti, con la motivazione che essi non apparterrebbero a lei, bensì al Poeta. Restava tuttavia da chiedersi se tale modo di procedere, probabilmente opportuno in vista dello scopo che si voleva raggiungere, giustizia fosse resa al complesso dei fatti.
Thomas Wegener, il più importante biografo di Anna Katharina, a tal proposito scrisse:

"Dio rivelò ripetutamente alla sua serva che la conoscenza delle sacre verità le era concessa non soltanto per sé stessa, ma per l'edificazione dei fedeli, a dimostrazione del fatto che Egli continua a vivere con la sua Chiesa e ad essere presente. Per questo motivo Anna Katharina cercò sempre di comunicare le sue visioni, ma fino al 44° anno di età non trovò nessuno al quale raccontare fedelmente ciò che le veniva concesso di vedere. Spesso aveva pregato il suo confessore e altri sacerdoti di ascoltarla, però nessuno si era mai preso la pena di trascrivere dettagliatamente ciò che lei diceva e di analizzare più da vicino il valore e l'attendibilità delle sue visioni".

Wegener, che fu buon amico della Emmerick, ne riporta anche le esatte parole:

"Le tante meravigliose informazioni che ho avuto per la bontà di Dio non mi sono state date soltanto per mio ammaestramento, in quanto molte cose io non le potevo capire, ma perché le trasmettessi ad altri, spesso anzi mi è stato ordinato di farlo".

Come si è detto, Anna Katharina riconobbe immediatamente in Brentano l'uomo destinato a trascrivere le sue visioni. Questo compito ebbe l'approvazione dei contemporanei: i molti amici, anche altolocati di Anna Katharina, permisero che Brentano le stesse accanto per anni. Tra questi il vescovo di Münster, la città da cui dipende Dülmen, e il padre spirituale pastore Overberg, che assicurarono sempre al Poeta che il suo compito era gradito e in armonia con la Chiesa.

Dopo la morte della monaca, avvenuta nel 1824, Clemens Brentano si dedicò all'immane compito di dare ordine alle migliaia e migliaia di pagine scritte nei sei anni di permanenza a Dülmen; e prima di morire lui stesso riuscì a dare alle stampe alcuni libri, i quali hanno avuto un impatto straordinariamente positivo nel pubblico (di lingua tedesca e francese, in italiano non è stato pubblicato quasi nulla), in particolare quello dedicato alla passione e morte di Gesù. Un altro testo fondamentale descrive la vita della Vergine; c'è poi un libro sui primi anni di vita di Gesù e un altro sull'antico testamento. Una parte di queste opere è stata portata a compimento, sulla base degli appunti di Brentano, dal fratello e da alcuni studiosi. Come si è detto non tutto quanto è stato scritto da Brentano è stato pubblicato: migliaia di pagine manoscritte attendono ancora di essere trascritte e rese note e potrebbero riservare ancora molte sorprese. Gli originali sono conservati a Francoforte, agibili agli studiosi ma estremamente difficili da decifrare. Uno degli aspetti più straordinari di questi testi è l'enorme quantità di informazioni storiche e ambientali che contengono. Gli abiti, le suppellettili, le abitazioni, i luoghi, le consuetudini di vita, e i personaggi sono descritti con una precisione e una aderenza al reale che lasciano sbalorditi, soprattutto se si pensa che Anna Katharina Emmerick non si era mai mossa dal luogo in cui era nata e non aveva una cultura specifica. Neppure Brentano era mai stato in Terra Santa e nella sua biblioteca non c'erano libri che ne parlassero. Le descrizioni di Anna Katharina Emmerick hanno trovato notevoli conferme, la più interessante delle quali è questa:
grazie alle parole della veggente è stato possibile individuare la casa della Vergine a Efeso. In base alla tradizione, dopo la morte di Gesù la Madonna si stabilì a Efeso, nell'attuale Turchia, insieme all'apostolo Giovanni. Qui visse gli ultimi anni della sua vita e qui morì. La sua casa si trovava sulle colline non lontano dalla città, in una località appartata. Di questo edificio si erano però da molto tempo perdute le tracce e nessuno sapeva più dove sorgesse. Oggi l'ultima dimora della Madonna è stata ritrovata, restaurata e in parte ricostruita e chi va ad Efeso può visitarla. Davanti alla casa un grande cartello informa che ciò che ne restava, cioè le mura perimetrali col focolare centrale, era stato ritrovato grazie alle visioni della monaca stigmatizzata tedesca Anna Katharina Emmerick. Gli appunti di Brentano sono corredati anche da un disegno, per cui per trovare la casa fu sufficiente aver fiducia nelle indicazioni della monaca e seguirle. Il ritrovamento è stato ufficialmente riconosciuto dagli archeologi e dalle autorità civili e religiose. Il caso di Anna Katharina Emmerick e del Poeta che trascrisse le sue visioni fu annosa questione per la conclusione del processo di canonizzazione. A giudizio di non pochi esperti, il confronto tra i testi originali approvati dalla Emmerick e quelli pubblicati dopo la sua morte consente di constatare una completa corrispondenza, così che viene spontaneo pensare che il Poeta si sia limitato a dare forma adeguata a ciò che la veggente gli raccontava.
E non si possono dimenticare le parole di uno dei più originali studiosi di questo caso, il professor Arnold Guillet, che nel suo commento al libro della Emmerick sulla passione e morte di Gesù scrive:

"Al posto di Dio, a chi avreste affidato l'incarico di trascrivere le visioni della Emmerick?"

S. S. Papa Giovanni Paolo II, con decreto del 24 aprile 2001, ne riconobbe le virtù eroiche attribuendole il titolo di “Venerabile”.
Il 3 ottobre 2004, lo stesso Pontefice ha proceduto alla sua beatificazione.

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Degli Uomini illustri, si celebrino sempre le loro incancellabili memorie.

Sandro Ciapessoni.

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Gabriele d'Annunzio (continuazione dal trimestre precedente)

Gli anni che seguono dalla fine del 1800 ai primi dieci anni del 1900, trascorrono nell'impegno costante volto alla revisione e perfezione delle opere, degli scritti che il Poeta ha fino a quel tempo composto. Durante questo periodo nascono nuove relazioni, nuove passioni tutte improntate nell' impulsivo senso di conquista di novelli amori. Matura così nella sua mente il fermo proposito di lasciare Alessandra Rudinì che nel contempo aveva subìto numerosi interventi chirurgici ma che una volta che la donna si fu ristabilita, stanco di un legame che oltretutto si era dimostrato estremamente pesante e condizionato anche dalla dipendenza della Rudinì dalla morfina, il Poeta si allontana progressivamente da lei. Nike (Alessandra) l'attende inutilmente a Roma per vari mesi ma poi abbandonata ogni speranza, prende i voti in un monastero francese dove condurrà vita monacale.
Nel febbraio del 1907, dopo l' assiduo ed insistente corteggiamento, riesce finalmente dell'opera di conquista della contessa fiorentina Giuseppina Mancini che nell'intimità lui la chiamerà Giusini o Amaranta. La contessa è però sposata e piena di scrupoli morali e religiosi. Vive questa relazione tra abbandoni senza riserve e rimorsi ossessivi sì che nel 1908 la relazione sentimentale con Giuseppina Mancini, giunge ad una tragica conclusione. Scoperta dal marito e schiacciata dal rimorso per l'amore verso Gabriele, subisce una crisi che la porta ai limiti della follia. Quelle terribili giornate, saranno affidate al diario "Solus ad solum", nel quale d'Annunzio notava giorno per giorno la dolorosa storia della terribile follia.
Il Poeta è ormai quarantacinquenne, e a Giusini, subentra la contessa Natalia de Goloubeff, ventisettenne pure lei sposata e madre di due figli, ribattezzata dal Poeta Donatella ed è questo un amore intenso e sensuale. Tutto si svolge a Firenze alla dimora di d'Annunzio - la Capponcina -: gran lusso, gran vita mondana, gran sperpero di denaro fino alla... consunzione dello stesso che li costringeranno nel marzo del 1910, alla precipitosa fuga in Francia per sottrarsi alle esigenze dei creditori. Fuga che il Poeta preferisce chiamare "esilio". In Francia si stabiliscono in affitto in una villetta ad Arcachon sull'Atlantico. Qui assume come domestica la giovane Emilie Mazoyer che non abbandonerà mai più il Poeta, e che con lui resterà fino al giorno della sua morte a Gardone Riviera il 1 marzo 1938. Angosciante e terribile storia fu la vita di questa "umile ancella"... cameriera, governante, amante... amante e confidente fedele, confidente fino al presagio della Morte... amata fino alla morte del Poeta ma da tutti odiata... L'amore fu tutta la storia della vita di questa Donna.

Da "Il diario" di Emilie MAZOYER (Aélis) 1887 - 1965)

L' Amore fu tutta la storia della vita di questa Donna...
Sandro Ciapessoni - Poeta Scrittore di Tremezzo

Vittoriale degli Italiani… 1 marzo 1938, ore 20.30

[...]
Lo spazio è angusto. Nel corridoio semibuio si è raccolto il personale della villa: tutti aspettano in silenzio. Mi sento sola, sperduta tra la piccola folla di domestici in attesa da mezz'ora dietro la porta chiusa.

Madame Baccara è dentro. E' stata subito ammessa al capezzale del Comandante, ma lei è la signora della casa, non una semplice domestica come me, anche se... non è proprio così...

Io non posso entrare: bisogna rispettare la forma. Come è sempre stato, almeno ufficialmente, tranne quando Lui stesso non decideva altrimenti, ma ora non è in condizioni di dare ordini...
Mi stringo nelle spalle, porto le mani alle tempie; vorrei scacciare dalla mente le parole che m' hanno sconvolto: "Presto, presto, il Comandante sta molto male". Per quanto mi sforzi, non riesco a ricordare chi le abbia dette. Mi sembra ancora di vedere quella figura fare irruzione nella sala del Mappamondo, l'ampio soggiorno del Vittoriale.

Io e madame avevamo appena finito di cenare, sole, dopo averlo atteso invano. Mon maÎtre l'aveva promesso quella stessa mattina che avrebbe cenato con noi; poi invece era arrivata Emy, la tedesca, con la sua voce tutta consonanti: "Il Comandante D'Annunzio non sta bene, vuole restare da solo, mi ha ordinato di portargli la cena nella Zambracca, vuole lavorare ancora un po' alla sua scrivania, ha detto che non si sente del tutto a posto e non vuole distrarsi".
A me non è mai piaciuta quella: una vera francese diffida sempre di chi prarla con accento teutonico. Il pensiero dell'avversione nei confronti della bionda altoatesina mi distrae da quanto sta accadendo dietro l'uscio chiuso in fondo allo stretto corridoio.
D'un tratto la porta si apre, i domestici si accalcano per avere una risposta alla domanda che nessuno osa fare.

"Un medico, presto!" grida madame, con un tono acuito dall'ansia, piombando come una furia tra di noi, scostando malamente chiunque ne ostacoli il passaggio.
Sento la morsa inesorabile della paura; d'istinto l'afferro per un braccio: "Madame. Per carità, cos'è accaduto?".
Madame non ascolta, mi guarda senza vedere e poi corre via, lungo la galleria della Via Crucis. Passa rapida davanti alle immagini dolorose della passione di Cristo e si dirige verso il telefono: il lungo vestito di velo nero le sbatte contro le gambe, la chioma grigia in disordine sullo scialle dalle frange viola.

Grida: "Chiamate il dottor Duse, chiamate il dottor Cesari, presto!" E' un ordine rivolto a tutti e a nessuno. Il suono di quelle parole ha un'eco dolorosa nelle mie orecchie; vorrei saperne di più, ma madame è già sparita.
Trovo un varco tra i domestici incerti sul da farsi, entro nello studio senza aspettare di essere chiamata e lo cerco con lo sguardo, senza vederlo.
Soffoco. I miei occhi frugano ogni angolo, si spostano inquieti verso la camera da letto: il Maestro ha il capo riverso sui cuscini. Cerco di abituarmi alla luce fioca della lampada di opaco vetro colorato, lo sguardo scivola sui piatti colorati alle pareti, sui calchi sopra la piccola libreria dove sono allineati i suoi libri preferiti.

Sembra tutto normale, se non fosse per le persone che si affannano sopra il corpo inanimato. L'infermiera dà ordini concitati, nel vano tentativo di provocare qualche reazione. Nulla.
Guardo Gabriele: forse sta solo dormendo. Mi attacco a un filo di speranza. Ma come può dormire con gli occhi aperti? E' grave... solo perso nell'oblio, presto si sveglierà e tutto tornerà come prima. Poi mi avvicino al letto e allungo la mano. Voglio toccarlo, sentirne il respiro. Madame si sbaglia, non è così grave...
Mi impongo di ritrovare la calma, di riflettere. Intanto le mie dita sfiorano il volto amato, sotto lo sguardo preoccupato dell'infermiera che non desiste dal praticare cure inutili.

"Nooooooo!" Non riesco a trattenere l'urlo mentre mi piego su di lui, e crollo ai suoi piedi. Ho sentito la morte sotto le dita, nessun alito di vita, per quanto impercettibile.

"Alzatevi, signorina Aélis, alzatevi, vi prego". La voce di una delle cameriere mi giunge lontana, ovattata.

"Svegliatevi, mon maÎtre, vi prego, rispondete. Non potete lasciarmi così, senza una parola. Sono Aélis, la vostra piccola francese. Ricordate quando mi avete dato questo nome? Ero così felice, vi amavo così tanto..." Sono queste le parole che credo di pronunciare, ma dalla mie labbra non esce un suono. Guardo il volto della donna che cerca si staccarmi da lui; la ragazza ha gli occhi rossi, lacrime le rigano le guance, nel suo sguardo si legge la terribile verità.

Il mio Maestro è morto.

Mi hanno fatta alzare, staccandomi le mani dalle gambe inerti, m'hanno costretta a sdraiarmi sul divano posto dietro il paravento, di fianco al letto.
Sento i rumori soffocati delle persone che si muovono nello studio-spogliatoio, quello che Lui chiamava Zambracca, con uno dei tanti termini abruzzesi che amava. La stanza è piccola, ingombra di mobili e oggetti. I miei occhi si posano sulla grande scrivania sommersa di fogli, sparsi nel solito disordine, tra il luccichio argeneteo del servizio da penna di Buccellati e della testa d'aquila di Brozzi e quello dorato del calco dell'Aurora michelangiolesca. Il mobile occupa il centro della stanza, lasciando ben poco spazio ai tre voluminosi armadi, pieni di abiti e medicine, sui quali incombono i calchi in gesso raffiguranti le teste dei cavalli di Helios. Se potessero parlare. I loro occhi spenti sono stati gli unici testimoni della fine del Maestro. Nascondo il volto tra le braccia, sprofondandolo nei cuscini.

"Chi ha spostato il corpo del Comandante? A chi è venuta un'idea così stupida, perdio!" La voce dell'architetto Maroni, il più intimo amico del Maestro, sovrasta le altre, confuse in un brusio. E' arrivato subito, non appena appresa la terribile notizia. Gli è bastato poco per percorrere la distanza tra la sua casa, immersa nel verde del parco, e la Prioria, la costruzione principale.

"Siete sicuri di avere usato il giusto riguardo, non è che avete peggiorato la sua condizione? Perdio, è d'Annunzio, non una persona qualsiasi! Non è possibile sia accaduto tutto così all'improvviso! un uomo come lui".

L'infermiera lo guarda sconsolata, può solo scuotere il capo. Maroni allunga una mano per stringere quella del Comandate, abbandonata sul letto. Sobbalza, come investito da una scarica elettrica: non v'è resistenza in quelle dita magre. "Bisogna sistemarlo al meglio per i medici, dovranno controllare, capire. Insomma, come può essere accaduto, così, senza alcun preavviso, senza segnali?".

I due domestici che si muovono nella stanza eseguendo gli ordini di Maroni e dell'infermiera mi sembrano fantasmi. In quella nebbia dolorosa distinguo solo il corpo inanimato sul letto. Gabriele indossa un pigiama marrone un po' spiegazzato; quell' indumento sembra fuori posto sul prezioso copriletto, tra gli animali e le scene di caccia riprodotte nella delicata tessitura della seta francese. Ricordo il giorno in cui donna Maria, la moglie di Gabriele, la principessa, glielo regalò portandolo dalla Francia.

"A questo punto, non c'è altro da fare", dice Maroni, rassegnato.

Le sue parole bloccano gli ultimi tentativi dell'infermiera che si agita ancora nel vano tentativo di ottenere l'impossibile.
Maroni assiste immobile al frenetico andirivieni; forse è l'unico ad avere trovato la calma, a cercare di ragionare senza farsi coinvolgere dall'affetto che lo legava al Comandante.

"Bisogna rassegnarsi, purtroppo", dice, rivolgendosi a madame Baccara.
Lei è di nuovo lì, dritta ai piedi del letto, stringe tra le mani un fazzoletto e cerca di trattenere il pianto. Al suo fianco c'è ora donna Maria, giunta in pochi minuti da Villa Mirabella, la residenza ai confini del parco del Vittoriale assegnatale dal marito. Chi l'avrà avvisata, se sono tutti qui? Ma non importa.

"Allora è vero, non volevo credere... Ma come?" mormora donna Maria, guardandosi attorno smarrita. Sospira e si sposta a fianco del letto per piegarsi con l'aristocratica grazia di sempre a sfiorare con le labbra la fronte ancora calda. "Sicuri? Sembra solo addormentato".
Luisa Baccara piega il capo in segno di assenso.

"Capisco..." sussurra la principessa, stringendo le labbra sottili sul volto segnato da una fitta rete di rughe. "Bisogna prepararlo, vestirlo... Non può restare con quel pigiama, non è dignitoso". La sua voce si fa autoritaria, mentre si guarda intorno per dare gli ordini che ritiene opportuni.
"Mi dispiace, donna Maria, ma occorre che i medici lo trovino così come era al momento del trapasso". Maroni parla lentamente, con il riguardo dovuto. Nonostante si sforzi di celare i suoi sentimenti, le parole gli escono a fatica, rese quasi incomprensibili dal pianto trattenuto: "Un uomo come lui, un monumento vivente della nostra Patria, non può morire come uno qualsiasi; bisognerà rendere conto al Paese intero della sua improvvisa dipartita".

Madame Baccara e io guardiamo donna Maria senza dire una parola. Nessuna di noi due riesce ad accettare quanto è accaduto, tantomeno a decidere ciò che è giusto fare. Per noi è incomprensibile quell'atteggiamento apparentemente sicuro, quell'agire così determinato: come può donna Maria mantenere la calma in un momento simile?
D'un tratto capiamo: lei è la consorte ufficiale del Comandante, la vedova addolorata del principe di Montenevoso.

"Rizzo... vado a telefonare a Rizzo", annuncia Maroni.
Nella confusione seguita al drammatico momento si sono dimenticati del questore che alloggia a Gardone. Bisogna che sappia e giunga al più presto per occuparsi di ogni cosa. L'architetto lascia la stanza mentre le donne cominciano a spogliare il Maestro per lavarlo e vestirlo.
Mi sforzo di alzarmi, anche se con gran fatica; voglio guardare quel corpo, aiutare le altre in quell'ultima, penosa incombenza. Guardo mentre gli tolgono il pigiama, la biancheria macchiata, e provo un senso di pudore che mi costringe a volgere altrove lo sguardo. Non riesco a sostenere la vista di quelle membra scarne e segnate dagli anni: sembrano di un estraneo, non resta nulla del corpo di colui che ho conosciuto e amato. Lo ricordo bene, sempre vanitoso e fiero del proprio aspetto, e non posso non pensare alla sofferenza che gli causerebbe vedersi ridotto in quello stato e sotto gli occhi delle sue donne.

"Bisogna lavarlo, prima", ordina donna Maria. "Svelte, prendete degli asciugamani puliti".
Guardo Madame Baccara, negli occhi la domanda: è donna Maria che comanda, ora?

Non ci siamo mai amate io e Madame: non ho mai accettato che Luisa Baccara fosse la signora della casa e lei ha sempre cercato di relegarmi nel mio ruolo di cameriera. Eppure avevamo finito col siglare un mutuo compromesso, per sopportarci a vicenda. E questa donna Maria, cosa vuole adesso? Basta il fatto che porti il nome d'Annunzio?

"I dottori, sono arrivati i dottori", annuncia il carabiniere che di norma staziona davanti all'ingresso del Vittoriale e che ora cerca di sbirciare dentro la stanza.
"Entrate, prego", invita madame d'Annunzio. "Lui è sul letto, lo stavamo preparando, non vi è più nulla da fare, temo".
Il dottor Duse le bacia la mano: "Principessa, vi porgo i miei omaggi". Il dottor Cesari si affretta a imitarlo prima di ordinare, lo sguardo già sul corpo esangue: "Bene, signore. Ora vogliamo restare soli, dobbiamo procedere".

La stanza comincia a svuotarsi mentre i due uomini si piegano sul maestro per cominciare l'ispezione. Espletano il loro compito procedendo con lenti gesti professionali; sono così assorti che non si accorgono nemmeno dell'uomo che alle loro spalle irrompe nel locale.
"Buona sera". La voce di Rizzo fa sobbalzare tutti. "Dottor Duse, dottor Cesari, sono felice di vedere che siete arrivati subito. C'è qualcuno, qui, in grado di raccontare cos'è accaduto?".

"L'hanno trovato alla sua scrivania", risponde una cameriera che si è trattenuta sulla porta mentre gli altri sono usciti.
"Chi l'ha spostato?", chiede Rizzo, contrariato.

Sono ferma, in piedi, accanto alla finestra della Zambracca. Non lo ascolto: non sopporto di vedere quelle mani sul suo corpo, lo profanano. Che cosa ne sanno del mio Gabriele? Non posso guardare oltre, né sentire altro.

"Cosa aveva preso, stasera?", domanda Cesari.
"Bisognerebbe chiedere a Emy o alla sua infermiera", risponde Rizzo, che poi aggiunge: "Ma importa veramente? Via, signori, abbiamo davanti Gabriele d'Annunzio. Capite, vero? Era un eroe, non un uomo qualunque. Cosa diremo al Duce, al Paese? A questo dovete pensare mentre completate la vostra visita, non occorre cercare risposte che non interessano a nessuno e che potrebbero risultare, come dire... imbarazzanti... Gabriele d'Annunzio è un mito, è il Vate, il Comandante. La Patria vuole sentire che è morto come è vissuto e onorarlo nel ricordo".

Cammino nella cucina silenziosa, la casa sembra essersi svuotata, come se tutti fossero in attesa di sapere cosa accadrà ora che lui non c'è più. Nervosamente sistemo le tazze di maiolica dai delicati disegno mitologici, con versi greci vergati in corsivo nero, e la teiera calda sul vassoio d'argento di Buccellati: devo servire la bevanda ai medici che hanno finito la visita e stanno stilando il referto di morte. Ictus, hanno detto, o forse il cuore che ha ceduto?

Mi sfugge un sospiro, trattengo un singhiozzo, e una rabbia improvvisa mi attanaglia. Gabriele non può avermi lasciata. Nessuno era preparato a una cosa del genere, io meno di tutti. Stava bene, la nostra vita scorreva secondo le vecchie, consolidate abitudini; certo, negli ultimi mesi mi era parso affaticato, mostrava i segni dell'età, ma nulla di più.
Inspiro con forza cercando di trovare una risposta a quanto è accaduto. Com'è possibile che nessuno si sia accorto del pericolo incombente? Lui viveva circondato da una corte di fedeli amici, medici e infermiere che dovevano provvedere alla sua salute. Certo la vecchia malattia a volte lo affliggeva, certo eccedeva nei suoi desideri più sfrenati. Ma non era malato. Era stanco, solo stanco.

Sono oppressa dal senso di colpa per non aver capito che la fine era ormai prossima, mi sento impotente contro il destino. Se avessi capito, non sarei stata così insofferente con Lui. Quante volte mi aveva chiamata negli ultimi giorni, quanti bigliettini mi aveva scritto chiedendomi mille piccoli servizi. E io? Mi ero adombrata, avevo reagito con poco garbo, pur assecondandolo.
Afferro il vassoio e mi dirigo verso il corridoio. Un rumore di passi attira la mia attenzione, ogni minimo rumore echeggia nella casa innaturalmente silenziosa. Mi fermo, aspettando che il nuovo arrivato entri nella stanza.

I passi si bloccano, indugiano oltre la porta, poi sento un tonfo sommesso e una voce perentoria che ordina: "Datemi subito la linea!"
E' Rizzo, lo riconosco subito, deve essersi chiuso nell'abitacolo dove si trova il telefono e che Gabriele aveva voluto insonorizzato per poter parlare indisturbato. Ma la porta dello stretto cubicolo non è chiusa bene, Rizzo non se n'è accorto e continua a parlare a voce alta.

"Sì, sono io, eccellenza, Rizzo. Chiamo dal Vittoriale per darvi la notizia quella che aspettavate"
Il Duce aspettava quella notizia? Non capisco: devo sapere...
"Sì, esatto: si è sentito male alle venti. Morto, sì. Non ci sono dubbi". Rizzo respira con affanno, teso ad ascoltare ciò che gli viene ordinato dall'altro capo del telefono. "Sarà difficile sapere l'esatta natura del male che... Naturale, i medici hanno fornito una versione ufficiale: ictus".
A che cosa allude il questore?
"Finalmente, certo. Finalmente è morto, eccellenza. Sarà fatto tutto il necessario senza indugio. Quali sono gli ordini?".

Sono ancora lì, in cucina, col vassoio in mano, incapace di prendere una decisione. Rizzo è ormai andato via e so che dovrò riscuotermi da quella immobilità, pensare alle mille domande che non trovano risposta: perché "finalmente"? perché quella morte così improvvisa e misteriosa? Perché vogliono che tutto finisca in fretta?
Appoggio il vassoio sul tavolo verde e mi passo una mano tra i capelli, una mia piccola mania che con l'età si è accentuata: ho sempre voluto essere in ordine per lui... Non ha mai sopportato la sciatteria, le donne che non curano il loro aspetto.
Un'onda di ricordi mi sommerge: dimentica dei dottori e del tè che si raffredda, mi siedo e chiudo gli occhi, lasciandomi cullare dalle immagini di una vita.

Emilie Mazoyer.

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*** Opere Poetiche ***

 

NON LASCIARMI SOLA…
della Poetessa e Pittrice Signora Daniella Pasqua di Brescia.

Non lasciarmi sola
per ricercar le tenebre,
ho cominciato a vivere
conoscendo l' anima tua.

Volare non è facile,
ma con te non è impossibile;
mi accorgo del tuo amore
perché fai battere il mio cuore.

Sentire il tuo respiro
consola e allieta il mio timore;
non lasciarmi sola…
sarei come un fiore privo d'acqua.

Cerco la tua mano
per sentire la tua forza…
intrecciamo le nostre dita
come fossero sigilli
che pioggia, tuono e vento
mai potranno separare.

Non lasciarmi sola
in un mondo così ignoto
dove la mente trova
le lacrime del tormento.

Accarezzami, baciami, parlami…
Affinché in te mi perda.

Daniella Pasqua.

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NELL'ORIZZONTE TERSO…
del Poeta e Scrittore Sandro Ciapessoni di Tremezzo (Como)
ma abitante a Padova.
Acrostico: "Restami sempre accanto...".
Dedicata a
Daniella.

Nell'abito tuo gentil
che ti fornì madre Natura,
tutta festosa nel chiaro tuo sorriso,
tu mi rammenti il bel cantar di Cino,
le pure rime e il dolce Stil novello.

Così come sigillo eterno
impresso nel mio cuore,
vigili il mio cammino
in Trinitaria nostra terrena Luce.

Canti le poche gioie e il tuo patire,
canti le tue speranze sempre attese…
canti un amore che vive nel tuo cuore;
canti la mia promessa:
il Cantico di "eterno amore".

Riaffiora dal profondo del mio "Io"
eco che mi perviene dal tuo lago;
suono dolcissimo e soave, qual
tremulo frusciar di un'onda sulla riva:
apro mie braccia ed io ti stringo al petto
mentre l'atteso bacio di un mattino…
issopo d'oriente, sulle tue labbra pongo.

Sento vicino ancora il tuo respiro,
e il gaio tuo gioire sul mio cuore
mi sfiora come dolce melodia…
passo di dolce Donna che innamora,
raggio di sole che mi doni vita
e con dovizia spandi a piene mani;

accanto a me tu resterai in eterno
consolatrice d'ogni affanno o pena,
carezza che disperde il pianto mio
attimo eterno ad ascoltarmi il cuore
nel misterioso suo pulsar d'amore;
tu che "Fringilla" voli alta nei cieli
offrimi Lassù il bel tuo poetar sincero.

Lassù nell'Orizzonte terso
restami sempre accanto:
saranno gli occhi tuoi come le stelle
in cielo; ma tu Fanciulla amata ricordati…
qui… sulle terrene rive, giammai…
giammai mi mancherai:
nel sangue mio, mi è Vita il tuo pensiero.

Sandro Ciapessoni.

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E TI VEDO ARRIVARE…
della Poetessa e Pittrice Signora Antonia Migliaresi di Roma.

E ti vedo arrivare
come gabbiano leggero
che sfiora l'onda
come argenteo pesce
che nuota in superficie.

Col remo e delicatamente
sposti l'acqua
attento a non infrangere
l'equilibrio di natura.

L'orecchio è teso ad ogni palpito
o voce di lago...
che silenziosamente ti parla
e tu marinaio esperto
manovri la pagaia
con l'amore che porti dentro..

Ingoio boccate d'aria fresca
e m'incontro a distanza con te
mentre ti aspetto
abbracciando con gli occhi
lo spettacolo che mi appare.

Motore forte, indistruttibile
è questo lago che noi coinvolge
accogliendoci tra le sue creature
e fondendoci con esse.

Sensazioni che solo noi
possiamo capire e sentire;
noi figli del lago,
privilegiati e amati
e nel contempo
amanti di cotanta ricchezza.

Antonia Migliaresi.

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TRAMONTO...
della Poetessa Signora Gianna Comelli di Sale Marasino (Brescia)

Tutto tace,
solo il rumore delle onde
carezzano il mio essere.

Il tramonto m'affascina
e l'armonia del creato
è così calda e lussureggiante!

Il delicato fruscio delle palme
mi parla dei tuoi baci perduti
ma ancora nell'intimo... violenti.

Tutto cova
sotto la cenere del tempo,
anche il rimpianto non demorde;
scivola come una serpe
nelle cupe notti.

Brusii di seta e stelle cadenti
ornano come collane preziose
l'estasi dei miei pensieri.
che volano indomiti nel vento
portando con se, il sapore del miele.

Gianna Comelli.

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MARE CIELO TERRA…
della Poetessa e Pittrice, Signora Ilde Andreaggi Petek di Padova.

Il mare si dipinge
nel suo guizzo
onda su onda,
risveglia memorie e desideri.

Il cielo con sapore di nuvole
nel ritratto
del suo immenso silenzio
circuisce pensieri.

La terra con colore d'umano
affonda in solchi di cammino,
in soni passati
disegni futuri.

Mare, cielo e terra
involucri del mondo
circondano la sua fragilità
imbevuta di vita.

Ilde Andreaggi Petek.

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"Salotto degli Autori e dei Lettori"

(Riguarda l'edizione del trimestre precedente: Luglio - agosto - settembre 2008 )
Ricordo che tutti i Lettori, possono partecipare inviando a:
ciapessoni.sandro@libero.it le loro opinioni. Grazie!

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Dalla Poetessa Scrittrice Signora Antonia Migliaresi di Roma.
Roma, 10 settembre 2008

Carissimo Sandro,
arrivo forse tardi con il mio commento, ma sai che la mancanza di mezzi tecnici durante il periodo di queste ferie, non mi ha permesso fino ad oggi di poter leggere e godere del tuo ultimo ricco e interessantissimo numero di "Ars Poticae". So che hai quasi terminato la redazione della prossima rivista, il quarto trimestre del corrente anno e non so se riuscirai ad inserire il mio breve e tardivo commento; io ci provo ad inviartelo.
Ho letto con gioia da dedica dello scrittore Clemens Brentano nella sua opera "Godwi" e mi ha colpito assai la sua modestia, l'umiltà con cui presenta il suo lavoro alle tre muse.
La trilogia della sua vita ha davvero una gran somiglianza allla tua "Santa Trinità Terrena" di cui mi hai spesso parlato. Sarà il destino degli scrittori conservare tre donne nel cuore?
Prosegue la storia del d'Annunzio che si avvicenda tra fatti personali , amori e politica e attraverso il tuo costante e preciso lavoro ci arricchisce dei particolari della sua vita e delle sue stesse opere.

Complimenti di cuore alla Poetessa e anche Scrittrice Daniella Pasqua di Brescia per la descrizione che ci fa della sua gita al parco della "Santissima" in quel di Gussago (Brescia) e della storia che ci riporta di quel luogo così pieno di fascino e di mistero. Peccato che bellezze simili a volte restino trascurate e poco valorizzate!

Unisco in un unico abbraccio tutte le Poetesse che fanno da contorno alla tua bella opera e le ringrazio per i loro notevoli ed importanti versi.

Grazie, carissimo Sandro per il tuo impegno di portare avanti la "Cultura", quella con la "C" maiuscola, che purtroppo si va perdendo con il "mutare delle stagioni e degli umori" ma che fortunatamente persone valide come te, amano e fanno amare attraverso le loro ricerche e i loro scritti.
Con riconoscenza

Antonia Migliaresi

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Dalla Poetessa e Pittrice Signora Daniella Pasqua di Brescia
Brescia, 11 settembre 2008


Signor Ciapessoni:
Su "Godwi", del Poeta e Scrittore Clemens W. M. Brentano.
Questo interessante scritto del Poeta e Scrittore Clemens Brentano, raccoglie un insieme di
sentimenti, oserei dire, originali, che nella loro complessità catturano l'attenzione del lettore in quanto vi si nasconde un segreto: "chi sarà la prediletta?". Minnie... Julie... o Henriette?
E' gratificante poter immaginare i tre tipi d'amore che queste donne hanno saputo, in modo diverso, effondere, al grande Poeta romantico italo-tedesco. Egli è stato catturato da tre personalità totalmente diverse, ma che a modo loro, hanno saputo farlo innamorare.
Qui sorge una domanda: " Ma si può amare più di una persona?"; da diverse testimonianze che ho potuto raccogliere, sembrerebbe di sì; anzi, sicuramente lo è. (Sì Poetessa, è realmente così... nda)
Mi complimento con Lei Maestro Ciapessoni, con questi ampie trascrizioni tratte dal libro "Godwi" del Poeta Clemens Brentano, ha saputo arricchire e nello stesso tempo, deliziare la mia mente. Grazie di cuore

E' interessante notare come la relazione di d'Annunzio con l'attrice Eleonora Duse abbia influito positivamente sulle sue creazioni artistiche, infatti nel periodo della loro convivenza, d'Annunzio ha scritto dei capolavori non solo in prosa ma anche in forma poetica.
C'è pure da notare una sua predilezione, se così posso dire, verso l'universo femminile; ciò che mi ha colpito, è il fatto che abbia tolto alla Duse per ben due volte, anche se era la sua amante, l'interpretazione della "prima edizione" di alcune sue opere da mettere in scena.
Fu uomo eclettico, imprevedibile e volto sempre ai cambiamenti… ma anche innovatore e grande Poeta e Scrittore.
Il Suo articolo sul Vate - signor Ciapessoni - mi è piaciuto molto. Il periodo vissuto con la grande Attrice, mi ha sempre incuriosito e affascinato, è stata una donna che ha lasciato un' impronta importate nella storia artistica del Teatro, e che ho sempre ammirato per la sua grande forza: come donna e diva.

E che dire della Sua stupenda poesia?: "Dolce è il tuo labbro...". Io credo non vi siano parole che possano esprimere ciò che meriterebbe; un altro dei Suoi capolavori!
Grazie per questo ulteriore regalo Maestro Ciapessoni , i miei più vivi complimenti per come sta conducendo questa rivista "Ars Poeticae"… gli stessi articoli e poesie di grande interesse e pathos.

Molto intensa, avvincente ed emozionante è la poesia "L'incontro col Lario..." della Poetessa Signora Antonia Migliaresi di Roma. Comprendo questo suo amore e ciò che possono donare quelle lariane lacustri, acque magiche e tranquille.

Fresca e spontanea la poesia "Silenziosa dimora..." della poetessa Gianna Comelli di Sale Marasino (Brescia).

Della Poetessa Signora Ilde Andreaggi Petek di Padova, mi ha colpito l'ultimo verso della sua poesia "Mare..." :
"All'orizzonte sfrattata dal giorno
muore la notte
nel sogno di luna morente
dove il mare si sposa col cielo."
E' questa un'immagine che fa sognare… come il mare che sa incantare…

Cordialità vivissime,

Daniella Pasqua.

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Dalla Poetessa Signora Gianna Comelli di Sale Marasino (BS)
Same Marasino 12 settembre 2008

Caro signor Sandro,
In questi giorni ho riletto ancora un'altra volta "Ars poeticae", tutte le poesie... e ne sono uscita trasognata... E' come entrare in un luogo per dissetarsi, riposarsi e uscirne ristabiliti.
Grazie Sandro per tutto ciò che hai fatto per noi, ma ringrazio pure tutte le Poetesse
che con il loro contributo stimolano e hanno reso possibile incatenare gli occhi e il cuore a tante emozioni.
Cordialità e saluti

Gianna Comelli.

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Dalla Poetessa e Pittrice Signora Ilde Andreaggi Petek di Padova.
Padova, 23-06-2008

Caro signor Ciapessoni,
La ringrazio infinitamente del Suo ricordo nei niei riguardi. Le Persone che Lei conosce e di cui pubblica i pensieri, sono veramente capaci e sensibili. Mi ha colpito la Sua poesia sulla Sua amata consorte scomparsa e di cui ha un ricordo così vivo ed a cui Lei dedica parole d'amore "indistruttibili". Conosco bene la vita a la storia di d'Annunzio, poiché mia madre era fiumana e ci parlava sempre di lui di cui ha vissuto l'epoca della sua terra da lui conquistata.
Con affetto e riconoscenza,

Ilde Andreaggi Petek.

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Mio ringraziamento ai commenti sopra riportati.

Alle Signore Poetesse qui presenti:

La Vostra fedele partecipazione alla vita di questo Periodico, sinceramente mi commuove poiché pone in rilievo il Vostro sincero interesse nella lettura delle opere qui esposte. Il mio è un "grazie" sincero per Voi e per tutti i fruitori di questo Periodico che coi Vostri commenti impreziosite. Veramente: grazie!

Un particolare ringraziamento lo rivolgo ai signori coniugi: Gianna e Giancarlo Galli di Azzano (Como) che mi hanno sempre dato testimonianza per la loro attenta lettura di "Ars Poeticae", come pure al signor rag. Bruno Bordoli Sindaco di Mezzegra (Como) e presidente della "Unione dei Comuni della Tremezzina", per avermi altresì concesso l'opportunità di porre alla propria e loro conoscenza, il contenuto di questo Periodico che pone in rilievo l'attività poetica e letteraria dell' illustre Poeta romantico Clemens M. W. Brentano, il cui padre, Peter Anton, nacque a Tremezzo nel 1735.

L'Arte è per tutti e la Tremezzina ne è una copiosa fonte e mai si può dimenticare.
Caramente,

Sandro Ciapessoni.

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