Materiali / Articoli

 

LA MUSICA POP DELL' "ACCADEMIA"

di Marco Ferranti (da Ciao 2001 n. 42 del 22 ottobre 1972)

 

 

La Reale Accademia di Musica: cos'è, un patetico tentativo di restaurazione monarchica? Beh, non proprio... Ah, allora vacuo e complesso nominativo di pop-gruppo italico, condito con il necessario mezzo chilo di flauto starnazzante e qualche grammo di immancabile Moog suonato alla "mell'e meglio"... No, per fortuna anche questa descrizione è ben lontana dalla realtà; intendiamoci, non sto presentandovi i novelli Beatles nazionali, ma certamente una delle "cose" nate nella nostra pop-music che possa vantare musicalmente parlando maggior solidità e originalità. Dietro il virgineo nome di questa Reale Accademia, nome nato nella fervida mente di qualche discografico birbante, si nascondono in parte i peccati e i pregi acquisiti nel passato da un gruppo con una certa popolarità: i Fholks. Nati parecchio tempo fa, i Fholks avevano sempre stentato a farsi strada; ma a differenza di tanti non era la preparazione tecnica quella che difetta: il complesso stentava a trovare una sua particolare collocazione, una propria strada, continuava a eseguire dei brani"rubati" al repertorio anglosassone. Ma ormai i tempi andavano maturando anche per l'Italia, l'interesse aumentava intorno ai gruppi che, una volta raggiunto il livello tecnico degli stranieri, iniziavano la difficile strada delle idee e dell'originalità; per i Fholks era invece ancora crisi: il solo gruppo tra quelli affermatisi al primo festival di Viareggio che non riusciva a sfondare, si conquistavano grazie alla loro indolenza e sincerità il titolo di "énfant terrible" della manifestazione, in diretta concorrenza con i "cattivissimi" Trip.

Messi di fronte alle strade nuove che Osanna e Banco, spalleggiati da altri validi complessi, andavano tracciando, anche i Fholks incominciavano a reagire allontanandosi da certe eccessi dell'hard rock e meditando le prime composizioni che sarebbero servite di base per questa Reale ecc. ecc. Con l'apparizione a Villa Pamphili, dove peraltro si facevano notare per l'ottimo impasto strumentale e per l'efficace carica emotiva, il nome dei Fholks spariva per sempre.

Eppure se dovessi dirvi adesso che Reale ecc. ecc. è il nome nuovo dei Fholks sbaglierei di grosso: infatti se Roberto, Pierfranco e Henryc sono sempre quelli di prima, cioè batteria, basso e canto, per il resto il gruppo presenta delle novità importanti. Innanzi tutto non c'è più Pericle Sponzilli, l'ottimo chitarrista dei vecchi Fholks: Pericle per la verità ha registrato con i suoi compagni buona parte dell'album, ma su di lui gravavano in maniera particolare le delusioni e le incertezze avute col vecchio nome; non se l'è sentita di andare avanti per la stessa strada, ha abbandonato per sempre la chitarra e, beato lui, ora sta percorrendo le strade del continente indiano. Peccato perché con la sua pulizia di suono, il suo gusto Pericle era veramente tra i migliori strumentisti nostrani, ed è triste accorgersene solo ora.

Ma niente drammi: con il suo inesauribile humor, la faccia "prendo in giro" e soprattutto con tutta la sua tecnica ricca di gusto e di sensibilità è arrivato Nicola.

Nicola Agrimi faceva parte delle Esperienze, il gruppo base del Banco de Mutuo Soccorso; poi tra l'eccessiva altezza di Marcello e l'eccessivo diametro di Francesco, il chitarrista ha abbandonato, ed ora eccolo nuovamente in compagnia: un tipo da guardare con interesse specialmente per il suo amore per l'acustica.

Nella concezione base della Reale Accademia di Musica un ruolo sembrava ricoprire una importanza tutta particolare: le tastiere, naturalmente. Pescare fra tanti Federico Troiani, per Henryc & C. non deve essere stato particolarmente difficile, dato che la sua faccia è una di quelle che girando per Roma si incontrano sempre, ma indubbiamente la scelta è stata ottima. Federico può vantare un solo precedente: il conservatorio; un precedente che da un lato comporta la più completa ignoranza di fatto di pop music, e dall'altro la possibilità di essere una specie di piccola orchestra sinfonica portatile.

Nasce così in questo ambiente l'album, i cui semi già gettati nel vecchio complesso, trovano maturazione in un ritiro che il complesso si impone volontariamente nella suggestiva cittadina medioevale di Orvieto: Federico subisce una specie di lavaggio del cervello da parte di compagni che lo pongono al cospetto di tutta la produzione discografica pop. Pericle prova tutte le note dei "soli", Roberto cerca ritmi nuovi, Henryc Topel Cabanes, cantante spagnolo-polacco-italiano studia attentamente la propria voce, e poi si parte per la sala di registrazione.

A questo punto prima di parlare direttamente del disco è bene accennare a due personalità che hanno contribuito in maniera evidente alla sua formazione. Il primo è quel tale Maurizio Vandelli, prima figura di rilievo nella pop-music nazionale: trascorsa l'epoca dell'Equipe, Maurizio, accurato conoscitore delle tecniche di registrazione inglesi, si è messo dietro le quinte a maneggiare numerosi nomi importanti del nostro panorama musicale: la sua personalità anche se spesso causa di frizioni con gli artisti, è sempre alla base di un risultato prodotto secondo le più raffinate tecniche di registrazione, di una precisione estetica veramente invidiabile; la firma di Maurizio è fin troppo chiara nell'incisione dell'Accademia, che sfrutta tra l'altro benissimo tutte3 le soluzioni offerte dall'effetto stereo.

L'altro personaggio gode indubbiamente di minor popolarità, ma forse ingiustamente: si chiama Enzo De Luca, suona in un delicato duo acustico "La Pace", ma soprattutto è autore di testi veramente poetici.

Sei bellissime storie e sei bellissime composizioni, quelle dell'album, tutte dipinte da una precisa musicalità: a parte la focosa chiusura del disco, la linea musicale è quella che domina, con armonie, forse non facili, ma studiate e attente, concertate con gusto e abilità. Se escludiamo alcuni rapidi e significativi tocchi di mellotron, non c'è nessuna strumentazione esasperatamente  modernizzante: domina invece il pianoforte ora con dolce classicità, ora con ritmi snelli che rasentano spesso l'improvvisazione; molto interessante quando allo strumento tradizione Federico accoppia quello elettrico. Al canto di questo strumento si accompagnano, nella prima facciata, gli intrecci della chitarra acustica di Nicola. I brani centrano perfettamente le atmosfere dei testi, ora tragicamente immobili, privi di ritmo, ora in dolcissimi crescendo. La seconda facciata vede più impegnati il basso Pierfranco Pavone, la batteria agile e nervosa di Roberto Senzasono e le chitarre di Nicola e Pericle; l'organo fa da background a tre solchi più agili e immediati, ora snelliti dalle chitarre sempre attentamente musicali, perfettamente intonate all'andito generale del disco. Ovunque la voce ora lontana ora metallica ora dolce di Henryc canta le poesie di Enzo De Luca.

Un ottimo disco dietro al quale i componenti della Reale Accademia di Musica, che ne stanno preparando un'accurata e suggestiva esecuzione live, non riescono a nascondere la propria, giustificatissima soddisfazione.

                                                                                                                                                                            Marco Ferranti

 

 

Ciao 2001