Materiali / Recensioni - 6

 

 

 

OSANNA

L'uomo - Fonit (1971)

 

Vorrei spendere anch'io qualche parola sugli Osanna, che molti hanno indicato come l'autentica rivelazione dell'anno nel campo della musica italiana. Cinque ragazzi italiani, con esperienze ricche alle spalle per qualcuno (il flautista Elio D'Anna suonava con gli Showmen), rivelatisi al festival di Viareggio, cinque solisti con li idee chiare, soprattutto con un discorso unitario da svolgere in maniera personale, se si eccettua l'uso del flauto che nella sua dimensione "drammatica". cioè inquietante, singhiozzata, non può non ricordare il maestro di tutti i flautisti degli ultimi due anni, Ian Anderson. Cinque ragazzi che hanno voluto, un po' per sapore scenico e coreografico, un po' per inserirsi in quel clima di "totalità" che l'arte oggi impone, cercare un'ampiezza teatrale, cioè visiva oltre che sonora nelle loro esibizioni, escogitando una specie di mascherata in antichi costumi napoletani.

Dal punto di vista musicale, l' "Uomo", primo LP degli Osanna, mostra le idee buone degli autori (tutti e cinque gli Osanna) e degli esecutori: piace soprattutto il flauto e la chitarra acustica, mentre anche l'elettrica è usata con parsimonia e gusto, e piacciono i pochi spunti jazzistici del sax. Si nota una certa frammentarietà non superata, e stacchi e passaggi mediocri. Per i testi, brevi ma significativi, il tema fondamentale è l'uomo, nel suo viaggio terreno combattuto fra l'odio e l'amore. Angoscia esistenziale (E evado verso una meta / che è più distante di me / E' sempre un passo più avanti / la vedo e so che non c'è) e intuizione della morte ("Non sei vissuto mai", "Mirror train"), si alternano alla coscienza dei problemi sociali ("In un vecchio cieco"), e alla denuncia della pesante condizione dell'uomo oggi (Si vive, si muore nel fango e l'orrore / si cercano invano momenti d'amore). Ma in ogni brano oltre all'angoscia si avverte il bisogno di riscatto e di speranza, che porta, infine, alla scoperta di una certezza, dell'unica forza dell'uomo, che "da secoli si chiama amore".

Fondamentale sarà vedere gli Osanna al loro secondo appuntamento. Questo primo album, certo il migliore italiano dell'anno dopo l' "Isola non trovata" di Guccini e "Collage" delle Orme, ha tutto sommato un valore sperimentale.

                                        Enzo Caffarelli

 

 

 

ROVESCIO DELLA MEDAGLIA

La Bibbia - RCA (1971)

 

Ancora una volta qualcosa di "nostro" merita posto in questa rubrica. Il Rovescio della Medaglia è un gruppo romano di quattro elementi, il chitarrista Enzo Vita, il bassista Stefano Urso, il batterista Gino Campori ed il cantante Pino Bannarini.

L'album è stato registrato negli studi della RCA direttamente dal vivo, cioè con due microfoni davanti al gruppo, senza nessuna operazione di filtraggio e di sovrapposizione di nastri. Solamente gli effetti elettronici che aprono la suite e compaiono poi di tanto in tanto sono preregistrati, e vengono utilizzati dal quartetto anche negli spettacoli.

Il Rovescio della Medaglia mi sembra diverso da un po' tutti gli altri gruppi italiani, sia quelli da tempo affermati, che quelli usciti di prepotenza nell'ultimo anno. Le loro intenzioni sono quelle di creare un tipo di musica tutta propria, una specie di rock sinfonico, e questo album, concepito da parecchi mesi, e finalmente inciso dopo il reperimento del fatidico "contratto", è il primo passo verso una simile realizzazione, pur restando in alcune parti vicino ad un hard rock di stampo tradizionale.

L'album ha pure il pregio di rappresentare un concetto unico, una specie di biblica rievocazione suddivisa in sei parti: "Il nulla", "La creazione", "L'ammonimento", "Sodoma e Gomorra", "Il giudizio" e "Il diluvio". Oltre ai testi, anche gli strumenti cercano a turno di significare i personaggi e gli ambienti della Bibbia.

Enzo è un solista misurato, molto espressivo, mentre la sezione ritmica, specie per merito di Stefano , è senza dubbio una delle migliori fra i gruppi italiani. Infine anche Pino possiede una bellissima voce, elemento questo che manca a buona parte delle nuove formazioni nostrane.

                                             Enzo Caffarelli

 

 

 

STORMY SIX

L'unità - First (1971)

 

Fra i complessi italiani della "nuova generazione" penso si possano includere i milanesi Stormy Six, anche se per loro il discorso è piuttosto diverso.

"L'unità" è il secondo album del quartetto, dopo un primo risalente al 1968 e rimasto piuttosto in ombra; esce quasi un anno dopo la partecipazione degli Stormy Six al Festival di Viareggio del '71. Il gruppo ha dedicato questo disco alla storia e alla cronaca italiana: la prima è ambientata negli anni a cavallo fra il 1860 ed il 1863, e intende rivedere l'interpretazione eroica del Risorgimento. Secondo la visione degli Stormy Six, in particolare di Franco Fabbri che ha guidato l'operazione storica, visione discutibilissima, Garibaldi non fu un liberatore, ma fece soltanto mutare padrone al popolo meridionale; il brigantaggio non fu una forma di delinquenza, ma un modo di ribellarsi all'autorità nuova, più esigente di quella borbonica; la repressione del brigantaggio fu una delle pagine più nere della nostra storia patria; il popolo non accettava la nuova realtà sociale e lottava per cambiarla subendo sanguinose repressioni.

Sono quattro storie, due rigorosamente vere, due liberamente inventate ma vicine allo spirito dell'epoca: un quadro preciso di una storia non colta sui libri scolastici, ma vissuta con gli occhi di quello che era il popolo: le musiche sono piuttosto semplici, senza nessun effetto, ma con un legame preciso con la più semplice e nuda tradizione italiana.

La seconda facciata è viceversa ambientata ai giorni nostri, con una musica più viva e ispirata in maniera pedissequa ai coretti di Crosby/Stills & Nash, con argomento principale la presa di coscienza politica degli studenti, coscienza che conduce ad un impegno rischioso e difficile. La "Manifestazione" canta infatti la morte di un ragazzo durante un corteo.

L'ultimo brano "Fratello", dedicato all'ex cantante del gruppo Claudio Rocchi, vuole colpire quanti credono di risolvere i problemi del nostro mondo con la filosofia hippie, proponendo un impegno individuale di amore e di pace, dimenticando certe componenti sociali ed umane che modellano e influenzano il comportamento individuale.

Un album piacevolissimo al di là di quelle che sono le interpretazioni storiche e le imitazioni stilistiche: e soprattutto una strada originale nel cammino della musica italiana per l'impegno e per la fresca vena folklorica.

Da citare alcuni componenti del complesso Il Pacco che hanno aiutato nella registrazione i quattro Stormy Six, Franco Fabbri, Massimo Villa, Luca Piscicelli e Antonio Zanuso.

                                        Enzo Caffarelli

 

 

 

SEMIRAMIS

Dedicato a Frazz - Trident (1973)

 

A dispetto dell'unica esibizione dal vivo cui mi è stato possibile assistere, i Semiramis si presentano con un disco, che dovrebbe facilmente imporli all'attenzione del nostro pubblico.

Il quintetto, guidato dai fratelli Michele (chitarre e canto) e Maurizio Zarrillo (tastiere) si porta dietro ancora il retaggio tipico dei gruppi italiani, specie il difficile inserimento della voce e dei testi nelle musiche (ma perché cantano ancora tutti come Nico Di Palo?), uniti alla fatale immaturità degli esordi.

Ma la musica dei Semiramis è vivace e per certi versi originale: i testi sono buoni, le carenze di ritmica e di fusione quasi assenti, e semmai mascherate dalla ricchezza di corde e tastiere, legate e sovrapposte con molto gusto e padronanza di mezzi. Una ricchezza espressiva, che a parte il sint e l'Eminent facente veci del mellotron, è sottolineata dal vibrafono, affidato al batterista Paolo Faenza, ed alle campane, la famigerate "tubular bells" del bassista Marcello Reddavide, e dalla presenza di un altro ragazzo, Giampiero Artegiani, che affiancano ora l'uno ora l'altro leader alla chitarra acustica, alle dodici corde o al sint.

Le chitarre amplificate, tranne qualche scoria di hard rock, non sono fuori posto nel clima generale delle composizioni e della esecuzioni, piuttosto eterogenee, I brani migliori: "La bottega del rigattiere", "Uno zoo di vetro" (con un esplicito richiamo a Mike Oldfield), e "Per una strada affollata", dai delicati intermezzi acustici (anche i Genesis hanno insegnato parecchio).

Bello il disegno interno della copertina di Gordon Faggetter, l'ex batterista di Patty Pravo, oggi designer di successo: Gordon la sa lunga sulla pittura metafisica e sul surrealismo, ed il suo quadro ricorda "In the wake of Poseidon" dei King Crimson.

                                    Enzo Caffarelli

 

 

 

BATTIATO

Sulle corde di Aries - Bla-bla (1973)

 

Terzo album di Franco Battiato, e di sicuro il più interessante e maturo. Se con i precedenti, appigliandosi ad elementi ecologici e scientifici in genere, Franco aveva soprattutto curato propositi di distruggere, demistificare, con la muova opera - ed era ora -, la sua preoccupazione è quella di creare: creare una musica libera, "totale" per usare un termine caro a certi osservatori, che trova nell'elettronica la sua ragione d'essere.

Musica biologica: Battiato non rinuncia a questa definizione, anche se si è staccato dalle tematiche precise di "Fetus" e di "Pollution". E stavolta la giustifica come "musica viva, tonificante, da respirare piuttosto che da digerire, specie di flusso capace di dare inedite, più vigorose pulsazioni all'organismo".

Rispetto alle esibizioni dal vivo di quest'anno, direi che Battiato è più composto e maturo, e la sua ricerca più costruttiva, anche perché la sala di registrazione offre diverse garanzie da un qualsiasi palcoscenico. In ogni modo il repertorio è simile; specie la lunga "Sequenze e frequenze", che occupa la prima facciata, era stata più volte sperimentata in concerto.

"Sulle corde di Aries" (l'ariete è il primo segno dello zodiaco, quello che introduce la primavera) vuol essere un rito di purificazione e di liberazione, tramite il recupero del caprone divino. Qualcosa del genere aveva ispirato anche il Cervello nel PL "Melos". E il tentativo riesce, perché la musica è costantemente vibrante, di emozioni, come nei liquidi giuochi di tastiere nella parte finale della prima facciata, nella più policroma "Aries", con il tenore di Gianni Bedori in evidenza, o nella più melodica e tradizionaleggiante "Da Oriente a Occidente", con la chitarra di Gianni Mocchetti e l'oboe di Gaetano Galli.

I pochi e brevi testi, compresi una poesia in tedesco, risaltano come antiche iscrizioni su lapide, circondati da echi soffusi e strane vibrazioni, ma tutta la musica ha un suo sapore ancestrale, ora più inquieto ora più sereno.

Battiato è ancora del parere: "la musica ai non musicisti, la musica è di tutti". Non è il primo ad affermare una simile cosa senza passare per pazzo, né è stato il primo ad ipotizzarre quelle forme di happening in cui viene richiesta la diretta partecipazione del pubblico nel processo sonoro, che diviene perciò aperto, casuale, informe, facendo cadere qualsiasi barriera tra musicisti e non, tra esecutori ed ascoltatori.

Il critico di musica elettronica Armando Gentilucci ha definito questa visione mistica della musica "mimesi terapeutica, compensazione psichica liberatoria, accettazione passiva del mondo, valvola di sfogo che dovrebbe essere morale, intellettuale e politica non meno che artistica, e che si scarica invece in uno choc dell'assurdo". In parole povere, chi dà alla non-musica un significato politico, sbaglia clamorosamente.

I risultati ottenuti da Battiato sono stati sotto questo profilo disastrosi. Coloro che ebbero il coraggio di salire sul palco su invito dell'artista si saranno forse divertiti, non certo quelli rimasti ad ascoltare.

In un disco come questo, viceversa, non c'è frantumazione del tessuto e voglia di distruggere, non c'è misticismo equivoco, culto della casualità ed esasperazione tecnocratica. C'è una costruzione metodica, centellinata, una operazione condotta con equilibrio: un po' come hanno fatto il maestro Riley e, sulla sua scorta, gente come Mike Oldfield, Bo Hansson ed altri, con maggiore fantasia di Battiato, ma anche con maggiore platealità.

Battiato, che in fondo è una persona conscia dei propri limiti, entusiasta ma non ambiziosa, non vuol essere il Terry Riley di casa nostra. Piuttosto intende aprire gli orecchi degli italiani a un discorso più vasto, più o meno piacevole, più o meno fruibile, ma troppo importante per essere accantonato ancor prima di essere proposto.

                                        Enzo Caffarelli

 

 

 

ROVESCIO DELLA MEDAGLIA

Contaminazione - RCA (1973)

 

Come ispirarsi ai classici, come rinnovarne il fasto e la forza creativa capovolgendo certi presupposti ed utilizzando un linguaggio diverso, originale, comunicativo? E' un problema che buona parte dei musicisti pop si sono posti da tempo, dandovi ciascuno una differente risposta.

Il Rovescio della Medaglia, dopo i dischi di hard rock intellettuale, sperimenta ora una nuova strada, in collaborazione do Luis Bacalov, già autore di "Concerto grosso" dei New Trolls e di "Preludio, tema, variazioni, canzona" degli Osanna. IL classico che funge da modello è Giovanni Sebastiano Bach: un Bach naturalmente trasfigurato, come indica chiaramente il titolo completo dell'opera, "Contaminazione di alcune idee di certi preludi e fughe del Clavicembalo ben temperato di J. S. Bach".

I ragazzi del Rovescio si sono dunque avvicinati al classico, al quale almeno in teoria sono sempre stati interessati: in particolare all'affetto per Beethoven hanno affiancato autori più moderni, come Bartok: il chitarrista Enzo Vita, che ha collaborato in sede compositiva con Bacalov, cerca di riprodurre con il suo strumento certi archi tipici del musicista ungherese. Inoltre il nuovo elemento, Franco Di Sebatino, ha introdotto le tastiere nel gruppo e proviene direttamente dal classico.

C'è dunque una continua opera di osmosi, che alterna momenti estremamente convincenti come altri forse più ingenui e scontati, ma con gli strumenti disposti in maniera originale, senza inutili ripetizioni, soprattutto senza barocchismi superflui. Cosa resti di Bach è difficile dirlo.

Sottolineo le note di copertina, in cui si accenna ad un immaginario Isaia Somerset, musicista scozzese del '700, uno psicopatico che si sarebbe considerato figlio naturale di Bach, e ad un altrettanto immaginario chitarrista pop Jim McCluskin, che del Somerset si riterrebbe la reincarnazione vivente. In termini meno ermetici, anche il Rovescio vuole ergersi ad utopistico modello di reincarnazione bachiana, ma con una certa utoironia, senza presunzione, una volta tanto per questo gruppo.

La mano del maestro Bacalov ha saputo guidare e plasmare il quintetto romano, ponendone in risalto le qualità tecniche, che sono indiscutibili, e smussandone gli angoli più spigolosi e narcisisti.

La "Contaminazione" è una lunga suite divisa in tredici porzioni, differente decisamente dalla precedente produzione del Rovescio della Medaglia.

                                                Enzo Caffarelli

 

 

 

BLUE MORNING

Omonimo - IT (1973)

 

i Blue Morning sono un gruppo romano avviato al jazz d'avanguardia, da parecchio tempo in anticamera: finalmente esce il loro primo album, che coincide però con uno sfaldamento parziale della formazione. Resta il documento, il "risultato di una ricerca musicale condotta per molto tempo in modo del tutto autonomo e non senza sacrifici vari", come gli stessi ragazzi del gruppo scrivono nelle note di copertina.

Una ricerca che pone i Blue Morning - quattro elementi più uno, Alvise Sacchi, addetto ad "aggeggi vari" e disegnatore della copertina - all'avanguardia in Italia. Maurizio Giammarco, sassofonista flautista e pianista, ha suonato con noti jazzisti. Roberto Ciotti, musicista preparatissimo, è il chitarrista che Alan Sorrenti avrebbe voluto con sé nell'ultimo gruppo la scorsa estate. Tutti insieme hanno partecipato alla realizzazione in sala di dischi di colleghi, come "Alice non lo sa" per Francesco De Gregori.

Il loro è un jazz personale, lontano dai modelli inglesi più imitati: un jazz ricco di spunti creativi e sufficientemente comunicativo, senza sbavature, con spazio per tutti gli strumenti e nel medesimo tempo senza noiosi assoli.

L'album è strumentale, e cinque sono i brani dai titoli molto originali: "Danza del palombari lottatori", "Panini volanti", "Farfalle nella pancia", "Belmont Plaza" e "Una sera di luglio, in città, dopo una cena col morto": per i quali non è sempre facile trovare il nesso logico con la musica, ma è comunque piacevole la distinzione dai soliti incubi, risveglio, sogno, realtà, visione, illusione... che rappresentano la trovata a senso unico per molti gruppi italiani minori.

Un'ennesima prova, quella dei Blue Morning, che la musica in Italia ha uomini validi, e che sono soprattutto le strutture, e semmai l'educazione artistica del pubblico a mancare.

                                         Enzo Caffarelli

 

 

 

NICO, GIANNI, FRANK, MAURIZIO

Canti d'innocenza, canti d'esperienza - Cetra (1973)

 

Nico Di Palo e compagni sono già al lavoro per il nuovo LP ed il nuovo spettacolo, insieme all'ex Atomic Rooster Rick Parnell, cha ha sostituito il batterista Gianni Belleno.

Abbandonato per motivi legali il nome di New Trolls, rimasto al troncone di De Scalzi e D'Adamo, adottato momentaneamente un punto interrogativo a segno del periodo di grande confusione attraversato, scelto per la Hit Parade lo pseudonimo di Tritons, ed infine per il futuro quello di Ibis, i quattro hanno realizzato un disco onesto e4 non dissimile dai precedenti.

Non so se questo "Canti d'innocenza canti d'esperienza" darà soddisfazioni commerciali al gruppo, che si è comunque abbondantemente rifatto con la gustosissima rielaborazione della rollingstoniana "Satisfaction", con un'imitazione piena di humour di Bob Dylan (ma perché nascondersi, se la canzone è così caruccia, ed invece incollare sulla copertina del LP un'etichetta non proprio qualificante come quella "da Supersonic"?).

L'album con i suoi testi finalmente immediati e senza intellettualismi e retorica, vuole rappresentare la drammatica competizione fra l'innocenza e l'esperienza: la prima raffigurata da personaggi come Simona, la figlia di Nico (...anche questo ti dirò, bambina mia t'insegnerò, ma adesso è ancora presto, puoi dormire ancora un po'...); la seconda esemplificata sempre in prima persona (..."con le mie stanche ali di angelo invecchiato, io vado in giro a cercare sul viso del mio errore lacrime morte"...). Certe cose richiamano l'iniziale "Senza orario senza bandiera"; la stessa cosa è avvenuta, paradossalmente, per l'album degli Atomic System.

Musicalmente Di Palo e gli altri si muovono sul terreno di un rock epidermico, creato con tutti i presupposti che comportano la definizione di hard. In effetti la formazione attuale - e l'entrata di Parnell ne è una netta conferma - può considerarsi il corrispondente italiano dei Deep Purple o dei Black Sabbath.

Accanto alle durezze sonore, anche qualche sprazzo acustico, naturalmente: e non spregevole, come nella prima parte di "Signora Carolina" o in "Simona".

                                      Enzo Caffarelli

 

 

 

TRIP

Time of change - Trident (1973)

 

Da molti anni i Trip sono considerati una delle migliori formazioni italiane, anche se non sono riusciti mai a sfondare completamente. Questo è il loro quarto disco, il primo per l'etichetta Trident, e rispecchia il passato del gruppo, superandolo però per la nitidezza delle esecuzioni e per la freschezza di idee, che confermano dei due veterani del gruppo, il genovese Joe Vescovi e l'inglese Wegg Andersen, e nel nuovo elemento, il batterista Furio Chirico, tre musicisti preparatissimi.

La formula triangolare, basata sulle tastiere e il desiderio di spaziare in ampie suites, collocano i Trip all'ombra di EL&P, anche se in maniera diversa dalle Orme. Ma è ad altri modelli, soprattutto agli Yes, che il trio sembra ora avvicinarsi.

La prima facciata, "Rhapsodia", sono venti minuti di musica godibile, dove accanto all'indubbia tecnica (che non va confusa con il tecnicismo, fine a se stesso, distinzione che i lettori dell'Angolo del pop dovrebbero tenere costantemente presente), si rileva una musica varia e gioiosa, senza pause o tentennamenti: una miscela delle solite componenti rock, jazz e classiche, elaborate con gusto, sia da parte di Vescovi, che si sbizzarisce sui tempi e sui timbri, sia da parte dei due ritmi, che sorprendono per continuità e presenza, e costituiscono una delle migliori coppie in Italia.

La seconda facciata non è dissimile, anche se frazionata in quattro episodi distinti. Le cose migliori: "Formula nuova" e "Corale". I Trip non possono considerarsi sul piano stilistico un gruppo italiano, come accade viceversa per BMS o PFM. E in fondo la presenza di un inglese autentico può essere una giustificazione. Ma se i tre imitano bene gli Yes, ad esempio, possiamo stare tranquilli: perché questo potrebbe essere il punto di partenza ottimale per sviluppare un discorso più autentico e più nostro.

                                               Enzo Caffarelli

 

 

 

MAURO PELOSI

Al mercato degli uomini piccoli - Polydor (1973)

 

Questo è il secondo LP di uno dei cantautori dell'ultima generazione che di più promettono in un panorama per altro piuttosto povero.

Personaggio schietto e semplice, timido ed imbarazzato in arte come nella vita, Mauro canta l'amore attraverso l'ottica dell'incomprensione, dell'impossibilità cioè di essere capito, dell'incapacità di trovare affetti anche senza grosse ambizione ("Come tanti io volevo una donna che si accontentasse di me", canta nel brano di apertura). Anche Mauro è un poeta triste, canta e rimpiange il passato, ma in una dimensione più serena ("Mi piacerebbe diventar vecchio insieme a te") e più frammentaria, meno programmatica di quanto non avvenga, ad esempio, con Guccini.

I testi sono elementari, senza metafore di difficile soluzione, senza giuochi di parole, espliciti. Credo che tutti noi, ad una certa età, ci siamo dilettati a scrivere poesie in momenti di tristezza, per poi rileggerle a distanza di anni e capire magari che non ci appartengono più. Bene, Pelosi è un po' l'emblema  di questo fatto culturale, proprio dell'adolescenza, nella sua semplicità e in certa sua giustificata retorica. Con l'esperienza però di chi ha superato i vent'anni e può includere tante sensazioni già nel passato e non più nel futuro.

A modo suo, come Battisti, come De André, come Guccini, egli è una figura simbolica, la voce di tanti ragazzi normali del nostro tempo, dei poeti mancati (mi perdoni Mauro, ma proprio qui è la sua forza), insomma degli "uomini piccoli".

Ma come negli uomini piccoli, anche qui c'è una psicologia tortuosa, contraddizioni, illusioni e disillusioni, il credersi o meglio il volersi sentire anormali ("Tu e le mie idee contorte che non hai capito mai perché sono forse un po' matto"), la mancanza di reale coraggio, perché l'eroismo appartiene solo ai sogni ("Non puoi dormire e ti perdi nei sogni dietro alle ombre di strane avventure, come un drogato che scappa dal mondo per non portare la realtà sulle spalle"). Ed ecco allora i momenti antitetici, le sfumature psicologiche di "Ehi! signore" o di "No, io scherzo", le cose migliori di questo LP.

Musicalmente Pelosi si avvale di arrangiamenti scarni, che contribuiscono a suggellare atmosfere inquiete, con ampi spazi strumentali dalla precisa funzione descrittiva.

I modelli persistono: Battisti ("Ti porterò via", "Al mercato degli uomini piccoli"), il Paoli più francese ("Mi piacerebbe diventar vecchio insieme a te", "Non tornano più", "Un mattino"); ma Mauro ha raggiunto ormai una sua autonomia ed una sua personalità.

                                               Enzo Caffarelli

 

 

Ciao 2001