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L'io, fantasma del mondo della percezione - L'io e l'essere - Monismo, Pluralismo - Dio, stato di coscienza - 

Superamento della limitazione - La reale dimensione di esistenza del Tutto (...Egli non è il Dio di Abramo...) - 

L'io, fantasma del mondo della percezione

Quante volte vi abbiamo parlato del "sentire individuale", cercando di farvi comprendere come questo si collochi nella Realtà dell'Esistente! Adesso vogliamo approfondire. Naturalmente, la nostra esplicazione sarà tale nella misura in cui voi avrete compreso quello che fino ad ora vi abbiamo detto e... quanto di nuovo riuscirete a capire.

I centri di "sentire" nell'Esistente sono due: l'Assoluto, cioè l'Uno, e i microcosmi, cioè i "molti nell'Uno". Questa distinzione è illusoria, è una distinzione di comodo, ed è valida nella misura in cui si comprende ch'essa non esiste.

Il "sentire dei molti" sta al "sentire dell'Uno", come la parte sta all'insieme; anche questa affermazione è valida nella misura in cui si comprende che l'Assoluto è oltre l'insieme. 

E' importante comprendere la natura del "sentire dei molti", cioè degli individui, perché, in questo, è la radice dell'illusione. Non dovete però comprendere questa affermazione come una condanna, ma come uno stimolo, un impulso a comprendere ciò che ci separa dalla Realtà. Il "sentire dei molti" è dunque un "sentire" relativo, limitato, circoscritto. Abbiamo detto che è un "sentire" di parte; proprio per questa sua natura finita dà una percezione che si fonda su "io" e "non io", provenire "da" e tendere "a". Innumerevoli sono i "sentire individuali". Pensate! Al "sentire" di ciascuna individualità fa capo un individuo; ad ogni individuo fa capo una gamma vastissima di "sentire"; in altre parole, "sentire individuali" fanno parte dell'individuo, individui fanno parte delle individualità, le individualità fanno radice nell'Assoluto. 

L'insieme dei "sentire individuale" costituisce la personalità dell'individuo: sono "atomi" di "sentire" uniti fra loro, in forza delle loro omogeneità: il risultato è la personalità individuale. Allo stesso modo le varie personalità individuali, o individui, unite fra loro in forza della loro omogeneità, costituiscono le individualità. Si dice allora che ciascuna personalità - che in genere s'incentra ognuna su una incarnazione - appartiene ad una individualità.

Che cosa significa "atomo di sentire"? Significa "unità elementare" del "sentire individuale"; in altre parole, "reazioni" e stimoli che vengono dall'ambiente in funzione della coscienza raggiunta. Questa coscienza raggiunta potrebbe più propriamente essere definita "coscienza di base", perché è quella coscienza, quel capitale iniziale di partenza che viene aumentato con le successive esperienze, ed attraverso proprio agli stimoli dell'ambiente. Quando l'individuo è legato alle forme di vita semplice, al di sotto dell'umana, si può definire - abbiamo detto - centro di sensibilità e di espressione ed il suo "sentire" è assai diverso da quando sarà uomo, e voi sapete che "uomo" significa centro di coscienza e di espressione. Infatti nelle forme di vita semplice si ha solo una percezione degli stimoli ambientali, senza nessuna coscienza di sé, né dell'ambiente che ci circonda. 

Successivamente si comincia a distinguere queste percezioni in piacevoli e non piacevoli; proseguendo nella graduatoria del "sentire", ecco che queste percezioni sono desiderate, quando sono piacevoli, temute quando sono spiacevoli. Si ha qui, a questo punto, una prima larvata coscienza di sé e dell'ambiente che ci circonda. Questa coscienza affiora un poco più in superficie nelle forme di vita animali in cui si raggiunge una maggiore autonomia, tanto che con il nuovo strumento-mezzo che è la mente, ci si può adoperare per raggiungere, per seguire le sensazioni piacevoli, le percezioni piacevoli o per sfuggire quelle spiacevoli. In questa fase gradatamente il "sentire" viene ad essere comprensivo della consapevolezza di sé e dell'ambiente circostante.

Nella forma umana tutto ciò è perfettamente definito. E' nato l'"io" ed il "non io". La meta successiva è l'allargamento della coscienza individuale fino a superarla, a trascenderla.

Tutta questa esposizione è giusta e reale nella misura in cui si riesce a capire senza restare ancorati ad un "divenire". Che cosa significa questo? Significa che tutte le gamme del "sentire", l'unità elementare del "sentire individuale", è come l'unità elementare delle materie che compongono i piani di esistenza più densi. I sentire complessi, costituiti da atomi di sentire, sono analoghi alle materie composite di questi piani, costituite appunto da aggregazioni di materie elementari. Dunque, per spiegarci meglio, se il "sentire Assoluto" esplodesse - seguitemi bene - in una gamma di "sentire individuali", si frazionasse, queste frazioni si aggregherebbero in tante gamme di "sentire", organizzate da una semplice ad una più complessa. Questo esempio - badate bene - è valido nella misura in cui si comprende che ciò non può essere accaduto. 

Allora, ciò che noi percepiamo come "ora" è la realizzazione, nell'eternità, di un "sentire individuale". Siccome però "eternità" non significa "tempo infinito", ma "senza tempo", quell'"ora" è un'illusione, quell'"ora" è ciò che circoscrive un "sentire individuale", lo delimita; "sentire individuale" che nell'aggregazione generale dei "sentire" sta fra un sentire più semplice ed un sentire più complesso. E come "eternità" non significa "tempo infinito", ma "senza tempo", così "infinito" non significa "spazio senza fine", ma "senza spazio", assenza di quantità, di dimensione; allora - con questa precisazione - quale significato se quel "sempre" non ha senso di durata.

L'uomo - vedete, figli e fratelli - cerca di comprendere il mondo che lo circonda osservando i fenomeni. Da ciò che egli vede, che egli è quindi in qualche modo palese, cerca di capire ciò che è segreto, ciò che è nascosto. Dagli effetti indovinare le cause; da ciò che appare, scoprire ciò che è. Questo sistema è molto discutibile quando lo si vuole applicare per comprendere la natura dell'intimo dell'uomo. Infatti la percezione individuale crea delle realtà posticce che non esistono. L'"io" è l'esempio più chiaro e più lampante di questo fantasma creato dalla percezione. Noi stessi - per farvi comprendere certi concetti - abbiamo dato per esistente l'"io"; ma ciò è un miraggio, l'"io" non trova riscontro nella realtà costituzionale dell'individuo.

L'"io" potrebbe essere ciò che lega tutti i "sentire" dell'individuo, ma abbiamo detto già che questi sono aggregati in forza della loro omogeneità, quindi l'"io" non serve.

Quando noi diciamo: l'uomo è un centro di coscienza e di espressione, diciamo una Verità; ma questa Verità è tale nella misura in cui non si comprenda che l'individuo è un  "io" che percepisce. Non esiste l'"io" che "sente": esiste il "sentire".

L'individuo non è colui che "sente", è "sentire individuale".

Così come Dio è non "Colui che ama": E' amore.

Ancora vi abbiamo posti di fronte ad una realtà sconvolgente .

Prima di meditarla, di comprenderla, ciascuno esegua un'introspezione. Cerchi di capire se è tanto forte da abbandonare l'ultima illusione: l'"io". Perché tutta la vita dell'uomo è fondata sull'"io", e non solo dell'uomo, anche del Santo. Tutto si fa nel presupposto di accrescere se stessi, anche quando - apparentemente - sembra si voglia annullarsi. L'"io" permea tutti gli insegnamenti, anche i più validi. Il Nirvana degli orientali è l'"io" che percepisce la Divinità: suprema illusione! Dio che parla all'uomo dell'occidente: quale pazzia più grande può mietere più vittime?

Voi siete stati abituati a pensare all'"io" come al sinonimo dell'egoismo; adesso dovete pensare all'"io" come all'unica e alla più grande delle illusioni. Tutto quello che si fonda sull'"io" - religione, scienza, filosofia - è una mistificazione.

L'"io" - lo ripeto ancora - non esiste. Io, voi, l'uomo, l'individuo, non esistiamo come ente a sé stante che percepisce, che in qualche modo è distinto dal tutto. Siate consapevoli di ciò.

Quanto vi abbiamo scandalizzati e quanto - forse a volta con riluttanza - ci avete seguito! Alla fine, quando avrete compreso che tempo e dimensioni sono irreali, che coloro che vi vivono accanto non sono vostri contemporanei nel "sentire", che non esiste nessuna successione perché non esiste nessuna reale suddivisione, ma che tutto è; quando vorrete capire e capirete la natura del "sentire individuale", sapendo che questo non vi aiuta a comprendere la Natura del Sentire Assoluto, del tutto diversa, allora sarete nel vero, perché liberi dall'illusione del "divenire", comprenderete L'Eterno ed Infinito "essere".

 

L'io e l'essere

Questa sera vorrei limitarmi a fare delle semplici considerazioni lasciando a voi trarre le conclusioni che più vi sembrano logiche. Il discorso che voglio fare riguarda la consapevolezza di sé: il sentirsi d'essere.

L'uomo limita se stesso alla propria consapevolezza; l'antico cogito ergo sum solo ora comincia ad essere rivalutato, o meglio ridimensionato, in seguito all'ipotesi che l'esistenza non sia tutta contenuta nel pensiero consapevole. Ed in effetti l'essere va oltre il pensiero, oltre la facoltà di pensare. Ma di fatto, nell'uomo comune, il senso della propria esistenza è ancora tutto legato all'io. Perciò da qui noi dobbiamo cominciare. Non è la prima volta che c'interessiamo dell'io, altre volte ne abbiamo parlato; ora da un punto di vista etico, ora analitico, fino ad affermare che nella struttura dell'individuo l'io non esiste. Infatti se, come abbiamo detto la volta scorsa, in Realtà esiste solo l'Unità, allora il senso dell'io, del sentirsi diversi e distinti, appartiene all'apparenza. Se in effetti siamo un solo essere, allora il senso dell'io che si oppone al non-io non ha fondamento. 

"Ma - direte voi - da questo punto di vista, dal punto di vista della Realtà oggettiva, null'altro esiste, oggettivamente, se non Dio; e perciò non solo non esiste l'io, ma neppure l'individuo inteso come ente reale, preso a sé, distinto da ogni altro della medesima specie". Non c'è dubbio. Ma ciò che intendo significare è che pur restando nell'ambito del relativo e quindi del molteplice e del soggettivo, l'io non fa parte della struttura dell'individuo, essendo il suo modo di concepire la Realtà, un'opinione derivante da un'errata percezione del reale. 

Da ciò si comprende che con io noi intendiamo qualcosa di diverso dall'io filosofico che sta a designare il soggetto pensante e cosciente delle proprie modificazioni; o dall'Ego della psicoanalisi inteso come principio della coscienza, su cui agiscono le due forme inconsce Es o Id, ossia le tendenze ereditarie ed istintive, e il super-io, ossia il complesso delle regole morali. Per noi l'io è il principio della consapevolezza contenuta o, se preferite, non ancora liberato da una concezione dualistica della Realtà. 

Dicendo che l'io non fa parte della struttura dell'individuo, intendiamo significare che il principio della consapevolezza può esistere, o meglio ancora, è votato ad esistere al di là della concezione io-non io. Per noi - ancora una volta lo ripetiamo - l'individuo non è un io che "sente", ma un "insieme di sentire".

Allora da che cosa nasce il senso dell'io? E' chiaro che parlare di io, significa parlare di livello di evoluzione umana. Nel superuomo, cioè in colui che ha già lasciato la ruota delle nascite e delle morti, non esiste più l'io, ma ciò non significa che non esista la consapevolezza di sé. L'io nasce innanzi tutto dalla limitata percezione che l'uomo ha; ossia dal ristretto campo della sensibilità ricettiva. Se l'uomo ha fame, non si sfamerà vedendo mangiare un altro. Da ciò nasce la convinzione che il proprio essere non si estenda oltre la possibilità di ricezione consapevole.

Nasce la distinzione fra ciò che colpisce direttamente e quello di cui non si ha cognizione. V'è poi il ricordo che, tenendo ben presenti le esperienze consumate ed i limiti entro cui esse toccano, contribuisce a ben identificare il campo della propria ricezione e quindi alimenta, così, il senso di separatività. Inoltre il ricordo crea la continuità dell'io nel tempo. "La tal cosa è accaduta a me".

Ora, se voi pensate a quando eravate dei fanciulli, voi pensate ad un dato momento della vostra esistenza; eppure i fanciulli che eravate, erano ben diversi dagli uomini che siete. V'è differenza nelle azioni, negli interessi, nei desideri, nelle emozioni, quasi che si trattasse di un altro, essere; ma il ricordo vi garantisce che si tratta di voi stessi. 

Se qualcuno vi dicesse che avete avuto una vita in precedenza all'attuale, certamente questo fatto vi incuriosirebbe, ma la prova di ciò potrebbe venirvi solo dal ricordare quella vita. Eppure quante azioni di questa attuale esistenza non ricordate e non v'è dubbio che voi le avete compiute! Dunque il ricordo, che secondo voi garantisce la continuità del vostro essere, quando manchi, non prova che questa continuità non vi sia. Se parlo del ricordo e perché voi date tanta importanza ad esso al fine dell'identificazione di voi stessi. 

Il ricordo, come ho detto, vi garantisce che voi continuate nel tempo. Ma è un errore collegare se stessi al ricordo: la continuità sta nello stesso sentire d'essere, nell'essere in sé che non cessa, e non può cessare d'essere. Il ricordo perisce, si può anche dimenticare chi si è o chi si è stati, come nei casi di totale amnesia; ma il sentirsi d'essere non cesserà mai. E questo sentirsi d'essere non è destinato a perire come perisce il ricordo, ma ad ampliarsi sempre di più, fino a sussistere indipendentemente dai pensieri, dai desideri, dalle sensazioni; anzi, nel silenzio di questi, ad espandersi talmente da abbracciare tutto quanto l'io esclude: il non-io.

La vostra esistenza futura, quindi, non prevede la continuazione delle vostre limitazioni, della ristretta concezione dualistica che voi avete della realtà, dell'io che è limitazione; ma l'espansione del vostro essere, l'effusione, la comunione con tutto quanto esiste.

Ora, se la considerazione che il non ricordare un dato momento della propria esistenza non significa che quel momento non sia stato vissuto, la si sposta dal ricordo alla consapevolezza del presente, se ne deduce che il fatto che nel presente non si sappia o non si "senta" qualcosa, non significa che questo "qualcosa" non faccia parte di se stessi. 

In altre parole: premesso che l'essere uomo va ben oltre l'io, sia inteso come soggetto pensante che come principio della consapevolezza - perché l'essere ha una parte inconscia e ciò è ormai universalmente accettato, tanto che stima la parte inconsapevole assai più grande di quella consapevole - vi domando fino a che punto è vera ed è giusta la concezione che si ha della realtà, basata unicamente sul ricordo e sulla consapevolezza del presente? Può nascondere, quella parte inconscia dell'essere qualcosa che modifichi totalmente la concezione della realtà secondo lo schema io-non io? E che cosa vi accadrebbe se - come dopo il trapasso vengono ritrovati i ricordi di precedenti incarnazioni - ad un dato punto della vostra esistenza di individui trovaste non la consapevolezza d'essere stati qualcun altro, ma la consapevolezza d'essere qualcun altro? Che so! D'essere l'aggressore e l'aggredito, d'essere insomma tutto quanto una concezione ristretta, che voi avete attualmente, vi fa escludere di essere. D'essere io e non io? 

Meditare su questi interrogativi. Vi aiuteranno ad avvicinarvi ad un nuovo modo di concepire la realtà.

Monismo - Pluralismo

Noi ci siamo interessati di diversi quesiti importanti della filosofia quali -  per menzionare alcuni di quelli che ci hanno interessato - Realtà ed apparenza, divenire ed essere. Ebbene, fra questi occupa un posto preminente il "monismo-pluralismo".

Può sembrare che questo dilemma sia da relegare fra le inutili esercitazioni accademiche - e questo forse può essere in parte vero - ma se dalla soluzione del quesito ne risultasse prima di tutto una maggior comprensione della realtà in cui ciascuno vive, e poi in che direzione muoversi per vivere armonicamente con questa realtà, non c'è dubbio che un simile approfondimento tornerebbe utile perché, vedete, se il Cosmo è oggettivamente composto da una pluralità di mondi e di esseri, allora la partecipazione ai problemi altrui è una questione di semplice solidarietà umana o spirituale; ma se il "tutto esistente" è una Realtà del tipo di quello concepito dal monismo spiritualistico, allora l'amore al prossimo è qualcosa di più di un semplice precetto, anche se in ogni caso sempre da seguire.

Il campo ove è focalizzata l’attenzione, onde pervenire alla conoscenza, voi sapete che è diverso fra cultura orientale e cultura  occidentale. I due criteri seguiti ricalcano ne più né meno, lo schema "io-non io", disegnato dalla mente. L'"io" è il soggetto della conoscenza, il "non-io" l'oggetto. L'attenzione della cultura occidentale è concentrata, principalmente, alla ricerca dell'oggettività. Infatti ciò che si può analizzare, esaminare scientificamente è il "non-io"; mentre gli orientali polarizzano la loro analisi sul mondo interiore del soggetto. 

I criteri, essendo seguiti l'uno con l'esclusione dell'altro, non hanno portato ad una visione d'insieme di quel poco della Realtà che l'uomo può cogliere, conducendo gli orientali a poco conoscere del mondo esterno all'"io", e gli occidentali, fino a pochi anni fa a poco sapere del mondo interiore del soggetto. Tutto questo naturalmente dando per esatta la suddivisione della realtà operata dalla mente secondo il criterio "io-non io". Intendo dire che la mente lavora partendo da un postulato dualistico, nel senso che dà come dimostrata a priori ed oggettiva la dualità. Ma, in effetti, il dualismo "io-non io" è strutturale nella Realtà, oppure deriva unicamente da una percezione limitata ed inesatta di essa? Crediamo di avere risposto a questa domanda parlando dell'"io".

In ogni caso torneremo su questo argomento con delle considerazioni ad una prossima occasione. Ricordo solo brevemente che per noi l'"essere" non è un "io" che "sente", ma è un insieme di "sentire"; e quindi il senso dell'"io" risulta dal punto d'incontro di due coordinate: l'ascissa, che sarebbe il senso di separatività proprio del "sentire" a livello umano - l'"io" spaziale, potremmo chiamarlo - e l'ordinata che sarebbe la memoria, ciò che crea la continuità dell'"io" nel tempo quindi potremmo chiamarlo l'"io" storico o temporale. Ma in ogni caso la pluralità comprende ogni dualità, perciò risolvendo il dilemma monismo-pluralismo, ne consegue logicamente una risposta a livello generale di principio, valida anche per il dualismo "io-non io". Ma come pervenire a capo di questo dilemma? 

Non abbiamo la pretesa di risolverlo in senso assoluto; la soluzione radicale sta in campi per ora a voi inaccessibili, tuttavia, intanto, abbiamo dato una risposta che sul piano logico e filosofico, in breve, suona così: se si ammette una pluralità oggettiva, allora esiste un tempo oggettivo, uno spazio vuoto, non un Dio ma più Dei, ciascuno dei quali privo dei caratteri di assolutezza, eternità, infinità, immutabilità ecc. ecc., possibili se esiste oggettivamente solo l'Unità. Ma oltre a questo, se si osservano certe manifestazioni chiamiamole... naturali, che hanno un carattere indubbiamente unitario, si rileva come l'Unità risulti dalla confluenza di molteplicità, sicché si può ragionevolmente credere che ciò che a noi appare molteplice confluisca nell'Unità.

Per esempio: la consapevolezza, che ha un carattere così unitario, risulta l'insieme di tanti piccoli atti istintivi della mente, così diversi che potrebbero essere prodotti da tante menti diverse da quella consapevole. Cosa che non è. E questa consapevolezza non è l'insieme di tante piccole consapevolezze, ma ha un carattere a sé; tanto che certe sensazioni dolorose ben localizzabili, sono localizzate solo di riflesso. Intendo dire che se, per esempio, una parte del suo corpo soffre, l'uomo prima avverte un senso generale di malessere - è lui come unità che soffre ed una frazione di secondo dopo localizza la parte sofferente. Ancora: se voi chiudete alternativamente prima un occhio e poi l'altro, vi rendete conto come ciascun occhio percepisca un'immagine diversa, così diversa che se le due immagini fossero fotografate, le fotografie non sarebbero assolutamente sovrapponibili. 

Non solo, ma l'insieme delle due immagini è un'immagine ancora diversa, un'immagine che ha una profondità. Ebbene, se si analizza questo processo, ci si rende conto delle modalità secondo cui si svolge. Voi sapete meglio di me che il vedere non è un processo tanto degli occhi quanto delle mente. Un'immagine, in sé, è un insieme di macchie di colori, di chiari e scuri, di luce e d'ombra, di forme. E' la mente che analizza quelle macchie colorate e le trasforma in visione consapevole. Io non so se vi è mai capitato di osservare un oggetto in scarse condizioni di visibilità e di non riuscire a capire che cosa sia quell'oggetto. Ebbene, quando la vostra mente ha indovinato che cosa è quell'oggetto, anche la visione pare più nitida, sembra cioè che siano migliorate le condizioni di visibilità, cosa che non è accaduta. 

Allora, tornando alle nostre due immagini monoculari è chiaro che la mente esegue per ciascuna di esse una distinta elaborazione, altrimenti non si avrebbero due immagini, ma si avrebbe un duplice insieme di macchie di colore. 

E' come, cioè, se ciascun occhio avesse una sua mente; non solo, ma, siccome la visione simultanea è un'immagine con caratteristiche che vanno oltre la somma delle caratteristiche delle due immagini, è chiaro che la mente - con una terza attività - fonde le due immagini precedentemente elaborate e le trasforma in una visione tridimensionale. Ora questa fusione non avviene per una realtà strutturale del corpo dell'uomo; avviene per un processo mentale, vi è dunque un'azione unificatrice della mente, una sintesi percettiva che rende possibile il carattere unitario della consapevolezza. Aggiungo che, perché questa fusione possa avvenire, è indispensabile una condizione: la simultaneità della percezione.

Vedrò di spiegarmi più chiaramente con un altro esempio, un processo analogo al vedere: il processo dell'udire. Voi sapete che la percezione simultanea di un rumore da parte dei due orecchi, fra l'altro indica il punto spaziale di provenienza del suono. Se la percezione non è simultanea, si ha un effetto eco, con perdita della possibilità di individuazione del punto spaziale di provenienza, sicché la simultaneità della percezione dà alla mente una consapevolezza che va oltre la somma delle informazioni ricevute. 

Tutto questo è possibile perché la mente è una, nonostante svolga funzioni così diverse che potrebbero essere prodotti di altrettante menti indipendenti, consegnate per la sintesi finale alla mente consapevole. Come si suol dire, la mente svolge più parti in commedia, crea più personaggi, ma è - e resta - una. Direte voi: "che cosa c'entra questo discorso?". Ebbene, c'entra. 

Ho cercato di porre in evidenza tre punti salienti e cioè: che nella sequenzialità appare diverso e molteplice ciò che in realtà è uno: che nella simultaneità v'è fusione, che nella fusione v'è trascendenza. Invero nella sequenza temporale, dove non esiste alcuna reale contemporaneità, gli uomini appaiono diversi e divisi; si può dire che la molteplicità si mostra in senso orizzontale e verticale. Nella successione dei "sentire", nel tempo del "mondo degli individui" - come lo abbiamo chiamato - "sentire" analoghi sono contemporanei e, per questa simultaneità, si fondono. Nel non tempo, nell'assoluta simultaneità, tutto è comunione, fusione, unità, trascendenza dalla molteplicità. Che ciò sia vero la stessa logica lo conferma: infatti se la Realtà fosse costituita in senso pluralistico - per esempio alla maniera delle monadi di Leibniz - impossibile sarebbe una coerenza, tant'è vero che lo stesso Leibniz per spiegare l'armoniosa convivenza delle monadi, ricorre al concetto dell'armonia prestabilita. La verità che la molteplicità è un'apparenza, soggetto ed oggetto sono un'unica cosa, la stessa esistenza ha ciò che percepisce e ciò che è percepito.

Tutti i mistici di tutti i tempi e di tutte le religioni, con le loro visioni estatiche, hanno colto l'Unità materiale e spirituale dell'esistente e, se la nostra testimonianza può avere valore, noi pure lo confermiamo ed aggiungiamo: come i singoli atti del processo della consapevolezza sembrano prodotti di altrettante menti indipendenti da quella consapevole - mentre in effetti sono funzioni diverse di una stessa mente - così i "sentire" relativi non sono che virtuali frazioni dell'unico "sentire" che li sovrasta ed abbraccia tutti per il principio della trascendenza. 

E come la simultaneità di distinte percezioni sensorie pone la mente in grado di superare la somma delle informazioni ricevute, così "sentire" contemporanei si fondono e sfociano in un "sentire" che li trascende e così via. Ma come la consapevolezza della mente, nella simultaneità della percezione, va oltre la somma delle informazioni ricevute in forza della sua natura unitaria, così la trascendenza di Dio rispetto ai "sentire" relativi deriva dal Suo essere Uno ed Eterno Presente. E come i singoli atti del processo della consapevolezza risultano riassorbiti dalla sintesi finale, così noi in Realtà siamo un solo corpo, un solo spirito, un solo "essere"« al di là di ogni apparenza.

Se non riuscite a capire questo, tutto quello che avete udito dai Maestri, dai Profeti, dagli spiriti, dai filosofi più illuminati, non è che una miscellanea priva di costrutto, di senso logico.

 

Dio, stato di coscienza

Più volte abbiamo ripetuto che Dio è il Tutto-Uno-Assoluto.

Questo significa non solo che tutto quanto esiste è in Dio e fa parte di Dio, ma che Dio è "coscienza assoluta", in cui la molteplicità è trascesa perché fusa nell'Unità. Non s'intenda però con questo che Dio sia un ente che sovrintende, che sta più in alto. Badate bene: è molto meno errato credere che Dio sia uno stato di coscienza, piuttosto che pensarlo come una persona.

Infatti da sempre noi vi abbiamo detto che Dio è coscienza assoluta. Ma voi avete preso questa affermazione come se Dio fosse un essere che avesse una coscienza assoluta, così come potrebbe avere un bel sorriso. No, miei cari! Non è l'essere che ha la coscienza, ma l'essere è la coscienza o viceversa. E' ben diverso, pensateci bene. 

Se il Tutto è considerato prescindendo dall'Unità, appare la molteplicità, compaiono gli esseri, i mondi; il divenire. Ma il divenire non è reale perché è l'apparenza di una parte della Realtà-Unica-Totale, ossia di Dio. Tuttavia, affermare che il divenire è un'apparenza, non spiega come è fatta salva l'immutabilità di Dio, in mancanza della quale Dio non sarebbe Assoluto. Bisogna che quanto a noi appare come divenire, come futuro, come probabilità che non è realizzata ma che si realizzerà, esista già; e non come idea archetipa, ma come realtà vivente e palpitante quale sarà vissuta. Altrimenti Dio, che tutto comprende, muterebbe col mutare del divenire dei mondi. 

Ed eccoci all'insegnamento dei fotogrammi, con cui abbiamo spiegato che ciò che vi appare come divenire, come probabilità che si realizzerà, esiste già tutto contenuto in serie di situazioni cosmiche fisse nel non tempo, nell'Eterno Presente, così come l'azione viva e palpitante che si osserva in un film, è contenuta nei fotogrammi della pellicola. E questo concetto - figlio Gastone - non è in contraddizione con la libertà relativa; abbiamo spiegato questo parlandovi delle serie di situazioni cosmiche parallele, cioè delle cosiddette varianti. 

Allora quando un veggente di provata capacità sembra sbagliare la sua previsione, non ha sbagliato veramente e propriamente in quanto si è collegato alla situazione cosmica parallela, alla variante non vissuta dalla generalità. - Ma su questo argomento potremo tornare più profondamente, se v'interesserà. - E come il divenire dei mondi è tutto contenuto in serie di situazioni cosmiche fisse nell'eternità, così l'evoluzione degli esseri non è un divenire, ma risulta da serie di "sentire", virtuali frazioni dell'unico sentire, uniti in successione logica dal più semplice al più complesso. Ogni essere, considerato nella sua continuità, è una serie di sentire. Il senso dello scorrere e della continuità risiede nella natura stessa del "sentire" che, se pur limitato, è coscienza d'essere. Badate bene: dico coscienza d'essere, non consapevolezza. 

V'è una differenza fra la coscienza d'essere e la consapevolezza dell'uomo.

Se noi prendiamo in esame un essere, uno spirito, un'individualità, la vediamo tutta contenuta fra due estremi: da una parte l'atomo del "sentire", il "sentire", più semplice, quello che non risuona se non è collegato al mondo fenomenico della percezione; dall'altro il "sentire", più complesso. 

Qual è il "sentire più complesso"? Ovviamente il "sentire assoluto" che tutto comprende, che è essere uno ed essere tutto al di là del virtuale frazionamento che genera i mondi ed il loro divenire.

E siccome il sentire assoluto è unico - e non potrebbe essere diversamente - ne consegue che ogni essere ha in comune per lo meno questo "sentire". Ma siccome il "sentire assoluto" tutto comprende, ne deriva che noi siamo in Realtà un solo essere. Badate: l'esistenza di Dio è conciliabile con la molteplicità dei mondi e degli esseri in un solo modo e  con un solo concetto: che Dio sia uno stato di coscienza in cui tutto è fuso e trasceso nell'Unità. Se questo è vero, anche solo per approssimazione, ne consegue logicamente e necessariamente:

1) che niente può essere escluso da questa comunione, del resto già esistente da sempre nell'Eterno Presente,

2) che ogni essere raggiunge Dio, altrimenti non sarebbe realizzata l'Unità, ossia non esisterebbe Dio,

3) che Dio è raggiunto senza che ciò origini più di un Assoluto.

Fratelli, da sempre vi abbiamo detto che tutto è un aspetto di Dio, ma questo significa, in altre parole, che Dio è la reale condizione d'esistenza del Tutto.

 

Superamento della limitazione

Vogliamo sfogliare assieme l'album dei ricordi per constatare quanto abbiate modificato certi concetti e come certe parole di sempre rivelino oggi significati nuovi.

La prima cosa che confermammo con le nostre comunicazioni fu la sopravvivenza dell'uomo alla morte del suo corpo.

A ben pensarci, oggi, sapendo quanto remota sia la parte che sopravvive rispetto all'effimera personalità umana, pare più prossimo al vero chi neghi la sopravvivenza piuttosto di chi l'affermi. Influenzata dall'idea di un'imperitura integrità dei caratteri essenziali dell'uomo, risultava la Verità della reincarnazione,

intesa come se l'uomo fosse chiamato a recitare, in vite successive, varie parti, dimenticando ogni volta chi era stato, ma rimanendo sempre essenzialmente se stesso. 

In modo analogo l'evoluzione era intesa come un perpetuo divenire che faceva crescere l'uomo in una sorta di gerarchia spirituale, intesa come una progressione in carriera, conferentegli mansioni di sempre più vasta importanza nei riguardi degli esseri meno evoluti. 

Chi di voi non si è visto proiettato nel futuro come un se stesso cresciuto d'importanza ed in conoscenza, senza pensare ad un eventuale cambiamento del "sentire", ossia un cambiamento del proprio essere? Allo stesso modo la legge di causa e di effetto era apprezzata solo quale strumento di giustizia. Questo concetto - pur risultando superiore all'altro secondo il quale il dolore era distribuito da Dio, non si sa bene con quale criterio e per quali fini - tuttavia non contemplava l'intera Verità della legge di causa e di effetto, Verità che è anche quella di riportare sul giusto cammino della comprensione l'individuo.

Ricordate quando credevate che l'emanazione di spiriti, da parte di Dio, fosse continua per tutto il periodo della Manifestazione?

Devo però rilevare a vostra vantaggio che nel quadro di una perfetta eguaglianza degli esseri e di una scrupolosa giustizia nei loro confronti - quadro che noi vi avevamo prospettato - voi non comprendevate come in seno ad una stessa razza di anime, ad uno stesso scaglione, potessero verificarsi sensibili disparità di evoluzione.

Oggi voi sapete che in effetti nessuna disuguaglianza esiste fra gli esseri; "sentire" analoghi vibrano simultaneamente, e la differente evoluzione che si può riscontrare fra protagonisti di una stessa vicenda dei piani grossolani, si spiega con la non contemporanea percezione di quella vicenda da parte dei suoi protagonisti. Ossia i diversi livelli di evoluzione individuale degli esseri dei piani grossolani si riconducono ad una perfetta eguaglianza nel piano del "sentire", dove ciascuno cammina di pari passo con i suoi simili. E, così, abbiamo approfondito altri concetti.

Mi piace, però, soffermarmi su un altro ricordo: la nostra esistenza nei confronti di Dio. Forse l'approfondimento più grande che abbiamo operato ed al quale poniamo tuttora mano, è proprio in questo concetto di come dobbiamo vederci nel nostro futuro esistenziale. Come ho detto, ciascuno di voi pensava a se stesso come ad un essere destinato a crescere, a crescere a dismisura, rimanendo essenzialmente se stesso.

Anche l'amore ai fratelli era visto come un sentimento che si doveva avere nel quadro di un'acquistata divinità, sentimento e divinità che lasciavano però ciascuno ben diviso dagli altri.

Se limitiamo noi stessi alla percezione delle singole fasi della nostra esistenza, di quale futuro possiamo parlare? Noi, quali ci sentiamo, non sopravviviamo ad un attimo. Noi come personalità non andiamo oltre una vita, noi come "sentire individuale" non siamo che un momento del "sentire" dell'individualità, noi come individualità non oltrepassiamo un Cosmo. Allora di quale futuro esistenziale possiamo parlare?  In qualunque modo vogliamo considerarci, mai siamo gli stessi, ogni attimo siamo un essere diverso, perciò se per sopravvivenza s'intende la continuità dello stesso essere immutato, la sopravvivenza non esiste. Di più: se la molteplicità è un'apparenza, noi esistiamo solo nell'illusione, non siamo nella Realtà assoluta come individui da Dio  distinti: la Realtà assoluta è solo Lui.

Riflettiamo: chi siamo noi se non "sentire relativi"  che apparentemente si susseguono l'uno dopo l'altro, l'uno diverso dall'altro? Noi nasciamo nella separatività, che è un`illusione, e troviamo una continuità nel divenire, che è ancora un'illusione.

Ma poiché l'illusione per propria natura è un processo della limitazione, cioè limitato, cioè finito, cioè che finisce, che ne sarà di noi? In Realtà esiste solo Dio. Ciò che dall'illusione è costruito, con essa si dissolve. Dunque, quello spettro che ogni uomo vede ad attenderlo alla fine della propria esistenza e che continuamente gli si para dinanzi minaccioso, richiamato alla memoria da mille occasioni del dì e più terrificante nella notte, lo spettro della morte che l'uomo ha creduto di sconfiggere inventando la sopravvivenza, gli appare forse ora inesorabile, quale sentenza passata in giudicato? Forse che qui miseramente naufragano gli infantili sogni dei mendicanti d'essere in realtà figli di Re? D'essere chiamati ad una gloria eterna, di veder rifulgere la propria immortalità?

Nelle antiche scuole d'iniziazione, gli iniziandi erano sottoposti alla prova dell'aria, dell'acqua, della terra e del fuoco, perché vincessero la paura e se stessi. Io vi chiedo una sola prova, ma che per difficoltà le supera tutte: siete voi tanto forti e coraggiosi da credere alla morte vera? Gli atei lo sono. Debbo concludere che voi credete per paura e per egoismo? In altre parole, avete trasceso l'io egoistico e personale tanto da pensare alla sua fine rimanendo sereni? No? Bene! Credete che il divenire non finisca mai e che con il suo perenne scorrere si realizzerà la vostra perpetua esistenza. Ancora l'illusione per tenervi in vita. E chi non sa rinunciarvi, più oltre non ascolti.

Ma chi vuol conoscere la Verità, deve essere disposto a morire nel vero senso della parola, convinto che con la morte tutto finisca: morte senza possibilità di sopravvivenza. Solo se è disposto a tanto ricerca la Verità per la Verità e non per accrescere se stesso. Sì, fratelli, ve lo ripeto: rassegnatevi. Noi finiamo perché finiscono tutte le nostre debolezze, i nostri vizi, il nostro soffrire, il nostro sentirsi ed imporsi diversi dagli altri, la nostra crudeltà, il nostro egoismo, perché questi siamo noi oggi e finendo questi, noi finiamo! 

Capite che cosa intendo?

Mi preme che voi lo comprendiate. Non ci limitiamo ad enunciare delle Verità, cerchiamo di renderle a voi accessibili. Ciò che vi diciamo del vostro futuro non è una semplice - per quanto fondata - supposizione di ciò che sarà; il futuro esiste già, niente noi abbiamo da supporre. Ma non è neppure la fedele descrizione di ciò che constatiamo - la qual cosa potreste e non potreste credere - è anche, insieme, la spiegazione del perché non può essere che così. 

Comprendo la vostra obiezione, voi dite: "Tu stai parlando di Dio". Come Dio può essere raggiungibile dalla ragione? "Se dico che Dio è infinito, esprimo un concetto e voi capite che cosa intendo, anche se non potete sperimentare l'infinità di Dio. Se dico che Dio è un sentire esprimo una realtà che non è raggiungibile, esperimentabile dall'intelletto, ma esprimo anche un concetto che è raggiungibile dalla ragione. Se dico che Dio è uno stato di coscienza in cui il Tutto è fuso nell'Unità, non vi do la possibilità di sperimentare questo stato di coscienza, ma vi do l'unico concetto che possa conciliare l'esistenza di un Dio assoluto, eterno, infinito, immutabile, onnisciente, onnipresente, onnipossente, completo, perfetto, ecc. ecc. con la molteplicità degli esseri e dei mondi.

Se Egli è la sola Realtà assoluta, ne discende che noi esistiamo solo nelle varie realtà relative. Ciascuna realtà relativa è sempre soggettiva, come ho creduto di spiegare nello scorso ciclo di riunioni.

Che cosa significa "soggettiva"? Che dipende dal modo di pensare e di "sentire" di un soggetto, dice il dizionario. In effetti non esiste un soggetto che "sente"; il soggetto è il "sentire" stesso e rappresenta ciò che esprime, o se preferite, la "parte" dell'unica Realtà che esprime; essendo una parte, è dunque un "sentire" limitato. Ma come può realizzarsi la limitazione di un "sentire", se non nel sentirsi di essere limitato? E come può sentirsi limitato un "sentire" se non fosse, in qualche modo, subordinato alla sequenzialità ed alla separatività! Ossia ad un tempo ed uno spazio posti come oggettivi?

Ciò che è oggettivo appare soggettivo allorché è posto oggettivo un soggettivo. E' questo il modo con il quale è realizzata la limitazione del "sentire", limitazione che, se fosse reale, smembrerebbe il Tutto in un numero indeterminato di frammenti, ciascuno dei quali fine a se stesso, ammesso anche che così potesse esistere... Perciò il modo con il quale è realizzata la limitazione del "sentire" fa sì che questa limitazione non sia reale.

Il rivelarsi come proveniente "da" e tendente "a", è questo modo che limita e lega ciascun "sentire" all'altro, creando gli esseri; ma al tempo stesso conduce gli esseri nella fusione del Tutto, acciocché la limitazione non sia reale. Sì, fratelli, al di là delle nostre limitazioni, dell'essere o del credere d'essere in certo modo, al di là di ogni trasformazione che sembra subiamo, permane una continuità nel sentirsi d'esistere che è la vera sopravvivenza. Questa continuità conduce ognuno a riconoscersi uno col Tutto, ossia quello stato di coscienza chiamato Dio, dal quale nulla e nessuno può mai essere uscito, tornare o dipartirsi al di là del tempo.

Dopo la morte che avete accettata, ecco dunque la resurrezione: essere Lui che non può certo esprimersi in un "io sono"; coscienza d'essere al di là di ogni separazione, di ogni divenire; supremo "sentire" che non conosce distinzione alcuna: eternità.

Che cosa sono la luce e l'ombra, il bene e il male, l'io e il non-io, se non contrarie polarità in forza delle quali esistiamo? Dolore, gioia, libertà, schiavitù, vita e morte, opposti fra cui si libra, incerto e soffocato, un "sentire" che è il seme della divinità, ed è quello che conduce ogni essere a Dio, oltre ogni contrasto, ogni separazione, ogni limitazione.

Ma allora, dopo avervi prospettato la vera morte, vi ho forse dato quello che mai nessuno ha osato darvi, vi ho forse fatto credere che voi siete Dio. No, noi non siamo Dio, noi quali ci sentiamo, non sopravviviamo ad un attimo perché ogni attimo siamo un essere diverso: ma la continuità del nostro "essere", legando l'un attimo all'altro, va oltre l'illusorio succedersi di essi e ci conduce di fronte all'unica Realtà nella quale non possiamo che riconoscerci: Lui, perché Lui tutto comprende, Lui, in cui si è Tutto e si è Uno nell'Eterno Presente. Lui, che è la vera natura di noi stessi, la reale condizione d'esistenza del Tutto.

Se allora io e voi in Lui ci identifichiamo, ci riconosciamo, chi sono io, e voi chi siete?

 

La reale dimensione di esistenza del Tutto

L'istintiva reazione che avete di fronte ad una Verità che vi crea problemi di comprensione o che lede il vostro io, è quella di respingerla con l'incredulità. V'è un grandissimo numero di persone che non credono alla sopravvivenza perché il credervi porta, per opinione comune, al rispetto di un codice etico-religioso che costituisce una sorta di remora ad un certo loro comportamento, perciò si difendono col non credere. Dobbiamo riconoscere in questo atteggiamento una coerenza di fondo che non riscontriamo in altri. Noi non vogliamo convincere nessuno.

Che quello che diciamo sia vero è afferrabile da una serie di considerazioni, l'una derivante dall'altra, che partono da molto lontano. Il discorso che facciamo è come lo svolgimento di un'equazione o di un sistema di equazioni: se salta un passaggio, salta la soluzione. E' un discorso che ha un senso compiuto, non se ne può accettare per vera una sola parte. Se giusta è l'impostazione, vera e giusta è la soluzione, vera e giusta è la conclusione. Voi già conoscete lo sviluppo del ragionamento. Se lo ripeto questa sera a conclusione di un argomento che ci ha tenuto impegnati per molte riunioni, è per trovare un nuovo modo di esporlo, sì da renderlo comprensibile a quelli di voi che ancora non lo avessero compreso.

Osservando il mondo in cui viviamo, cogliamo la molteplicità delle forme, degli ambienti, la pluralità degli "esseri".  Se noi crediamo che questo mondo che osserviamo, così come lo vediamo, con le caratteristiche che cogliamo, esista oggettivamente al di là delle sfumature che indubbiamente caratterizzano le immagini che di esso mondo sono colte dai soggetti, se crediamo che la suddivisione dei piani di esistenza sia reale e non derivi- invece - da differenti categorie di sensi che ci danno differenti immagini di una stessa identica realtà, in poche, brevi parole, se crediamo che questa molteplicità che cogliamo esista oggettivamente, possiamo credere a Dio? 

Supponiamo di sì.  Allora, come può essere questo Dio?  Supponiamo distinto da tutto quanto esiste. Se così fosse non sarebbe completo, né infinito, né assoluto, ecc. ecc., perché mancherebbe di una parte della realtà oggettiva: per l'appunto della molteplicità che noi abbiamo postulato esistere oggettivamente. Sul piano dell'oggettività vi sarebbe Dio e vi sarebbe l'insieme della molteplicità, cioè il manifestato. L'uno limiterebbe l'altro e viceversa. Un simile Dio sarebbe, al massimo, il migliore degli esseri, ma i suoi caratteri non andrebbero oltre quelli di un essere limitato.

Supponiamo allora che Dio non sia distinto da tutto quanto esiste e questo può avvenire solo se Dio è formato dall'insieme dell'esistente. Ma, in questo caso, Egli sarebbe continuamente mutevole perché il divenire dei mondi - al pari dei mondi stessi - sarebbe oggettivo, appunto con la conseguenza che Dio non sarebbe mai eguale a se stesso. Certo nessuno può impedire, a chicchessia di credere a un simile Dio. Ma dimmi in chi credi e ti dirò chi sei. E' chiaro che un Dio così concepito non avrebbe quei caratteri che universalmente sono attribuiti a Dio.

La conseguenza di queste brevi considerazioni è: o Dio non esiste - e vedremo dopo se ciò è possibile - oppure la molteplicità è un'apparenza. Se infatti la molteplicità fosse un'apparenza, allora anche il divenire dei mondi non sarebbe reale. Il quadro cangiante e molteplice che osserviamo, altro non sarebbe reale che  l'insieme di immagini che differenti categorie di sensi ci danno di una stessa identica realtà. 

Quest'Unica Realtà potrebbe essere Dio, un Dio che tutto comprenderebbe, perciò completo ed infinito perché Unico: Immutabile perché non toccato dal divenire dei mondi: Assoluto perché da tutto indipendente, e via via. Ed essendo così singolare, così diverso da tutto quanto appare esistere nel mondo della molteplicità, veramente potrebbe essere la prima Causa increata. E' chiaro che la mia certezza circa l'esistenza e la natura di Dio, non deriva da questa speculazione, anzi non deriva da speculazione alcuna. Ma io credo che questo ragionamento sia da voi accettabile e, in ogni caso, il solo che può conciliare l'esistenza di Dio con l'esistenza della molteplicità.

Credenti di tute le fedi, le voi credete in Dio credete a questo Dio, perché è il solo che può esistere, il più per approssimazione alla Realtà. Questa non è un'affermazione di fede: è un'affermazione della ragione.

Detto questo, la domanda che si pone subito dopo è: che cos'è questa molteplicità, cioè gli esseri, i mondi, in rapporto a Dio! Creazione o emanazione divina? Se con questi termini s'intende un evento oggettivo, no certo. Nulla può realmente nascere, trasformarsi, sparire nella Realtà assoluta ed oggettiva.

Gli esseri e i mondi, non sono stati creati o emanati da Dio nel senso che nella Realtà assoluta prima non c'erano e adesso ci sono; il prima e il dopo fa parte del divenire, dell'illusione del tempo. Un Cosmo appare nascere e morire perché è una realtà parziale, limitata, relativa; limitata fra l'altro da un inizio ed una fine. Il Cosmo appare contenuto fra l'emanazione ed il riassorbimento, ma questi eventi, come quelli che fra questi accadono, appartengono al mondo dell'apparenza.

Ogni attimo che, vissuto, sembra non potersi fermare, è in realtà senza tempo; non può essere stato creato, né può distruggersi; era prima che lo vivessimo e rimane, al di là del suo apparente trascorrere. 

Sul filo di questa considerazione, la Manifestazione non appare certo come conseguenza di un atto di volontà di Dio, ma se mai come  un Suo aspetto, una parte, anche se oggettivamente non distinguibile da Dio, perché se lo fosse sarebbe oggettivamente esistente e perciò limitante Dio. Inoltre, come un organismo è un insieme di parti che ha funzioni proprie e diverse da quelle dei singoli organi che lo compongono, a maggior ragione Dio è tutt'altra cosa dall'insieme della molteplicità, peraltro apparente.

Come si sa, le domande sono come le ciliegie: una tira l'altra, E a questo punto, la domanda che la logica impone è: se Dio è l'Unità, tanto che la molteplicità è un'apparenza, allora poteva non esistere quest'apparente molteplicità? Nel regno del manifestato, del molteplice, tutto ha una ragione, uno scopo. Anche senza osservare i grandi eventi cosmici, la Verità di questa affermazione è riscontrabile dai semplici fatti naturali. Che so?

Per esempio il colore e il profumo di un fiore che attirano più gli insetti di una certa specie anziché altri, fa aumentare le possibilità di impollinazione tra fiori della stessa pianta o di piante della stessa specie. E così tutti i fatti naturali che possono essere recepiti dalla portata della vostra osservazione e della nostra comprensione, mostrano di avere una ragione, tendere a uno scopo. Ma, anche senza pensare alle cause finali di Aristotele o al "finalismo", se la manifestazione esistesse senza scopo alcuno - cioè esistesse per esistere - è chiaro che non potrebbe non esistere. 

Tuttavia solo quando si parla di Dio, si parla di Colui che non ha causa, non ha perché. Allora ciò che si può dire a chi, come l'uomo, è abituato all'effetto quale conseguenza della causa, suona più come un postulato che come una dimostrazione; più come una tautologia ("l'essere è l'Essere") che come una spiegazione.

Vedete: una realtà oggettiva diversa da quella che è, non può esistere. L'abbiamo detto prima: se Dio esiste non può che essere infinito, eterno, assoluto, immutabile, onnisciente, ecc. ecc.

Allora, può non esistere quell'Unico Dio che può esistere? Quell'Unico Dio non è il Dio-creatura della fantasia di certe teologie, ma è la ragione, la reale dimensione d'esistenza del Tutto. Se lo si toglie, sparisce tutto, e la reale dimensione d'esistenza del Tutto è l'Unità di un solo Essere, l'Essere Unico ed Assoluto che è chiamato comunemente Dio. Sul piano assoluto "l'essere" s'identifica con la coscienza, con il Sentire assoluto. Questa non è un'affermazione dogmatica, è un'affermazione che è contenuta nel concetto stesso di "Essere assoluto", come - per esempio - il concetto dell'identità con se stessi è contenuto nello stesso concetto d'"identità". Ora questo "Sentire assoluto" non è un "sentire", ma è la completezza del "sentire". 

E questo non sarebbe se Dio non fosse la fusione, nell'Unità, della molteplicità. V'è fra l'Unità e la molteplicità, fra la Realtà assoluta ed oggettiva e l'apparenza, lo stesso rapporto che v'è fra causa ed effetto in chi è causa di se stesso. Perciò errato sarebbe credere che il manifestato fosse lo sgabello su cui Dio poggia i Suoi piedi. Ogni essere è parte integrante di Dio, anche se da Lui non è oggettivamente distinguibile; ed anche nel mondo della relatività, ogni essere non è condannato ad una perpetua limitazione, ma la coscienza si amplia sempre più fino a identificarsi in Dio, che è la comunione del Tutto. Difatti il sentirsi distinti da tutto quanto esiste deriva da una delimitazione non oggettiva del "sentire"; la vera natura del "sentire" è il Sentire Unico ed Assoluto. Perciò la vera natura di ogni "essere" è L'Essere Unico ed assoluto: Dio.

Questa diversa concezione di Dio, trae seco una diversa concezione della Realtà e della vita. Noi esistiamo perché esiste Dio e viceversa, fatto salvo il carattere assoluto di Dio, cioè di indipendenza di Dio. Tutto quanto esiste è perfetto e indispensabile, naturalmente al di là di opinioni e giudizi che necessariamente sono relativi ai singoli. Intendo dire che una situazione può essere piacevole o dolorosa, ma sempre relativamente a chi la vive o a chi la osserva; mai in senso assoluto. E con ciò intendo accennare alle difficoltà incontrate dal monismo spiritualistico per spiegare l'esistenza del male inconcepibile in Dio: il male fa parte del mondo del relativo, è come tutto il divenire dei mondi che non incide nella Realtà di Dio. Tuttavia il male nel piano relativo ha una sua precisa funzione; nulla della molteplice versione dell'esistente è errato o superfluo, anzi, ogni fatto ha più significati, tanti significati per lo meno quanti sono i suoi protagonisti.

Tutto quanto viviamo esiste da sempre e per sempre, al di là del tempo, ed esiste in molteplici versioni, sì da far salva la libertà del singolo ove e quando sia necessario. Quanto ci appare come passato e come futuro, esiste identicamente nell'Eterno Presente. Tuttavia non esisterebbe se non esistesse nel tempo e viceversa. Perciò al di là del tempo esiste la "comunione degli esseri", a cui tutti siamo votati ed in cui la molteplicità è trascesa perché fusa nell'Unità. Ma ciò non sarebbe se, nel tempo, non vi fosse la sequenzialità e la separatività che originano la pluralità. Badate bene: questo concetto è giustamente inteso allorché serve a chiarire e meglio comprendere che la Manifestazione nulla trae né apporta a Dio, nel senso temporale.

Questa diversa concezione della Realtà e di Dio, che libera l'immagine del Divino da quegli orpelli posticci di un misticismo romantico, ci autorizza forse a credere che la moralità non abbia senso alcuno? Che inutile sia lo sforzo dell'uomo di tendere al bene, di migliorare il proprio mondo? Sin ché l'uomo non comprende che il suo "essere" deve estendersi al di là dello spazio limitato e delimitato dal suo egoismo, sin ché non comprende che le proprie qualità non gli appartengono solo per se stesso, la legge del dolore lo richiama alla comprensione. In ciò sta la risposta. Di più: se Dio è la reale dimensione d'esistenza del Tutto, se Egli è l'Unico Essere in cui tutti ci riconosciamo, allora ogni "essere" è un altro te stesso. Se puoi convincerti di questa Verità, getta pure lontano da te ogni legge, ogni Comandamento, perché essi non sono che una pallida imitazione, una grottesca caricatura di quella convinzione interiore che sola può trasformare i tanto meravigliosi quanto irraggiunti ideali morali in viventi Realtà.

Egli non è il Dio di Abramo, né di Confucio; non è Brahma, non è il "Padre" del Cristo, né l'Allah di Maometto. Non è né bene né male, non è amore contrapposto all'odio, non è Giustizia ma non è parzialità; non  è Misericordia ma non condanna. Egli e al di là del giuoco dei contrari, ma essendo la "somma pienezza" è tutto ciò che vi manca; amore per chi non è amato, beatitudine per chi soffre, Tutto per chi nulla è. Egli è l'Uno che appare come molteplice, ma non è l'apparenza, perché è "ciò che E'". E' infinito perché l'Unico, eterno perché immutabile, in realtà indivisibile perché in realtà è il solo che esiste.

Egli è completo perché è il Tutto che tutto comprende, ma non è il Tutto perché il tutto trascende. Egli è assoluto "sentire" ed "essere", nostra reale condizione di esistenza. Invoco lo spirito che è in voi, il solo capace di dare senso al mio misero balbettare. 

 

Continua