Indice di questa pagina

La realtà è divenire o essere? - Realtà parziale e Realtà totale -

La realtà è divenire o essere?

 

(1980)

 

Probabilmente certe nostre affermazioni concernenti la realtà, ad esempio se essa debba concepirsi come "essere" o come "divenire", sono da voi considerate una speculazione che non ha un valore, un'utilità, neppure dall’ormai inusitato punto di vista etico.      

 

Pensarla così significa non comprendere che concepire la realtà in una certa maniera dovrebbe comportare, per coerenza, un pensiero, una condotta, insomma un modo di vedere la vita in tutti i suoi innumerevoli aspetti, dalla stessa prospettiva.

 

In linguaggio moderno si direbbe che la concezione che si ha della realtà è l'ideologia e il proprio vivere la politica che, come i politici insegnano e dimostrano, dovrebbe essere coerente all'ideologia.   

Concepire la realtà come essere significa credere che esiste qualcosa oltre il mondo sensibile, e da qui tutte le implicazioni conseguenti, implicazioni che non sono  solo a livello individuale.      

 

Nei vari momenti della storia dell'uomo, in cui il pensiero filosofico aveva un certo carattere, in senso analogo ha camminato tutta la cultura umana. Per esempio, la scienza non avrebbe raggiunto l'attuale sviluppo se nel secolo attuale e in quello precedente la filosofia non fosse stata dominata dal concetto della realtà come "divenire"; perché, appunto, una simile concezione significa annettere la più grande importanza al mondo sensibile e dei fenomeni e perciò aprire la strada all'empirismo, al materialismo e via dicendo.

 

Se il concetto della realtà come "divenire" ha dominato la filosofia del secolo attuale e precedente, in ciò un gran merito l'ha avuto Hegel, il sacerdote della realtà razionale.       

Grandi meriti si possono riconoscere a quel filosofo, principalmente quello di avere compendiato il pensiero filosofico precedente ai suoi tempi e di avergli dato un assetto più organico e conseguente. Penso che la valutazione del suo pensiero non possa prescindere da una tale premessa, cioè che non si debba ricercare in lui una originalità di concezione ma solo una più compiuta focalizzazione delle conseguenze che logicamente comporta l'accettazione di certi concetti basilari.

 

Mi si dirà che in filosofia c'è poco da essere originali in fatto di concetti-base: sono perfettamente d'accordo. La qualità di un filosofo salta fuori dalla sua capacità di raffrontare certe concezioni fondamentali, scartare quelle che contrastano con una visione della realtà quanto più universale possibile ma che nello stesso tempo tenga conto del valore del singolo, dell'individuo, e dare poi una concezione-elaborazione unitaria.  

 

Da una tale prospettiva la filosofia di Hegel non può che essere giudicata favorevolmente. Per quanto riguarda due temi fondamentali della sua filosofia, e cioè la razionalità e il "divenire" della realtà, desidero però ricordare che altri, prima di lui e più di lui, hanno colto il carattere razionale del reale. Per esempio, perfino san Tommaso con le sue affermazioni sui caratteri di Dio implicitamente attribuisce alla realtà, ovviamente quale lui la concepiva, una giustizia ed una razionalità al di là dell'umano: ossia addirittura divinizza il razionale. Se poi si afferma che la struttura della realtà è tale che può essere afferrata dalla logica umana, e che l'ordine delle idee dell'uomo riflette la disposizione della realtà, allora si può fare riferimento perfino a Parmenide. Per quanto riguarda poi il concetto del "divenire", si può risalire ancora più indietro nel tempo, alla più antica filosofia greca, della quale conservate solo le tracce, agli Jonici, al meraviglioso Eraclito.

 

Non senza ragione volendo parlare del "divenire " ho citato Hegel. Infatti quel filosofo più vicino al vostro tempo unisce la concezione del crearsi o trasformarsi del Tutto con quella della razionalità della realtà e della realtà del razionale.       

Attenti! Ecco il punto centrale. Ma è veramente razionale e logico il concetto della realtà in divenire?      

Per " divenire " si intende il fluire, il crearsi, il trasformarsi del mondo; il cambiare stato, attributi, accidenti, modi, eccetera, di qualcosa. Il bruco diviene farfalla, immagine retorica ma fatto comune della natura. Ora, contrariamente a quanto taluno sostiene, mi sembra che nel concetto del " divenire ", comunque la si metta, scappi sempre fuori il persistere di qualcosa attraverso le mutazioni. Lo stesso " divenire " di Hegel, inteso come sintesi fra " non essere " ed " essere ", implica un collegamento fra i due stati. 

 

Il " divenire " si misura, appare, entro qualcosa; cioè è di qualcosa; e per quanto si allarghi e si generalizzi questo qualcosa per tentare di disidentificarlo, al massimo si potrà arrivare ad affermare che è il mondo, il Tutto nel suo insieme che "diviene ", ma sempre si troverà un qualcosa, una identità che diviene, sia pur essa la realtà in senso lato. Se così, non fosse, si tratterebbe di tante realtà diverse, ciascuna con una propria identità limitata all'unità di mutazione. 

 

Ma affermare ciò, ossia affermare il non persistere della identità, significa affermare una realtà " essere " quale noi ve l'abbiamo illustrata con l'esempio dei fotogrammi. Perciò proviamo a porre che il persistere della identità attraverso alle mutazioni sia la conditio sine qua non del "divenire" stesso.    

 

Che cosa si deve intendere per " identità "? Non certo quel che intendeva Eraclito, altro sacerdote del "divenire ", il quale affermava che l'identità è un'apparenza, perché in natura nulla è identico. Come sapete, in filosofia più generalmente si intende per "identità" il persistere dell'unità attraverso il variare degli attributi, dei modi, degli accidenti e via dicendo.      

 

A questo punto, un'altra domanda: e per "unità" che cosa si deve intendere? Indubbiamente la qualità di ciò che è un monòlito, uno come primo numero della serie, oppure la qualità di ciò che è un insieme così unito da costituire un sol tutto inscindibile.    

Mentre si comprende abbastanza bene il concetto di un "insieme" così unito da costituire un sol tutto inscindibile; per esempio un organismo che non si può dividere senza che ne vengano meno gli attributi, le funzioni, i caratteri, eccetera; non è altrettanto definibile il concetto di "uno ", specie nel senso della matematica. Per rendersene conto basta osservare le tautologie, le indeterminatezze che le definizioni di certi matematici contengono a proposito della unità. 

 

Ma per quello che vogliamo dire, anche se i termini non sono rigorosi, noi intendiamo per unità, e quindi per Uno, o il primo della serie dei numeri, l'Uno monòlito, o un'insieme così unito da costituire un sol tutto inscindibile.    

Allora, quando si sostiene che si può affermare che la realtà "diviene" solo se conserva la sua identità attraverso le mutazioni - e conserva la sua identità se mantiene la sua unità pur nel variare degli attributi, dei modi, eccetera - quando si sostiene questo, a quale unità ci si riferisce?

 

Supponiamo all'uno-monòlito. Ma se è così, l'uno - monòlito non è tale solo nei successivi momenti delle mutazioni, cioè del "divenire" - cioè solo momento per momento e disgiuntamente in ogni momento - poiché altrimenti si tratterebbe di tanti uno-monòliti diversi in qualità quanti sono i momenti delle mutazioni, e ciò significherebbe secondo quello che abbiamo detto con l'esempio dei fotogrammi, annullare il divenire stesso. Quindi l'uno-monòlito tale dovrebbe rimanere in tutta la successione del mutare; cioè dovrebbe mantenersi sempre quello uno nel tempo; ma se così, fosse, allora il "divenire" non sarebbe della realtà, sarebbe degli attributi, dei modi, degli accidenti eccetera; mentre la realtà nella sua essenza resterebbe una e immutabile. Ma questo è il concetto classico della realtà "essere" che si contrappone proprio a quello della realtà "divenire".

 

C'è anche da dire che se si afferma che la realtà è in "divenire", implicitamente si ammette che la molteplicità è reale perciò non si può pensare a quella unità che la realtà conserva attraverso le mutazioni come se si trattasse dell'uno-monòlito.

 

Nella molteplicità, intesa come reale e non come apparenza, si può parlare di unità solo nel senso di un insieme che costituisca un sol tutto inscindibile. Però anche per l'unità così intesa vale quello che ho detto per l'uno-monòlito a proposito della successione delle mutazioni, cioè che l'unità non è limitata ai tanti momenti della trasformazione considerati separatamente ma deve essere intesa in senso che trascenda lo spazio e il tempo. Ma se l'unità non si può che intendere come un insieme così unito da formare un sol tutto inscindibile che abbraccia la successione delle mutazioni, allora il "divenire" è un'apparenza: non è la vera qualità e condizione delle cose. 

 

In conclusione, e più sinteticamente: se per "divenire" si intende il trasformarsi di qualcosa che mantiene però la sua identità attraverso le mutazioni, allora la trasformazione non incide nella identità, cioè nell'intimo essere, perciò la trasformazione è un fatto esteriore, marginale, proprio come afferma la concezione della realtà " essere ". Se, invece, la trasformazione incide nell'intimo essere, allora il permanere della identità è una interpretazione, un'affermazione a priori, che non si fonda su un fatto strutturale. Se così è, non si tratta d'una realtà che diviene ma di tante realtà che sono. E questo è il concetto della realtà "essere" quale noi abbiamo sempre affermato: concetto che non nega l'unità, l'identità del Tutto, ma che ne dà una visione diversa da quella classica.       

 

Il nostro concetto di realtà non afferma, infatti, che la realtà è una che "diviene " e che conserva la sua unità per mezzo del permanere della identità attraverso le mutazioni, così come si direbbe che alla base della serie dei numeri è sempre l'uno; noi affermiamo che ciascun numero della serie è una diversa realtà e che l'unità è ottenuta attraverso la fusione trascendente della serie. Ed è in virtù di questa fusione trascendente che ciascun numero è collegato all'altro tanto da costituire un sol tutto inscindibile: il Tutto-Uno-Assoluto.  

 

Caro Hegel, l'affermazione che "la realtà è in divenire" è un'affermazione a priori, come tante altre, ma che diversamente da quelle non ha neppure la coerenza e la logica concettuale che quelle possono avere. E' un'affermazione simile a quella secondo la quale Dio è Assoluto ma, al tempo stesso, è disgiunto e separato dalla sua creazione: il che è un assurdo. 

Speriamo, mio caro Hegel, che col nostro cercare la logica e il razionale ad ogni costo, non si finisca col perdere il senso della realtà come accadde a due dei tre protagonisti di questa storiella.

 

Si racconta che tre viaggiatori affamati, attraversando una landa solitaria, s'imbatterono in una lepre, che catturarono e cucinarono in qualche modo. Sorse allora il problema di come spartire in parti eguali la lepre, in modo che a ognuno ne toccasse una identica porzione. Uno di loro disse agli altri due: « Decidete voi, ché la vostra decisione mi troverà in ogni modo pago «. Lo credo bene! Mentre gli altri due discutevano animatamente egli, con più senso della realtà, mangiò tutto l'animale.

 

Perdonate la storiella detta per interrompere e così alleggerire un argomento noioso. Perché non intendo finire qui: vorrei infatti seguitare con alcune considerazioni sulla concezione della realtà.    

 

Ciò che l'uomo fa, opera nel mondo esterno, è ritenuto reale; mentre ciò che sogna è ritenuto irreale. Il concetto di reale, di realtà, è associato o addirittura identificato con quello di concretezza. 

Ma qual'è la realtà di un uomo? Ciò che tutti vedono in lui?, per esempio, il suo corpo fisico? La realtà del mondo esterno, ritenuto concreto e oggettivo, non è certo solo quella che l'uomo può percepire e che riesce a conoscere; quindi sembrerebbe più preciso, più proprio, con "realtà ", sottintendere non concretezza ma completezza, totalità. 

 

Perciò la realtà dell'individuo è l'individuo in sé, considerato non solo come un corpo fisico ma anche come una psiche; e non solo considerato immobile ma nella sua completezza, nella completezza del suo essere, dei suoi pensieri, dei desideri, dei sogni. Se si è disposti ad accettare che tutta la realtà di un individuo comprenda anche tutta la sua attività, esteriore e interiore, anche il suo intimo essere, perché dovremmo escludere i sogni, che non si diversificano dai suoi pensieri se non per il fatto che anziché essere prodotto della sua mente in stato di veglia lo sono in stato di sonno?     

 

E ancora: è comune convinzione che la realtà delle cose sia quella che potete osservare nel momento in cui la prendete in considerazione. Al massimo siete convinti, per esempio, che la totale realtà di una pianta non sia solo quella che vi appare; che altro vi sia che possa sfuggire alla vostra

osservazione; però siete altrettanto convinti che, qualunque sia tale realtà, essa sia quella del momento in cui la osservate.

 

Non è così: la realtà di una pianta che osservate non è solamente quella che sta oltre ciò che appare, ma è anche tutta quella che sta a monte, in senso temporale, del momento di osservazione. E non è tutto: la realtà di una pianta che osservate non è ancora solo tutto il suo ciclo di vita, che va dal seme al suo attuale stato di sviluppo, ma è anche tutta l'evoluzione biologica che sta a monte del seme. E non è ancora tutto: la totale realtà di quella pianta comprende anche lo sviluppo futuro della stessa e delle caratteristiche che attraverso di essa sono trasmesse alle piante discendenti. Ma non è ancora tutto, perché ho parlato solo della realtà biologica, ho trascurato ciò che quel soggetto rappresenta, da un qualunque punto di vista, per altri soggetti.  

 

Dunque, il fatto di esaminare qualcosa, in un momento, in una fase del suo ciclo di esistenza, non deve farvi dimenticare che si tratta di un'osservazione limitativa: la totale realtà di ciò che osservate si estende ben oltre le coordinate spazio-temporali del momento di osservazione. 

Eppure, per quanto possa ingigantirsi, a séguito di tali riflessioni, la realtà totale di qualunque cosa, o dell'intero Cosmo, anche considerato nell'intero suo ciclo di esistenza, altro non è se non ciò che appare di un infinitesimo frammento dell'Essere Divino, cioè dell'Assoluta Realtà Totale. Così è la Sua struttura, che abbraccia e contiene, unendole e trascendendole, innumerevoli realtà limitate disseminate in tempi e spazi; ed ecco perché Tutto è Uno: qualsiasi cosa su cui i vostri occhi si posino si estende nella sua realtà alla Totalità dell'Uno!  

 

 

 

 

Realtà parziale e Realtà totale

 

(1981)

 

 

DALI - Parlare del sentire e della Realtà può sembrare, secondo la vostra concezione, parlare di due mondi diversi: l'uno prevalentemente a voi esterno e l'altro interiore; mondi che possono essere, e sono in qualche modo comunicanti, ma che si mantengono, nel rispettivo ruolo, categoricamente distinti e separati. Secondo la vostra concezione, la realtà che sta intorno, ma sempre al di fuori di voi, è quella che è e non è assolutamente condizionata dal vostro intimo; così come il vostro essere interiore, secondo la comune concezione che se ne ha, non è certo influenzato dal modo d'essere della incommensurabile realtà che sta all'esterno.      

 

Per noi, invece, parlare del sentire e parlare della realtà è parlare di un'unica cosa; questo perché, secondo noi, la realtà vera di ciascuno è il suo sentire.   

Cercheremo di spiegare questo concetto nelle lezioni che seguiranno: cercheremo di spiegare che la Realtà non è là e voi siete qua, perché per ognuno è realtà solo quello che lo colpisce, cioè che recepisce o, quanto meno, percepisce.

 

Cercheremo di spiegare che non ha ragione di sussistere la suddivisione tra « mondo esteriore « e « mondo interiore « perché proprio il fatto che per ognuno è reale solo ciò di cui o con cui viene in contatto, tutto quello che ognuno incontra, percepisce o viene a sapere fa parte di un solo mondo: il suo mondo.

 

KEMPIS - La critica che viene mossa ai messaggi degli spiriti che descrivono la vita dopo la morte colpisce il carattere antropomorfico delle comunicazioni. In sostanza, si dice che non è verosimile un aldilà concepito a misura d'uomo e      con le sole caratteristiche umane, per cui le rivelazioni su quel mondo e sulla vita degli esseri che lo popolano altro non sarebbero che il frutto di subcoscienze umane.     

 

Trovo questa obiezione in parte valida: tuttavia, la descrizione dell'aldilà in chiave umana non prova che la fonte delle comunicazioni sia la subcoscienza di un vivente; specie se non si scarta l'ipotesi che, nello stato d'essere in cui si trova un trapassato subito dopo la morte, i sogni assumono l'aspetto di vive realtà.      

In altre parole, questa obiezione avrebbe valore assoluto se fosse assolutamente certo che, una volta entrati nel regno dei più, ognuno conosce il Vero, la Realtà di tutto. Invece va tenuto presente che, entrando nel cosiddetto regno dei morti, ognuno rimane pressappoco quello che è; ossia non acquista la conoscenza della Realtà oggettiva; per cui, se ha la possibilità di comunicare coi vivi, parla dei suoi sogni elevati a realtà senza neanche immaginare cosa stia " oltre " la sua soggettività.    

 

Se questo spiega il carattere antropomorfo di certe comunicazioni spiritiche, non tranquillizza affatto sulla possibilità di conoscere la Realtà. In altre parole, ammesso che noi siamo dei disincarnati, come potete sapere se ciò che vi diciamo è vero o frutto delle nostre opinioni?  

 

La domanda rientra in un problema generale che, senza scomodare il regno dei trapassati, esiste egualmente anche nella vostra dimensione. Chi vi dice che ciò che voi osservate sia la realtà? Quella che l'uomo conosce, di volta in volta scopre, è la realtà oppure ciò che appare di essa?     

Noi affermiamo che, oggettivamente, esiste una sola Realtà: la Realtà assoluta, in se stessa incolore, informe, omogenea, infinita, immobile, eterna, eccetera eccetera. 

 

Che l'uomo conosca più realtà con colori, forme o movimenti, deriva dal fatto che la percezione della realtà, da parte dell'uomo, è limitata e parziale. Gli aspetti diversi dell'unica Realtà non esistono oggettivamente ma scaturiscono dalla comunanza delle percezioni degli enti percepienti, cioè degli uomini, i quali hanno tutti le stesse categorie di sensi. E l'illusione è così perfetta da far credere nell'esistenza reale ed oggettiva di vari mondi o di più, realtà. Ma è proprio sottostando al gioco della percezione che l'uomo acquista una nuova dimensione d'esistenza, un nuovo modo di conoscere. Infatti nasce in lui una vita interiore che noi abbiamo definito sentire di coscienza il quale, a poco a poco, sviluppa tanto da sussistere poi svincolato da ogni percezione.      

 

A questo punto l'individuo, non più uomo, abbandona la ruota delle reincarnazioni ed ha un'esistenza profondamente diversa da quello che potete immaginare: egli stesso è una realtà sempre più ampia, una conoscenza sempre più vasta ed effusa. Nel mondo del sentire, così noi abbiamo definito questo tipo di esistenza svincolata dal mondo della percezione, il conoscere dell'individuo è ben diverso dal conoscere dell'uomo.

 

Altre volte vi abbiamo parlato della differenza che esiste fra la conoscenza che si ha nel mondo della percezione e quella che si ha nel mondo del sentire. Nel mondo della percezione, come ho detto, si conosce l'apparenza della realtà e questo tipo di conoscenza tocca il culmine dell'illusione e della soggettività. Il mondo della percezione non comprende solo il piano fisico; appartengono a quel mondo anche il piano astrale ed il piano mentale. Illusoria e soggettiva è quindi la conoscenza che si ha in tutti e tre questi piani, perché è una conoscenza dell'apparenza.  

 

Il sentire, invece, prima d'essere conoscenza è un essere, quindi non è conoscere l'apparenza, non è conoscenza quale voi l'intendete: è una realtà, una conoscenza nel senso più vero, perché essendo si conosce veramente. Questo tipo di conoscenza, propria del mondo del sentire, è il solo che l'individuo ha, lasciata la ruota delle nascite e delle morti; ma ciò non significa che, progressivamente ed embrionalmente, una tale conoscenza non si manifesti anche quando l'individuo è ancora legato al mondo della percezione. L'evoluzione dell'uomo, infatti, lo vede passare dal solo conoscere l'apparenza al sentire, all'essere realtà nuove sempre più  ampie.     

 

Ho detto realtà e non la Realtà: infatti la realtà che l'individuo è, via via, è sempre una realtà relativa essendo egli ancora limitato; ed un essere limitato, un sentire limitato, non può essere la Realtà Assoluta.  

Ora, una realtà relativa, un sentire relativo, pur essendo conoscenza nel senso più vero è una conoscenza incompleta.

Solo il sentire assoluto è vera conoscenza assoluta. Non solo: una realtà relativa può essere conosciuta nel vero senso, ossia può essere sentita completamente, totalmente, nella sua relatività, e può invece essere conosciuta parzialmente. In questo caso è sentire parzialmente una realtà relativa; sentire una parte della parte.     

 

Vediamo di dire questo concetto con altre parole, anche se non per tutti, più chiare; d'altronde non posso essere comprensibile per chi non ha seguito ciò che da tempo diciamo. Per restare nel vostro mondo, prendiamo in esame una realtà, una situazione del mondo della percezione, peraltro limitandola ad una semplice sequenza: due esseri umani nell'atto di vivere una comune esperienza, una qualunque, quella che volete voi. Ciascuno dei due esseri è un sentire, una realtà che compone la composita realtà di entrambi. In altre parole, ciascuno dei due è parte integrante e costituente della realtà costituita dalla situazione da essi rappresentata, da entrambi formata.   

 

Abbiamo detto che una situazione del mondo della percezione può essere colta o sentita, o essendo tutta quella realtà, o essendone uno degli elementi parte costituente. dall’esterno, in senso assoluto, nessuna realtà è captabile, accessibile.

Ma chi è che contiene, che comprende, che conosce nel vero senso, tutta una realtà?, una situazione del mondo della percezione che includa più esseri? E' chiaro: solo quel sentire che rappresenta un livello tale di ampiezza da contenere, comprendere, come minimo, tutti i sentire legati a quella certa

situazione. 

State bene attenti: ciò significa che può essere - e quasi sempre lo è - un sentire che non è direttamente legato a quella situazione, che non è solo di quelle due realtà individuali. Oserei dire per chiarire, se non temessi di essere frainteso: è un sentire che non vive in prima persona quella esperienza costituita da più sentire.

 

Supponiamo che i nostri due esseri umani esprimano un sentire di limitazione N e, di disposizioni, il primo X1 ed il secondo X2. Il sentire che conoscerà nel vero senso la situazione che abbiamo ipotizzata, comprendente la realtà composita dei nostri due esseri umani, sarà un sentire di limitazione N-1 e di disposizione X; sarà cioè un individuo che avrà in sé quella esperienza, quella conoscenza della situazione da noi ipotizzata, anche se lui, quale allora sarà, non la sperimenta direttamente. 

Con il vecchio linguaggio potremmo dire che ce l'ha quale retaggio di precedenti reincarnazioni; e si tratterà di una conoscenza completa della realtà relativa perché conterrà l'esperienza dei due attori, dei due soggetti. 

 

Quindi, come ho detto, si può conoscere nel vero senso una situazione del mondo della percezione, pur non essendone uno degli elementi parte costituente, a patto che si abbia un sentire tale che includa, per ampiezza, i sentire degli esseri che sono invece parte integrante di quella situazione. E chi sono gli esseri parti integranti di quella situazione del mondo della percezione? Sono solo coloro che sono presenti fisicamente o no?

No. Infatti vi abbiamo detto che se un disincarnato osserva due esseri umani che compiono una qualsiasi esperienza è perché è incluso in quella situazione, pur non avendo un corpo fisico, pur non essendo presente fisicamente. Ciò significa che quella situazione fa parte del sentire di quella Entità, gli è necessaria. Non ha rilievo, invero, che la situazione sia del mondo fisico ed il sentire dell'Entità sia di un altro piano. Così è anche per i due esseri umani che costituiscono una parte della situazione; così è, in ogni caso, sempre.    

 

Alle cosiddette realtà fisiche corrispondono sensazioni, pensieri, sentire, cioè corrispondono realtà di altri piani. Quindi, essere inclusi in una situazione del mondo fisico non significa necessariamente avere un corpo fisico. Io sono incluso nelle vostre situazioni e non ho un corpo fisico, anche se in questo momento ne ho preso a prestito uno.

Uno psicometra che attraverso un oggetto si unisce ad una situazione del mondo fisico si inserisce in una certa realtà pur non essendo presente fisicamente: tuttavia quella realtà da lui percepita fa parte del suo mondo del sentire ed egli è parte integrante di quella realtà percepita. 

Qualcuno si domanderà:

«Com'è possibile che un oggetto inanimato sia veicolo di sensazioni? «. Vi abbiamo detto che tutto ciò che esiste, per esistere, come minimo deve essere legato al mondo delle sensazioni; cioè deve vivere di una qualche forma di vita, perché la vita, come minimo, è sensazione.      

 

Allora, la situazione che abbiamo ipotizzato non è il comun denominatore solo del sentire dei due esseri umani, ma è il comun denominatore di tutti i centri di sensazione che sono legati ad essa; o, più precisamente, la realtà di quella situazione e composta da tutti i sentire in senso lato, cioè comprendenti anche le semplici sensazioni, che in quella situazione trovano la loro manifestazione. Ciascuno di questi centri di sensazione percepisce quella realtà composita dal suo punto di vista, ossia parzialmente; ma solo il sentire che per ampiezza è espressione di tutti i centri di sensazione che compongono quella situazione, quella realtà, ne ha piena, totale cognizione, pur restando ancora un sentire relativo.       

Da ciò si deduce e si conferma che solo il sentire assoluto può sentire, conoscere nel vero senso, il Tutto.

 

DALI - Questa affermazione, appalesando l'inutilità degli sforzi compiuti dall’uomo per conoscere la Realtà Assoluta, contrariamente a quanto può sembrare non svalorizza la conoscenza umana. Anche se questa affermazione ridimensiona la realtà che l'uomo può conoscere con i mezzi che ha a sua disposizione, con le limitazioni che lo condizionano, prima fra tutte la sua condizione umana, tuttavia dà valore alla conoscenza, all'esperienza di ogni individuo, né più né meno preziose di quelle altrui, perché né più né meno relative delle altre.

 

Qualsiasi conoscenza, qualsiasi esperienza è utile, e lo è tanto più quanto più è desiderata, quanto più se ne sente la necessità. Da qui il massimo rispetto, la massima considerazione dell'esperienza, della conoscenza che ognuno ricerca ed ha.  

E con questa consapevolezza, come potremmo chiedervi di convincere gli altri che quello che attraverso noi conoscete è la realtà a loro necessaria? Anche se quello che conoscete è una verità più completa, potrebbe trattarsi di una conoscenza non per loro utile; perciò come potremmo chiedervi di catechizzare gli uomini?      

Ecco, invece, perché vi diciamo che parliamo solo per coloro che non sono soddisfatti della loro vita e che cercano risposta alla loro insoddisfazione. 

 

Può darsi che quello di cui vi parliamo sia una conoscenza a loro utile e può darsi, invece, che essi cerchino un altro genere di soddisfazione. Il fatto in sé di conoscere una verità più completa non significa nulla se l'uomo non la desidera come l'affamato desidera il cibo. Perciò parlate se ne avete l'occasione propizia; non dico: « parlate di noi «, non occorre ; parlate di quello che noi diciamo ma non continuate a parlare se non vi è richiesto. E non parlate per fare proseliti.

 

Il nostro scopo non è quello di creare una chiesa, un partito, una qualsiasi organizzazione. Nessuno ha il monopolio della Verità Assoluta. E poiché si tratta di tante verità relative, nessuno ha l'esclusiva della Verità. Ma badate bene: ciascuna verità relativa è più importante, per l'essere limitato, della per lui incomprensibile Verità Assoluta. Per ciascuno è importante comprendere bene la propria verità-punto-di-passaggio; perciò l'augurio che vi faccio è che comprendiate bene le nostre parole.

 

TERESA - E le avete comprese bene quando diventano Verità liberatrice; quando ciò che conoscete arricchisce interiormente, illumina l'intelletto, rafforza la volontà, cura le infermità, riscalda la tiepidezza, addolcisce l'aridità; quando è spontaneità e naturalezza ma anche rispetto degli altri; è semplicità ma anche intelligente consapevolezza; è serenità ma non è incoscienza; quando è forza più che consolazione; è costanza più che entusiasmo; è certezza più che speranza; è comprensione più che accettazione; è creatività più che conoscenza.      

Pace a tutti, creature nostre.

 

 

Continua